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RECENSIONE: Ritorno a Basaglia? La de-istituzionalizzazione nella psichiatria di ogni giorno

10 Feb 23

Di admin

Storiografo appassionato e scrupolosissimo della psichiatria, principalmente italiana di fine ottocento e di epoca fascista, Paolo Peloso affronta con questo suo ultimo libro l’impresa ambiziosa di scrivere la storia di qualcosa che è ancora in essere: la storia dello psichiatra Basaglia, del movimento di de-istituzionalizzazione, della 180, dei suoi sviluppi ed esiti fino ad oggi. Come scrive Peloso il pensiero di Basaglia fu animato “da una duplice tensione ideologica verso un obiettivo politico ambizioso ma raggiungibile (e in definitiva raggiunto) e verso un obiettivo filosofico forse impossibile (trovare un libero spazio per la follia nel mondo della ragione)” (p. 415). Sono questi i due registri che animano le 468 pagine di questo libro appassionante, che spesso ci porta a avanti e indietro nel tempo confrontando posizioni, affermazioni e ambizioni dell’epoca con le realtà operative attuali. L’opera di Peloso è accuratissima, si avvale di non meno di 500 riferimenti bibliografici, di svariate immagini suggestive e di Qrcode per accedere alla documentazione video. Oltre al lavoro storiografico, l’intera opera di Basaglia è affrontata con piglio filologico e critico, dalle sue basi fenomenologico-esistenziali (capitolo 3) fino ai lavori sulla necessità della de-istituzionalizzazione, e le domande spesso filosofiche di “Cosa è la psichiatria?” e della Conferenze brasiliane. Non manca ovviamente la rievocazione minuta e documentata degli eventi chiave e delle tappe del cammino rivoluzionario basagliano (Cap. 4-7). Si tratta dunque di un’opera storiografico/critica che ripropone, attraverso Basaglia, alcune domande essenziali sui fondamenti epistemologici, etici e sociali della psichiatria.


 

Il lavoro storiografico di Peloso è reso possibile dal fatto che sono trascorsi circa settanta anni dagli anni della formazione di Basaglia, oltre quaranta dalla promulgazione della legge 180 e dalla prematura scomparsa del suo ispiratore; un tempo che consente una certa distanza pur non potendosi ancora del tutto svincolare dai filtri della beatificazione laica di Basaglia e dai rischi agiografici presenti in tante opere saggistiche, letterarie e cinematografiche negli anni dedicate a questi eventi. Oggi gli allievi, collaboratori ed epigoni di Basaglia sono anch’essi morti oppure da tempo in pensione,anche se ogni tanto ricompaiono in qualche manifestazione nostalgica come imperterriti portatori del Verbo; le esperienze d’ispirazione basagliana più radicale attive sono rimaste pochissime, il pensiero ideologico è evaporato nel pensiero debole e relativistico, la società è divenuta multietnica, la famiglia nucleare è scomparsa, la stessa identità di genere è ritenuta un costrutto arbitrario; nella stragrande maggioranza i servizi sono dovuti venire a patti con la rinascita del modello medico della malattia mentale, rinforzato dalle neuroscienze e dalla psicofarmacologia, ma anche con gli obblighi efficientistici dell’aziendalizzazione estrema che ci governa come un nuovo regime. Il mondo e, di fatto, i servizi, sono insomma completamente mutati dagli anni ’80 e, come scrive Peloso, “la psichiatria oggi, è un’altra cosa (…) ma alcuni nodi, alcune questioni continuano a riproporsi, irrisolti e forse irresolubili” (p. 111).

In sostanza Peloso può scrivere una storia perché si occupa di persone, modi di vedere il mondo e pratiche che non esistono più nel presente, se non negli ideali e in forme largamente trasformate, anche se il loro spirito rimane nel linguaggio dei piani sanitari regionali e delle conferenze Stato/Regioni perché la legge 180, formalmente, è ancora vigente. Tuttavia l’omaggio al basaglismo è spesso limitato oggi alle pratiche di presa in carico psicosociale ed ai pochi quanto lusinghieri progetti di inclusione sociale, al confronto continuo con le associazioni, il privato sociale, il mercato del terzo settore, che hanno sostituito le prassi istituzionalizzanti di un tempo.

La legge 180, benché mai riformata, ha nel frattempo ricevuto un colpo ferale da una legge democraticissima, di vaga ispirazione tardo-basagliana, la 81 del 2015 (quella, per intendersi, sulla chiusura degli OPG e l’istituzione delle REMS) che ha riaperto ufficialmente, se non il manicomio, la sua logica custodialistica affidando ai servizi il controllo sulle misure di sicurezza detentive e, soprattutto, non detentive, cioè territoriali; accanto a questi obblighi si sono aggiunti i controlli richiesti dall’autorità giudiziaria sulle famiglie e i genitori disfunzionali a tutela dei minori, anch’essi affidati ai servizi di infanzia adolescenza. Nel frattempo l’aumento del mandato ai servizi è andato di pari passo col loro depotenziamento, giustificato in omaggio alla appropriatezza e, soprattutto, alle limitazioni di budget.

Nei capitoli 8 e 9 Peloso rispolvera la sua straordinaria competenza di storico della psichiatria classica fornendoci una storia dei processi di istituzionalizzazione, “Qualcosa di cui fin dal suo costituirsi (la psichiatria) era gravida” (p. 213), considerando Basaglia come l’ultimo di una lunga serie di psichiatri illuminati. Nel capitolo 10 ci fornisce una storia delle comunità terapeutiche a partire dal secondo dopoguerra inglese. Nella Parte III (capitoli 11-13) Peloso torna al presente ed esamina gli esiti attuali dei questi processi, partendo da una storia dell’assistenza psichiatrica territoriale post-legge 180. Questa parte è un vero e proprio riassunto dei principi della psichiatria di comunità attuale, con le sue contraddizioni (la contenzione, le misure di sicurezza etc.) che sono affrontate con grande sagacia e consapevolezza. Nel capitolo 13 è affrontata anche la questione criticissima, già accennata, del “virus” introdotto dalla legge 81 che potrebbe determinare una “setticemia manicomiale” (p. 398).

Le conclusioni che Peloso trae dal suo encomiabile lavoro di ricerca è l’ammissione condivisibile che il pensiero di Basaglia “è destinato a rimanere il più possibile inconcluso” e che su di esso è difficile “trarre conclusioni” (P. 415-6). Del resto è così, in ultima analisi, per quasi tutte le esperienze storiche rivoluzionarie.

 

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