La prima lettura cui farò riferimento è Lumecan, un racconto scritto dal collega e amico Giacinto Buscaglia – del quale abbiamo appena recensito il saggio dedicato con Franca Pezzoni alla loro esperienza nei Centri di Igiene Mentale (vai al link) – a quattro mani con il cantautore Massimo Schiavon, pubblicato da ArabAFenice nel 2021. È un racconto ambientato a Laigueglia, che del paese rivierasco, avvolto per l’occasione in un’atmosfera di memoria e di magia, si nutre. Protagonista è Anita, una studentessa a Laigueglia in vacanza dal nonno Lorenzo, che anche grazie a lui riscopre, in un sapiente alternarsi di presente e memoria, di realtà e di sogno, in un’atmosfera che a tratti si fa appunto onirica pagine segrete della sua vicenda famigliare e della storia del paese.
La seconda è il saggio Pancine Fantastiche, pubblicato da Cristiana Boido, che ha chiesto a Giuseppina Romeo e a me di scrivere la postfazione, con Paginauno nel 2021 e dedicato a un fenomeno, per me almeno, sconosciuto prima che Cristiana me ne parlasse, quello delle mamme “pancine” che si scambiano in gruppi in genere riservati su internet e i social idee e vissuti sulla gravidanza, la maternità e la coppia che rimandano a concezioni sorprendentemente premoderne e inconfessabili apertamente, ma evidentemente persistenti almeno per qualcuno che avverte la necessità di coltivarle in modo complice e riservato. E merito di Cristiana, della cui versatilità nell’individuazione dei temi narrativi abbiamo già trovato una riprova nel saggio dedicato alla fenomenologia di Manuel Agnelli del quale abbiamo scritto (vai al link), è in questo caso quello di condividere, con una ricerca capace di essere a un tempo rigorosa e piacevole, la sua curiosità per una parte dell’universo femminile della quale, probabilmente, i più tra noi non sospetterebbero l’esistenza, alla quale la facilità di accesso dei social permette di trovare anch’essa espressione in una contraddittoria commistione tra il carattere moderno dello strumento e quello arcaico dei vissuti dei quali dà testimonianza.
Il saggio di Cristiana dedicato a questo aspetto così particolare del femminile contemporaneo ci introduce a un evento recente, al quale sono stato invitato a partecipare da Marco Merli di Erga, che è l’editore del mio saggio Ritorno a Basaglia? presentato in anteprima in aprile a Genova (vai al link) e poi a Bologna presso l’Istiuzione Gian Franco Minguzzi e una seconda volta a Genova, in occasione del festival Quartopianeta e recensito da Pietro Pellegrini su Psicoterapia e scienze umane, da Giuliano Galletta su Goodmorning Genova (vai al link) e Amedeo Gagliardi sul Forum per la Salute Mentale e su altri siti (vai al link).
Si tratta di Quando le donne curano, tenutosi in occasione del BookPride di Genova dedicato al tema “Moltitudini” il 2 ottobre, nel corso del quale Erga ha presentato nove libri scritti da donne che hanno a che fare in qualche modo con la cura.
Il primo di essi è stato il romanzo Ultima dea di Rita Cocuzza, scrittrice siciliana. In esso sentiamo palpitare il calore e i colori della sua terra. È un libro che parte dalla morte di Lydia e termina con la nascita di Lydia; tra i due eventi c’è il tortuoso itinerario di Stella, figlia dell’una e madre dell’altra, e il suo rapporto con la maternità vissuta dal punto di vista della figlia e della madre. Un percorso popolato dal suo incontro con una galleria di personaggi cisascuno con le sue particolarità, nessuno banale. Lydia senior ha lasciato un diario, grazie al quale Stella scopre sua madre, man mano che attraverso i suoi incontri scopre anche se stessa. Alternando il tono dellla prosa a frammenti di autentica poesia incastonati nel testo come gioielli, la vicenda si snoda alternando continuamente vita, sogno e memoria. Ultima dea è il romanzo della nascita e della morte, dell’amore e del sesso, del corpo e del denaro, dell’amicizia tra uomo e donna e dell’amicizia tra donne, della scoperta e del rischio, della realtà, che sa essere anche dura, e del mito che vive dentro di noi, attraverso di noi, e al quale sembra che ogni umana vicenda possa sempre essere ricondotta. Vorrei dire, e mi chiedo se l’autrice sarà d’accordo, che Ultima dea è soprattutto un intreccio di relazioni, la relazione madre-figlia innanzitutto; o meglio forse di tentativi, destinati spesso ma forse non sempre (o almeno questa è la speranza che tutti ci sostiene) a naufragare, di relazione. Attraverso una trama avvincente che non cessa mai di sorprendere e non lascia spazio per la noia e una scrittura elegante ed evocativa, Ultima dea mette in scena la complessità delle relazioni, sempre sospese tra eccesso di dipendenza ed eccesso di autonomia, e insieme alla loro difficoltà racconta la loro ricchezza.
Il secondo libro è stato Lacrime cancellate. Depressione postpartum: perché è urgente uno sguardo nuovo sulla salute mentale delle madri di Emanuela Castello ed è un libro prezioso perché ha per oggetto una delle esperienze più drammatiche che può accompagnare la maternità, quella della depressione postpartum o depressione perinatale che può colpire una donna in uno dei momenti più importanti della sua vita (abbiamo visto con la vicenda di Lydia senior e di Stella in Ultima dea quanto l’esperienza di essere madre possa essere importante, ricca, complessa, condizionare tutta la vita). L’autrice, che è giornalista presso una televisione locale, ha fatto questa esperienza in prima persona e a rendere prezioso il suo volume sono le loro voci: le voci delle donne che hanno attraversato questa drammatica esperienza – che è raccolta, come spesso accade nelle cose che riguardano la salute mentale, sotto un’unica denominazione ma si presenta ogni voolta con caratteristiche diverse, che hanno a che fare con la storia e con la realtà, con il vissuto, singolare della persona – e le voci di molti di coloro che hanno per compito quello di accompagnare queste madri per permettere loro di affrontare questo momento che si è inaspettatamente complicato con il cedimento della mente proprio quando meno lo si aspettava. Mi sono chiesto quale siano state le emozioni che le ha dato incontrare queste donne, e costringerle a ritornare, per poterlo rendere pubblico, sul dolore privato di quella loro esperienza; e quanto il racconto di queste esperienze è entrato in risonanza con la sua.
A queste due prime presentazioni ne sono seguite altre. Così, Tiziana Cecchinelli ha illustrato il libro Peccato, io non sono sorda!, giunto alla seconda ristampa, con il quale ripercorre non senza ironia e leggerezza la sua esperienza di figlia di due genitori non udenti e di operatrice e saggista nel campo della disabilità, e la situazione di chi vive parte della vita nel mondo, talora assordante, delle parole parlate e dei suoni e parte nel mondo del silenzio e dei segni. Federica Storace ha illustrato Sei un essere speciale. Donne e uomini raccontano la generatività, giunto alla seconda edizione, con il quale esplora la presenza femminile (ma non solo) nei mondi della psichiatria, la disabilità, la schiavitù, la prostituzione, la resistenza partigiana, l’Africa, la tratta umana, la spiritualità e l’arte nei loro diversi aspetti attraverso l’incontro con diversi protagonisti ed esperti. Carla Scarsi ha illustrato il volume curato da La leche league L’arte dell’allattamento materno. Un manuale che accompagna le mamme e i bambini dalla prima all’ultima poppata. Floriana Lunardelli ha presentato il volume A porte chiuse. Violenza domestica e dipendenza affettiva, in corso di stampa, nel quale a partire dalla propria esperienza di operatrice all'interno di un centro antiviolenza genovese nel quale si accolgono donne maltrattate esplora a tutto tondo il fenomeno, valendosi anche di due testimonianze. Attendiamo di leggerlo con curiosità. Orietta Sammarruco ha presentato Il museo che non c’è, dedicato a 28 donne di epoche diverse che sono riuscite ad affermarsi nel campo dell’arte a partire dalla suora-pittrice Plautilla Nelli, vissuta nel XVI secolo. Termino con Fiorella Colombo, autrice e attrice di teatro che ha presentato Sei una strega. Viaggio alla scoperta della strega Baba Jaga.
Avrebbe dovuto esserci anche Manushaque (Hoxha) Bequiri con Non aprire le finestre del cuore prima di vedere che tempo fa che è una raccolta bilingue di poesie scritte in albanese e in italiano e recitate in albanese grazie all’App Vesepia che racconta vicende di donna e di migrazione, racconta di ferite e di parole, di coraggio e di paura, racconta della felicità dell’amore nel momento del suo esserci e della tristezza che lascia l’amore nel momento che se ne va e lascia più soli. È un libro ponte, mi pare, che narra con parole molto diverse tra loro come i contesti culturali possano essere diversi ma i sentimenti fondamentali dell’esperienza dell’essere uomini, e soprattutto donne in questo caso, finiscano per essere in buona parte le stesse. Il bisogno d’amore, i momenti di gioia e di sconforto, la paura e la nostalgia, la speranza possono essere scritte in qualiasi lingua, ma sono parte di quell’esperienza umana nella quale è possibile comunque riconoscersi.
Come questo testo, anche molti degli altri citati sono multimediali e si avvalgono con modalità e finalità diverse della tecnologia Vesepia code.
In occasione del Festival della Scienza di Genova dedicato quest'anno ai "Linguaggi", infine, Alberto Nocerino, poeta e da anni animatore dei “Percorsi letterari” che si svolgono nel centro della città in occasione del Festival della Poesia organizzato ogni anno da Claudio Pozzani, mi ha chiesto di fare il moderatore dell’evento “Linguaggi di cura e di poesia” che si è svolto ieri 21 ottobre presso la Biblioteca Nazionale Universitaria. L’incontro, preceduto da un saluto del direttore Paolo Giannone, è stato aperto con la lettura di alcuni versi di due “psichiatri-poeti” genovesi impossibilitati entrambi a intervenire per motivi di salute, Angelo Guarnieri, del quale sono stati ricordati lo stretto rapporto con Alda Merini e i laboratori di poesia realizzati presso il Centro di Salute Mentale di via Pisa e alcuni volumi come Nel tempo del privato (2000), Nel tempo dell’inganno. Dopo l’11 settembre 11 poesie (2002), Passi per strada. Intorno alla condizione umana (2016), Lo sguardo del funambolo (2019); e Marco Ercolani, autore anch’egli di testi e saggi letterari, come Anime strane (con Lucetta Frisa, 2006), Sento le voci. Discorsi di “matti” (con Lucetta Frisa, 2009), Turno di guardia (2012) o i più recenti Galassie parallele. Storie di artisti fuori norma (2019) o L’età della ferita. Intorno ai “diari” di Kafka (2022).
Ho introdotto quindi gli autori presenti partendo dalla considerazione della frequenza dell’attività letteraria presso coloro che si occupano della cura, e individuando tra la cura e la poesia, a parte la possibilità che la poesia sia utilizzata come forma di espressione all’interno della cura come è appunto nel caso dei laboratori poetici o del ruolo della poesia nell’ambito della psicoterapia, la possibilità di due diversi rapporti. Mi pare infatti che il tempo che l’autore-curante dedica alla poesia possa essere separato da quello che dedica al lavoro di cura, quasi un momento di tregua nel quale anziché occuparsi degli altri ci si occupa di sé, ed è quanto per lo più capita a me; oppure la scrittura letteraria, poetica soprattutto, può essere un modo di occuparsi della cura utilizzando un diverso linguaggio, più legato al preconscio. Ha preso quindi la parola Paolo Milone che ha illustrato il suo rapporto con la cura e con la scrittura a proposito del suo libro L’arte di legare le persone, pubblicato da Einaudi ora anche in brossura, dei cui aspetti contenutistici ci siamo occupati su questa rubrica (vai al link), prima del grande successo al quale è andato incontro nel mondo letterario e del dibattito al quale ha dato luogo nel mondo psichiatrico.
Gli hanno fatto seguito tre protagoniste della cura e della scrittura, a riprova del fatto che la cura è sempre più un sostantivo femminile: la counselor Rossella Maiore Tamponi, autrice di raccolte come Le camere attigue (2011) o Il novantesimo grado (2020); la psicoterapeuta Loriana d’Ari, autrice della raccolta Silenzio, soglia d’acqua (2021); Antonella Cecilia Fiori, docente di lettere e didatta di biodanza, autrice di raccolte di haiku (e non solo) come Istanti. Haiku e non solo (2012), Qui e ora (2013), Passeggeri (2016), La danza della musicoterapoesia (2020).
In questi loro interventi, mi è parso di cogliere un elemento comune nel fatto che il fare spazio all’altro, la non assertività e in definitiva, nelle loro stesse parole, la réverie intesa come atteggiamento di disponibilità all'accoglienza e di ascolto sia da considerarsi un elemento costitutivo essenziale comune tanto alla cura che alla poesia e allora mi sono deciso a leggere a mia volta alcuni versi che avevo scritto nel 1985 e mi paiono entrare in forte risonanza con le loro parole:
Autoritratto
Non ho, mi spiace, versi
come uragani delle Antille
i miei versi sono pigri
come il cullare ritmico
dell'acque a Boccadasse
……………………………………….
e la mia voce accarezza il silenzio
sfiorando appena la sua pelle delicata
e ha paura di fargli del male.
Colgo, infine, l’occasione per segnalare a chi è a Genova o si trova a passarci che nell’ambito del Festival della Scienza può essere visitata presso la facoltà di Architettura la mostra “Raccontare le emozioni. Riconoscere e accogliere la fragilità” frutto di una collaborazione tra il Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze di ASL 3 e il Dipartimento Architettura e Design dell’Università.
Non è mancato il tempo, in questo periodo, come ho già fatto presente, per letture ed eventi attinenti in modo più diretto la psichiatria e avremo occasioni per dirne presto nella rubrica.
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