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L'Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti in Psichiatria
L’Organizzazione Mondiale della Sanità inserisce lo IESA come buona pratica nelle linee guida per i servizi di Salute Mentale
Nel 2022 è uscito come supplemento di “Evidence based Psychiatric care”, il magazine organo ufficiale della Società Italiana di Psichiatria, il quinto numero di “Dymphna’s Family”, l’edizione italiana della rivista scientifica europea sullo IESA.
In un documento del 2021 sulle linee guida per i servizi di salute mentale, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) individua lo IESA come buona pratica, che permette il rispetto dei diritti umani e una recovery non coercitiva.
Il seguente articolo è tratto dal numero 04 di Dymphna’s Family, che può essere visionato per intero sulla piattaforma ISSUU, dove sono accessibili tutti i numeri della rivista. Buona lettura! https://issuu.com/dymphnasfamily.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità inserisce lo IESA come buona pratica nelle linee guida per i servizi di Salute Mentale
Savian F.*, Aluffi G.**
L’OMS ha da poco pubblicato delle linee guida per i servizi di salute mentale (OMS, 2021), in un’ottica di potenziamento e diffusione di quelle buone pratiche che attraverso la cura garantiscono il rispetto dei diritti umani e una effettiva inclusione sociale del soggetto con disagio psichico. La necessità di pubblicare un manuale di “istruzioni per l’uso” da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è dovuta, come indicato nel documento stesso, ad un aumento dell’attenzione nei confronti della salute mentale. Secondo quanto stimato dall’OMS relativamente all’anno 2017, i governi nel mondo spendono meno del 2% dei loro budget sanitari per la salute mentale (OMS, 2018).
Destinare maggiori risorse economiche a tale ambito è una precondizione al miglioramento dell’offerta di cure, ma non è sufficiente, poiché risulta anche necessaria un’attenta valutazione e selezione dei servizi offerti, i quali devono seguire precisi principi che non contemplino un potenziamento dello stigma e delle pratiche coercitive.
Il documento si compone, pertanto, di una parte teorica, all’interno della quale sono descritti dettagliatamente i principi di una recovery centrata sull’individuo e basata sul rispetto dei diritti umani; una parte esemplificativa, divisa in sette pacchetti tecnici sui servizi di salute mentale, contenenti descrizioni dettagliate di diverse realtà sparse per il mondo con approfondimenti pratici sulle sfide affrontate, sulle soluzioni messe in atto, senza dimenticare l’importante aspetto dell’efficienza economica. I sette pacchetti tecnici comprendono:
- servizi di salute mentale per la crisi;
- servizi di salute mentale ospedalieri;
- centri di salute mentale;
- servizi di salute mentale basati sul supporto tra pari;
- servizi che sostengono le persone sul territorio;
- servizi di supporto all’abitare;
- reti di servizi integrati di salute mentale.
Principi chiave per un approccio individualizzato ed inclusivo alla salute mentale
Il manuale dell’OMS fa riferimento alla normativa vigente in materia di diritti umani nel mondo, a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 (ONU,1948), fino alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2008 (ONU, 2008). Nella fattispecie, tale Convenzione sottolinea “il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa”; proibisce la discriminazione sulla base delle disabilità di qualsivoglia tipo; richiede che le persone con disabilità siano in grado di godere appieno di tutti i diritti umani in modo paritario agli altri. La Convenzione riconosce, inoltre, che le disabilità, compresa quella psichica, possano essere intese come il risultato di un’interazione con barriere ambientali e sociali che ostacolano l’effettiva partecipazione alla vita comunitaria, barriere le quali devono essere necessariamente abbattute dai governi stessi, per assicurare pari diritti ed opportunità, in ambito formativo, lavorativo, relazionale, sociale, artistico. L’OMS descrive un parallelismo tra il rispetto dei diritti umani delle persone con disabilità e la recovery. Secondo William Anthony “Recovery è un processo profondamente e autenticamente personale di cambiamento dei propri valori, sentimenti, obiettivi, capacità, ruoli. È un modo di vivere la propria vita con soddisfazione, speranza e iniziativa, malgrado la sofferenza e le limitazioni causate dalla malattia. E implica il recupero non solo di una condizione di maggior benessere, ma piuttosto di un nuovo senso della propria esistenza, che possa essere fatto evolvere al di là degli effetti catastrofici della malattia mentale” (Anthony, 1993). In questo senso, sia i diritti umani sia la recovery sostengono la diversità, le esperienze e le scelte delle persone e richiedono che alle persone venga offerto lo stesso livello di dignità e rispetto su una base di uguaglianza con gli altri. Inoltre, riconoscono i determinanti sociali e strutturali della salute e hanno importanti implicazioni sul modo in cui i servizi di salute mentale vengono sviluppati e forniti. Al fine di cambiare l’attuale paradigma dei servizi di salute mentale, è necessario un aumento della qualità dei servizi stessi, tale da garantire offerte di cura volute ed apprezzate dall’utenza e non subite come obbligo coercitivo.
Secondo l’OMS, i punti che devono essere necessariamente rispettati per ottenere tale risultato sono:
Capacità giuridica degli individui
Spesso alle persone con disabilità psichica viene negata la possibilità di autodeterminarsi ed esercitare la propria capacità giuridica. Questo poiché viene assunto che le loro decisioni o la capacità di prenderle sono carenti o addirittura deleterie per il soggetto. Nei servizi di molti paesi sono presenti meccanismi attraverso i quali è possibile ed anzi legale sostituirsi al soggetto con disabilità in tale processo. Talvolta, invece, si tratta di pratiche più informali, nelle famiglie biologiche, quando un parente decide quali attività l’altro voglia svolgere, cosa voglia mangiare ecc. Eppure, il rispetto per tale capacità è un diritto umano riconosciuto a livello internazionale, dalla già citata Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Diviene auspicabile quindi eliminare le pratiche che limitano la capacità giuridica, come l’adesione a cure e trattamenti non volontaria, per favorire l’organizzazione di servizi in linea con la volontà e le preferenze dell’individuo, con particolare attenzione al tema del consenso informato, all’aumento dell’accessibilità alle informazioni e al potenziamento delle capacità decisionali.
Pratiche non coercitive
Con questo termine si intende l’utilizzo di persuasione forzata o minacce per ottenere che una persona faccia qualcosa contro la propria volontà. Nell’ambito della salute mentale, esso si riferisce all’adesione non volontaria ai trattamenti, all’utilizzo di isolamento e restrizione fisiche o farmacologiche. Spesso il ricorso a tali modalità è utilizzato nei servizi dei vari paesi del mondo a causa della mancanza di pratiche alternative a cui fare riferimento in caso di episodi di crisi, ma anche dell’inconsapevolezza dei danni che tali modalità causano agli utenti e ai professionisti stessi che le adottano. Talvolta gli interventi coercitivi sono obbligatori per legge.
Risulta quindi necessario formare i professionisti della salute mentale all’impatto negativo che le pratiche di coercizione hanno nei confronti degli utenti, della loro relazione con i servizi e nei confronti degli operatori stessi. Soprattutto nell’ambito della crisi sintomatologica vanno favoriti interventi di de-escalation.
Partecipazione e inclusione sociale
Nel corso della storia le persone con disagio psichico sono state escluse dalla partecipazione al processo decisionale, non solo personale, ma anche relativo alla società nella sua interezza. Pertanto, essi non sono intervenuti nemmeno all’interno dei percorsi che hanno strutturato i servizi di salute mentale o dello sviluppo delle politiche a questi inerenti, nonostante la loro competenza ed esperienza in merito. Analogo discorso è quello relativo all’inclusione sociale. Le persone con malattia mentale sono da sempre state isolate dal resto della società, talvolta dalla stessa famiglia biologica. Tale allontanamento può avere conseguenze negative sulla salute e sul benessere della persona. Occorrerebbe quindi, attraverso modifiche del sistema giuridico, sanitario e della comunità in generale, integrare servizi con il coinvolgimento dei cittadini per strutturare interventi che facilitino l’accesso degli utenti ai percorsi di vita sociale di loro scelta, percorsi che possono essere orientati all’ambito dell’abitare, del lavoro, della formazione.
Recovery
Come già accennato, la recovery è un approccio la cui adozione ha permesso a molti servizi di superare la semplice definizione di malattia mentale come insieme di sintomi, diagnosi e terapia. L’applicazione di tale concetto, infatti, permette di osservare nella sua interezza un individuo, con la sua identità, le proprie preferenze, il proprio ruolo, i propri obiettivi. Le caratteristiche chiave sono l’identità dell’individuo, con il rispetto delle scelte individuali e indipendenti, l’atteggiamento proattivo ed ottimista, l’inclusione sociale, l’empowerment.
L’OMS pone inoltre l’attenzione su alcuni ambiti che determinano la vita di un individuo: l’abitare, il lavoro, la formazione, la previdenza.
L’abitare
“Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà” (ONU, 1948).
Il medesimo diritto si trova anche nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. L’abitare è un importante determinante di salute mentale ed una parte essenziale del processo di recovery. Gli studi, segnalati all’interno del documento, hanno dimostrato che soddisfare le esigenze abitative di persone con disabilità psichica è protettivo rispetto alla mortalità naturale ed a altre cause, compreso il suicidio (Leff . et al., 2004). L’importante valenza favorente processi di cura insita nel concetto dell’abitare è individuata anche dal modello IESA, nell’accezione del fattore terapeutico ambientale (Aluffi & Larice, 2014). Secondo il manuale dell’OMS, la realizzazione di un abitare favorente percorsi di cura è ancora lontana. Ad esempio, a Rio de Janeiro, in Brasile, a Chengdu, in Cina, ed in Etiopia, molte persone con disturbi psichici sono, o sono stati durante il corso della vita, individui senzatetto. (Fazel et al., 2008; Fazel et al., 2014; Silva et al., 2011; Ran et al., 2017; Shibre et al., 2015). E, ancora, altri studi hanno dimostrato l’elevata prevalenza di individui affetti da disagio psichico tra la popolazione dei senzatetto in paesi sia a basso che a medio reddito (Smartt et al., 2019), come in Etiopia, Colombia, USA, Francia, Germania (Fekadu. et al., 2014; Sarmiento. et al., 2013; Lee et al., 2010; Schreiter et al., 2017; Laporte et al., 2018).
I benefici del sostegno all’abitare sono supportati da numerosi studi e sono individuati nel miglioramento dell’alleanza terapeutica, dell’inclusione sociale, della salute in generale e nella riduzione del fenomeno dei senzatetto (Aubry et al., 2015; Baxter et al., 2019; Woodhall-Melnik & Dunn, 2016). I servizi che si sviluppano in un’ottica di recovery attraverso il sostegno all’abitare devono adattarsi e rispondere in maniera adeguata agli obiettivi e alle esigenze delle persone.
La formazione
La formazione costituisce un altro importante elemento a cui prestare attenzione per quanto concerne un percorso di reinserimento sociale, poiché direttamente connessa al tema del lavoro, dell’autoefficacia, dell’autostima, ma anche al riconoscimento delle persone con disabilità da parte di istituzioni come la scuola. L’OMS parla in effetti, di un “gap” educazionale, dovuto all’elevato numero di casi di persone con disagio psichico che subiscono alterazioni della propria carriera scolastica nell’infanzia e nell’adolescenza (Okyere et al., 2019). Tale gap deve essere affrontato dagli stessi servizi di salute mentale, ma anche dal sistema scolastico, con metodi di insegnamento ed un setting che tenga in considerazione le esigenze di tutti, comprese le persone con disabilità mentale (Okyere et al., 2019).
Il lavoro
Come già accennato, il lavoro è un altro degli elementi cardine da considerare in un percorso di recovery. Esso è infatti correlato alla stabilità economica, all’abitare, ma anche ad un senso di realizzazione, autostima, autonomia e appartenenza alla società, verso la quale il soggetto si sente anche utile (Coutts, 2007; Modini et al., 2016).
Previdenza
Sebbene l’autonomia e la capacità di autosostentamento debbano essere obiettivi da perseguire, non va dimenticato che una persona con sofferenza psichica può attraversare momenti della vita in cui il lavoro diventa una pratica faticosa da portare avanti. Pertanto, i progetti di recovery devono includere programmi di previdenza sociale, finalizzati ad intervenire in supporto delle persone in stato di difficoltà, anche temporanea, difficoltà intesa in senso lato, poiché si tratta di semplificare l’accesso a quei programmi già eventualmente esistenti per la popolazione in generale (sistema pensionistico, permessi lavorativi, ecc.). L’accesso a tali servizi, secondo l’OMS, deve essere basato sulle necessità e sui bisogni, invece che su valutazioni delle capacità lavorative. Si sottolinea, infatti, che se il criterio di selezione per l’accesso alla previdenza sociale è quello dell’incapacità lavorativa, siamo in una condizione di contraddizione rispetto al diritto al lavoro, sancito nella Convenzione del 2008, già citata in precedenza e presa a riferimento dall’OMS. La direzione da prendere deve essere quella verso un sistema flessibile (Hoffmann et al., 2014) e puntualmente adattabile alle possibilità individuali contingenti. Si ritiene, ancora, importante fare attenzione al delicato equilibrio tra previdenza sociale e stigma. L’OMS parla di un vero e proprio “welfare stigma”, in cui le persone che beneficiano di una pensione di invalidità possono viversi come discriminate proprio in quanto destinatarie di tali aiuti (Kiely, & Butterworth, 2013; Banks et al., 2016).
Il modello IESA: una buona pratica secondo i principi dell’OMS
In generale, è possibile affermare che il metodo IESA, che nel documento è rappresentato dallo Shared Lives inglese e dall’accenno alla esperienza francese di intervento sulla crisi portata avanti a Lille, sia un modello attinente a tutti i criteri elencati come fondamentali per una buona organizzazione dei servizi di salute mentale secondo l’OMS. Infatti, lo IESA si propone di utilizzare come strumento di cura il territorio e la comunità, intesa come rete di cittadini, dove l’utente viene accolto e coinvolto. Il tema dell’abitare e dell’inclusione sociale caratterizzano fortemente lo IESA, poiché la conditio sine qua non per cui un individuo con disagio psichico accede ad un percorso di inserimento eterofamiliare è l’accoglienza presso una civile abitazione, con la disponibilità di una propria stanza dove preservare la propria privacy. Indispensabili sono però anche gli spazi comuni, sia fisici sia relazionali, in un’ottica di sperimentazione di sé come parte di una famiglia prima, e di una comunità poi. Gli obiettivi, spesso orientati alla recovery, sono specifici per ogni progetto e possono riguardare gli ambiti della formazione e del lavoro, coinvolgendo i servizi sociali e quelli sanitari. La persona viene infatti considerata a 360 gradi, in tutti gli aspetti della vita, in un’ottica di autonomizzazione per quel che riguarda i soggetti giovani. Di fatto, gli obiettivi sono tarati nel rispetto delle esigenze, ma anche delle volontà. L’utente viene coinvolto e supportato in ogni processo decisionale in merito al proprio futuro. Anche nella quotidianità, il soggetto si ritrova ad essere protagonista attivo delle proprie scelte, potendo contare su un intervento eventualmente supportivo, ma mai sostitutivo o coercitivo da parte degli ospitanti o degli operatori. Anche i cittadini divengono protagonisti attivi all’interno di un progetto per la salute mentale, poiché gli ospitanti vengono selezionati su base volontaria e appositamente formati per diventare risorsa imprescindibile del servizio. Da questo coinvolgimento della popolazione può esitare una riduzione di quello stigma che ancora caratterizza fortemente gli utenti della psichiatria.
Lo Shared Lives del South East Wales
Shared Lives è il nome dato allo IESA nel Regno Unito (Fox, 2017). Fornisce supporto non solo a persone con disagio psichico, ma anche a soggetti con disabilità varie, a giovani adulti, adulti e anziani non autosufficienti. Tale pratica riguarda circa 14.000 pazienti inseriti in famiglie del Regno Unito. Si tratta quindi di una delle esperienze IESA europee numericamente più consistenti.
Nello specifico, in questo documento dell’OMS, viene descritto il servizio Shared Lives del Galles sudorientale, il quale fornisce assistenza a circa 500 persone attraverso più di 200 famiglie ospitanti le quali possono accogliere sino ad un massimo di tre ospiti. Il servizio è gestito da un folto team di operatori e da quattro coordinatori.
Oltre a gestire progetti part time e full time a medio e lungo termine (Aluffi & Ceccarini 2014), da qualche anno è stato lanciato un nuovo servizio che prevede l’intervento dello IESA su progetti full time a breve termine (ibid.) in occasione di crisi sintomatologica come alternativa al ricovero in clinica o al fine di abbreviare il periodo di degenza ospedaliera.
Il periodo di permanenza di pazienti in crisi presso famiglie ospitanti appositamente formate può durare sino a un massimo di sei settimane. L’inserimento a breve termine viene realizzato entro 48 ore e farà riferimento ad uno specifico progetto individualizzato redatto dal soggetto in crisi stesso con la partecipazione dell’operatore IESA e il personale del team di intervento sulla crisi. Dalla sua creazione, nel settembre 2019, il programma di intervento sulla crisi attraverso lo IESA ha gestito 59 progetti con una permanenza media di 15 notti.
Sia nei progetti IESA attivati in risposta ad acuzie sintomatologica a breve termine, sia nei progetti terapeutici riabilitativi ed assistenziali a medio e lungo termine, la famiglia ospitante e l’ospite possono contare sull’intervento supportivo da parte dell’operatore IESA e degli operatori dell’equipe inviante.
I valori ispiratori del servizio ricalcano quelli citati in precedenza. Il rispetto della capacità giuridica si esprime attraverso la libertà di scelta, il consenso, l’empowerment, l’autonomia individuale.
Nello IESA l’uso della coercizione, della forza o del contenimento fisico sono proibiti. Gli operatori e i caregivers sono formati nel supporto al comportamento positivo nonché a misure preventive e di riduzione dell’escalation aggressiva, favorenti la consapevolezza e l’evitamento dei fattori scatenanti. Sono inoltre previsti piani di valutazione e gestione collaborativa dei rischi per ogni singolo individuo che può inoltre avere bisogno di supporto per comprendere il proprio comportamento e di tecniche per adattare positivamente la propria vita, al fine di affrontare eventuali problemi relativi alla propria sicurezza.
L’inclusione sociale è al centro dei valori fondanti lo IESA in quanto i luoghi di cura vengono rappresentati da civili abitazioni di famiglie accoglienti. Tale contesto favorisce il portare regolarmente gli ospiti nella comunità locale introducendoli ad una più ampia rete sociale, fornendo l’opportunità di impegnarsi in attività che supportano il loro recupero in contesti meno stigmatizzanti.
I fruitori del servizio e i loro eventuali rappresentanti sono consultati su base annuale sulla qualità dell’assistenza. Quelli all’interno del progetto a breve termine (crisi) danno una valutazione della qualità della vita all’inizio e alla fine del loro soggiorno che può influenzare le procedure del servizio.
Tutti i servizi IESA operano in linea con l’approccio della recovery, con l’obiettivo dichiarato di fornire agli utenti: “una vita familiare ordinaria, dove tutti possono contribuire, avere relazioni significative e sono in grado di essere cittadini attivi e stimati”.
In Inghilterra, la commissione per la qualità dell’assistenza ha costantemente valutato lo IESA come la forma di assistenza più sicura e di qualità più elevata. Una valutazione qualitativa condotta attraverso la piattaforma online Shared Lives Plus ad aprile 2019 suggeriva che il 97% degli intervistati che hanno fruito dello IESA ha affermato di sentirsi parte della famiglia dei propri ospitanti, l’89% si sentiva coinvolto nella propria comunità, l’83% sosteneva un miglioramento del proprio stato di salute e l’88% affermava che la salute emotiva era migliorata.
Il progetto IESA per pazienti in crisi ha registrato un minor numero di ricoveri in unità di degenza per acuti dopo la dimissione rispetto a prima che fossero ammessi, prodotto meno segnalazioni per incidenti ed emergenze e meno accessi all’interno dei servizi di salute mentale, suggerendo come l’applicazione dell’inserimento eterofamiliare supportato produca un ridotto utilizzo dei servizi di salute mentale nel tempo.
Agli utenti di progetti a medio e lungo termine gestiti dal servizio IESA del Galles sudorientale può essere richiesto il pagamento di una quota, mentre per coloro interessati da progetti a breve termine non vi è alcuna quota da erogare. Gli ospitanti ricevono tra £ 340- £ 588 a settimana per ogni ospite a seconda del livello assistenziale richiesto.
Un report realizzato da un’agenzia indipendente, segnalato nel documento OMS, riporta che la spesa dello Shared Lives permette un risparmio del 43% rispetto ad altre tipologie di servizi residenziali per le persone con disabilità e del 28% rispetto ai servizi specifici per la salute mentale. Anche il servizio di Shared Lives previsto per la crisi sintomatologica determina un risparmio economico importante, in quanto il suo costo ammonta a £ 672 alla settimana a fronte di £ 3213 previsti per un ricovero ospedaliero di 7 giorni in reparto crisi.
Nel 2018 è stata effettuata una valutazione da parte del Care and Social Service Inspectorate for Wales, con l’obiettivo di valutare la qualità dell’assistenza, della leadership e dell’organizzazione del lavoro, che ha avuto esito positivo per tutte le aree esaminate.
Lo IESA presso l’esperienza di Lille in Francia
Sebbene il report dell’OMS descriva solamente l’esperienza di Lille Est, l’utilizzo dello IESA è presente presso l’intera area metropolitana di Lille. In particolare emerge in questa area un utilizzo dello IESA anche a breve termine per interventi sulla crisi. L’esperienza di East Lille serve una popolazione di circa 88.000 cittadini nel sud est della regione di Lille. Tale esperienza si basa su una rete di servizi di salute mentale che promuovono l’indipendenza e la collaborazione con i cittadini, con particolare attenzione alla qualità della vita e agli aspetti relazionali e sociali. Il servizio pubblico per la salute mentale dell’area metropolitana di Lille è responsabile del management e del monitoraggio. Sei comuni dell’area metropolitana di Lille Est formano l’Associazione intermunicipale per la salute, la salute mentale e la cittadinanza che ha l’obiettivo di permettere momenti di scambio, incontro, discussione e pianificare attività. Le attività promosse sono individuate in quattro aree tematiche diverse: prevenzione e promozione della salute, cultura, abitare, gestione e programmazione.
La rete di servizi si basa su ambulatori ospitati nelle strutture sanitarie (Centro Medico Psicologico), le quali permettono il primo contatto con la popolazione. Esiste però anche un modulo specifico che si occupa di gestire la crisi, attraverso interventi a domicilio resi da un team multidisciplinare disponibile h 24, 7 giorni su 7. Tutti i lavoratori sono formati e sensibilizzati all’utilizzo di un approccio improntato alla recovery, ai diritti degli utenti e ai trattamenti privi di pratiche coercitive.
Esiste poi la possibilità di una clinica di 10 posti letto, all’interno di una struttura ospedaliera. Si tratta di una modalità per rendere il ricovero meno rigido, poiché il supporto agli utenti viene affidato a figure a loro familiari, non solo agli operatori.
Un’altra caratteristica del sistema integrato dei servizi di Lille, che riguarda l’intera città metropolitana, è quella appunto del modello IESA. Le famiglie ospitanti, che ricevono una formazione specifica, sono considerate in alcuni casi vere e proprie alternative al ricovero.
Sono presenti anche un servizio per terapia familiare che offre interventi sia a famiglie sia a coppie, servizi che si occupano di sostegno all’abitare e un servizio più focalizzato sull’inclusione sociale e sulla promozione del benessere attraverso attività fisica, artistica, culturale, creativa e professionale.
L’applicazione di questo sistema di presa in carico del disagio psichico ha determinato una riduzione della durata media della degenza da 26 giorni a 7 e un sensibile calo del ricorso ai ricoveri in ospedale.
Veniamo ora a una breve descrizione dello IESA a Lille.
Questo può essere attivato in tre diverse situazioni (Macrì & Wizla, 2006): necessità di progetti full time a medio termine e a lungo termine su invio da parte degli ambulatori; necessità di ridurre i tempi di ospedalizzazione per crisi attraverso una dimissione in favore di progetto a breve termine; in alternativa al ricovero per crisi (breve termine).
Come si può evincere, oltre ai più diffusi progetti a medio e lungo termine, in ben due casi su tre si tratta di progetti a breve termine focalizzati sull’acuzie sintomatologica.
Tale tipologia di progetti non è molto diffusa nella pratica dei servizi su scala internazionale, al di là di isolate esperienze tipo il Crisis Home Program (Aluffi, 2001).
A Lille i contratti di inserimento eterofamiliare, in caso di progetti a breve termine, hanno una durata di 7 giorni rinnovabili. La reperibilità del personale di supporto (operatori IESA) è garantita h 24, 7 giorni su 7 (Macrì & Wizla, 2006).
Ci auguriamo che questo recente riconoscimento dello IESA da parte dell’OMS contribuisca ad una sua maggiore diffusione su scala mondiale.
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