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I giocattoli del vecchio fanciullo. I suggerimenti di tre “Poesie per un canarino” di Saba

26 Feb 23

A cura di nanni.sabino

        Molti di noi continuano a sottovalutare l’importanza del gioco infantile. Una frase che abbiamo ancora nelle orecchie, e che molti continuano a pronunciare coi figli è: “Basta giocare! Vieni a fare le cose serie: i compiti!”. Intendiamoci: tutto deve avere una sua giusta misura, ed è opportuno che i bambini si rendano conto che la vita non può essere fatta solo di gioco. Tuttavia, questo non è un buon motivo per svalutare del tutto l’attività preferita dai bimbi: se si conosce in profondità una persona che vogliamo aiutare (e/o noi stessi), si scopre regolarmente che la giocosità infantile, anche in età adulta, anche in vecchiaia, è alla base della creatività e della vitalità di ognuno di noi. È una qualità che è doveroso preservare, incoraggiare o ripristinare nei figli (se siamo genitori), negli allievi (se siamo insegnanti), nei pazienti (se siamo terapeuti). Umberto Saba c’illustra il significato e la fecondità del suo rapporto con un “giocattolo” scoperto tardivamente: il suo canarino.

 
3 Palla d’oro
Con ali tese e il becco aperto a volte
egli perfino mi sfida… Non vede
sé, come vedo me stesso. Ed in questo
non vedersi è la sua felicità.
 
Moto perpetuo non si ferma un breve
momento……………………………….
………………………………………….
sempre ha qualcosa da fare e la cosa
che fa lo prende interamente. In canto
(sia gioia o pena) in trilli si diffonde.
…………………………………………
 
Viene lenta la sera. Lentamente
tace, si gonfia. Fiducioso al sonno
si chiude, e in sé, come una palla d’oro.

 

        Il Poeta vede nel suo uccellino, che egli accudisce con affetto materno, un bimbo piccolo. Le cure della madre preservano questo bambino immaginario dalle angosce che una prematura coscienza di sé gli causerebbe. Egli può far sfoggio di una forza che, nella realtà oggettiva, non possiede e che solo l’accondiscendenza materna gli fa credere di possedere. Ciò gli consente di vivere sereno, di dedicarsi anima e corpo alle attività che ritiene importanti, di esprimere col canto lo stato d’animo del momento; e tutto questo senza mai essere paralizzato dall’angoscia della propria impotenza, o dal senso di colpa per avere “volto lo ciglio al suo Fattore”. Gli consente anche, quando preso dalla stanchezza, d’abbandonarsi al sonno, fiducioso del fatto che le cure materne interiorizzate lo proteggeranno.

 
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4 I libri – pag. 562
I libri che ti rendo, amico (e sono
meravigliosi) io non li ho letti. È molto
se vi ho dato uno sguardo. A me riposo
è il libro vivo che, se i tuoi non vale,
vale quanto una favola. Per lui,
vecchio fanciullo, questa volta ancora,
nel mondo dei volatili mi perdo.
 
Copio i suoi usi e costumi. Gli amati
bagni – disperazione di mia moglie –
sono una festa ai miei occhi. E le foglie
che nel becco qua e là porta. La vita,
lei che tanti giocattoli mi ha tolto,
mi rende al fine il più innocente: in gabbia
nato un uccello che in gabbia non soffre.
Puoi d’un vecchio sorridere. Puoi anche,
se più ti piace, perdonargli.

 

        Nel profondo dell’anima, noi non siamo esclusivamente quel che la nostra età suggerisce: anche in vecchiaia, continuiamo ad essere il giovane che il mondo esterno non vede più, continuiamo ad essere il bambino oggettivamente scomparso. Più che senza tempo, esiste in noi una dimensione che contiene tutti i tempi: anche quello dell’infanzia, l’età in cui il gioco era l’attività preferita e la più importante.
        La vita del Poeta, in passato, gli “ha tolto tanti giocattoli”; ossia, con le sue vicende tristi e angoscianti ha più volte minacciato di distruggere il suo piacere di esercitare la propria immaginazione creativa: quella che, nell’attività ludica infantile trova la sua espressione più innocente e genuina. Ora, a tarda età, ha trovato il suo “giocattolo”, vale a dire un oggetto transizionale nel quale una parte del suo mondo interno può rispecchiarsi, riprendere vita e assumere le sembianze di un oggetto della realtà esterna. Si tratta di un canarino nato in gabbia: un essere, quindi, che non può vivere la propria condizione come quella opprimente di un prigioniero. Al contrario, protetto dalle insidie del mondo, si dedica serenamente, e con grazia, a tutto ciò che gli serve per sopravvivere.
        Per il Poeta, l’uccellino rappresenta come un “libro vivo”, una “favola” che ci parla di un mondo in cui dominano la spontaneità infantile e la felicità, fatta di poche cose, che solo un bimbo sa provare. Per il Poeta, “vecchio fanciullo”, tutto ciò è necessario, e preferibile rispetto ai libri “seri” (di cui pure riconosce la bellezza e il valore) che l’amico gli ha prestato.

 
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5 Canarina azzurra – pag. 563
Meravigliosa canarina azzurra
ti sceglievo a compagna. La più bella,
la più rara al mercato. Una gran dama.
 
Eros ha le sue leggi; è un dio difficile
non solo – sembra – agli umani. L’uccella,
immessa appena nella gabbia, subito
saltò da te per un bacetto. (Come
ti conoscesse da sempre). E tu come
piccolo drago inferocito, subito
(forse geloso di lei) la scacciavi.
Durò tre giorni lo strazio; ed all’ultimo
parve opportuno separarvi. Ancora
coi tuoi radicchi ti consoli. E a un tratto
non canti più, rechi nel becco intorno
filo ed altro che trovi e stimi atto
a un nido inesistente. M’hai deluso,
e con me quella che mi disse: “Devi
comperarle una moglie”. Ed ira e pena
mi fai. Pure la colpa è tua, se colpa
v’è, v’è mai stata, in queste cose…  

 

        Di fronte ad un eventuale oggetto d’amore, sono possibili due reazioni. La prima è l’idealizzazione subitanea (il “colpo di fulmine”). Essa, se contraccambiata, produce quel tipo di rapporto chiamato “luna di miele”. La seconda reazione è, all’opposto, un rifiuto istintivo, spesso violento. Le due reazioni talora possono trasformarsi l’una nell’altra: la luna di miele può concludersi con il crollo del rapporto, nel momento in cui si scopre che si è amato l’altro per quel che non è. Il rifiuto iniziale (se accompagnato da una paradossale attrazione per la persona che si sta disprezzando) può sfociare nell’amore. Ciò succede quando i motivi d’ostilità vengono superati con il possesso dell’altro: “Non c’è più ragione d’invidiarti perché ora sei mio/a”.
        Alla base di entrambe le reazioni c’è un forte investimento affettivo nei confronti di un oggetto d’amore ideale. Nel caso del colpo di fulmine, il soggetto s’illude d’averlo trovato nella realtà, salvo poi ricredersi. Nel caso del rifiuto violento c’è un grosso ostacolo allo sviluppo dell’amore: non si possiede ancora l’altra persona; le sue qualità (sotto sotto apprezzate ed amate) sono un possesso esclusivo dell’altro; possesso invidiato perché non condiviso col soggetto. Può essere che l’altra persona non possegga del tutto le qualità dell’oggetto d’amore ideale; nel qual caso, la reazione è l’indifferenza, e non un attivo rifiuto.
      Ci sono esseri umani che, come il canarino di Saba, sono incapaci di passare dal rifiuto all’amore. Costoro non smettono di sognare un “nido” creato con qualcuno che amano. Tuttavia tale sogno non potrà mai divenire realtà: il nido che preparano è “inesistente”. Il Poeta esprime il dubbio che tale ostinato rifiuto sia una vera e propria colpa. È un dubbio giustificato: il canarino vive in una gabbia, non ha potuto scegliersi liberamente la sua compagna, la pur deliziosa canarina azzurra gli è stata imposta.
        Anche gli esseri umani possono avere una loro “gabbia” (interiore e/o esterna) che ostacola le loro libere scelte. È possibile, ad esempio, che la vita nella famiglia d’origine sia talmente invivibile che la persona non ancora emancipata, pur di allontanarsene, si getti fra le braccia del “primo che capita”; in tal modo il rapporto di dipendenza e di schiavitù interiore viene semplicemente spostato (e non superato), attraverso il legame con una persona inadatta ad aiutare il soggetto. È possibile che la persona fragile ceda alle pressioni di altri, finendo per accettare un coniuge che non desidera.
        Eros è un dio difficile; e, se non si capiscono le sue leggi (se non si comprendono in profondità le esigenze affettive dell’animo umano, quelle proprie e quelle altrui), è assurdo e inutile giudicare le cose in modo moralistico, dando a qualcuno la “colpa” dei drammi, o delle tragedie, che continuamente succedono.

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