(2007)
Ho cominciato a lavorare come psicologo il primo gennaio 1972 nel Gruppo Infanzia del CIM di Reggio Emilia, allora – e fino al ’78 – guidato da Giovanni Jervis.
Avevo studiato sociologia a Trento ed avevo fatto parte del movimento studentesco trentino. L’atmosfera che trovai a Reggio al mio arrivo non era molto diversa da quella che si respirava Trento in quegli anni. Anche al CIM (Centro di Igiene Mentale) di Reggio – come a Trento – “sovrana” era l’assemblea, che a Reggio si teneva ogni martedì pomeriggio. Assemblea che – come a Trento – era aperta a chiunque volesse parteciparvi.
[Ricordo ancora l’intervento in assemblea di un paziente proveniente dalla “montagna” reggiana – cioè da un paesello dell’Appennino – che di fronte ai nostri propositi di bloccare i ricoveri al San Lazzaro (il manicomio di Reggio) ci disse ‘voi non riuscirete mai ad impedire ai montanari di farsi ricoverare al San Lazzaro perché dentro ai reparti del manicomio ci sono i termosifoni (la montagna allora era molto povera)].
La stessa struttura “parzialmente orizzontale” (come poi la chiamammo) era iterata nelle sei equipe territoriali, dove vigeva una specie di intercambio dei ruoli che a volte si estendeva fino confondere quello di operatore con quello degli amici amministratori.
Quel “parzialmente” alludeva al fatto che alla fine c’era sempre qualcuno che si assumeva la responsabilità di prendere una decisione: nel gruppone del martedì Jervis; nelle singole equipe il medico o lo psicologo. Tutti però – compreso Jervis – si sentivano confermati come decisori finali solo dopo avere “sentito la base” e aver discusso con essa.
La crisi di questo momento iniziale di missionariato sociale, e la conseguente presa di coscienza che anche nel CIM eravamo ‘istituzione’, coincise con l’andata via di Jervis da Reggio. Ma soprattutto con il primo avvicendamento fra gli amministratori e l’andata in pensione di coloro che avevano voluto far nascere il CIM (Velia Vallini!) e la nascita dei sei Consorzi Socio-Sanitari, strutture di secondo livello che già prefiguravano le UUSSLL, e che avevano un vertice ‘politico’ rappresentato dai sei presidenti e da un certo numero di consiglieri nominati dai sindaci, e sei snelle strutture amministrative.
In questo nuovo quadro l’assemblea provinciale del CIM conta sempre meno ed alla fine sparisce, ma gli operatori comandati nei sei consorzi, da una parte tendono a mantenere strutture comuni di coordinamento, dall’altra a mettere in piedi nelle singole equipe un modus operandi che non è altro che l’adattamento alla nuova situazione dell’ormai collaudato sistema di discussione e di decisione già sperimentato nel CIM.
Per cui l’equipe diventa – almeno nei CIM decentrati – il nuovo luogo cardine del sistema consortile, che mutua dal sistema precedente la propensione all’orizzontalità, che definisce in termini peculiari sia il rapporto con i nuovi amministratori, sia la propria strutturazione interna.
I nuovi amministratori sono dei politici che – al contrario di coloro che li avevano preceduti – non sono portatori di una cultura sanitaria, e men che meno di una cultura psichiatrica. Perciò risultano facilmente egemonizzabili dai tecnici: da coloro che avevano messo in piedi i servizi, ma anche, purtroppo, dai tecnici più vicini politicamente alle amministrazioni: ciò crea come una doppia corrente al loro interno; e parallelamente una doppia corrente fra gli amministratori, che a volte attraversa più o meno ambiguamente ciascuno di essi.
Certo è che all’interno delle equipe, a fianco alla permanente propensione alla orizzontalità, e grazie alla scoperta del proprio essere ‘istituzione’, si vanno sempre più delineando i confini delle nuove e delle vecchie professioni. Ciò determina dapprima come uno scivolamento verso il tecnicismo ‘bulimico’ e concorrenziale nei confronti delle professioni più limitrofe, quasi a compensazione di quell’interscambio dei ruoli che aveva caratterizzato la prima fase. Successivamente una più circoscritta e complementare definizione dei confini ed – anche all’interno delle singole professioni – una propensione a distinguere fra attività di base, comuni a tutti, ed attività specialistiche, che nel caso degli psicologi portano alla divisione della specialistica nelle tre aree dell’infanzia, dell’adolescenza e degli ‘adulti’.
Sia il rapporto con gli amministratori, sia quello all’interno delle equipe non varia in maniera sostanziale con la nascita delle UUSSLL. Certo la nascita del grande Servizio Materno Infantile porta ad una divaricazione fra psichiatri e NPI, e nel nostro caso fra psicologi dell’infanzia e dell’adolescenza che entrano nel materno – infantile da una parte, e psicologi dell’età adulta, che vanno nel Simap, dall’altra. Ma sostanzialmente le logiche che caratterizzano i gruppi di lavoro permangono pressoché intatte, soprattutto in periferia: cioè là dove il rapporto con gli amministratori sono più ravvicinati.
Una svolta radicale avviene con la nascita delle Aziende Sanitarie Locali, che non hanno più a capo dei politici ma dei supertecnici scelti dalla Regione. Cioè dei manager che come primo atto – almeno qui in Emilia – scompongono la “grandi canne d’organo” come ad esempio il Servizio Materno Infantile, istituendo in loro vece dei piccoli gruppi di lavoro, spesso ‘di scopo’, che si accorpano e di scorporano velocemente con a capo dei tecnici ad hoc il più delle volte superpagati e scelti dai manager secondo criteri discrezionali.
Questo tipo di politica – insieme alla tickettazione delle prestazioni, all’appalto dei servizi sanitari e sociali al privato no profit o profit ed all’ingrottamento di interi settori della cura (che ritornano sulle spalle delle famiglie, e delle donne in particolare)- rappresentano un colpo mortale al welfare, e comportano più in generale anche uno sconvolgimento del modo di operare nei pubblici servizi (per una storia del welfare reggiano cfr. https://www.academia.edu/22286126/Istituzioni_del_welfare_e_prassi_amministrativa_ieri_ed_oggi_a_Reggio_Emilia ).
Le “piccole canne d’organo” che si fanno e si disfano secondo criteri definiti in loco secreto, mentre si discute a vuoto nei pletorici tavoli del welfare mix, creano prodotti di dubbia ascendenza, poiché figli di fortuite congiunzioni anemofile: prodotti di cui nessuno può dirsi genitore, e perciò sottratti ad ogni reale controllo di efficacia.
La discrezionale suddivisione degli operatori in promossi e superpagati e ‘non’ tende a sfasciare le equipe ed a colpire a morte la dimensione orizzontale e partecipativa che aveva caratterizzato il ventennio precedente, e non solo! Infatti l’odore dei soldi, legato alla logica discrezionale che presiede alle ‘promozioni’, induce ad arruffianamenti col potere prima inimmaginabili. In questo clima ‘fare la guardia al bidone di benzina’, rimanere fedeli ad una logica di servizio, ad un ragionamento sulle priorità basato sui dati epidemiologici, ad una certa orizzontalità nel rapporto con i colleghi, etc., diventano atti che inducono compassione, quando non sospetto.
Ma mia uscita dal ‘pubblico’ il primo gennaio del 2004 mi ha permesso – insieme a Deliana Bertani, come me psicologa e psicoterapeuta, con la quale, galeotto il CIM di Jervis, da quel lontano 1972 ho condiviso vita e lavoro – di esportare e di adattare a Gancio Originale ciò che era esportabile ed adattabile di quel modo di lavorare in equipe che avevamo imparato nel CIM e limato nei decenni successivi.
Avevo studiato sociologia a Trento ed avevo fatto parte del movimento studentesco trentino. L’atmosfera che trovai a Reggio al mio arrivo non era molto diversa da quella che si respirava Trento in quegli anni. Anche al CIM (Centro di Igiene Mentale) di Reggio – come a Trento – “sovrana” era l’assemblea, che a Reggio si teneva ogni martedì pomeriggio. Assemblea che – come a Trento – era aperta a chiunque volesse parteciparvi.
[Ricordo ancora l’intervento in assemblea di un paziente proveniente dalla “montagna” reggiana – cioè da un paesello dell’Appennino – che di fronte ai nostri propositi di bloccare i ricoveri al San Lazzaro (il manicomio di Reggio) ci disse ‘voi non riuscirete mai ad impedire ai montanari di farsi ricoverare al San Lazzaro perché dentro ai reparti del manicomio ci sono i termosifoni (la montagna allora era molto povera)].
La stessa struttura “parzialmente orizzontale” (come poi la chiamammo) era iterata nelle sei equipe territoriali, dove vigeva una specie di intercambio dei ruoli che a volte si estendeva fino confondere quello di operatore con quello degli amici amministratori.
Quel “parzialmente” alludeva al fatto che alla fine c’era sempre qualcuno che si assumeva la responsabilità di prendere una decisione: nel gruppone del martedì Jervis; nelle singole equipe il medico o lo psicologo. Tutti però – compreso Jervis – si sentivano confermati come decisori finali solo dopo avere “sentito la base” e aver discusso con essa.
La crisi di questo momento iniziale di missionariato sociale, e la conseguente presa di coscienza che anche nel CIM eravamo ‘istituzione’, coincise con l’andata via di Jervis da Reggio. Ma soprattutto con il primo avvicendamento fra gli amministratori e l’andata in pensione di coloro che avevano voluto far nascere il CIM (Velia Vallini!) e la nascita dei sei Consorzi Socio-Sanitari, strutture di secondo livello che già prefiguravano le UUSSLL, e che avevano un vertice ‘politico’ rappresentato dai sei presidenti e da un certo numero di consiglieri nominati dai sindaci, e sei snelle strutture amministrative.
In questo nuovo quadro l’assemblea provinciale del CIM conta sempre meno ed alla fine sparisce, ma gli operatori comandati nei sei consorzi, da una parte tendono a mantenere strutture comuni di coordinamento, dall’altra a mettere in piedi nelle singole equipe un modus operandi che non è altro che l’adattamento alla nuova situazione dell’ormai collaudato sistema di discussione e di decisione già sperimentato nel CIM.
Per cui l’equipe diventa – almeno nei CIM decentrati – il nuovo luogo cardine del sistema consortile, che mutua dal sistema precedente la propensione all’orizzontalità, che definisce in termini peculiari sia il rapporto con i nuovi amministratori, sia la propria strutturazione interna.
I nuovi amministratori sono dei politici che – al contrario di coloro che li avevano preceduti – non sono portatori di una cultura sanitaria, e men che meno di una cultura psichiatrica. Perciò risultano facilmente egemonizzabili dai tecnici: da coloro che avevano messo in piedi i servizi, ma anche, purtroppo, dai tecnici più vicini politicamente alle amministrazioni: ciò crea come una doppia corrente al loro interno; e parallelamente una doppia corrente fra gli amministratori, che a volte attraversa più o meno ambiguamente ciascuno di essi.
Certo è che all’interno delle equipe, a fianco alla permanente propensione alla orizzontalità, e grazie alla scoperta del proprio essere ‘istituzione’, si vanno sempre più delineando i confini delle nuove e delle vecchie professioni. Ciò determina dapprima come uno scivolamento verso il tecnicismo ‘bulimico’ e concorrenziale nei confronti delle professioni più limitrofe, quasi a compensazione di quell’interscambio dei ruoli che aveva caratterizzato la prima fase. Successivamente una più circoscritta e complementare definizione dei confini ed – anche all’interno delle singole professioni – una propensione a distinguere fra attività di base, comuni a tutti, ed attività specialistiche, che nel caso degli psicologi portano alla divisione della specialistica nelle tre aree dell’infanzia, dell’adolescenza e degli ‘adulti’.
Sia il rapporto con gli amministratori, sia quello all’interno delle equipe non varia in maniera sostanziale con la nascita delle UUSSLL. Certo la nascita del grande Servizio Materno Infantile porta ad una divaricazione fra psichiatri e NPI, e nel nostro caso fra psicologi dell’infanzia e dell’adolescenza che entrano nel materno – infantile da una parte, e psicologi dell’età adulta, che vanno nel Simap, dall’altra. Ma sostanzialmente le logiche che caratterizzano i gruppi di lavoro permangono pressoché intatte, soprattutto in periferia: cioè là dove il rapporto con gli amministratori sono più ravvicinati.
Una svolta radicale avviene con la nascita delle Aziende Sanitarie Locali, che non hanno più a capo dei politici ma dei supertecnici scelti dalla Regione. Cioè dei manager che come primo atto – almeno qui in Emilia – scompongono la “grandi canne d’organo” come ad esempio il Servizio Materno Infantile, istituendo in loro vece dei piccoli gruppi di lavoro, spesso ‘di scopo’, che si accorpano e di scorporano velocemente con a capo dei tecnici ad hoc il più delle volte superpagati e scelti dai manager secondo criteri discrezionali.
Questo tipo di politica – insieme alla tickettazione delle prestazioni, all’appalto dei servizi sanitari e sociali al privato no profit o profit ed all’ingrottamento di interi settori della cura (che ritornano sulle spalle delle famiglie, e delle donne in particolare)- rappresentano un colpo mortale al welfare, e comportano più in generale anche uno sconvolgimento del modo di operare nei pubblici servizi (per una storia del welfare reggiano cfr. https://www.academia.edu/22286126/Istituzioni_del_welfare_e_prassi_amministrativa_ieri_ed_oggi_a_Reggio_Emilia ).
Le “piccole canne d’organo” che si fanno e si disfano secondo criteri definiti in loco secreto, mentre si discute a vuoto nei pletorici tavoli del welfare mix, creano prodotti di dubbia ascendenza, poiché figli di fortuite congiunzioni anemofile: prodotti di cui nessuno può dirsi genitore, e perciò sottratti ad ogni reale controllo di efficacia.
La discrezionale suddivisione degli operatori in promossi e superpagati e ‘non’ tende a sfasciare le equipe ed a colpire a morte la dimensione orizzontale e partecipativa che aveva caratterizzato il ventennio precedente, e non solo! Infatti l’odore dei soldi, legato alla logica discrezionale che presiede alle ‘promozioni’, induce ad arruffianamenti col potere prima inimmaginabili. In questo clima ‘fare la guardia al bidone di benzina’, rimanere fedeli ad una logica di servizio, ad un ragionamento sulle priorità basato sui dati epidemiologici, ad una certa orizzontalità nel rapporto con i colleghi, etc., diventano atti che inducono compassione, quando non sospetto.
Ma mia uscita dal ‘pubblico’ il primo gennaio del 2004 mi ha permesso – insieme a Deliana Bertani, come me psicologa e psicoterapeuta, con la quale, galeotto il CIM di Jervis, da quel lontano 1972 ho condiviso vita e lavoro – di esportare e di adattare a Gancio Originale ciò che era esportabile ed adattabile di quel modo di lavorare in equipe che avevamo imparato nel CIM e limato nei decenni successivi.
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