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Antonino Buono, un ricordo

11 Nov 21

A cura di Davide D'Alessandro

Aveva ragione Attilio Bertolucci: “Assenza, più acuta presenza”. Del resto, i poeti, quando sono grandi, percepiscono ciò che noi non percepiamo, illuminano le parti oscure che ci ostiniamo a non vedere. L’assenza di Antonino Buono, neuropsichiatra e psicoanalista, a sei mesi dalla sua scomparsa, è una più acuta presenza, per ciò che ha rappresentato, per le persone che ha amorevolmente curato, per le pagine che ha lasciato, pagine ispirate dal suo luogo dell’anima, Caronia, in provincia di Messina, e da una passione autentica per quel rapporto a due che si instaura dentro la stanza d’analisi.
Non è un caso se ho fatto ricorso a lui per scrivere “Il paziente e l’analista. Dialoghi sulla psicoanalisi”, edito da Moretti&Vitali nel 2020, libro che ha avuto un riscontro importante non solo tra i professionisti della disciplina, ma anche tra lettori comuni che hanno deciso, dopo la lettura, di intraprendere il cammino interiore.
Buono, che era stato mio analista negli anni Novanta, mi riteneva un “padrino prezioso” per la nascita dei suoi libri, creati sotto il calore del lumicino di candela, letti, riletti e vergati con calma, parola dopo parola, per non incorrere in errori o imprecisioni, per affidare al lettore un testo “curato” con la stessa cura che dedicava ai pazienti. Con “Sogni. Realtà altra, immaginazione creativa, profezia”, edito da Morlacchi, vinse anche il Premio UmbriaLibri.
Lo sollecitai a continuare, a scrivere ancora. Riprese “Il mondo in un ditale di terra”, il suo primo libro, lo arricchì di nuove pagine per trarne “Emozioni, ricordi e riflessioni. Il vissuto umano di uno psichiatra”, edito da Moretti&Vitali. Ne ricevette copia durante la malattia. Era commosso per aver portato a termine l’ultima fatica.

Riporto un passo: “Colpisce la profondità di pensiero di certi uomini, e certe riflessioni hanno un valore al di là dello scorrere del tempo. La nostra è una società del rumore e delle parole urlate usate per coprire il nulla e per sopraffare gli altri. Una società di vocianti aggressivi e scontenti di ogni cosa. Il Silenzio inteso come momento di riflessione, è una delle attività mentali più raffinate, esso richiede autostima e fiducia nelle proprie capacità di pensare e si basa sulla necessità interiore di ascoltare sé stessi ed i segnali che provengono dal mondo. Anche la Parola come comunicazione di pensieri e di riflessioni, diventa elemento “magico” di interazione fra gli uomini e di arricchimento reciproco: necessità di scambio e dono reciproco fra gli uomini di pensieri, emozioni e sentimenti”.
Quando gli chiesi se avesse faticato di più a lavorare con il suo inconscio o con quello degli altri, rispose:Con il mio, da quando ero al liceo e fino a oggi, perché molto incuriosito dei miei pensieri e desideri. Mi ha molto colpito la risposta che ti ha dato, in una intervista, il filosofo Aldo Masullo, nella quale asseriva che il suo più grande rincrescimento, nel momento del passaggio dall’altra parte, sarà quello di non avere compreso bene chi è stato Aldo Masullo. In qualche modo la penso allo stesso modo. Mi applico a comprendere i miei pazienti al meglio, ma sono convinto che la mia conoscenza su di loro resterà molto parziale. Mi ripeto più o meno spesso il proverbio migiurtino, che asserisce che sono tre le cose che gli uomini non possono vedere: l’ombra di dietro, gli occhi della formica e il cuore degli uomini”.
Eppure, lui il cuore degli uomini, il battito del loro cuore, sapeva ascoltarlo. Aveva l’umiltà e la grandezza per saperlo ascoltare.

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3 Commenti

  1. nikkopsi887

    Toccante, veramente toccante.
    Toccante, veramente toccante. Grazie per il regalo di queste perle che servono agli psichiatri e agli psicoterapeuti per mettere dei punti fermi sulle loro visioni “empiriche e trascendentali”. Belle anime, componimenti che arrivano graziosamente “in medias res”… E fanno pensare! Buon lavoro e buon proseguimento per la sua ricerca dott. D’Alessandro.

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  2. Mario Blasi Toccaceli

    Avevamo ambedue diciotto anni a Bologna, nel 1971. Ci siamo frequentati per due anni: insieme alle lezioni, insieme a studiare nelle nostre stanzette, insieme la notte a discutere, noi due soli, lungo i portici di San Vitale. Abbiamo sostenuto insieme (letteralmente) gli stessi esami. Poi la morte di mio padre e la necessita’di tornare a casa per lavorare. Fu una separazione dolorosa. Ciò che non dimenticherò mai: l’ultimo giorno nella sua cameretta. Le sue parole furono :”Mario, non ti preoccupare. Quello che da casa mi mandano ogni mese basta per tutti e due: lo dividiamo a metà”. Piango ancora al ricordo. Non ci siamo più rivisti né sentiti. Chissà perché oggi ho voluto fare una piccola ricerca su internet e ho letto il suo” ricordo “. Non mi perdonerò mai di non averlo cercato prima per ringraziarlo ancora e ancora per quel gesto di fraterno amore amicale. Con lui son morti anche quei ricordi. Volevo solo aggiungere una perla, questa mia testimonianza, alla bontà e generosità di un animo, o forse è più esatto un’anima, che, ne sono certo, è vissuta e ha operato sempre su quel solco di rettitudine e di altruismo che lo distingueva già da allora.

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  3. Mario Blasi Toccaceli

    Errata corrige. L’anno, ovviamente, non è il 1971 ma è il 1961.

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