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Presentazione “TERAPIA COGNITIVA DEI DISTURBI DI PERSONALITÀ”

4 Giu 22

Di Redazione Psychiatry On Line Italia
Il primo novembre del 2021, all’età di cento anni, Aaron Temkin Beck ci ha lasciati.

“One of the five most influential psychotherapists of all time”, come è stato definito sulle pagine della rivista American Psychologist che, nonostante l’età avanzata, ricopriva ancora il ruolo di professore emerito presso la University of Pennsylvania e di presidente emerito del Beck Institute https://beckinstitute.org/

Nato a Providence (Rhode Island) il 18 luglio del 1921 e laureatosi presso la Brown University (B.A. in English e in Political Science), dopo l’esperienza della guerra conseguì la laurea in medicina alla Yale School of Medicine e alla fine degli anni quaranta iniziò la sua carriera di psichiatra presso l’Austin Riggs Center. Dopo altre esperienze in area psichiatrica e neuropsichiatrica, nel 1956 entrò a far parte della Philadelphia Psychoanalytic Society e agli inizi degli Anni Sessanta comparvero i suoi primi lavori sulla depressione e la terapia cognitiva, sviluppati partendo dalla psicoanalisi e andando alla ricerca di approcci e metodi più efficaci.
 



 

 

Da allora ad oggi la sua attività è stata sempre più intensa e ricca di spunti creativi e riconoscimenti, avendo anche ricoperto importanti ruoli in diverse situazioni e ambienti professionali. Anche in Italia la sua opera è stata ampiamente riconosciuta con le prime traduzioni di libri come Terapia cognitiva della depressione (A.T. Beck, A. Rush, B. Shaw, G. Emery. Boringhieri, Torino, 1978; edizione originale 1967) e Principi di terapia cognitiva. Un approccio nuovo alla cura dei disturbi affettivi (Astrolabio, Roma, 1984; edizione originale, 1976). Inoltre sono molti noti alcuni strumenti di assessment psicologico sviluppati da Beck e collaboratori, tra cui il BDI-II. Beck Depression Inventory – II, il BAI. Beck Anxiety Inventory, e la BHS. Beck Hopelessness Scale (tradotti in italiano da Giunti Psychometrics di Firenze).

Oggi, le traduzioni delle opere di Beck e dei suoi più stretti collaboratori sono numerose, ma questo libro di cui stiamo parlando ha una rilevanza speciale perché punta l’attenzione verso i disturbi della personalità, quindi verso l’applicazione della terapia cognitiva a uno specifico campo.

Il testo si apre con la Prefazione all’edizione italiana a firma di Antonella Montano e Giovanni Maria Ruggiero a cui seguono due brevi paragrafi introduttivi. Composto da tre ampie sezioni e chiuso da un utilissimo Indice Analitico e da una Bibliografia che copre sessantacinque pagine, il volume affronta inizialmente le tematiche teoriche e di ricerca, integrate dalla discussione di tecniche e strumenti. Sono qui collocati sette capitoli, ma i primi tre capitoli emergono come fondamentali dato che offrono al lettore una visione globale dell’approccio cognitivo ai disturbi di personalità. Se il primo capitolo presenta una panoramica dell’argomento, il secondo – che è di Aaron Beck – chiarisce il punto di vista cognitivo, mentre il terzo, a firma di Jay Fournier, illustra le problematiche legate alla valutazione e i relativi metodi di assessment, sottolineando l’utilità dell’approccio multimetodo e il fatto che “i disturbi di personalità si sono rivelati entità diagnostiche meno stabili di quanto ritenessimo in passato, soprattutto quando vengono trattati in modo appropriato. Quindi, si dovrebbero prendere in considerazione assessment ripetuti per monitorare i progressi del paziente e individuare le aree su cui resta ancora da lavorare” (p. 94).

Nella seconda parte del testo (dal titolo Applicazione cliniche) sono presentati i dieci disturbi di personalità, da quello dipendente fino al borderline. Ogni capitolo mostra la medesima struttura interna e ciò facilita notevolmente sia il confronto tra i diversi disturbi, sia la memorizzazione e l’apprendimento. La struttura del capitolo apre con l’esplicitazione dei segni, dei sintomi e della diagnosi differenziale, proseguendo poi con altri cinque blocchi tematici e chiudendo con i due paragrafi Decorso, prognosi e conclusione del trattamento, e Difficoltà comuni del terapeuta. Le Conclusioni, il più delle volte bene articolate e poste al termine di ogni capitolo, aiutano il lettore a consolidare quanto prima letto o consultato, e talvolta a ribadire l’approccio che è stato impiegato, come nel caso dei disturbo borderline di personalità in merito al quale è scritto “l’approccio presentato in questo capitolo si basa sull’integrazione di tecniche cognitive, comportamentali, esperenziali e relazionali, ispirata ai principi del modello cognitivo. Al terapeuta viene richiesto di adattare la terapia agli specifici bisogni del paziente, mantenendo allo stesso tempo il focus sugli obiettivi terapeutici” (p. 453).

La terza ed ultima parte è composta da tre capitoli, i primi due dei quali affrontano lo spinoso tema della comorbilità e della gestione del paziente. Sul primo aspetto gli autori si soffermano sulle “implicazioni terapeutiche della presenza in comorbilità di un disturbo di personalità per il trattamento dei disturbi d’ansia, dell’umore, dello spettro dell’autismo e legato ad altre condizioni mediche” (p. 460), mentre la gestione del paziente è discussa nell’ambito delle situazioni di emergenza e di crisi, sulla base del lavoro di équipe.

Il testo si chiude con il capitolo Sintesi e prospettive future a firma di Denise D. Davis e Arthur Freeman in cui sono anche sintetizzate le linee guida per trattare il paziente con disturbi di personalità.

In conclusione, si può affermare che sono ormai alle spalle gli anni in cui l’aspro confronto tra impostazioni psicoanalitiche e cognitive impediva qualunque possibilità di serio e comprensibile dialogo. Com’è noto, oggi numerosi analisti utilizzano normalmente spunti di tecnica terapeutica di derivazione cognitiva, così come i terapeuti cognitivi – che, ad iniziare dallo stesso Beck, hanno sempre segnalato l’importanza della realtà inconsapevole, pur muovendosi da posizioni teoriche ben differenziare rispetto alla psicoanalisi – si occupano di portare alla coscienza i pensieri automatici e di agevolare l’introspezione del paziente: dunque, una graduale convergenza, segnalata già tempo fa da Robert Holt nel suo articolo del 1964 “The Emergence of Cognitive Psychology” (J. Amer. Psychoanal. Ass., 12, 650-665).

Ampliando l’orizzonte, sulla storia della terapia cognitiva si può consultare di Giovanni Maria Ruggiero, Terapia cognitiva. Una storia critica (Raffaello Cortina, Milano, 2011) e il recentissimo e interessante testo di Renato Foschi e Marco Innamorati, Storia critica della psicoterapia (Raffaello Cortina, Milano, 2020).

 


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