Davide Giri, ricercatore italiano accoltellato senza motivo muore a New York.

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9 dicembre, 2021 - 06:35
«Passi gli anni di studio sprecando
coraggio per gli anni di vagabondaggio
attraverso un mondo che educatamente si tiene alla larga
dalla volgarità di imparare»
Samuel Beckett. Gnome, 1934
 

 
Ho un nipote, Matteo Mellina che, essendo un nativo digitale, pratica anche l’archeologia del web. È  in grado di estrarre qualunque, dato dalla rete. Basta dargli un frammento di ricordo e la mia memoria viene completamente ricostruita di novant'anni «Nonno, la rete non perde nulla, non dimentica!» Frequenta la seconda media. È disponibile ma lo scomodo raramente. Intanto raccolgo i suoi ammonimenti.
 
- «Nonno, i miei compagni hanno la memoria del pesce rosso perchè senza l’ultimo smartphone con fotocamera incorporata, sono perduti, non studiano, non leggono, parlano male» -
Ha saputo dei miei “scatoloni”, è molto curioso e quando avrà tempo verrà a fare una ricognizione nella “soffitta” del nonno. Generalmente mi arrangio da immigrato digitale, lento, sospettoso, diffidente, molto critico.
 
Mi manca il cartaceo. Acuta è la nostalgia della “Casa del Burcardo” in via del Sudario, la Biblioteca e la Raccolta Teatrale della SIAE, dove io e Silvia, la madre dei miei 5 figli e la compagna della mia vita, ci davamo appuntamento. Sento la necessità della biblioteca in generale, qualunque essa sia. Non pretendo la Biblioteca Nazionale Centrale o la Biblioteca Alessandrina, o quella preziosa dei Serviti a San Marcello al Corso dove Gabriele Gravina (Zi’ Frate, parente acquisito) era bibliotecario capo anziano. Ho citato tutte biblioteche di Roma solo perchè è dove ho studiato e vissuto in prevalenza. Mi basterebbe, però, anche il registro di sacrestia di una piccola chiesa, secondo i preziosi consigli di Padre Gravina, il frate bibliotecario. Ebbene, solo dopo aver scrutato attentamente - da sinistra a destra e, viceversa, in senso antiorario - i colori dei dorsi dei volumi sugli scaffali della  libreria che, come il colonnato di San Pietro, mi si apre davanti alla scrivania, dietro alla quale siedo, con la schiena alla finestra del mio studio, che dà a levante, solo allora e a quel punto del rituale, accendo il PC.
 
Un’ANSA del 3 dicembre 2021 batte una notizia ferale. «Tragedia a New York. Davide Giri, un dottorando italiano alla Columbia University, è stato ucciso a coltellate vicino al campus universitario» e, dopo l’occhiello «Il trentenne, originario di Alba, stava rientrando a casa verso le 11 di sera di giovedì dopo una partita di calcio con la sua squadra [...], quando è stato attaccato e colpito allo stomaco. Le coltellate si sono rivelati fatali [...] Giri è stato dichiarato morto poco dopo dai medici del pronto intervento» e ancora «Poco dopo aver ucciso [...], l'assalitore - Vincent Pinkney - ha scaricato la sua rabbia contro un turista italiano, Roberto Malaspina, che si trovava a pochi isolati di distanza [...]. Ora è in condizioni stabili all'ospedale Mount-Sinai».
 
Le indagini sono in corso, ma a quanto se ne sa, il giovane killer, 25 anni, noto alla polizia per condotta violenta e reati di sangue, non aveva motivo di uccidere, attacco classificato “unprovoked” almeno in apparenza. Appartiene alla gang di strada “Everybody Killer” (tutti assassini). Questo tipo di bande non è infrequente in America e non solo ad Harlem, il confine problematico di Manhattan. Si pensi ai “Crips” una delle più antiche bande di strada di Los Angeles, ai  “Bloods”. Perchè tanta violenza? Numerosi autori hanno cercato di rintracciarne le radici profonde e non solo sociologi. Samuel Beckett, a Parigi, ebbe un’esperienza analoga 83 anni fa, ma si salvò.
 
Le cronache del tempo riferiscono che era un freddo gennaio del 1938. In boulevard Saint Michel, intorno alla mezzanotte, un lenone, tale “Prudent” - noto alla polizia per lenocinio - lo accoltellò al petto. Immediatamente  trasportato all’'Hôtel-Dieu, lo scrittore venne operato d’urgenza. La lama conficcata dall’aggressore era giunta a pochi millimetri dal pericardio. Ebbe la vita salva per puro caso. James Joyce - di cui Beckett svolgeva con altri giovani letterati mansioni di supporto-ammirazione-segreteria - aveva procurato per l’amico una stanza nel reparto dozzinanti dell'ospedale. Accorse immediatamente anche Suzanne Dechevaux-Dumesnil che lo aveva appena conosciuto a Parigi, per via del tennis. il fattaccio aveva fatto scalpore. da questo momento i due svilupparono un forte legame durato tutta la vita con crisi a corrente alternata.  
 
Nel corso dell’istruttoria preliminare, quando Beckett domandò al suo assalitore perché mai l’avesse fatto, quell’anonimo “Prudent” rispose, sorpreso dalla domanda, di non saperlo. Testualmente "Je ne sais pas, Monsieur. Je m'excuse" ("Non lo so, signore. Mi dispiace").
Beckett, ancor più sorpreso, desistette dall’intraprendere qualsiasi azione penale contro l'assalitore e prese ad occuparsi della violenza senza motivo in tutti gli aspetti dell’esistenza del genere umano per tutta la vita. Detestava gli arzigogoli burocratici e legali. Al contrario non provava odio alcuno per quel povero diavolo di anonimo delinquente di buone maniere.
 
Si noti per inciso come al culmine della crescita sottovalutata del fascismo e del nazismo - il terzo decennio degli anni trenta del 900 - la violenza non fosse né cieca, né gratuita, né senza motivo, ma si proponesse l’obiettivo folle di realizzare la “purezza della razza ariana” per dominare il mondo a costo dello sterminio della “umanità inutile” mediante la “soluzione finale”. Una banda sanguinaria e feroce, ma molto organizzata, non dissimile da quella della stolida consorteria razzista americana del KKK. Solo i simboli erano diversi, il fascio littorio, la croce uncinata, la Falange Española Tradicionalista, ora inutili, desueti, perdenti, passati di moda antistorici. Non si ripeterà mai abbastanza che questo comandare per bande, rifiutato dalla storia tende periodicamente a riproporsi perchè la democrazia dimentica spesso le proprie radici più antiche. Difficile non pensare alla Francia odierna già stremata dal Covid 19, ulteriormente aggravata da Zemmur l'ex polemista di estrema destra in corsa per  l'Eliseo 2022, col manifesto che indica la “Reconquête”.
 
Anche Samuel Beckett come il nostro Davide Giri era sulla trentina e andava incontro al proprio destino. Tanto inquieto, irregolare, pessimista, schivo, il primo, quanto solare, entusiasta, fiducioso, altruista, il secondo. Andava cercando di perfezionare la sua già completa formazione per continuare a insegnare alla Columbia University. Non era quel che si dice (con uno stereotipo rancoroso collettivo e non del tutto incolpevole) “un cervello in fuga”, Davide Giri, ma piuttosto un dono per l’umanità intera, un piemontese nato ad Alba. Nessuno dei due faceva politica, pur avendo un orientamento sociale di solidarietà. Davide Giri era un giovane ingegnere informatico internazionale che andava maturando la sua luminosa carriera. Aveva una compagna, Ana Gonzales, che contava di sposare. Era sportivo, praticava il calcio, disponibile con tutti, allegro, come lo raccontano gli amici i compagni i genitori, stando alle cronache. È stato abbattuto brutalmente, senza motivo, mentre prendeva quota verso il successo, per il puro istinto di sfogare una rabbia cieca. La ferocia antica dell’uomo che lo coglie quando è solo, non ha, non sa, non vede, non capisce, si trova, inselvatichito, ai margini della società dalla quale è uscito o è scappato o lo ha espunto che comunque lo ignora, per la quale non conta nulla. Se questa lettura ha un senso ecco che scatta un corto-circuito perverso in cui l’emarginato sbuca dall’ombra e sbrana un membro di quel gruppo per comunicare la sua presenza, la società spaventata prende contromisure violente e il ciclo ricomincia. Come i cani abbandonati che si riuniscono in branchi e diventano di gran lunga più feroci dei lupi. 
 
Anche Beckett è stato uno sportivo che praticava il cricket e il tennis. Aveva girato l’Europa un po’ per curiosità, molto di più per fuggire da una madre oppressiva, specie dopo la morte del padre. Gli piaceva le Francia e il francese per affinità musicali ma amava l’Italia e conosceva l’italiano per consuetudine con James Joyce. Non gli piaceva Mussolini, ancor meno Hitler, detestava le grandi esibizioni di facciata con dietro il nulla. Era troppo occupato a studiare le dinamiche antropologiche che si ripetevano immote all’infinito con parole roboanti stereotipe senza comunicare alcunché, accompagnate da gestualità goffe senza senso. Già prima che Hitler invadesse la Polonia, la sua opera, in nuce, era abbozzata, appuntata, tratteggiata, poi venne la seconda guerra mondiale. Continuando a pensare alla sua letteratura - aveva in cantiere il romanzo - “Watt”, trovò giusto aderire alla Resistenza francese dapprima come staffetta partigiana nel 1940, poi come combattente a Roussillon nel Vauclouse contro i nazisti. Con lui c’era Suzanne  Fu premiato con due onorificenze dalla Francia per comportamento eroico. “Roba da boy scout” ebbe a commentare poi, col suo minimalismo dissacrante e pessimista.
 
Dopo la guerra esplose il successo, e fu acclamato come l’inventore del Teatro dell’Assurdo, non subito però. La gente non capiva, restava stupita, perplessa. Non aveva ancora capito il perché della seconda guerra mondiale, figuriamoci questo dublinese che scriveva in francese cose senza senso messe in bocca a personaggi incomprensibili, urtanti, ridicoli. Ci volle più di qualche “mise en scène” perché il pubblico cominciasse a sospettare le possibili allusioni. “Aspettando Godot”, è del 1952. L’attesa di Estragone e Vladimiro, due vagabondi, è una condanna, non una speranza. ”Giorni felici”, del 1961 nessun contatto è possibile, nessuna redenzione, nessun moto, tra Winnie e Willie, moglie e marito, che ripetono di vivere felici, interrati in un cumulo di sabbia, lei davanti conficcata, immobile, lui dietro le spalle in una cavità dalla quale può solo uscire strisciando per leggere a monosillabi frasi di giornale. “Finale di partita”, è un atto unico del 1957 rappresenta, due uomini immobili: Hamm, il vecchio padrone cieco, incapace di stare in piedi, il suo servo Clov, incapace di sedersi. Litigano, lo hanno sempre fatto e continueranno a farlo. Il sevo vorrebbe andarsene ma resta. L’uno è funzionale all’altro e viceversa. A completare l’immobilità di questa umanità incapace di andare oltre una tragica e goffa surplace di contumelie sul lato sinistro del boccascena, dentro due bidoni dell’immondizia vivono Nagg e Nell, il padre e la madre di Ham, decrepiti e privi di gambe. Appena un esquisse del teatro nichilista di Beckett, senz’altro ricco di preziosità letterarie e raffinato talento, ma non privo di disperazione per la condizione umana e forse anche un velo di spregio se non di biasimo.
 
L’accanita battaglia che si svolse tra i giudici per l’assegnazione del Nobel per la letteratura nel 1969, è dovuta alla trattazione di questo atteggiamento nichilista verso il genere umano, ma dove avrebbe potuto attingere materiale al tema la violenza gratuita e senza senso se non proprio dalle nefandezze perpetrate nelle due guerre di cui era stato testimone, la seconda soprattutto. Troppa violenza inutile vi si era consumata per trovarvi una logica e una umanità siffatta non poteva essere descritta altrimenti che senza logica. Pedagogia esplicita e sanguinosa era stata la palestra del pensiero di Beckett per potersi raccontare senza metafore. Le più assurde. I suoi personaggi sono una sfilata di ossimori viventi. Dilatano gli occhi come un fotogramma di “Arancia meccanica” il film di Stanley Kubrick dal romanzo di Anthony Burgess, per guardare un mondo che non vorrebbero vedere, troppo pieno di vuoti. Restano in attesa di qualcosa che non arriva mai e non sono sfiduciati. Sono allegri di sofferenza, ridono di dolore, piangono per la gioia di attendere inutilmente. Questa è la violenza inutile che Beckett ha visto nella guerra che ha combattuto. Nell’umanità che ha visto vivere dibattendosi nell’ineluttabilità di non potersi sottrarre, quella che ha cercato di comunicare col teatro dell’assurdo, la sua letteratura, che hanno segnato un’epoca.
 
Di Davide Giri, invece, non abbiamo potuto vedere i frutti maturi perché l’albero suo è stato brutalmente abbattuto a New York. Città ricca, straordinaria, scintillante ma altrettanto povera, violenta, cupa. Lui non ha potuto sviluppare le sue potenzialità. La scienza ha perso una opportunità. Il volontariato un dono prezioso. La fidanzata no ha potuto sposarlo. La violenza gratuita nuoce all’umanità come l’indifferenza, l’ingiustizia sociale, la smodata ricchezza dei pochissimi cresi impilati da Forbes nella sua Rivista, da un lato. Dall’altro, la povertà mondiale che tira a campare con meno di un dollaro, uno yuan o renminbi, un rublo, franco, yen, scellino, penny ... di niente.

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