Questi racconti superano il limite più frequente che si incontra nello scrivere di persone con una sofferenza mentale. Spesso chi scrive lo fa per dimostrare o supportare una teoria. Facilmente chi scrive di psichiatria, che ne sia consapevole o no, ha una visione del mondo fortemente filtrata, limitata, da una teoria, quale che essa sia. Le teorie in psichiatria sono inevitabili perché servono a rassicurare, consolare, ma in narrativa le teorie non servono, anzi sono zavorra: si scrive di casi clinici, non di persone. In questi racconti si sente invece il piacere di raccontare la vita di personaggi in vicende senza un finale obbligato, ma imprevedibili nel loro svolgersi. Colti dalla penna nel loro essere nel mondo. Solo così la scrittura, la narrativa, non più suddita della clinica , ha, come suo compito, qualcosa di imprevedibile, inaspettato, da dire.
Questo miracolo, a mio giudizio, è ben evidenziato in due pezzi. Uno è la descrizione di una visita domiciliare in cui due operatori, davanti alla porta chiusa del paziente, ascoltano i suoi rumori e i suoi spostamenti, e su questa base discettano a lungo su cosa stia combinando e su quali siano le sue condizioni mentali, quando ad un tratto … ma non posso anticipare la sorpresa. L’altro pezzo narra dell’accompagnamento di un paziente in una Comunità Terapeutica fuori porta e racconta il suo epico scontro con un tabaccaio incontrato per strada. Puro piacere di scrivere e di leggere. E’ con invidia che confesso che farei carte false per averli scritti io quei due pezzi; potessi, pagherei per comprarli e dirli miei, ma Franca e Giacinto sono incorruttibili.
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