Come sappiamo, non esistono razze umane fra loro diverse e disposte su una scala gerarchica, ma esiste invece il razzismo nelle teste di molti esseri umani sia in chi lo subisce sia in chi lo pratica, condizionando in tutti emozioni, modi di pensare, agire, capacità, qualità delle relazioni. Lo documentano le cronache in Italia e nel mondo che ci propongono quotidianamente le immagini delle violente rivolte antirazziste della gente di colore nelle città del mondo.
Ma quali sono gli effetti del razzismo sulle persone “razzializzate” ?
Il pregiudizio razzista da una parte ispira comportamenti e agiti violenti, discriminatori da parte di chi presume una propria superiorità; dall’altra produce nelle sue vittime, insieme alle possibili violenze sui corpi, profonde e durature sofferenze che segnano la qualità della vita quotidiana della persona razzializzata e delle sue relazioni col mondo. In una società razzista i ripetuti traumi subiti producono danni persistenti all’autostima, al benessere, al buon funzionamento sociale delle persone “razzializzate” quando accettano dentro di sé le diversità/inferiorità loro assegnate. Si tratta di meccanismi cognitivi, cognitivi e comportamentali che si installano precocemente a partire dall’infanzia.
Di qui il razzismo come agente stressante specifico che può essere episodico,quotidiano, cronico per il ripetersi delle esperienze, con esiti in sofferenza mentale, depressione, ansia. La bassa stima di sé conseguente al guardarsi con gli occhi degli altri può portare a comportamenti suicidari.
Negli Stati Uniti nei maschi “neri” americani è stata descritta la cosiddetta “sindrome dell’invisibilità”, descritta come un comportamento adattivo degli uomini afroamericani nel tentativo di sottrarsi allo sguardo dei razzisti, per riuscire a reggere il razzismo quotidiano, in particolare in conseguenza del basso livello di autostima , del sentirsi svalorizzati, non riconosciuti nei propri talenti. L’invisibilità è esito di un conflitto interiore al termine della quale prevale la sensazione che i propri talenti, capacità, personalità non solo non siano valorizzati, ma non abbiano nemmeno valore. L’invisibilità è un’esperienza psicologica nella quale la persona finisce col vivere la propria vita come qualcosa di estraneo da sé non “connessa”, marginalizzata nelle relazioni.
A seguito dei problemi posti dal rendersi invisibili si verifica una profonda immersione della persona razzializzata nelle relazioni dentro la propria comunità, specie nelle pratiche religiose; assai praticate anche strategie di autocontrollo quali il “rimanere freddi” o l’esaltazione di stereotipi quali quelli della “donna nera forte” (strong black woman) che lotta contro l’oppressione.
Va poi considerata l’associazione fra colore della pelle e la condizione di povertà con l’accettazione dell’assunto che il povero sia tale in quanto fannullone, stupido.
Per concludere: le razze, proprio perché esistono nell’immaginario, partecipano alla costruzione del nostro mondo sociale, politico, mentale, così com’è. Per tali ragioni la semplice messa al bando del termine razza non abolisce il razzismo.
Ne parla Yaotcha d’Almeida che ha condotto una ricerca su un campione di donne nere di età fra 29 e 48 anni nate in Francia, o comunque ivi residenti da molti anni 1.
Luigi Benevelli
Mantova, 1 settembre 2023
1 Yaotcha d’Almeida, Impact des microagressions et de la discrimination raciale sur la santé mentale des personnes racisées. L’example de femmes noires en France, L’Harmattan, Paris, 2022.
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