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“C” di Counselling Psicologico

1 Feb 22

A cura di dinange

Quando ho cominciato a lavorare nel CIM di Reggio Emilia mi sono interessato, insieme ai miei colleghi dell’evolutiva, precipuamente dei gravi e dei disabili.
E te credo! Il nostro primo atto importante è stato la chiusura del De Sanctis, cioè del reparto infantile del manicomio di Reggio: la chiamavamo “deistituzionalizzazione”.
In quel tempo il ritorno dei bambini e dei ragazzi disabili e psicotici in famiglia e il loro ingresso in scuola non sollevò molti entusiasmi, specie fra gli insegnanti; ma anche in buona parte delle forze politiche cittadine, attraversate al loro interno da una spaccatura che era il prodotto della nascita di questo nuovo modo di prendersi cura dell’altro da me che non aveva ancora soppiantato la vecchia logica dell’esclusione né a Reggio, né tantomeno in Italia.
Riportare questi bambini e questi ragazzi in famiglia e a scuola era un lavoro improbo che ben presto cominciò a far nascere sensi di colpa fra gli operatori, che -come spesso accade- invece di riflettere insieme su quel che stava accadendo, presero a litigare e ad incolparsi a vicenda.
Una delle accuse nei confronti degli psicologi era: “gli psicologi non seguono i gravi”, e ciò aggiungeva colpa alla colpa. Finché decidemmo di fare qualcosa sul piano formativo.
Nacque da quel corso, tenuto da Massimo Ammaniti, l’idea che i genitori dei gravi avessero bisogno di momenti di counselling di coppia, sicuramente dopo la diagnosi, al fine di aiutarli ad elaborare la mancata nascita del figlio normale; e poi ogni volta che il loro figlio disabile o matto si fosse trovato in momenti di esposizione e di passaggio difficilmente per loro elaborabili senza l’aiuto dello psicologo.
E’ stato così che ho imparato a fare il counselling, che poi ho esteso a vari altri ambiti clinici, e cioè: – la scuola, prendendo come utenti o i docenti o ancora i genitori; – gli operatori degli istituti e, nel mio caso, i partner che hanno subìto una separazione: campo in cui poi, nel tempo, ho avuto modo di fare quasi senza accorgermene una lunga esperienza.
La trasformazione delle UUSSLL in aziende però ha posto un po’ in crisi questo modo di operare, specie in quegli aspetti – è il caso del counselling ai docenti – in cui il counselling non è rivolto ad un vero e proprio paziente, ma ad un operatore della scuola che ha bisogno (cfr.: “Per un counselling rivolto agli educatori di adolescenti “che non vedrò””, in: Ricerca psicoanalitica, 2003, Anno XIV, N.2, pp.169\178).
D’altro canto nella mia AUSL il counselling rivolto agli adolescenti nell’ultimo periodo ha trovato un terreno di massima espansione poiché, in base ad una scelta lungimirante della Direttrice Generale, nonostante l’aziendalizzazione, si è preferito investire sui lievi prima che essi si aggravino o passino a forme negative di autocura.
(Nota del 2015:) E’ da questo input che è nato Free Student Box, un servizio di counselling rivolto a studenti, genitori e docenti, che dapprima si è diffuso presso le scuole medie superiori di Reggio Emilia e provincia; che da qualche anno è presente (sempre su richiesta delle scuole) anche in scuola media inferiore (Free Junior), e in scuola elementare (Free Baby).
Certo è che una volta non c’era concorrenza nel counselling; ora invece ce n’è molta, spesso sleale e di non buona qualità.
Io concordo con la lotta contro queste forme di concorrenza, ma penso anche che la nostra università debba fare molti passi in avanti per far sì che al titolo di psicologo, che solo formalmente abilita all’arte del counselling, corrisponda una reale preparazione negli psicologi neolaureati, che altrimenti saranno costretti ad imparare il mestiere da un’altra parte, arrivando molto tardi a operare in questo spicchio del mercato del lavoro non ancora sufficientemente normato, e perciò vero e proprio terreno di caccia anche da parte di chi non è psicologo, e spesso neanche laureato.

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