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SU DIAMANTI GREZZI: HOWARD, MORISI & C.

4 Ott 21

A cura di annalisapiergallini

Diamanti grezzi è un film del 2019, dei fratelli Josh e Benny Safdie. Mi ha conquistata subito, con la scena del viaggio all’interno del minerale. Non vi dico come va a finire. Non il film, ci mancherebbe. Ma nemmeno come va a finire questa scena del 3° minuto. Perché questo è un lungometraggio sorprendente e io non vi tolgo nemmeno mezza sorpresa o quasi.
Interessante quanto irritante è il protagonista; ma ci serve. Howard, interpretato da un insolito e molto bravo Adam Sandler, è un ebreo di buona famiglia, gestore di un negozio di gioielli nel Diamond District di New York e del tutto dedito alle scommesse. Uno che vive ingannando tutti, moglie, amante, gente che lavora per lui e per cui lavora.
Ho visto il film il giorno dopo dello scandalo Morisi; nel mio articolo sul social media manager della Lega, trovato con coca e ventenni romeni prostituti (escort non mi va proprio giù) avrei potuto consigliarlo. Diamanti grezzi è in realtà Uncut gems, gemme non tagliate, titolo più freudiano di Freud, nella messa in scena della dinamica perversa dove non tagliato è appunto il fallo materno e il soggetto è tutto dedito a dimostrare la fede incrollabile nell’esistenza di questo inesistente.
Già nei titoli d’inizio ci si trova precipitati in una vita d’inferno, ma non perché bisogna nascondersi. Non è quello il punto, ho letto post ingenui di gente illustre che commentava la vita di Morisi, costretto a fingersi altro, paladino dell’odio verso migranti, tossici e omosessuali, trovato drogato dopo aver pagato per fare sesso con immigrati uomini. Bingo! Pensano che la vita di Morisi sia di merda perché costretto a nascondere quello che è veramente: al suo vero sé sarebbero destinate solo poche briciole del suo tempo. Invece no, la vera vita di Morisi è quella di fare quello che il prete fa, non quello che il prete dice e i discorsi del prete li stabilisce lui. Tutta intera: dire bugie. Ed è vero proprio lì, nella menzogna, non è vero solo avvinghiato fatto al giovane rumeno, ma è vero solo così, nell’inganno.
Ma meglio ce lo spiega Howard, che ci appare un po’ più simpatico del faccino di Morisi, soprattutto perché il raggio d’azione è limitato, alle sue donne, a chi ha a che fare con lui, anche a chi ci capita e ci casca, come il suocero; ma tutti noi subiamo l’effetto delle menzogne del creatore della Bestia, la macchina per ottenere consensi, ideata e trainata da Morisi. Anni di odio fortuito e confusioni e menzogne menzogne menzogne, che hanno condizionato milioni di italiani.
Precipitiamo nella vita di Howard, nel turbinio del suo prevedibile caos, nel caso a cui affida le sue sorti, con i soldi, con la moglie, con l’amante, con gli oggetti, suoi e degli altri. Gli consegnano una busta, immediatamente deve affrontare dei tipi, mandati dal parente a cui deve 100000 dollari. Gente a cui deve soldi, gente che gli deve soldi, più che altro gente a cui deve dei soldi.
Già nel Seminario XVI Lacan descrive il perverso come colui che, tramite l'oggetto, il suo, riempie la mancanza dell'Altro; per questo lo chiama: "il difensore della fede" nell’Altro. Al contrario di quello del nevrotico, il lavoro del perverso è a tempo pieno; aspetto che viene magistralmente mostrato nel film.
Uno stress immane, questo è il prezzo del godimento perverso, che si nutre di quel precipizio, senza il quale la scommessa non fa fremere e solo la scommessa può farlo. Non mi preoccupa Berlusconi, ma il Berlusconi che è in me, diceva non mi ricordo chi. C’è un po’ di Morisi in ognuno di noi, un piccolo inganno, una zona d’ombra, 15’ che vorremmo rinnegare. Quella piccola parte che si concede cibo-spazzatura e mangia patatine fritte e maionese. Chi non ha sognato un divano planetario come quello di Howard? Abbiamo anche noi rischiato di trasformare le camerette dei bambini in negozi di giocattoli, tanto più avevamo sonno la sera, nessuna voglia di leggere favolette, giocare a scacchi o meno che mai correggere i compiti.
Abbiamo detto una bugia, abbiamo trasgredito una promessa. Possiamo perfino essere tossici, traditori e bugiardi. Tutto sta come lo si vive. Non c’è ripensamento in Howard, nessun pentimento, c’è solo una corsa cieca, animata dalla ricerca del godimento. Emblematico il breve dialogo col suo dipendente Jessie, che lavora per lui da otto anni, che gli dice: “ho dato tutto per questo lavoro, ti paro il culo tutti i giorni”. Lui non ascolta, gli lancia una camicia come risarcimento per la sua, distrutta dagli scagnozzi, “è di Gucci, costa 500 dollari”. Jessie lo minaccia di andarsene, “ti dispiacerà, quando mi vedrai lavorare per qualcun altro”. Ma Howard è preso dal prossimo passaggio del suo gioco, nella fattispecie, la mitica pietra, l’opale.
Qualche scena dopo si vede Jessie che lavora per qualcun altro e Howard nemmeno se ne accorge, oppure se ne accorge, ma nemmeno soffre, neanche un po’. Signori, e soprattutto signore, isteriche e non, scordatevi di essere voi a poter scavare una mancanza nell’armatura pesante che il perverso porta ogni giorno. Passate i tramonti a immaginare come lui possa soffrire per voi, ora che finalmente l’avete abbandonato. Ora che più probabilmente si è stufato di voi, non durerà quel dolorino, riassorbito presto dal passaggio successivo del gioco, abbandonato a una storia che nel suo frenetico dispiegarsi non tocca alcuna variazione. Non si capisce cosa segua, ma non segue che il copione e questo lo scrive il godimento, nella specificità della posizione in cui quel soggetto si trova.
La donna (o l'uomo) perplessa si chiede se lui è davvero lui quando ama lei o quando, pensa, per codardia, non lascia la moglie, ma potrebbe anche essere un Howard che vive comunque nelle terre di mezzo ed è ugualmente vero quando implora la moglie o singhiozza la sua sventura guardando di sottecchi l’amante, è vero prima ed è vero dopo ed è vero solo così, nella menzogna. Azzardiamo che pure Morisi è vero quando fa sesso coi ventenni rumeni a pagamento, fatto di coca, ma è vero pure quando sbraita contro gli omosessuali, immigrati, drogati. La sua natura è la falsità e solo lì si ritrova.
Naturalmente anche il perverso, in alcuni casi almeno e sempre che lo voglia, può sublimare e mettersi di traverso al suo stesso funzionamento automatico. Di solito, se obbligato, ma non è detto.
La psicoanalisi può aiutare a comprendere questi personaggi, come Howard, altrove romanzati e idealizzati, che diversamente colonizzano, volente o nolente, la nostra vita, oltre che gran parte delle serie tivvù, film, romanzi e mica solo contemporanei. Per esempio, ne Il Sole 24ore il critico Andrea Chimento dice che Howard cerca di cambiare la sua vita, di sistemare tutto, ma non è vero e almeno questo film sembra proprio avere l’ardire dell’onestà nella franchezza con cui ce lo presenta. Howard non è fedele che al godimento e non ha alcuna intenzione o tensione a cambiare la propria vita, fosse per lui non si separerebbe mai e non accenna a sistemare i suoi casini. Non c’è divisione soggettiva, c’è solo vince o perde e non cambia assolutamente nulla, né la vittoria né la sconfitta influenzano il suo stile di vita.
Poi c’è l’amante, la giovane e procace innamorata, che sull’Espresso viene descritta come “adorabile e svitata” , ma di propriamente svitato lei non ha proprio niente, tanto quanto lui, segue una mappa già scritta che, nell’apparente vivere il momento, in balia del caso, non ammette fuori binario.
La ragazza è la degna compagna di Howard, il suo gioco porta il nome di lui, lo porta scritto sulla sua carne giovane e soda che gode del suo molliccio signore, del suo scommettere altrove. Come dice Lacan, nel Seminario XX, tanto più l’uomo si confonde con Dio, cioè con ciò di cui lei gode, tanto meno è nella faccenda, tanto meno, ama. Lui si mette al posto di Dio, almeno di seguace del dio godimento e lei, per amarlo, deve credergli. Ma il godimento non è il segno dell’amore e lei non è l’oggetto dei suoi desideri, non il primo. Così lui si confonde con ciò di cui lei, come donna, gode.
Lui, con la scusa dell’immaturità di lei, può tornare a giocare. Mentre lei si fustiga perfino delle sue infedeltà, appena accennate, nella sua precarietà che ha qualcosa di tragico. Sola, dopo una lite, con una musica solenne, che ce l’affianca a tante gloriose martiri per amore, ripassa davanti al locale e trasparente a tutti è la sua sciagura, opaca solo a se stessa. Anche lei riluce come l’opale, a tratti, incagliata in una pietra qualunque, anche lei con un troppo di godimento che non pensa minimamente di lasciare, si accontenta delle briciole di sentimento che cadono dal pasto principale del suo uomo. Anche lei senza ripensamenti, si accontenta delle emozioni di lui, dei suoi attaccamenti disperati e luccicanti, che solo un uomo senza dignità sa far brillare: nel buio pesto saltano le stelle. E dietro quel luccichio si mette a camminare, anche lei fossilizzata nel vincere o perdere del lancio del dado. Non ha altre preoccupazioni, lui vince, lui perde, così può fare finta di non giocare, perché per giocare davvero, nella giostra dei sentimenti, hai da perdere qualcosa, uno scarto che nessun coltello può portare via. Senza quel taglio, siamo solo Uncut gems.
Come ogni detto perverso, la ragazza offre il suo oggetto, senza pudore, allo sguardo dell’Altro, che così se ne completa. Eccolo il fallo materno, l’Altro completo, l’Altro non barrato, che non esiste, ma stasera luccica negli occhi e nelle forme di quella ragazza giocata dall’amore, ridotto a scommessa. Anzi ridotto solo a scommessa.
Stasera l’occhio dell’Altro, in fila all’ingresso del locale, è sazio, la ragazza cammina un po' curva sulle spalle, ma la voce è fiera: aho, che c’avete da guardà?!

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