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Per una critica della “Carta di Genova” sull’orientamento scolastico

9 Dic 21

A cura di dinange

1. Come recita nelle sue prime righe, “La Carta di Genova – La scuola delle Regioni” è un atto programmatico elaborato nell’ambito del Convegno Nazionale sulla Riforma dell’Orientamento svoltosi a Genova durante il Salone Orientamenti 2021 (4 Dic.21). Il documento descrive gli indirizzi nazionali per la programmazione e l’attuazione di misure di orientamento nei confronti di percorsi di istruzione e formazione e al lavoro. Lo scopo è offrire un quadro comune per le iniziative che verranno intraprese da tutti i soggetti che operano sui territori regionali garantendo coesione ed unitarietà nella definizione di obiettivi comuni”.
A ben vedere, il documento si suddivide in due parti: la prima è praticamente un’elencazione di proposte di orientamento, gestite dalle Regioni e rivolte alle scuole; la seconda consiste invece nell’abbozzo di una specie di filtro post-diploma, affidato de facto direttamente alle aziende.
In entrambi i casi si tratta di un insieme di provvedimenti presi per “l’accesso e la gestione efficace dei fondi del programma NEXT GENERATION EU” (pag.2). L’elemento centrale, corrispondente alla preoccupazione di non perdere anche questa volta i soldi della UE, è quel riferimento al “quadro comune” in cui tutti stiano, allineati e coperti, all’interno dei paletti imposti dalla burocrazia europea.
C’è però una sostanziale differenza fra la prima e la seconda parte del documento, ascrivibile alla diversa storia, e quindi alla diversa identità, delle due istituzioni coinvolte: clientelare la prima, le Regioni, e produttivistica la seconda, le Associazioni del mondo della produzione. Con l‘istituzione scolastica che in entrambi i casi appare sempre più bistrattata ed esclusa dai luoghi in cui pure si discute del suo destino.
 
2. Per quanto riguarda l’orientamento, sono previste innanzitutto tutta una serie di azioni, finanziate e guidate dalle Regioni, alcune delle quali non sono sostanzialmente dissimili da quelle degli anni scorsi: saloni dell’orientamento; incontri con testimoni del mondo del lavoro; visite alle imprese, etc.
A queste però si affiancano azioni imperniate sulla presenza della figura dell’orientatore che nelle secondarie dovrebbe svolgere azioni di individuazione, segmentazione ed individualizzazione delle vocazioni; e, prima ancora, nelle primarie azioni di aiuto “alla conoscenza ed alla rappresentazione di sé, nonché all’acquisizione della capacità di scegliere e allo sviluppo della curiosità e della volontà di apprendere” (p.5) da parte dei bambini. In entrambi i casi, come vedremo meglio, la guida di questi interventi sarebbe nelle mani delle aziende.
Infine è prevista la riformulazione dei programmi di alternanza scuola-lavoro che diventano PCTO, cioè ‘Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento’. Questi dovranno operare in collaborazione con le Fondazioni ITS, cioè con gli Istituti Tecnici Superiori che vanno diffondendosi in tutta Italia sotto l’ombrello delle grandi aziende.
 
3. La vera novità del documento di Genova è la istituzione di un luogo di filtro post-diploma, direttamente affidato alle aziende tramite i tecnici ITS. Filtro che mira a impartire “formazione orientativa … al personale docente e agli orientatori che vogliano sviluppare delle competenze relative all’utilizzo di nuove metodologie didattiche e di software specifici per lo sviluppo della didattica orientativa. In particolare le proposte formative verteranno: per i docenti delle primarie sui metodi innovativi di insegnamento, per le secondarie di 1° grado su orientamento e conoscenza dei percorsi successivi per attitudini e contesto territoriale, per secondarie di 2° grado sull’orientamento verso ITS e inserimento al lavoro oltre a quello universitario.”
Si tratterebbe a mio avviso di una compartimentazione che partirebbe dalle elementari, proseguirebbe nelle medie inferiori e superiori, e si concluderebbe con un filtro, gestito direttamente dalle imprese, alla fine dell’adolescenza. Questo filtro condurrebbe ad una delle seguenti opzioni:
  • direttamente al lavoro meno qualificato;
  • all’iscrizione negli Istituti Tecnici Superiori, riconosciuti e finanziati dallo stato, ma gestiti direttamente dalle aziende; in grado di rilasciare diplomi europei (EQF) di V° o di VI° livello; e, almeno nella propaganda, capaci di garantire occupazione stabile;
  • oppure all’università, anch'essa presumibilmente ridotta a logiche aziendalistiche, e sulla quale in ogni caso non si dice nulla.
 
4.Per dirla con Totò, si tratterebbe di un lavoro di “alloggio, vitto, lavatura, imbiancatura e stiratura”, affidato agl’ITS, cioè alle aziende, che in questo modo si assicurano non solo un numero rilevante di fondi ‘per la scuola’, ma soprattutto la funzione di guida delle iniziative di orientamento a tutti i livelli. Una funzione a partire dalla quale l’ITS pretende anche di dettar legge sul piano della didattica, e che appare sovraordinato e autonomo rispetto sia a quello tradizionalmente affidato alle regioni; sia alla scuola, che da soggetto diventa sempre più oggetto, sul cui corpo si fanno sperimentazioni aziendalistiche, a partire dalle elementari.
Si tratta di un lavoro che probabilmente non sarà mai attuato in maniera così rigida, e che è stato approntato così per minimizzare il solito fenomeno del mancato utilizzo dei fondi europei. Un ‘lavoro’ però che ugualmente va analizzato nei suoi contenuti di fondo, poiché è in essi che si manifesta l’idea che vanno accarezzando i nostri padroni del vapore, ed i politici che li rappresentano.
Si tratta della rappresentazione di un’Italia schiacciata sul presente, che non riesce, e probabilmente non vuole guardare al di là del proprio naso. La scuola così ridotta fa venire in mente la divaricazione che negli anni ’50 del secolo scorso c’era a 10\11 anni fra ammissione alla scuola media, frequenza della scuola professionale, o avvio precoce lavoro. Solo che oggi il filtro non viene fatto all’inizio dell’adolescenza, ma alla fine, prendendo ciò che interessa aziendalmente e che le scremature fatte fin dalle elementari (attraverso nuove metodologie didattiche e software specifici!!) hanno via via evidenziato, almeno agli occhi di questi moderni ‘caporali’. E lasciando il resto alla ventura.
 
5. Già nel 1975, Claus Offe (in: Lo stato nel capitalismo maturo, Etas) poneva in evidenza l’impossibilità dello Stato nel capitalismo maturo di avviare una politica dell’educazione in grado di pianificare un insegnamento che risultasse utile per le generazioni future.
E ciò per l'incapacità di prevedere l'evoluzione tecnologica nel medio termine, e di conseguenza di approntare per tempo le cognizioni capaci di governarla. Ma anche per l'impossibilità di autorizzare una politica dell’educazione basata sull’apprendimento delle metacognizioni, cioè sull’unico apprendimento in grado di fornire alla generazione emergente quella duttilità che avrebbe potuto metterla in grado di affrontare adeguatamente qualsiasi innovazione tecnologica. Questo tipo di apprendimento, coniugato alla duttilità, avrebbe infatti permesso alla nuova generazione lo sviluppo di un pensiero critico potenzialmente sovversivo.
Ebbene, dopo quasi 40 anni, il nostro italianissimo e decrepito Stato si lava le mani tanto del futuro quanto del presente dei nostri figli meno qualificati, così come dei nostri migranti intellettuali. E mira a far cassa (magari svendendo il patrimonio accumulato in tempi migliori) e, come auspica Cingolani, a rifornirsi di digital manager, nella vana speranza che ciò basti ad affrontare le vere sfide che il futuro ci riserva.

 
 

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