In questa prima giornata di primavera, il 21 marzo 2023, se n’è andato un altro maestro del Cinema italiano: Francesco “Citto” Maselli.
Quel nomignolo glielo aveva dato Luigi Pirandello che ne era stato il padrino di battesimo, motivi di parentela. Era stato certamente poco dopo la sua nascita avvenuta a Roma il 9 dicembre 1930. Era nato “bene” come si dice, il padre era un critico letterario de “Il Messaggero”, quotidiano romano, immerso in premi letterari e prime cinematografiche. La casa ospitava letterati e persone di cultura, ma lui ci aveva messo di suo, una sensibilità e una intelligenza non comuni, dopo essersi diplomato al liceo-ginnasio Torquato Tasso di Roma, uno dei licei classici romani più qualificati nel mondo, per fama di serietà degli studi. La sua e la mia vita si erano incrociate sessantotto anni addietro per un motivo non casuale: lui amava il cinema e la politica attiva, io il teatro e la psicopatologia fenomenologica. Entrambi abbiamo avuto maestri eccelsi ma non coincidenti. Il teatro e il cinema hanno spesso bisticciato su questioni di “precedenza”, basti appena citare il nostro fenomenale Eduardo de Filippo e “il doppiaggio”, per restare in Italia, il migliore nel mondo, ha finito per scontentare l’uno e l’altro. Ma questo è un discorso lungo da riprendere fuori dai necrologi che inducono commozione.
Poi ognuno prese una strada diversa, seriamente, senza compromessi. Conservammo un amico in comune, Maselli e io, lo splendido fonico Franco Bassi che nel “missaggio” delle colonne (sonoro, parlato, rumori originale) riusciva a fare acrobazie incredibili. Oggi, al saluto conclusivo, mi tornano in mente i versi di Amleto che s’interroga sul senso della vita (Atto III scena I)
Who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscovered country from whose bourn
No traveler returns, puzzles the will,
And makes us rather bear those ills we have,
Than fly to others that we know not of ?
Tu, Citto, quel qualcosa che c’è dopo la morte, lo saprai prima di me e un po’ t’invidio
Era il 1955, Maselli aveva terminato di girare “Gli sbandati”, selezionato per andare al Festival di Arte Cinematografica di Venezia. Un film “impegnato”, come si traduceva da noi il termine francese “engagé” ai tempi dell’esistenzialismo. In breve, secondo la critica di Gianni Rondolino, per il Catalogo Bolaffi del cinema italiano, 1956/1965, la trama è la seguente: «Il film narra la storia di un gruppo di giovani borghesi durante l'occupazione tedesca in Italia, incerti se darsi alla lotta clandestina o accettare la situazione per non perdere i propri vantaggi. Il dramma è ben centrato ed ambientato con cura e acume su uno sfondo storico colto e rappresentato in immagini efficaci. Non mancano le pagine vigorose, come tutto il finale, ma vi si sente l'acerbità della visione storica …». La vicenda inizia con lo sfollamento da Milano nella villa di campagna di una contessa benestante per salvarsi dai bombardamenti di quelli che verranno chiamati “Alleati”. I ruoli assegnati ai protagonisti sono quelli di Andrea interpretato da Jean-Pierre Mocky, figlio della contessa Luisa, nei panni di Isa Miranda, una madre che lo rende dipendente in maniera dispotica. Due amici, Carlo (Antonio De Teffè) figlio di un gerarca fascista fuggito in Svizzera, e Ferruccio (Leonardo Botta) che ha il padre ufficiale di carriera impegnato al fronte. Lucia, una giovane operaia interpretata da Lucia Bosè, di cui Andrea si innamora risveglia la coscienza di quest’ultimo.
Bisognava doppiarlo, mettere la voce in bocca ai protagonisti, ed è per questa parte del progetto della “settima arte” che ci siamo incontrati a “Villa Triste” io e “Citto” Maselli. In un’ala di questa antica dimora romana, semiabbandonata, con relativo parco incolto, all’inizio di Via Flaminia, l’Ing. Calpini aveva sistemato uno stabilimento, tecnicamente molto avanzato, con una strumentazione all’avanguardia per la sincronizzazione cinematografica: possedeva una “moviola elettronica” e chi aveva bisogno di doppiare un film doveva fare la fila. Il suo aspetto, in generale era piuttosto malinconico, ed è per questo che gli attori-doppiatori gli avevano affibbiato quel soprannome dark. Nondimeno la sua posizione decentrata, lontano dai rumori della città, di comodo accesso per il parcheggio, spuntava qualche vantaggio alla concorrenza della storica “Fonoroma”. Ricordo anche un altro dettaglio, il fonico di regia era Franco Bassi un professionista straordinario di cui Maselli si fidava ciecamente. La ARS cinematografica, di cui allora ero socio, aveva portato le voci per i provini. Naturalmente Riccardo Cucciolla (una voce straordinaria) fu scelto per dare la voce ad Andrea (Jean-Pierre Mocky). Isa Miranda si doppiava da sola e a me toccò uno degli altri che francamente non mi riuscì di ricordare. In sala c’erano sempre molte persone importanti, ogni giorno. Eriprando Visconti il soggettista e Aggeo Savioli coautore della sceneggiatura, Luchino Visconti, maestro di Citto al CSC, e molti altri, prodighi di consigli, che avevano interesse che l’opera prima della giovane promessa del cinema italiano fosse premiata. Infatti a Venezia ebbe la Menzione speciale della Giuria Internazionale 1955. In ogni caso, scambiammo qualche parola e penso che mi avesse un po’ invidiato quando gli dissi che ero intenzionato a fare psichiatria. Dal canto suo, pur essendo dotato d’autoironia, trovava esagerate le critiche per le sue scelte politiche. Restò famosa la battuta di Ennio Flaiano che soprannominò Maselli: «il patito comunista», anche per la sua magrezza. (https://ilmanifesto.it/edizioni/il-manifesto/il-manifesto-del-04-09-2021)
Molti anni dopo, incontrandomi con Giuseppe “Peppino” Rotunno, il mago delle luci, seppi che nel 1998 Gli sbandati” era stato restaurato dall'Associazione Philip – Morris Progetto Cinema, con la collaborazione della Fondazione Adriana Prolo – Museo Nazionale del Cinema e della Ripley's Film. Lo sapeva in quanto aveva diretto le operazioni di restauro l’unica copia è conservata al Museo nazionale del Cinema di Torino. Seppi anche che era stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare. Mi giurò altresì di aver riconosciuto la mia voce in bocca al personaggio di Carlo (Antonio De Teffè). Circa un anno fa lo avevo cercato per telefono, Citto Maselli ma ora capisco che non poteva rispondermi. Lo volevo salutare, informarmi della sua salute e chiedergli se si ricordava ancora di quella volta … della mia collaborazione per “Gli sbandati”, lui, l’astro nascente della regia italiana aveva 25 anni, io ne avevo 23 ed ero laureando in Medicina.
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