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TOTEM E TABÙ, Alcune concordanze tra vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici (1912-13) PRIMO CAPITOLO

30 Apr 21

Di Sigmund-Freud

Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. IX, p. 2.

Traduzione di Antonello Sciacchitano

 

Prefazione alla prima edizione

I seguenti quattro capitoli di quest’opera sono costituiti da quattro saggi distinti apparsi, sotto il titolo qui diventato sottotitolo, nelle prime due annate della rivista “Imago” da me diretta. Corrispondono a un primo tentativo da parte mia di applicare punti di vista e risultati della psicanalisi a problemi ancora irrisolti della psicologia dei popoli. L’indirizzo metodologico qui seguito è perciò in contrasto sia con quello adottato da Wilhelm Wundt nella sua imponente opera, che per il medesimo scopo si serve delle ipotesi e del modus operandi della psicologia non analitica, sia con i lavori della scuola psicanalitica di Zurigo, che viceversa tendono a risolvere problemi di psicologia individuale ricorrendo a materiali derivanti dalla psicologia dei popoli.1 Ammetto volentieri che da entrambi questi settori siano derivati stimoli immediati ai miei lavori.

Le manchevolezze di questi ultimi mi sono perfettamente note. Non voglio affrontare quelle derivanti dal carattere pionieristico di queste ricerche, ma le altre richiedono una parola d’introduzione.

I quattro saggi qui riuniti mirano a suscitare l’interesse di una larga cerchia di persone colte; tuttavia possono essere propriamente intesi e giudicati solo dai pochi per i quali la specificità della psicanalisi non è più estranea. Vogliono mediare tra etnologi, linguisti e studiosi del folklore da un lato e psicanalisti dall’altro, ma non possono dare né agli uni né agli altri ciò che loro manca: ai primi un’introduzione adeguata alla nuova tecnica psicologica, ai secondi una padronanza sufficiente di un materiale in attesa di rielaborazione. Dovranno quindi accontentarsi di richiamare l’attenzione degli uni e degli altri, suscitando l’attesa che più frequenti incontri fra le due parti non restino improduttivi per la ricerca.

I due temi principali – il totem e il tabù – che danno il nome a questo piccolo libro, non sono trattati in modo simile. L’analisi del tabù è un tentativo di soluzione che procede sul sicuro ed esaurisce il problema. La ricerca sul totemismo si accontenta di spiegare quanto l’esame psicanalitico possa ora apportare al chiarimento del problema del totem. La differenza è connessa al fatto che il tabù è ancora in mezzo a noi; sebbene inteso in senso negativo e rivolto a contenuti diversi, per la sua natura psicologica non è altro che I’“imperativo categorico” di Kant, che pretende di agire in modo coatto e respinge ogni motivazione cosciente. Per contro, il totemismo è un’istituzione religioso-sociale estranea al nostro attuale sentire, in realtà da tempo abbandonata e sostituita da nuove forme; lascia solo poche tracce nella religione, nel costume e nella vita dei moderni popoli civilizzati, e ha dovuto subire importanti trasformazioni anche nei popoli che ancor oggi ne dipendono. Il progresso sociale e tecnico della storia dell’umanità ha potuto incidere sul tabù in misura assai minore che sul totem.

In questo libro si osa tentare di indovinare l’originario significato del totemismo dalle sue tracce infantili, dalle allusioni riemergenti nello sviluppo dei nostri bambini. La stretta connessione tra totem e tabù permette di fare un ulteriore passo in direzione dell’ipotesi presentata in questo lavoro, e se alla fine tale ipotesi può sembrare piuttosto inverosimile, questa caratteristica non costituisce la minima obiezione contro la possibilità che essa si avvicini più o meno a una realtà difficile da ricostruire.

Roma, settembre 1913.

 

Capitolo I

La fobia deIl’incesto

 

Conosciamo l’uomo preistorico dalle fasi di sviluppo che ha attraversato, dai monumenti inanimati e dagli strumenti pervenuti fino a noi, dalle notizie sulla sua arte, sulla sua religione, dalla sua concezione della vita, da noi ottenute direttamente o attraverso le leggende, i miti e le fiabe, nonché dai residui del suo modo di pensare nei nostri usi e costumi. Tuttavia, a parte questo, l’uomo preistorico è anche in un certo senso nostro contemporaneo; ancor oggi esistono uomini che consideriamo molto vicini all’uomo primitivo, molto più vicini, in ogni caso, di noi, nei quali scorgiamo perciò i discendenti diretti e i rappresentanti degli uomini del passato. Così consideriamo le popolazioni cosiddette selvagge e semiselvagge, la cui vita psichica riveste un particolare interesse per noi, posto di poterla intendere come una fase preliminare ben conservata della nostra stessa evoluzione.

Se la premessa è vera, il confronto tra la “psicologia dei popoli primitivi”, così come insegna l’etnologia, e la psicologia del nevrotico, com’è nota dalla psicanalisi, dovrà mostrare un certo numero di concordanze, e ci permetterà di mettere in nuova luce fenomeni già noti di entrambe.

Per ragioni esterne e interne, per compiere questo confronto scelgo le tribù di selvaggi descritte dagli etnografi come le più misere e arretrate: gli aborigeni dell'Australia, il più giovane dei continenti, che ha conservato anche nella sua fauna tanti elementi arcaici già scomparsi altrove.

Gli aborigeni dell'Australia sono considerati una razza particolare, che non permette di individuare alcuna parentela né fisica né linguistica con i più prossimi vicini: i popoli della Melanesia, della Polinesia e della Malesia. Non costruiscono né case né solide capanne, non coltivano il suolo, non allevano animali domestici, a eccezione del cane; non conoscono neppure la ceramica. Si nutrono esclusivamente della carne di tutti gli animali che riescono ad abbattere e delle radici che scavano. Non conoscono né re né capi; sugli affari di interesse comune decide l’assemblea degli uomini maturi. È assolutamente dubbio che si possano riconoscere in loro tracce di religione nella forma di adorazione di esseri superiori. Le tribù che vivono all’interno del continente, costrette dalla scarsità d'acqua a lottare con condizioni di vita durissime, appaiono da ogni punto di vista più primitive delle tribù costiere.

Non potremo di certo attenderci che nella vita sessuale questi poveri cannibali nudi siano morali nel nostro senso, imponendo forti restrizioni alle loro pulsioni sessuali. Eppure veniamo a sapere che si propongono di prevenire con la massima cura e la più scrupolosa severità rapporti sessuali incestuosi. Anzi, tutta la loro organizzazione sociale sembra portata a servire a tale intenzione o per lo meno sembra in rapporto con il suo raggiungimento.

Presso gli australiani al posto delle inesistenti istituzioni religiose e sociali si trova il sistema del totemismo. Le tribù australiane si suddividono in più stirpi o clan, ciascuno dei quali prende il nome dal proprio totem. Ora, che cos'è il totem? Di solito è un animale, uno commestibile, innocuo o pericoloso e temuto, oppure, più raramente, una pianta o un elemento naturale (pioggia, acqua), che sta in un rapporto particolare con tutta la stirpe. Il totem è in primo luogo il capostipite della stirpe, ma ne è anche lo spirito tutelare e il soccorritore che trasmette oracoli alla sua gente e, seppur pericoloso per gli altri, riconosce e risparmia i suoi figli. I “compagni totemici” soggiacciono all’obbligo sacro – pena una sanzione automatica – di non uccidere (o distruggere) il loro totem e di astenersi dal consumare la sua carne (o comunque dal trarne il godimento che altrimenti offrirebbe). Il carattere di totem non aderisce a un animale singolo o a un singolo essere, ma a tutti gli individui della sua specie. Di quando in quando si celebrano feste in cui i membri del totem rappresentano o imitano con danze cerimoniali i movimenti e le caratteristiche del loro totem.

Il totem si eredita in linea o materna o paterna. Può darsi che la prima forma fosse ovunque l’originaria, solo più tardi sostituita dalla seconda. Appartenere al totem fonda ogni obbligo sociale dell’australiano: da un lato si pone oltre l’appartenenza alla tribù, dall’altro spinge la consanguineità in secondo piano.2

Il totem non è legato al suolo o alla località: i compagni totemici vivono tra loro separati e convivono in pace con i seguaci di altri totem.3

Ora, dobbiamo finalmente rivolgere la nostra attenzione alla caratteristica del sistema totemico che attira l’interesse anche dello psicanalista. Quasi ovunque dove vige il totem, c’è anche la legge per cui membri di uno stesso totem non possono avere rapporti sessuali tra loro e quindi non possono neppure sposarsi tra loro. È questa l’esogamia connessa al totem.

Applicato rigorosamente, questo divieto è assai strano. Nulla lo prepara di ciò che abbiamo finora appreso sul concetto o sulle proprietà del totem. Non si capisce perciò come sia capitato nel sistema totemico. Non ci stupiamo, quindi, se alcuni ricercatori suppongono addirittura che all’origine, cioè all’inizio dei tempi e secondo logica, l’esogamia non avesse niente a che fare con il totemismo, ma vi si sia aggiunta in un momento qualsiasi, senza connessione più profonda, come restrizione dei matrimoni in sé necessaria. Comunque sia, il legame tra totemismo ed esogamia esiste e si dimostra assai forte.

Chiariamoci ora con ulteriori esami la portata di questo divieto.

a) La violazione di questo divieto non è affidata alla punizione, per così dire, automaticamente subentrante dei colpevoli, come accade per altri divieti totemici (per esempio, l’uccisione dell’animale totem), ma è punita molto energicamente dall’intera tribù, come per difendersi da un pericolo che minaccia tutta la comunità o da una colpa che la tormenta. Alcuni passi del libro di Frazer possono illustrare con quanta serietà questi selvaggi, sul nostro metro decisamente immorali, trattino tali infrazioni:4

"In Australia la regolare punizione per rapporti sessuali con una persona di un clan proibito è la morte. Non importa se la donna appartiene allo stesso gruppo locale o è stata catturata da un’altra tribù in un’azione di guerra; se un uomo del clan sbagliato se ne serve come moglie, è cacciato e ucciso dai suoi compagni di clan e così la donna. Tuttavia, in determinati casi, se i colpevoli riescono a evitare per un certo tempo la cattura, l’offesa può essere condonata. Nella tribù dei Ta-Ta-thi, nel Nuovo Galles del Sud, nei rari casi in cui si verifica questa violazione, l’uomo viene ucciso ma la donna è solo percossa o trafitta con una lancia, o entrambe le cose, fino a che giunge in punto di morte: la giustificazione data per la sua mancata uccisione è che essa è stata probabilmente forzata. Le proibizioni di clan sono osservate rigorosamente perfino in caso di rapporti passeggeri, e ogni violazione di queste proibizioni “è considerata con estremo orrore e punita con la morte” (Howitt).

b) Poiché la stessa severa punizione si applica anche a flirt passeggeri, che non abbiano prodotto figli, diventano inverosimili altri motivi del divieto, ad esempio, pratici.

c) Poiché il totem è ereditario e non cambia con il matrimonio, è facile capire le conseguenze di questo divieto nel caso, ad esempio, di eredità materna. Se un uomo appartenente a un clan che ha per totem il Canguro sposa una donna che ha per totem l’Emù, i figli di questa coppia (maschi e femmine) saranno tutti Emù. La regola del totem rende quindi impossibile a un figlio nato da questo matrimonio il rapporto incestuoso con la madre e le sorelle, che sono Emù come lui.5

d) Ma basta ora riflettere per capire che l’esogamia connessa con il totem fa più del previsto, cioè la prevenzione dell’incesto con la madre e le sorelle. Essa rende impossibile all’uomo anche l’unione sessuale con tutte le donne della sua stirpe e cioè con un certo numero di donne che non sono consanguinee, perchè le tratta tutte come consanguinee. A prima vista non è facile comprendere la giustificazione psicologica di questa enorme limitazione, che supera di gran lunga tutto ciò che le può essere messo al posto tra i popoli civilizzati. Pare di capire solo che il ruolo del totem (l’animale) come progenitore è preso estremamente sul serio. Tutto ciò che discende dallo stesso totem è legato da un rapporto di consanguineità; è una famiglia, e in questa famiglia il più lontano grado di parentela è riconosciuto come ostacolo assoluto all’unione sessuale.

Questi selvaggi, insomma, ci mostrano una fobia dell’incesto o una sensibilità estremamente sviluppata nei suoi confronti, legata alla particolarità, da noi non ben compresa, di sostituire alla consanguineità reale la parentela totemica. Non dobbiamo tuttavia esagerare troppo questo contrasto, se ci rendiamo conto che i divieti totemici includono il vero e proprio incesto come caso particolare.

Come si sia giunti a sostituire la famiglia reale con la stirpe totemica resta un enigma, la cui soluzione coincide forse con la spiegazione del totem stesso. Si osservi peraltro che ove esista una certa libertà di rapporti sessuali al di fuori del vincolo matrimoniale, la consanguineità e quindi anche la prevenzione dell’incesto divengono così incerte che non si può fare a meno di fondare il divieto su base diversa. Non è quindi superfluo notare che i costumi degli australiani riconoscono condizioni sociali e occasioni solenni nelle quali il diritto coniugale esclusivo di un uomo su una donna è infranto.

L’uso linguistico di queste tribù australiane e della maggior parte delle popolazioni totemiche mostra una caratteristica indubbiamente appartenente a questo contesto. Infatti, le designazioni di parentela di cui si servono non esprimono il rapporto tra due individui, ma il rapporto tra un individuo e un gruppo. Questi nomi appartengono, secondo la definizione di L.H. Morgan, al sistema “classificatorio”. Ciò significa che un uomo chiama "padre" non solo il genitore, ma anche ogni altro uomo che in base alle norme tribali avrebbe potuto sposare sua madre e diventare così suo padre. E chiama "madre", oltre colei che l’ha partorito, ogni altra donna che avrebbe potuto diventare sua madre senza infrangere le leggi tribali. Chiama “fratelli” e “sorelle” non solo i figli dei suoi genitori effettivi, ma anche i figli di tutte le persone citate che, dato il rapporto di gruppo, potrebbero essergli padre e madre e così via. I nomi di parentela che due australiani si attribuiscono scambievolmente non si riferiscono quindi necessariamente a un rapporto di consanguineità, come dovrebbero secondo il nostro uso linguistico; questi nomi contraddistinguono rapporti che sono assai più sociali che fisici. Qualcosa di analogo a questo sistema classificatorio esiste anche da noi, per esempio quando esortiamo i nostri bambini a salutare con il nome di “zio” e “zia” ogni amico e amica dei genitori, oppure, quando parliamo in senso traslato di “fratelli in Apollo” e di “sorelle in Cristo”.

La spiegazione di quest’uso linguistico per noi così sconcertante è semplice considerandolo un residuo e una traccia di quella istituzione matrimoniale che il reverendo L. Fison ha chiamato “matrimonio di gruppo”, consistente nel fatto che un certo numero di uomini esercita diritti coniugali su un certo numero di donne. I figli nati da tale matrimonio di gruppo a ragione si tratterebbero come fratelli e sorelle, pur non essendo tutti stati generati dalla stessa madre, e considererebbero come “padri” tutti gli uomini del gruppo.

Sebbene alcuni autori, come Westermarck,6 si oppongano alle conclusioni che altri studiosi hanno tratto dall’esistenza dei nomi di parentela di gruppo, tuttavia proprio i migliori conoscitori dei selvaggi australiani concordano nel dire che i termini classificatori, che designano rapporti di parentela, vanno considerati come residui dei tempi in cui vigeva il matrimonio di gruppo. Anzi, secondo Spencer e Gillen,7 è possibile stabilire che tuttora sussiste una certa forma di matrimonio di gruppo presso le tribù degli Urabunna e dei Dieri. Quindi in questi popoli II matrimonio di gruppo avrebbe preceduto il matrimonio individuale e non sarebbe scomparso senza lasciare chiare tracce nella lingua e nei costumi.

Ma, sostituendo al matrimonio individuale quello di gruppo, diventa comprensibile l’apparente eccesso riscontrato in questi popoli nell’evitare l’incesto. L'esogamia totemica, il divieto di rapporti sessuali tra membri dello stesso clan, sembra il mezzo adatto per prevenire l'incesto di gruppo, che in seguito è stato fissato ed è sopravvissuto a lungo oltre la sua motivazione.

Credendo di aver così compreso la motivazione delle restrizioni matrimoniali dei selvaggi australiani, dobbiamo poi constatare che le condizioni reali mettono in luce una complessità ancora maggiore, a prima vista disorientante. Sono ora poche, infatti, in Australia le tribù che non presentino altri divieti oltre alla barriera totemica. La maggior parte sono organizzate in modo da dividersi immediatamente in due sezioni, denominate classi matrimoniali (in inglese, phratries). Ognuna di queste classi matrimoniali è esogama e comprende una molteplicità di stirpi totemiche. Di solito ogni fratria si suddivide ancora in due sottofratrie (subphratries), e l’intera tribù è quindi suddivisa in quattro, dove le sottofratrie si trovano tra le fratrie e le stirpi totemiche.

Il tipico schema di organizzazione di una tribù australiana, trovato realizzato con grande frequenza, è perciò il seguente:

 

Fratrie

a

b

Sottofratrie

c’

d”

e’

f”

Tribù totemiche

1

2

3

4

5

6

 

Le dodici tribù totemiche sono sistemati in due classi e quattro sottoclassi. Tutte le sezioni sono esogame.8 La sottoclasse c forma un’unità esogama con la sottoclasse e; così pure la sottoclasse d forma un’unità esogama con la sottoclasse f. Il risultato, cioè la tendenza di queste disposizioni, è fuor di dubbio: così s’introduce un’ulteriore restrizione nella scelta matrimoniale e nella libertà sessuale. Se esistessero solo i dodici tribù totemiche, ogni membro di una tribù – supponendo in ogni tribù lo stesso numero di maschi – potrebbe scegliere tra gli undici dodicesimi di tutte le donne della tribù. L'esistenza delle due fratrie limita questa cifra a sei dodicesimi, cioè alla metà: un uomo del totem può sposare soltanto una donna appartenente ai clan da 1 a 6. Introdotte le sottofratrie, la scelta si riduce a tre dodicesimi, cioè un quarto: un uomo appartenente al totem deve limitare la sua scelta matrimoniale alle donne dei totem 4, 5, 6.

Le relazioni storiche delle classi matrimoniali, che in alcune tribù raggiungono il numero di otto, con i clan totemici sono del tutto inspiegabili. Si vede solo che queste disposizioni pretendono di raggiungere lo stesso risultato dell’esogamia totemica, anzi vanno oltre. Ma mentre l’esogamia totemica dà l’impressione di un regolamento sacro sorto non si sa come, e quindi di una norma divenuta costume, il complicato istituirsi delle classi matrimoniali, con le suddivisioni e i condizionamenti che vi si collegano, sembra provenire da una legislazione consapevole dei propri obiettivi, la quale forse si ripropose ancora una volta il compito di prevenire l’incesto, perché l’influenza del totem andava declinando. Mentre il sistema totemico, come sappiamo, è il fondamento di tutti gli altri obblighi sociali e di tutte le altre restrizioni morali della tribù, la portata delle fratrie si esaurisce in generale nella regolamentazione della scelta matrimoniale.

Nell’ulteriore sviluppo del sistema delle classi matrimoniali appare la tendenza oltre la prevenzione dell’incesto naturale e dell’incesto di gruppo e il divieto di matrimonio tra parenti di gruppi più distanti, analogamente a quanto ha fatto la Chiesa cattolica che ha esteso le proibizioni relative al matrimonio tra fratello e sorella, in vigore da tempi immemorabili, al matrimonio tra cugini, inventando in proposito i gradi di parentela spirituale.9

Servirebbe poco al nostro interesse pretendere di addentrarsi più a fondo nelle discussioni, estremamente contorte e oscure, sull'origine e sul significato delle classi matrimoniali e sul loro rapporto con il totem. Ai nostri fini basterà accennare alla grande cura che gli australiani, come altri popoli selvaggi, pongono nel prevenire l’incesto.10 Riguardo all’incesto, va detto che questi selvaggi sono perfino più sensibili di noi. Verosimilmente per loro la tentazione è così più forte, da aver bisogno contro di essa di una protezione più ampia.

La fobia dell’incesto propria di questi popoli non si accontenta di erigere le istituzioni che abbiamo descritto e che ci sembrano principalmente dirette contro l’incesto di gruppo. Dobbiamo aggiungere una serie di “costumi” che proteggono i rapporti dell’individuo con i parenti stretti – intendendo questo termine nel nostro senso; sono costumi osservati con severità addirittura religiosa, la cui intenzione non può sembrare dubbia. Questi costumi o divieti tradizionali si possono chiamare “evitamenti” [di certe persone] (in inglese, avoidances). La loro diffusione si estende ben oltre le popolazioni totemiche australiane. Dovrò tuttavia pregare i lettori di accontentarsi anche qui di una selezione frammentaria del ricco materiale esistente.

In Melanesia questi divieti restrittivi sono diretti contro i rapporti del ragazzo con la madre e le sorelle. Per esempio, nell’isola di Leper delle Nuove Ebridi, raggiunta una certa età, il ragazzo abbandona la casa materna e si trasferisce nella “casa dell’associazione”, dove ora regolarmente dorme e prende i suoi pasti.

Certo, può ancora frequentare casa sua per richiedere cibo, ma se sua sorella è in casa, deve andarsene prima di aver mangiato; se la sorella è assente, può sedersi vicino alla porta per mangiare. Se fratello e sorella s'incontrano per caso all’aperto, la sorella deve allontanarsi o nascondersi da qualche parte. Se il ragazzo vede orme di passi sulla sabbia e le riconosce per quelle della sorella, non le seguirà, tanto meno la sorella seguirà le sue. Anzi, non pronuncerà neppure il suo nome, e si guarderà dall’usare una parola qualsiasi se fa parte del nome di lei. Evitare la sorella ha inizio con la cerimonia della pubertà e si conserva per tutta la vita. La riservatezza tra madre e figlio cresce con l’andar degli anni, e del resto prevale da parte della madre. Se porta al figlio qualcosa da mangiare, non glielo porge lei stessa ma lo depone davanti a lui; non gli rivolge la parola in tono confidenziale e non gli si rivolge, secondo il nostro uso linguistico, con il “tu” ma con il “lei”. Costumi analoghi regnano in Nuova Caledonia. Quando fratello e sorella s’incontrano, la donna fugge nella boscaglia e il maschio passa oltre senza voltarsi.11

Nella penisola delle Gazzelle della Nuova Britannia, dal momento del suo matrimonio, una sorella non può più parlare con il fratello, non ne pronuncia più neppure il nome, ma lo designa con una circonlocuzione.12

Nel Nuovo Meclemburgo cugino e cugina, anche se non di ogni grado, sono soggetti a restrizioni simili a quelle tra fratello e sorella. Non possono avvicinarsi, darsi la mano, farsi regali, ma possono parlarsi a qualche passo di distanza. La punizione per l’incesto con la sorella è la morte per impiccagione.13

Nelle isole Figi le regole di evitamento di certe persone sono particolarmente severe; riguardano non solo i consanguinei ma anche fratelli e sorelle di gruppo. Siamo tanto maggiormente sorpresi apprendendo che questi selvaggi conoscono orge sacre in cui proprio coloro che sono legati da questi gradi di parentela ricercano l’unione sessuale; anziché stupirci del fatto, preferiremmo spiegare il divieto con questo contrasto.14

Tra i Batta di Sumatra il precetto di evitamento riguarda tutti i rapporti di parentela stretti. Sarebbe molto scandaloso, per esempio, che un Batta di sera accompagnasse la sorella a una riunione fra amici. Un Batta si sente a disagio in compagnia della sorella, anche se sono presenti altre persone. Se uno dei due entra in casa, l'altro preferisce uscire. Neanche il padre resta solo in casa con la figlia, così come la madre non resta in casa con il figlio. Riferendo questi costumi, iI missionario olandese aggiunge di essere purtroppo costretto a considerarli assai giustificati. Le popolazioni succitate danno per scontato che, quando un uomo e una donna si trovano soli, si abbandonino a un’intimità sconveniente, e, poiché dal rapporto tra parenti prossimi si aspettano ogni possibile punizione e tristi conseguenze, fanno bene a evitare con tali divieti tutte le tentazioni.15

Tra i Barongo della baia di Delagoa in Africa [Mozambico], stranamente le precauzioni più severe riguardano la cognata, ossia la moglie del fratello della propria moglie. Se un uomo incontra in qualche luogo questa persona per lui pericolosa, la evita con cura. Non osa mangiare nella stessa ciotola di lei, le rivolge la parola solo dopo molte esitazioni, non si azzarda a entrare nella sua capanna e la saluta soltanto con voce tremante.16

Presso gli Akamba (o Wakamba) dell’Africa orientale britannica domina un divieto che ci si aspetterebbe di incontrare più spesso. Nell’età dalla pubertà al matrimonio una fanciulla deve evitare con cura il proprio padre. Quando Io incontra per strada si nasconde, sta attenta a non sedersi mai accanto a lui, e si comporta così fino al momento del fidanzamento. Dopo il matrimonio i suoi rapporti con il padre non incontrano più ostacoli.17

L’evitamento di gran lunga più diffuso, più rigoroso e più interessante anche per popoli civilizzati, è quella che limita la relazione di un uomo con la sua suocera. È una misura assolutamente generalizzata in Australia, ma vige anche tra i popoli della Melanesia, della Polinesia e tra i popoli neri dell’Africa dove esistono tracce di totemismo e di parentela di gruppo, e verosimilmente in altri casi ancora. Presso alcuni di questi popoli sussistono analoghi divieti relativi a rapporti innocenti della donna con il suocero, ma sono di gran lunga meno costanti e rigorosi. In casi isolati si è tenuti a evitare sia il suocero sia la suocera. Poiché la diffusione etnografica della norma che impone di evitare la suocera ci interessa meno del suo contenuto e della sua finalità, mi limiterò anche qui a riferire pochi esempi.

Nelle isole Banks delle Nuove Ebridi queste prescrizioni sono assai severe e minuziose. L’uomo deve evitare la vicinanza della suocera e lei la sua. Se per caso s’incontrano su un sentiero, la donna si fa da parte e gli volta le spalle fin quando è passato, o è lui a fare lo stesso.

A Vanna Lava [isola delle Nuove Ebridi] (Port Patteson) l’uomo non cammina neppure dietro la suocera sulla spiaggia finché l’alta marea non abbia cancellato le orme dei suoi passi sulla sabbia. Possono tuttavia rivolgersi la parola tenendosi a una certa distanza. Ma una donna non pronuncerà mai il nome del genero né il genero quello della suocera.18

Nelle isole Salomone all’uomo non è concesso né di vedere né di parlare con la suocera dal momento del suo matrimonio. Se l’incontra, finge di non conoscerla e corre a nascondersi più in fretta che può.19

Tra gli Zulu cafri il costume impone che un uomo si vergogni della propria suocera e che faccia il possibile per evitarne la compagnia. Non entra nella capanna in cui si trova lei e, se si incontrano, o l’uno o l’altra si scansa: la donna si nasconde dietro un cespuglio, l’uomo si cela il viso con Io scudo. Se non possono evitarsi e la donna non ha altro modo di celarsi, si lega almeno un ciuffo d'erba intorno al capo, per rispettare nei limiti del possibile il cerimoniale. I rapporti tra suocera e genero avvengono o attraverso una terza persona oppure gridando da una certa distanza, quando tra l’uno e l’altra esista una qualche barriera, per esempio, il recinto del kraal. Nessuno dei due può pronunciare il nome dell’altro.20

Presso i Basoga, una tribù nera alle sorgenti del Nilo, l’uomo può parlare alla suocera solo se si trova in un altro locale della casa e non la vede. Questo popolo inoltre detesta talmente l’incesto da non lasciarlo impunito neanche tra animali domestici.21

Mentre intenzione e significato delle altre misure che impongono ai parenti prossimi di evitarsi reciprocamente non lasciano dubbi, tanto che tutti gli osservatori le hanno interpretate come norme protettive contro l’incesto, i divieti che si riferiscono ai rapporti con la suocera hanno ricevuto da molte parti un’interpretazione diversa. È sembrato incomprensibile, e con ragione, che tutti questi popoli dovessero mostrare una paura così grande di fronte a una tentazione che si presenta all’uomo nelle vesti di una donna ormai vecchia, che potrebbe essere sua madre, senza esserlo realmente.22

L’obiezione fu sollevata anche contro la concezione di Fison, il quale ha richiamato l’attenzione sul fatto che certi sistemi di classi matrimoniali mostrano una lacuna poiché non rendono teoricamente impossibile il matrimonio tra un uomo e sua suocera. Perciò sarebbe stata necessaria una particolare garanzia contro tale possibilità.

Sir John Lubbock, nella sua opera sull’origine della civiltà, fa risalire il comportamento della suocera verso il genero all’antico matrimonio per ratto (marriage by capture). “Finché è esistito realmente il ratto delle donne, anche l’indignazione dei genitori dev’essere stata reale; quando il ratto divenne un puro simbolo, anche l’ira dei genitori dovette essere simboleggiata; fu così che sopravvisse anche quando la sua origine era già stata dimenticata”. È facile per Crawley dimostrare quanto poco questo tentativo di spiegazione tocchi i dettagli dei fatti osservati.

E.B. Tylor pensa che il trattamento riservato al genero dalla suocera non sia altro che una forma di “non riconoscimento” (cutting) da parte della famiglia della moglie. Finché non nasce il primo figlio, l’uomo è considerato estraneo. Ma, anche a prescindere dai casi in cui la nascita del figlio non sospende il divieto, a tale spiegazione si può obiettare che non chiarisce l’orientamento del costume sul rapporto tra suocera e genero, vale a dire trascura il fattore sessuale, e non tiene conto dell’elemento di fobia quasi sacrale espressa dai precetti di evitamento.23

A una donna zulu, interrogata sul motivo di questa proibizione, si deve una risposta dettata da delicatezza: "Non è giusto che debba vedere il seno che ha allattato sua moglie”.24

Anche tra popoli civilizzati si sa che il rapporto tra genero e suocera rientra tra gli aspetti scabrosi dell’organizzazione familiare. Nella società dei popoli bianchi d’Europa e d’America non esistono più precetti di evitamento per entrambi, ma spesso si eviterebbero molte liti e dispiaceri se esistessero ancora nel costume e non dovessero essere eretti dai singoli individui. Ad alcuni europei può sembrare un atto di superiore saggezza che con i loro divieti di evitamento le popolazioni selvagge abbiano fin da principio escluso il sorgere di un’intesa tra due persone diventate parenti così stretti. È indubbio che la situazione psicologica di suocera e genero contenga qualcosa che stimola la reciproca ostilità e renda la convivenza difficile. D’altra parte, se l’arguzia dei popoli civili prende tanto volentieri a oggetto il tema della suocera, a parer mio ciò indica che le relazioni emotive tra i due contengono componenti tra loro in stridente contrasto. In realtà, credo che si tratti di un rapporto “ambivalente”, formato da moti contrapposti di affetto e di ostilità.

Buona parte di questi moti sono alla luce del sole. Da parte della suocera l’avversione a rinunciare al possesso della figlia, la diffidenza verso l’estraneo al quale la figlia è affidata, la tendenza ad affermare la posizione di dominio ambientata in casa propria. Da parte dell’uomo la risoluzione a non sottomettersi più a una volontà che non sia la propria, la gelosia verso tutte le persone che hanno goduto prima dell'affetto della moglie e last but not least il rifiuto a lasciarsi turbare nell'illusione della sopravvalutazione sessuale. Questo elemento di disturbo promana per lo più dalla figura della suocera, la quale gli ricorda la figlia attraverso tanti tratti comuni, pur essendo ormai priva di tutte le attrattive della giovinezza, della bellezza e della freschezza spirituale che per lui costituiscono il pregio della moglie.

La conoscenza di moti psichici segreti, ricavata dall'esame psicanalitico di singole persone, ci consente di aggiungere a questi ancora altri motivi. Poiché i bisogni psicosessuali della donna devono esser soddisfatti nel matrimonio e nella vita familiare, incombe sempre su di lei il pericolo del mancato soddisfacimento per la cessazione prematura del rapporto coniugale e il vuoto di eventi nella sua vita sentimentale. Invecchiando, la madre si difende immedesimandosi nei figli, identificandosi con loro, facendo proprie le loro esperienze emotive. Si dice che i genitori restano giovani attraverso i figli; in effetti, questo è uno dei più preziosi vantaggi psichici che i genitori traggono dai figli. Nel caso siano senza figli, viene meno una delle migliori possibilità per sopportare le difficoltà del matrimonio con la richiesta rassegnazione. L’immedesimazione della madre nella figlia arriva facilmente al punto da co-innamorarsi dell’uomo da lei amato; in casi illuminanti, la violenta opposizione psichica contro tale disposizione affettiva porta a gravi forme di malattia nevrotica. La tendenza a tale innamoramento è comunque molto frequente nella suocera e, o questa stessa tendenza o quella che lavora contro sono coinvolte nell’intrico di forze che lottano tra loro nella sua psiche. Molto spesso la suocera rivolge al genero proprio la componente meno tenera, sadica, dell’eccitazione erotica, per reprimere più sicuramente la componente tenera malvista.

Nell’uomo il rapporto con la suocera è complicato da moti simili, derivanti però da fonti diverse. La via della scelta oggettuale l’ha portato regolarmente oltre all’immagine della madre e forse anche della sorella al suo oggetto d’amore. Data la barriera dell’incesto, la sua predilezione è scivolata dalle due persone care della sua infanzia per andare a finire su un oggetto estraneo, che è il loro ritratto. Al posto della propria madre, madre anche della sorella, vede ora farsi avanti la suocera; si sviluppa la tendenza a reimmergersi nella scelta preistorica, ma tutto in lui vi si oppone. La sua fobia dell’incesto esige che non gli si ricordi la genealogia della sua scelta erotica. L’attualità della suocera, che non conosce da sempre come la madre, e di cui non ha potuto serbare un’immagine immutata nell’inconscio, gli rende facile il rifiuto. Una vena di eccitabilità e di astio in questo complesso emotivo fa supporre che la suocera rappresenti effettivamente una tentazione di incesto per il genero, e d’altra parte accade non di rado che un uomo s’innamori palesemente della futura suocera prima che la sua inclinazione passi alla figlia.

Non vedo ostacoli all’ipotesi che sia proprio questo fattore incestuoso a motivare presso i selvaggi l’evitamento tra suocera e genero. Per spiegare gli “evitamenti”, da tali popoli primitivi così rigorosamente osservati, preferiremmo quindi privilegiare l’opinione espressa molti anni fa da Fison, il quale in queste prescrizioni non vede altro che l’ulteriore protezione dal possibile incesto. Lo stesso varrebbe per tutte gli altri evitamenti tra parenti consanguinei e acquisiti. Resterebbe l’unica differenza che nel primo caso l’incesto è diretto, e l'intenzione di prevenirlo potrebbe essere cosciente; nell’altro caso, che include il rapporto con la suocera, l’incesto sarebbe una tentazione della fantasia, un incesto mediato da membri intermedi inconsci.

Nelle precedenti esposizioni abbiamo avuto poche occasioni per mostrare che, applicando la considerazione psicoanalitica, si possono comprendere i fatti della psicologia dei popoli in modo nuovo; infatti, la fobia dell’incesto nei selvaggi è stata da tempo identificata e non ha bisogno di ulteriore spiegazione. Ciò che possiamo aggiungere per apprezzarla è dire che questa fobia è un tratto squisitamente infantile e una vistosa concordanza con la vita psichica del nevrotico. La psicoanalisi ci ha insegnato che la prima scelta dell’oggetto sessuale da parte del bambino è incestuosa, indirizzata su oggetti proibiti, la madre e la sorella, e ci ha anche insegnato per quali strade crescendo il ragazzo si libera dall'attrazione incestuosa. Il nevrotico, invece, rivela invariabilmente un tratto d'infantilismo psichico: o non è stato in grado di liberarsi dalle situazioni psicosessuali infantili, o è ritornato ad esse (inibizione dello sviluppo nel primo caso e regressione nel secondo). Perciò nella sua vita psichica inconscia le fissazioni incestuose della libido continuano o tornano ad avere un ruolo determinante. Siamo giunti a ritenere che il rapporto con i genitori, caratterizzato fondamentalmente da pretese incestuose, costituisca il complesso nucleare della nevrosi. La scoperta di questo significato dell'incesto per la nevrosi urta naturalmente contro la più generale incredulità degli individui adulti e normali. Lo stesso rifiuto si oppone, per esempio, anche ai lavori di Otto Rank, che provano in misura sempre più imponente con quanta frequenza il tema dell'incesto stia al centro dell’interesse dei poeti e come attraverso innumerevoli variazioni e deformazioni fornisca materiale alla poesia. Per parte nostra siamo indotti a credere che tale rifiuto sia soprattutto un prodotto della profonda avversione che l'uomo prova verso i propri desideri incestuosi di un tempo, sprofondati nel frattempo nella rimozione. Non è quindi senza importanza per noi poter dimostrare che i popoli selvaggi sentono ancora i desideri incestuosi dell’uomo, destinati a cadere in seguito nella sfera dell'inconscio, come minaccia incombente da cui ritengono necessario difendersi, adottando regole difensive improntate al massimo rigore.

 

1 C.G. Jung, Trasformazioni e simboli della libido, “Jahrbuch für psychoanalytische

und psychopathologische Forschungen”, vol. IV, 1912. C.G. Jung, Saggio di esposizione della teoria psicoanalitica, ivi, vol. V, 1913.

2 J.G. Frazer, Totemism and Exogamy (4 voll., Londra 2910) vol. 2, p. 53: “Il legame totemico è più forte del legame di sangue o familiare nel senso moderno del termine”.

3 Questo stringatissimo riassunto del sistema totemistico non può andare esente da spiegazioni e limitazioni. Il nome totem fu introdotto nel 1791 dall’inglese J. Long, che lo derivò dai pellerossa del Nord-America nella forma totam. L’oggetto in sé è andato assumendo gradatamente un grande interesse scientifico, dando vita ad abbondante letteratura, fra cui segnalo la fondamentale opera succitata in quattro volumi di Frazer e i libri e scritti di Andrew Lang, per esempio The Secret of the Totem (Londra 1905). Il merito di aver saputo riconoscere l'importanza del totemismo per la preistoria dell’umanità va allo scozzese John Ferguson McLennan (The Worship of Animals and Plants, 1869-70). Istituzioni totemiche sono state osservate o sono ancor oggi rintracciabili, oltre che presso gli australiani, presso gli indiani del Nord-America, presso i popoli degli arcipelaghi oceanici, nelle Indie orientali e in gran parte dell'Africa. Tuttavia parecchie tracce e residui, che altrimenti riuscirebbero difficilmente spiegabili, permettono di indurre che il totemismo sia esistito un tempo anche presso i primitivi popoli ariani e semitici dell’Europa e dell'Asia, tanto che parecchi studiosi sono inclini a ravvisare in esso una fase necessaria, verificatasi dovunque, dell’evoluzione umana. Come giunsero gli uomini preistorici ad attribuirsi un totem, ossia a fare della discendenza da questo o da quell’animale il fondamento dei loro obblighi sociali e, come vedremo, anche delle loro restrizioni sessuali? Esistono in proposito numerose teorie, delle quali il lettore di lingua tedesca può trovare un sommario, ma non un’interpretazione unitaria in W. Wundt, Völkerpsychologie, vol. 2, “Mythus und Religion”, pt. 2 (Lipsia 1906) p. 264 sg. Mi riservo di fare oggetto di uno studio particolare il problema del totemismo (vedi qui il cap. 4), in cui tenterò di offrire una soluzione ricorrendo al metodo psicoanalitico.

Tuttavia, non soltanto la teoria del totemismo è controversa; anche i fatti che la caratterizzano sono ben difficilmente enunciabili in proposizioni generali, come ho tentato sopra di fare. Non c’è quasi affermazione alla quale non siamo poi costretti ad aggiungere eccezioni o contraddizioni. Non dobbiamo dimenticare però che anche i popoli più primitivi e più conservatori sono in certo senso popoli antichi che hanno alle spalle un lungo periodo, durante il quale ciò che in loro era originario ha subito molti sviluppi e deformazioni. Cosi oggi il totemismo si trova, presso i popoli che ancora ne testimoniano l’esistenza, nei piu svariati stadi di decadenza, di sgretolamento, di passaggio ad altre istituzioni sociali e religiose, oppure invece in condizioni stazionarie, che possono essersi allontanate abbastanza considerevolmente dalla sua natura originaria. La difficoltà sta proprio nel fatto che non è molto semplice stabilire che cosa della situazione attuale possa essere inteso come un'immagine fedele di un passato denso di significato, e che cosa vada inteso come deformazione secondaria di questo stesso passato.

4 Frazer, cit., vol. I, p. 54.

5 Ma al padre, che è Canguro, resta possibile – almeno in base a questo divieto – l’incesto con le figlie, che sono Emù. In caso di ereditarietà in linea paterna del totem, il padre sarebbe Canguro e così pure i figli e le figlie: in tal caso al padre sarebbe proibito l’incesto con le figlie, mentre il figlio potrebbe commettere incesto con la madre. Questi risultati dei divieti totemici indicano che l'ereditarietà materna è più antica di quella paterna, perché c'è ragione di supporre che i divieti totemici siano diretti anzitutto contro gli appetiti incestuosi del figlio.

6 E. Westermarck, The History of Human Marriage, Londra 1901.

7 B. Spencer e F.J. Gillen, The Native Tribes of Central Australia, Londra 1899, p. 64.

8 Il numero dei totem è scelto ad arbitrio.

9 A. Lang, voce Totemism in Encyclopaedia Britannica, XI ed. (1910-11) p. 87.

10 A.J. Storfer, Zur Sonderstellung des Vatermords, Lipsia e Vienna 1911, p. 16, ha di recente richiamato insistentemente l'attenzione su questo punto.

11 R.H. Codrington, The Melanesians, in Frazer, Totemism and Exogamy, vol. I, p. 77.

12 Frazer, I e II, p. 124., da Kleintitschen, Die Küstenbewohner der Gazellen-Halbinsel.

13 Ivi, p. 131, da P.G. Peckel, Die Verwandtschaftsnamen des mittleren Neumecklenburg, in “Anthropos”, vol. 3, p. 467, 1908.

14 Ivi, pp. 146 sg., da L. Fison, The Nanga, J. anthrop. lnst., vol. 14, 27 sg., 1885.

15 Ivi, p. 189

16 Ivi, p. 388, da Junod.

17 Ivi, p. 424.

18 Ivi, p. 176.

19 Ivi, p. 117, da C. Ribbe, Zwei Jahre unter den Kannibalen der Salomons-Inseln, 1905.

20 Ivi, p. 385.

21 Ivi, p. 461.

22 V. Crawley, The Mystic Rose, Londra 1902, p. 405.

23 Crawley, cit., p. 407.

24 lvi, p. 401

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