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La follia ebraica- le patologie mentali degli Ebrei nella ricostruzione storica di Vinzia Fiorino (II)

1 Apr 23

A cura di luigi.benevelli@libero.it

 

Quanto all’Italia, Vinzia Fiorino riporta gli interventi del rabbino Flaminio Servi (1841-1904) , direttore della testata “Vessillo Israelitico”, le riflessioni di Cesare Lombroso, Guglielmo Ferrero e le argomentazioni di Edgardo Morpurgo.

Servi accolse la tesi di una diversa identità degli ebrei costruita su parametri quali spiccate doti intellettuali, ingegno fervido, vocazione mercantile, tratti nevrotici, istruzione assai diffusa. Ancora, non vi erano quasi affatto contadini, la letteratura era in gran pregio, maggiore era la predisposizione alle alienazioni mentali e al suicidio. A tale ultimo riguardo, Servi attribuiva la maggiore incidenza delle psicopatologie tra gli ebrei al fatto che erano più avanti nell’“incivilimento”, nelle occupazioni intellettuali e anche a causa dei frequenti dissesti finanziari cui erano soggetti.

Cesare Lombroso (1835-1909) si soffermò sui tratti distintivi del popolo ebraico: in un testo intitolato “I difetti degli ebrei”, ricordava che essi erano sì pieni di ingegno e di finezza, ma anni di commercio, furberia e menzogna li avevano esposti a una più frequente degenerazione che dava luogo a una quantità di geni, ma anche di nevrotici, di megalomani, di ambiziosi; perseveravano inoltre nella conservazione dei vecchi costumi, dei vestiari medioevali, del conservatorismo religioso e dei riti “che stuonano coi nostri tempi”. Lombroso condannava l’antisemitismo, ma voleva anche la modernizzazione degli ebrei, ossia l‘abbandono dei costumi e dei riti più tradizionali e una piena integrazione nella comunità nazionale. Per Lombroso l’ebreo aveva spiccata intelligenza, ma scarso carattere, solo pochi uomini si erano distinti in guerra: una “razza gracile” quindi, spesso con un’aria distrutta e miserabile. La questione di una specifica predisposizione alla malattia mentale era inserita all’interno della sua elaborazione sulla genialità: gli ebrei erano un popolo di commercianti, dunque urbano, e aveva molto contribuito alle “ribellioni, alle rivoluzioni e alla genialità”. Un passaggio significativo è il seguente:

Per quanto, sparsi nelle varie terre da secoli, siansi incarnati nelle passioni e nei sentimenti, come nella civiltà, delle diverse sue patrie, — pure l’antico ceppo semitico caccia spesso i suoi vecchi rampolli e lascia travedere i tempi biblici e la psicologia primitiva.

 

Lombroso tornò sul tema, successivamente, per sostenere che la genialità è frutto della degenerazione e della mescolanza delle razze (non a caso i geni mancavano in Sardegna e abbondavano in Sicilia); gli ebrei, pur privi di mescolanze, si erano avvantaggiati delle “selezioni persecutorie” e dell’innesto climatico.

Guglielmo Ferrero (1871-1942), genero di Lombroso, si scagliò contro l’antisemitismo definito “fermento malsano di miseria economica, di mattoidismo e di demagogismo” e sostenne che gli ebrei, avendo dato origine a quel “fenomeno grandioso” che è il socialismo, erano più intelligenti ma anche più tormentati. Attraversati da un senso di incompiutezza e manchevolezza, “quasi tutti sembrano mancare di qualche cosa, sembrano sospinti da un impulso non determinato verso una meta ignorata e si tormentano di non poterci arrivare e di non saper dove tendere. […]. Se la nevrosi travaglia un po’ tutti oggi, essa lavora ben più crudelmente su questa razza, suscitando nel suo spirito una inquietudine che nulla potrà mai quietare; una inquietudine, di cui gli individui più intelligenti soffrono più acutamente, e da cui gli uomini intelligentissimi sono addirittura martoriati”. La posta in gioco era sempre l’appartenenza o l’integrazione nella comunità nazionale: l’ebreo “specialmente quello intelligente, resta uno straniero, per il suo carattere, un uomo intellettualmente e moralmente diverso dalla massa in mezzo alla quale vive”.

Edgardo Morpurgo (1872-1942), triestino, pubblicista, condivise l’idea di un’originaria diversità ebraica, convalidò la tesi della predisposizione alle nevrosi, ma contestò le teorie della degenerazione attribuendo grande importanza alla mancanza di classi agricole, “nelle quali la pazzia è meno frequente”, concludendo: “ La vita degli Ebrei è stata sempre esclusivamente intellettuale, e questo fatto spiega a sufficienza la psicologia e la patologia odierne di questo popolo”. Morpurgo parlò di una “intelligenza superiore”, capace di dare contributi importanti ai progressi della civiltà e di soggetti dotati di particolare fantasia che poteva però scadere nella nevrastenia e nell’ipocondria.

Nella psichiatria dell’Italia liberale è da segnalare la posizione di Augusto Giannelli ( ? – ?), psichiatra romano, che negava l’esistenza di tratti di positiva eccezionalità ebraica, evidenziando solo quelli negativi legati al fattore razziale: non la genialità, ma la frenastenia sarebbe stata la loro cifra distintiva.

Da parte sua il medico e psicologo Sante de Sanctis (1862- 1935) negli scritti dedicati all’eziologia delle malattie mentali ricordava che “come prova della influenza della razza sulla determinazione delle psicosi tutti gli autori citano la razza israelitica”. L’esperienza dimostrava che gli israeliti erano in generale degli “ansiosi”, straordinariamente frequenti tra loro le fobie, le ossessioni, gli stati depressivi e angosciosi, la tendenza al suicidio, le anomalie sessuali. Ma bisognava anche aggiungere che l’alcoolismo li risparmiava.

 

Enrico Morselli (1852-1929) autorevole psichiatra nell’Italia del suo tempo, mostrò interesse per il tema delle patologie legate alla razza e condivise le preoccupazioni per i rischi che correvano le “razze infime”, ma anche per il fatto che le razze superiori, ammalatesi, potessero degenerare verso quelle inferiori. Per Morselli, la gerarchia e la disuguaglianza tra le razze erano certezze granitiche. Scriveva infatti:

Esiste una gerarchia delle varietà e razze umane, sia sotto il punto di vista statico della loro morfologia e psicologia, sia sotto quello dinamico della loro predominanza e della loro dissoluzione nelle unioni miste.

Quanto agli ebrei nel suo manuale di psichiatria, scriveva:

La civiltà con i bisogni che apporta, con le abitudini di lusso e di piacere che crea, con la lotta febbrile per l’esistenza e con le rinunzie a cui condanna, è intimamente collegata alla frequenza delle psicosi, in quanto che logora e rende predisposti alla pazzia i cervelli dei più deboli tra gli individui. Di tutte le razze quella israelitica sarebbe nei paesi abitati da Europei la più colpita da psicosi e da neurosi.

La neuropsichiatria di tutti i paesi aveva evidenziato la prevalenza di talune malattie nervose tra gli ebrei, specialmente il grande isterismo con fenomeni di sdoppiamenti e perdita di personalità, le psicosi ossessivo-fobiche, le psicosi giovanili ebocatatoniche e paranoidi, le psicopatie sessuali, le nervosità ipocondriache e polimorfe. Non solo: tali forme psico-nervose erano vissute e analizzate dagli stessi israeliti con “rarissimo e lucidissimo potere di introspezione”. Non si stupiva Morselli quindi, se dalla “sottigliezza delle interpretazioni” cui erano in grado di giungere, così come dalla sofferenza isterica di una giovane ebrea viennese e dalla mente di un illustre neuropsichiatra come Freud, fosse scaturita una nuova teoria universale del pensiero.

La nevrastenia è posta da Pietro Petrazzani (1858-1948), psichiatra del San Lazzaro di Reggio Emilia, come agente responsabile della degenerazione ; egli insiste sul carattere isterico e femmineo della razza ebraica: l’isterismo si riscontra infatti “nelle razze e nelle stirpi più antiche ed esauste, quale l’ebraica”. Non solo perché l’isteria nelle donne segnala la loro struttura più arretrata, mentre, nelle stirpi rivela l’arresto dello sviluppo nella scala evolutiva.

 

                                                                                 (segue)

Luigi Benevelli

 

Mantova, 1 aprile 2023

 

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