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Nando Agostinelli (1928-2019). La “politica come passione”.

30 Ott 21

Di Sergio-Mellina
L’Assessore che applicò la “Basaglia-Orsini” al Manicomio di Roma (*).

 

(*) Conversazione tenuta a Genzano di Roma il 7 ottobre 2021 in occasione della mostra intitolata a Nando Agostinelli, amico e compagno, anche di strada, Assessore Provinciale (PCI) delegato alla chiusura del Santa Maria della Pietà, il Manicomio Provinciale di Roma, in esecuzione della Legge Basaglia-Orsini del 13 maggio 1978.

Ho accettato volentieri l’invito di Fabio Agostinelli a salire quassù a Genzano – fra le perle dei “Castelli” – per partecipare al ricordo del padre Nando, del quale sono onorato di essere stato estimatore e amico. L’incontro con lui, fu abbastanza fortuito e casuale. Entrambi abbiamo lavorato per l’Amministrazione Provinciale di Roma. Io facevo il medico psichiatra del manicomio. Lui faceva l’assessore (PCI) con delega all’O.P.P. Sono andato a riguardare i documenti del curriculum per rinfrescarmi la memoria e penso valga la pena riferire qualche episodio, per confermare il tema del convegno “La politica come passione”. Intesa e perseguita – da Nando Agostinelli – per tutta la vita.

Politicamente era saldamente ancorato, ma non rigidamente ortodosso. Da schietto genzanese, vedeva le cose dall’alto, nella prospettiva più favorevole per coglierle in essenza. Era affabile e sorridente, ma anche autocritico, autonomo ed efficace. Nel senso che intuiva le situazioni con sveltezza e proponeva anche rapide soluzioni. Non dico il corrosivo Nanni Moretti di Piazza Navona 2002, ma non poi molto remoto. Nando non era un intellettuale, ma ricco di umanità e sopratutto un uomo molto pratico. Io venivo dall’università dove avevo fatto 10 anni di “Assistente Volontario” (nomina rettorale) in Clinica delle Malattie Nervose e Mentali diretta da Mario Gozzano. Lui veniva, a quanto ne so, dalle lotte dei contadini per la terra a Nazzano Romano a Maccarese, e in altre zone del Lazio, quando protestavano contro il latifondo.

Di questo aspetto storico, vi ha già parlato Agostino Bagnato con documentata puntualità sottolineando che Agostinelli aveva ricevuto dal PCI incarichi organizzativi e direttivi per l’Ente Agricolo Maremma, la Lega delle Cooperative, la Federterra, l’Alleanza dei Contadini sulle direttrici della Cassia, della Flaminia e dell’Aurelia tre fra le più antiche strade consolari. Me ne aveva parlato Giuseppe Avolio [01] – che lo conosceva – ad un Convegno dove ero stato invitato a tenere una conversazione sulla condizione psicologica dell’anziano nelle campagne [02]. Il caso volle che la mia frequentazione della Confcoltivatori per i problemi psico-sociologici dell’invecchiamento e del pensionamento dei contadini, divenisse più intensa. Infatti, al Congresso di Roma fui chiamato per un altro intervento [03] e feci amicizia anche con Armando Monasterio [04], fratello minore del clinico medico pisano Gabriele.

Di due cose era orgoglioso Nando Agostinelli: dei suoi dibattiti con Giuseppe Medici, di Sassuolo, ministro DC dell’agricoltura, anni 50 del secolo passato, e della sua cantina genzanese presso il Lago di Nemi, dove c’erano le famose navi romane [05]. Restano storici – a Nazzano Romano, sull’ansa teverina nell'agro capenate – i comizi di Giuseppe Medici, personaggio autorevole, professore universitario di economia agraria, incaricato della riforma fondiaria della Maremma e del Fucino, e i pubblici contraddittori di questo coraggioso ragazzetto di Genzano che non si metteva soggezione di un politico navigato e pluriconfermato nei Governi Fanfani-1 e Scelba.

Genzano era famosa per l’”infiorata”, ma a “Botteghe Oscure” pare lo fosse ancor più per via di una certa cantina ai bordi del Lago. I bene informati erano disposti a giurare che tra le botti genzanesi di Nando, per l’assaggio, ci fossero state le più prestigiose cariche del PCI, da Togliatti a Ingrao a Berlinguer. C’era anche qualcuno che, con ammiccamenti e a gesti, accennava all’aspetto non marginale del gotto di vino genzanese nella politica estera. «Che te credi? Guarda che Krusciov, Breznev e Gorbaciov, quando so’ venuti a Roma, l’hanno fatti salì fino a Genzano, per apprezzare le differenze fra il “Bellone”, il “Bombino” e la “Malvasia puntinata”, rigorosamente a bacca bianca, proprio secondo le raffinate degustazioni enologiche suggerite (per i Castelli) da Scipione Borghese, “il Cardinal nepote”.

Quando, dopo 10 anni, cambiai contesto di specialità, lasciando “la Sapienza” per salire al manicomio di Monte Mario, Nando Agostinelli non era ancora Assessore addetto al Manicomio. Era il 12 dicembre 1968 (anno notoriamente movimentato) e la nomina a “Medico avventizio” dell’OPP me la firmò l’Assessore Carlo Felici. Fui assegnato al III pad di medicina. il Primario era Giuseppe Francesconi. L’altro Assistente era Antonino Lo Cascio (il primo amico che avevo conosciuto, immigrando a Roma da Bologna), compagno di liceo e di studi alla Facoltà di medicina “La Sapienza” di Roma e poi di specializzazione alla Neuro. “Nino” non andava d’accordo con lo zio Gerlando Lo Cascio, che allora dirigeva l’OPP romano, perché si era appassionato alla psicoanalisi junghiana di Ernst Bernhard, maestro anche di Fellini con lo studio a Trinità dei Monti.

Lo zio Gerlando, invece, aveva simpatia per me che ero un buon neurologo e simpatizzavo per la psicopatologia fenomenologica di Binswanger. Dettaglio non secondario, per codesto zio Gerlando che dirigeva il “Santa Maria della Pietà”, era il fatto che il grande psichiatra svizzero (e me lo sottolineava) possedesse una Clinica specialistica per malattie nervose e mentali, di proprietà sua e di famiglia, che si tramandava per eredità.

Che stai a perdere tempo lì, da Assistente Volontario con Gozzano?” – “Lascialo perdere e vieni qui su, in OP, dove ti pagano, poco, ma ti pagano e soprattutto impari il mestiere. Ti confronti con la psichiatria vera … Hai famiglia e già 4 figli!”

Fu così che divenni psichiatra di manicomio. “Alienista”, come diceva mia madre, perché tutto ciò che poteva alludere ai matti faceva paura. Basaglia andò famoso per la frase ribelle «E mi no firmo!». Oggi ricordo nitidamente che Giuseppe Francesconi il – nostro Primario – passando la visita tutte le mattine al III Padiglione del “Santa Maria della Pietà”, faceva disperare la suora caposala, perché non solo non firmava le “vacchette” e gli altri “libri delle consegne degli infermieri”, messi in bella vista sul tavolo, ma, dopo aver rimesso le “lettere dei malati” nelle buste “presentate aperte per il controllo”, ne sigillava accuratamente i bordi e ci attaccava sopra i francobolli. Anche io e “Nino” Lo Cascio restavamo perplessi, poi, terminata la “visita” mattutina, ci portava tutti al bar per il caffé, dove, tra l’altro, nella cassetta postale, imbucava personalmente, ad una ad una tutte le “lettere dei malati”.

Franco Basaglia, appena destinato al manicomio di Gorizia, nel 1961, da Giovanni Battista Belloni (il suo direttore della Clinica Neurologica di Padova), aveva iniziato un movimento collettivo che per scopo principale si proponeva anche quello di chiuderlo. Era il primo che veniva dalla carriera universitaria e non sarà il solo. Basterebbe pensare alle proposte antistituzionali di una personalità irrequieta come Sergio Piro al “Frullone”. Nel 1959, però, a Napoli, gli “ospedalieri, avevano” già fondato l'AMOPI (Associazione dei medici ospedalieri psichiatrici italiani). Si ispiravano all’esperienza francese di “Psichiatria di Settore". Niente Ospedale, grande riforma, molta prevenzione, ambulatori, consultori, educazione sanitaria, scuola, territorio, insomma. Al massimo “L'hôpital de jour”. Dell’AMOPI facevano parte Eliodoro Novello e Giuseppe Francesconi con incarichi di dirigenza sindacale e, nel 1973, alla presidenza venne chiamato Ferdinando Barison, uno psicopatologo fenomenologico illustre, direttore del manicomio padovano della “Brusegana”.

Nel frattempo, con propositi riformatori più spiccatamente politici, era sorto anche il movimento di “Psichiatria Democratica”, di cui faceva parte Massimo Marà, amico, compagno di studi e di calcio ricreazionale [06]. Anche Marà era Assistente psichiatra al manicomio di Monte Mario. Facevamo le guardie insieme, 24 ore, ogni giovedì, formalmente lui le donne io gli uomini. Anche da noi a Roma, il clima era effervescente, assembleare, di negazione isttuzionale. Come a Perugia, a Trieste, a Napoli e in gran parte d’Italia. I più attivi si conoscevano tra loro. Quelli della psicoanalisi erano più riservati, i fenomenologi rarissimi. Ci s’incontrava ai convegni, alle manifestazioni. Ricordo Diego Napolitani, Fausto Petrella, Leo Nahon, Agostino Pirella (un ottimo centrocampista, un “10” ideale), Fausto Rossano … Tutti i movimenti fecero massa critica fino a confluire nella “Centottanta del settantotto” e, dopo 7 mesi, in quella che istituiva il servizio sanitario nazionale gratuito per tutti.

Tra i documenti, ho trovato il mio primo incarico firmato dall’Assessore Nando Agostinelli. Era per le attività di risocializzazione nei padiglioni di lungodegenti IX – XIX – XI – XXII, reca la data 15 gennaio 1978. Un altro successivo dell’11 aprile 1978 mi delegava a rappresentare le competenze psichiatriche dell’Amm. Prov. presso il CNR nel Progetto finalizzato “medicina preventiva” sub-progetto “prevenzione delle malattie mentali”. Quando finalmente fu promulgata la legge per chiudere il manicomio provinciale di Monte Mario, Nando Agostinelli era già al posto giusto. Dunque, fin da metà maggio 1978 andò preparandosi scrupolosamente. Si diede a conoscere il maggior numero di operatori d’area di orientamento progressista. Ascoltava tutti ma coloro che incontrava di più, nel mitico Assessorato di Via Luigi Petroselli, davanti all’anagrafe (ex Palazzo del Governatorato), eravamo io, “Nino” Lo Cascio, Romolo Priori, Alberto Giordano, Fausto Antonucci, gl’infermieri Arturo Carfagnini, Vincenzo Boatta (aveva un sinistro micidiale), Mario De Propris, Renato Aloisi. Vedeva spesso anche Franco Basaglia, quando fu chiamato a Roma per un breve periodo, con compiti di supervisione alla Provincia.

La prima urgenza che si manifestò acutamente all’indomani della pubblicazione della Legge 180/78 fu l’allestimento dei 15 posti letto del Servizio di Pronto Soccorso Psichiatrico negli Ospedali Generali gli SPDC. Un terremoto vero e proprio, una deflagrazione micidiale. Per la prima volta, nel mondo, si andavano a mescolare ambiti dell’assistenza sanitaria che erano stati sempre distinti e separati tra loro. Non si sapeva come regolarsi, dove reperire le strutture che gli Ospedali “Civili” (come sottolineavano, con insistente petulanza i colleghi non psichiatri) non volevano proprio tra i piedi nella maniera più tassativa. Fu questo, un punto di frizione notevole e ancora oggi, dopo 43 anni, non pare ancora superato. Per farsene un’idea, basterebbe leggere “Cuore di tenebra” – il blog di Gilberto Di Petta su POL.it Psychiatry on line Italia – le sue corrispondenze dal presidio campano di SPDC, dove aggiusta e inventa, soluzioni possibili ai limiti di esistenze invivibili. Vero e proprio avamposto degli uomini perduti. Le trattative per i posti ospedalieri di psichiatria fin dall’inizio furono un problema e ci si mosse in tutte le direzioni. Bisognava evitare il pregiudizio che per “i matti” fossero necessari la sala grande e i parco coi fiori. Praticamente quelle che al manicomio di Monte Mario erano sempre state “la sorveglianza esterna” con le reti di recinzione e ”la sorveglianza interna” con la “chiave a tre giri”.

Era il primo pomeriggio di un fine maggio assolato del 1978. Io e Nino Lo Cascio eravamo scesi insieme da “Santa Maria della Pietà” all’Assessorato provinciale di Via Petroselli. Ci aveva convocato Nando Agostinelli. Voleva tentare un sondaggio per reperire strutture sanitarie presso istituti religiosi. Basaglia era impegnato. Sergio Scarpa, referente sanità del PCI, doveva inviare un funzionario da “Botteghe Oscure”, la Caritas, fare altrettanto. Un accordo catto-comunista in piena regola. Il fine era quello di valutare eventuali spazi da adibire a repartini SPDC. Il primo ad arrivare, puntualissimo, fu un persona cortese, diretta, desiderosa di concludere in breve tempo. Aspetto manageriale, fumava una sigaretta via l’altra e diceva testualmente

– “Certe suore hanno strutture bellissime e privilegi ingiustificati. Potrebbero fare qualche piccolo sacrificio. Con questa riforma psichiatrica è necessario aprire spazi. La salute mentale non può aspettare!”

– Io e “Nino” Lo Cascio ci davamo di gomito, bisbigliando tra noi: – “Hai capito il Bottegone?”

Poi venne uno vestito di nero, aria curiale, si stropicciava le mani alla Don Abbondio e parlava sottovoce con circospezione. E noi di nuovo, col gomito urtante e con gli occhi spalancati, cercando di comunicare restando immobili: “Hai capito la Chiesa Cattolica?”

Invece no! Questo lo mandava Sergio Scarpa. Il primo, invece, era addirittura Monsignor Luigi di Liegro in clergyman marrone, a guardarlo più attentamente. Era proprio il caso di dire: – “Hai capito il pregiudizio?”

C’era la nuova legge che chiudeva il manicomio, ma bisognava lavorare ancora parecchio per riformare la mente delle persone timorose di cambiare e, Nando Agostinelli, sapeva muoversi bene. Avevamo cominciato a girare insieme, fin dalla seconda metà degli ’70 del Novecento, per vedere direttamente le situazioni in Italia. Eravamo andati a Trieste, in treno, a trovare Tommaso Losavio. Come psichiatra si era formato a Roma, poi era andato a lavorare con Basaglia e a quel tempo ne dirigeva i servizi territoriali. Poteva essere il 1976-77. Se la memoria non m’inganna, credo di ricordare che fummo ospiti a pranzo da Tommaso Losavio e Paola Tulli che già si erano trasferiti da Roma. Lo storico manicomio giuliano sembrava un enorme cantiere. La cosa che mi colpì maggiormente era il traffico, sul piazzale dell’ospedale, di macchine e di persone, tutti molto indaffarati. Per esempio, intorno a un paziente che era incerto se tornare a casa a Basovizza – sull'altopiano del Carso – accompagnato da un infermiere e un autista, oppure se ritardare qualche giorno, si faceva un gran discutere. Chiunque passasse nelle vicinanze, partecipava e dava il suo consiglio. Ciò che stupiva, nel caso in questione, non erano tanto le difficoltà del paziente a prendere la sua decisione quanto piuttosto il numero di automobili di servizio in dotazione al manicomio triestino. «Certo che per fare un buon servizio territoriale di salute mentale ci vogliono molte automobili», esclamò Nando Agostinelli, pensieroso. Non so quello che avesse in mente l’Assessore, ma era l’esatto contrario di un concetto statico, chiuso, separato.

Il battesimo del fuoco coi 15 p.l. del “SPDC”, lo ebbi nel giugno 1978 all’Ospedale storico San Giovanni di Roma, fondato nel 1338. La cornice suggestiva era la grande “Sala Mazzoni” parallela alla piazza, coll’enorme crocefisso in fondo. Ci fu una vera e propria battaglia campale, perchè nessuno voleva i matti negli “Ospedali Civili”. Dopo lunghe ed estenuanti trattative si concluse che a Roma dovevano essere allestiti 4 SPDC: San Giovanni, Forlanini, Nuovo Regina Margherita e Policlinico Umberto I. Quest’ultimo fu sempre risparmiato fino a che non venne inaugurato il “Pertini”, che lo subì. Si convenne anche che, nell’esecuzione del TSO, l’ambulanza dovesse essere scortata dalla polizia municipale, in quanto alle dirette dipendente dal Sindaco, massima autorità cittadina. Il Consiglio dei Sanitari del San Giovanni – tutti Primari Ospedalieri (contr'altare degli accademici, i titolari di cattedra universitaria) – presieduto dal Direttore sanitario dell’Ospedale, poteva essere rivelatore delle diffidenze e dell’ostilità verso la psichiatria. Gli unici due “primari” riconosciti e accettati erano Romolo Priori, perchè aveva fatto parte della scuola di Cerletti e aveva diretto l’OP di Ceccano e Alberto Giordano che a Milano aveva diretto un Istituto di Neuro-psichiatria infantile e faceva parte del gruppo di psicopedagoghi scolastici creati da Adriano Ossicini e Giovanni Bollea. Io ero sempre in sostituzione o dell’uno o dell’altro, temporaneamente assenti. L’aver vinto il primariato al manicomio di Cagliari – con Giuliana Ferri, moglie di Hrayr Terzian – ed aver fatto il Vicedirettore all’OP di Dolianova, il “Cagliari 2”, contava poco. Infatti ero in attesa dell’imminente concorso per i nuovi ruoli della psichiatria riformata.

Essere il responsabile “SPDC” del San Giovanni all’esordio assoluto sul piano nazionale, non ancora collegato col territorio, in parte dipendente dagli Enti Locali (Amministrazione Provinciale) in parte dal SSN, fu un lavoro molto impegnativo e un’esperienza durissima. Il funzionamento veniva stabilito mediante la predisposizione di una turnazione di guardia ospedaliera tipo pronto soccorso e di attività di reparto. Ricordo i vagiti e la buona volontà degli inizi. Ma anche la cattiveria di chi puntava gli estintori sull’entusiasmo. La macchina organizzativa si riuniva tutte le mattine nella sala grande della palazzina di Via Sabrata sede del grande CIM della Provincia. L’assemblea, era presieduta in permanenza da Romolo Priori. Il gruppo degli ambasciatori, messaggeri e diplomatici era formato essenzialmente da Agostinelli, Priori e Giordano. A quel tempo c’era una operosa confusione alla palazzina del Quartiere Trieste. Letti di fortuna, ambulanze con qualche acuto da indirizzare, gli ambulatori pieni, ecc. Si facevano i turni di guardia con “cambio a vista”, sotto l’occhio attento dell’infermiere Arturo Carfagnini, implacabile contro i furbi, le furbizie e i finti smemorati. Se al momento della sostituzione non si fosse presentato il collega puntuale, si poteva anche mettere mano alla fondina. “Allora” – cominciava Priori – “facciamo la lista della settimana” – e Carfagnini scandiva – “mattina, pomeriggio, notte, sette, quattordici, ventuno, riposo libertà”. E Priori “Chi va al San Giovanni? Bene! Gli altri? Il Forlanini, domani. Ma per il Gianicolense, ci potrebbe essere anche il “Città di Roma”. Mi ha telefonato Agostinelli che mi ci vuole accompagnare. Come? Al Policlinico? Vado oggi pomeriggio a parlare col Direttore sanitario. No! La Neuro no! Dice che ha compiti universitari, insegna, non fa terapia sul territorio. Comunque, m’hanno fatto capire che non si può più fare quello che si faceva ai tempi di Cerletti e Gozzano, quando passava il “carrettone” della “Buon Costume” e lo svuotava al civico 30 di Viale dell’Università [07].

Il gruppo del San Giovanni faceva riferimento a me che avevo funzioni di Primario Psichiatra in sostituzione di Alberto Giordano, il quale aveva fornito le mie credenziali la prima volta, accompagnandomi alla riunione. Le diffidenze erano interne per disinformazione, ma le ostilità provenivano anche dal fuoco amico, se così si può dire. I vecchi “Medici di Sezione” del manicomio, i “Primari di Divisione” riconosciuti dalla Legge Mariotti (18 marzo 1968, n. 431), sostenevano di essere i più anziani e dunque i più titolati per ricoprire i posti di primari psichiatri negli “Ospedali Civili Generali”. Ce ne fu perfino un paio che fece causa a quelli che erano usciti e a Nando Agostinelli che aveva firmato l’autorizzazione. Prima che ricevessi la destinazione territoriale alla direzione del DSM del Municipio delle Torri, in Via di Torre-Spaccata, passò meno di un anno, ma quella del SPDC del San Giovanni di Roma, fra le prime in Italia, fu per me una esperienza eccezionale, prima di tutto esistenziale e, secondariamente, anche psichiatrica. Mi capitò di tutto.

Un paziente del “Mazzoni”, dopo aver studiato la logistica, era salito al primo piano dove c’era la mensa dei sanitari e si era seduto comodamente.

– “Io sono un TSO, un tiratore scelto obbiettivo e vorrei una carbonara” –

Scoppiò il finimondo. Mi vennero a cercare con urgenza.

– “Quello è tuo! Vieni subito a riprendertelo! – A volte capitava qualche vecchia conoscenza di Monte Mario.

– “Beh? Che ci fai qui?” – “M’hanno detto: vai già da Mellina al San Giovanni che ti cura con la nuova riforma!” Le mie disavventure di responsabile SPDC culminarono in una sorta di sedizione clamorosa spacciata per “popolare” con i letti psichiatrici trascinati in via dell’Amba Aradam ad occupare la carreggiata per protesta. Intervenne la polizia e uscirono titoloni sui media: familiari esasperati di pazienti ricoverati al S. Giovanni contestano il ricovero dei malati psichiatrici nelle strutture ospedaliere civili, imposto dalla “Legge Basaglia”. Ci furono, invece, molti familiari e pazienti stessi di altri reparti che si prodigarono coi mentali”. Anche qualche piccola soddisfazione interna, la caposala della Chirurgia. Mi restò grata per sempre dopo aver scoperto che con un bicchierino di “Marsala” cessava come per incanto il tremens alcolico dei bevitori. Era frequente che i pazienti che scendevano dai Castelli per operarsi, dopo tre giorni di ricovero, andassero in astinenza con le conseguenze temute. Dunque, il miracolo della “marsaletta”, che mi aveva insegnato la suora caposala del XVIII, il Reparto “Alcolisti e criminali” del Santa Maria della Pietà.

Con Nando Agostinelli andammo a Parigi, nel novembre 1979. Si teneva il Convegno Italo-Francese di psichiatria (Parigi 8-9 novembre 1979) ed eravamo interessati ad esporre la nostra fresca esperienza di psichiatria senza manicomio [0809]. Dopo 42 anni ho ritrovato – di quelle giornate di lavoro – degli appunti scritti con la biro su foglietti 25×17 che avevo completamente dimenticato. Sono grezzi ma pregnanti, ingenui ma lungimiranti. Appena li ho presi in mano, m’è tornato alla mente che, eravamo una piccola comitiva di operatori romani a proprie spese. Eravamo io e Silvia, “Nino” Lo Cascio e Bianca, Nando Agostinelli e Marisa. Mi piace sottolineare un dettaglio. Poiché l’assessore comunista dell’Amministrazione Provinciale di Roma responsabile dell’OPP “Santa Maria della Pietà”, era in compagnia della moglie, la signora Marisa, non volendo gravare sul bilancio della Provincia, si era fatto ospitare da un suo cugino – Tomasso, credo – Responsabile della Conciergerie dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi (servizio del Corpo Diplomatico), presso il quale si svolgeva il Convegno. Altri tempi, sensibilità diverse, engagements d’autre fois.

Per dare pubblicità al nuovo corso della psichiatria riformata, con Nando Agostinelli andammo al Convegno Nazionale di Maratea (20-22 Marzo 1980), dove presentai una relazione [10]. Col nostro (e suo) team – fummo presenti anche a Milano, dove rendemmo un contributo sulle difficoltà d’integrare i vari servizi in un grande polo ospedaliero multispecialistico [11]. Successivamente partecipammo al Convegno Nazionale di Reggio Emilia (11-12 aprile 1980) su “L’emarginazione psichiatrica nella storia e nella società” con un breve excursus sull’evoluzione dell’atteggiamento nei confronti della follia rispetto all’area della salute, durante tutta la storia dell’umanità, nelle varie epoche e nei vari contesti sociali delle diverse collettività [12, 13].

Ci rivedemmo ancora con Nando Agostinelli, dopo gli anni ruggenti della battaglia per la salute mentale, la riforma socio-sanitaria e le cure gratuite per tutti, di cui sempre più spesso bisogna sottolinearne l’importanza con insistenza e fermezza. L’occasione, l’ultima, esattamente 20 anni fa, fu una lodevole iniziativa filantropica per aiutare i familiari di pazienti psichiatrici. Cosa sarebbe successo una volta rimasti soli? Chi si sarebbe preso cura di loro per il resto della vita? Era intitolata “Dopo di noi”. Mi chiese di dargli una mano. Aveva promosso un Convegno, a Roma il 7 marzo 2001, per spiegare cosa intendesse realizzare con questo progetto “Dopo di noi”. Il paziente psichiatrico, al contrario di quanto si andava mentendo nel buonismo inutile della riforma psichiatrica, non è “come tutti gli altri pazienti”, perchè la sua non è una “malattia” come tutte le altre “malattie”. Ha qualcosa di specifico, individuale e particolare. È un disturbo, meglio un malfunzionamento, che ha una dimensione intima insospettabile, di cui il proprietario, chi lo esperisce ti nega l’accesso. Compito dello psichiatra è quello, semmai, di farsi invitare, con ogni mezzo strategico (anche seduttivo o assertivo), per una conversazione privilegiata. Il vero problema è la prima volta, l’esordio sfolgorante, l’esplosione dell’acuzie, ma la cronicizzazione della follia, che si rintana nella ripetitività sonora delle immagini e delle parole significanti, è una autentica tragedia, sorda e spenta. Il paziente psichiatrico, dopo i fuochi artificiali che lo hanno introdotto nella dimensione della follia, resta desolatamente solo. I parenti questo lo sanno benissimo e temono il silenzio. Ad Agostinelli, piacque la metafora storica che presi a pretesto.

La celebre locuzione “après moi le déluge”, venne attribuita a Luigi XV, il Re di Francia “Beneamato“. I cugini d’oltralpe la traducono variamente: “Dopo di me il diluvio”, “Chi vien dietro s’aggiusti”, “Chi vien dopo serri l’uscio” … In effetti, il doppio senso insito nella battuta e il carattere lunatico del titolare di quest’affermazione regale, non ha mai consentito di comprendere veramente se la frase fosse una minaccia verso i sudditi che gli sarebbero sopravvissuti, oppure un totale disinteresse per ciò che sarebbe capitato loro dopo la sua dipartita. Che Sua Maestà Luigi paventasse il peggio o se ne stropicciasse del prossimo suo, poco importa. La storia successiva del Regno di Francia ci ha insegnato che i parigini, giustamente esasperati, nel 1789 presero la Bastiglia, fecero la Rivoluzione e, al successore – Luigi XVI – mozzarono la testa. La storia, però, ha sempre avuto allievi distratti.

Per quanto strano possa sembrare, a distanza di duecento anni, esistono ancora persone tanto miopi, egoiste, insensibili da ritenere che conti solo l’oggi e il domani non li riguardi. A voler essere molto indulgenti, si possono appena assolvere, ma con la condizionale. Solo quei pochi ingenui di “Via col vento” patologicamente convinti che “domani è un altro giorno”. Bisogna, invece, lavorare duro per il domani, guardare bene dove si mettono i piedi, perché la natura si ricorda dei torti subiti dal “Sapiens”. L’unico “animale” – tanto stupido, nella sua onnisciente sapienza – capace di segare il ramo dov’è seduto, è solo lui! Oggi le persone intelligenti e sensibili hanno imparato a conoscere non solo il valore della prevenzione per la salute in generale, ma anche a lottare per la tutela dell’ambiente che lasceranno in eredità ai loro discendenti, comunque a coloro che verranno dopo di loro. Figli, nipoti, pronipoti, amici, nemici, sconosciuti …

Se passiamo a considerare il mondo specifico dell’handicap, sia fisico che psichico, non possiamo non condividere ancora di più la giusta preoccupazione dei genitori di questi figli con problemi. Persone tormentate dall’assillo del loro destino, quando saranno scomparsi. «Chi si prenderà cura di loro?» – si domandano angosciati, perché sanno benissimo che non potranno fare da soli – «Chi provvederà ai loro bisogni? Chi difenderà i loro diritti? Chi tutelerà i loro interessi?» Si tratta di un problema sociale di grande portata, di cui tanto si parla ma poco si fa. E quel poco che si fa è interamente a carico di sparuti gruppi di combattive “Associazioni di genitori”. La strategia politica è quella di dare continuità istituzionale a queste iniziative, numerose, ma frammentate; di unificarle in un più vasto progetto sociale di portata nazionale.

Uno psichiatra e psicoanalista argentino – Jorge Garcia Badaracco – si segnalò negli anni ’50 del ‘900 per avere messo a punto la “Psicoanalisi Multifamiliare”. Un dispositivo di mutuo soccorso tra familiari di pazienti psichiatrici per discutere dei loro molteplici comuni problemi quotidiani. Non era una semplice lettura del “cahier des doléances” o di lamentazione collettiva del “mal comune mezzo gaudio”. A Roma il Collega che si occupò di questa iniziativa fu il dott. Andrea Narracci del DSM della ASL RM1. Egli rese possibile la formulazione di un progetto per il territorio, attivando il Laboratorio Italiano di Psicoanalisi Multifamiliare (LIPsiM) all’interno del SDSM.

Note

01. Giuseppe Avolio (1924-2006), giornalista, parlamentare, dirigente sindacale, è stato Presidente della Confederazione Italiana Agricoltori (CIA).

02. Mellina Sergio (1979). Relazione sulla tutela della salute nell’anziano contadino pensionato. Atti del 1° Convegno dell’Associazione Nazionale Coltivatori Pensionati della Confcoltivatori, tenutosi a Chianciano Terme nei giorni 3-5 maggio 1979, pp. 141-153. Editrice Monteverde, Roma, 1981.

03 Mellina Sergio (1984). Il recinto obbligato. In: “I pensionati della Confcoltivatori a Congresso“. Nuova Agricoltura CIC (periodico della Confcoltivatori) Roma, n. 14, pp. 17-19, 6 Luglio 1984.

04. Armando Monasterio (1909-1992), altro dirigente del Movimento contadino unitario, era stato confinato alle Tremiti dai fascisti, ex partigiano, laureato in farmacia. Il loro padre, come il mio, era stato un dirigente delle FFSS. Per questo avevano girato l’Italia, come me.

05. Codeste navi romane di Nemi – datate all’epoca di Caligola – furono recuperate con l’avventura archeologica svolta nel periodo 1928-1932. Si fecero ammirare fino al 1943, quando i nazisti di Hitler, in fuga, si fermarono proprio con l’intenzione perversa di bruciarle, per invidia e dispetto, prima di darsi alla fuga.

06. Massimo Marà giocava benissimo, aveva militato nelle giovanili della Lazio.

07. C’era una convenzione stipulata durante il “ventennio” tra la polizia e la Clinica delle malattie nervose e mentali, nella quale si diceva che, ogni persona fosse stata trovata senza documenti, in atteggiamento equivoco o sospetto, incapace di fornire giustificazioni esaurienti alle autorità, dovesse essere accompagnata alla “Neuro”.

08. Mellina Sergio, Lo Cascio Antonino. A propos de la loi italienne qui a sanctionné la fermeture des Hopitaux psychiatriques. Convegno Italo-Francese di psichiatria svoltosi presso la “Casa Italiana della cultura”. Parigi 8-9 Novembre 1979, Atti del Convegno.

09. Lo Cascio Antonino, Mellina Sergio. Premier rapport sur une experience de psychiatrie sans asyle à Rome. Convegno Italo-Francese di psichiatria. “Casa Italiana della cultura”. Parigi 8-9 Novembre 1979, Atti del Convegno.

10. Mellina Sergio. Dopo la caduta delle Istituzioni manicomiali. Considerazioni sullo stato di attuazione della Riforma Psichiatrica. Convegno Nazionale di Maratea (20-22 Marzo 1980) sul tema: “Lo stato di attuazione della Legge 180/78 nell’Italia Meridionale”. Atti del Convegno, pp. 195-199, editi a cura dell’Amministrazione Provinciale di Potenza. Tipografia Motecalvo, Pescopagano, Potenza, 1980.

11. Carfagnini Arturo, Lo Cascio Antonino, Mellina Sergio. L’impatto della psichiatria con gli Ospedali Generali dopo la Legge 180. Difficoltà di integrazione dei Servizi psichiatrici nell’area metropolitana di Roma. Intervento preordinato tenuto al Convegno Internazionale “La psichiatria nelle metropoli della Comunità Europea”, promosso dall’Amministrazione Provinciale di Milano per il 28-30 aprile 1980 Il Lav. Neuropsichiat., Roma, 67, 3 pp. 359-370, 1980.

12. Lo Cascio Antonino, Mellina Sergio. Commentario ai regolamenti della custodia manicomiale nel“Santa Maria della Pietà”di Roma. Relazione al Convegno Nazionale su “L’emarginazione psichiatrica nella storia e nella società” Reggio Emilia 11-12 aprile 1980. Riv. Sper. Freniatr., Reggio Emilia, CIV, Suppl. al Fasc. IV pp. 1115-1126, 1980.

13. Mellina Sergio, Lo Cascio Antonino. Pauperismo follia e carità in Roma. Il manicomio di “Santa Maria della Pietà”dal ‘500 ai nostri giorni. Relazione al Convegno Nazionale su “L’emarginazione psichiatrica nella storia e nella società” Reggio Emilia 11-12 aprile 1980. Riv. Sper. Freniatr., Reggio Emilia, CIV, Suppl. al Fasc. IV (1303-1320), 1980.

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