Con Luciano Del Pistoia se ne è andato, nella sua casa-museo-archivio di Via Verdina a Camaiore, uno degli psichiatri che ha profondamente inciso sul nostro modo di interpretare l’essere psichiatri. Non si è infatti psichiatri come lo è ogni altro professionista: almeno non lo erano gli psichiatri di quella generazione straordinaria, che includeva lo stesso Basaglia, ma anche figure a noi vicine e care come Arnaldo Ballerini, Bruno Callieri, Lorenzo Calvi, Giovanni Gozzetti, Ferruccio Giacanelli, Sergio Piro, Remigio Raimondi e molti altri, che ebbero la ventura di uscire dagli ospedali psichiatrici per accogliere la sfida, a tutt’oggi non conclusa e mai risolta, di fondare i servizi territoriali. Li univa innanzitutto il possesso di una grande, talora straordinaria cultura umanistica, un ferreo sentimento del dovere verso la propria funzione, la passione della conoscenza non solo del malato, ma col e in virtù del malato. Alcuni di loro credettero nel basaglismo e nel carattere rivoluzionario della riforma psichiatrica sul piano sociale e politico; altri, tra questi Del Pistoia, trovarono nella fenomenologia e nell’esistenzialismo ciò che poteva rendere la loro formazione neuropsichiatrica non soggetta al riduzionismo biologico e medicale, potendo così ridare al malato la piena dignità di persona, di co-esistente, di prossimo.
In questa generazione Luciano Del Pistoia occupò un ruolo particolare: si formò nella scuola di specializzazione del Prof. Visentini a Parma (“Professore gentiluomo” come lui lo appellava), quindi proseguì la formazione a Strasburgo e a Parigi con uno dei più radicali interpreti della psicopatologia fenomenologica di allora, Georges Lantéri-Laura, cui lo legarono a lungo sentimenti di rispetto, collaborazione e amicizia. Luciano fu antesignano di un europeismo che potesse far uscire la psichiatria italiana da una stagnazione culturale e prassica che, in quegli anni sessanta, esalava gli ultimi sospiri. Luciano padroneggiava perfettamente il francese ed a quel periodo si devono le sue mirabili collaborazioni con l’Encyclopédie Médico-Chirurgicale /Psychiatrie (la voce Deliri cronici), summa del pensiero psicopatologico europeo. Rientrato in Italia, dopo un breve passaggio ad Arezzo, dove ebbe modo di conoscere, e immediatamente disconoscere, i colleghi che preparavano la rivoluzione antipsichiatrica, divenne primario all’Ospedale Psichiatrico di Maggiano nel 1974, dove ebbe modo di conoscere, invece, il conservatorissimo Mario Tobino. Da lì, in virtù della legge 180, tornò nella Versilia che l’aveva visto bambino, come primo Primario dei servizi territoriali e dell’SPDC dello storico Ospedale Tabarracci. Il suo modello era quello del secteur francese ovvero di un’organizzazione articolata di servizi di salute mentale diffusi sul territorio: al posto di un modello ospedalo-centrico, veniva proposta negli anni ’60 la possibilità di una continuità terapeutica nella comunità garantendo pieno e concreto diritto di cittadinanza al malato di mente.
Luciano univa la verve ironica ed anche polemica tipicamente toscana, animata da un senso molto forte della propria cultura e del proprio valore rispetto alla psichiatria mainstream ed alla prosopopea spesso mediocrissima, della psichiatria accademica; si trovò così ad incarnare una psichiatria antimanicomiale che però risentiva ancora della formazione neuropsichiatrica tradizionale e non si mescolava col gergo sociopolitico allora dominante. Cercò quindi di trovare una propria identità fondando due società scientifiche: la prima di Storia della Psichiatria, che dopo un memorabile congresso a Viareggio, di cui esistono gli Atti in una rivista di breve vita che interpretava la sua visione, la Revue de l’Histoire et de l’Epistémologie de la Psichiatrie, divenne sezione della SIP, ma in altre mani. La seconda società nacque invece grazie all’amicizia fraterna con Arnaldo Ballerini: la Società per la Psicopatologia Fenomenologica, iniziò le sue attività con dei congressi internazionali (Madness, Madness, Science and Society, Firenze Agosto 2000), per poi proseguire a Pistoia e successivamente a Figline Valdarno, dove tutt’ora si tengono ormai da oltre venti anni, i Corsi Residenziali di Psicopatologia Fenomenologica. La Società, alla quale, allora giovanissimi, fummo prontamente cooptati, aveva inizialmente come contraltare il neoempirismo semplificatorio e brutale dell’imperante DSM-III a cui il mondo accademico si era prontamente e acriticamente allineato. Di questi progetti passionali, impensabili nella realtà attuale, uno di noi (RDL), che ha lavorato per alcuni anni nel servizio versiliese di Del Pistoia, può direttamente testimoniare. Alcuni ricordi ci hanno fatto capire, come succede, a posteriori, che Del Pistoia forse aveva immaginato un servizio impostato come un consesso di psichiatri colti e illuminati che avrebbero potuto fondare una prassi eccelsa: ci provò, ad esempio, scrivendo su un biglietto (che fu trovato in un cassetto dell’SPDC da un medico di guardia) una serie di nomi di giovani psichiatri, una sorta di nazionale della psicopatologia, che avrebbe voluto con sé in Versilia, oppure organizzando nel servizio lezioni di storia della psichiatra, come quella sulla Catatonia di Kahlbaum.
Per una serie di motivi, tra cui forse la distanza tra l’ideale e il reale nella prassi operativa, i continui contrasti con amministrazioni burocratizzate e soffocanti, e sicuramente quello di potersi dedicare con maggior disponibilità di tempo ai suoi studi, ma non da ultimo anche quello di godersi la vita che lui amava in modo pieno e vitale, Luciano Del Pistoia si ritirò dal servizio pubblico appena poté, non ancora sessantenne, a metà degli anni ‘90. Smise quasi subito l’attività clinica ma iniziò un percorso del tutto solitario di vita e di ricerca, intervallato soltanto dalle sue apparizioni per le lezioni a Figline e dall’uscita dei suoi libri, sempre di grande spessore, benché talora soffocati dai limiti distributivi dei piccolissimi editori: tra questi Il giardino delle statue di sale (Fazzi, 1997), un’evocazione tobiniana degli ultimi malati dell’ospedale psichiatrico di Maggiano, Saggi Fenomenologici. Psicopatologia, clinica, epistemologia (Fioriti 2008), che include molti dei suoi saggi fondamentali, tra cui quello sul concetto di paranoia; I duri veli. Viaggio psicopatologico attraverso l’Inferno di Dante, PubliED 2010, un commento da psicopatologico ad alcune cantiche dantesche di cui era un esperto di rara profondità; infine, il più recente Dialogo con l’insensato. Introduzione storica e clinica alla psicopatologia fenomenologica (Alpes 2021). Manifestò anche la sua gratitudine a Lantéri-Laura curando la traduzione in italiano di alcuni dei suoi testi più significativi (Sapere, fare e saper-fare in psichiatria: psicopatologia, clinica ed epistemologia. Fioriti Editore, 2007).
Luciano era uno scrittore raffinato ed un fenomenologo rigoroso; molti suoi articoli sono straordinari (ricordiamo in particolare quelli sulla melanconia, sui neologismi schizofrenici, sulla psicosi unica, redatto con uno di noi), e ci auguriamo che ci sia la possibilità di riportarli alla luce e a nuova vita, secondo il principio che i classici non subiscono il passare del tempo. I suoi testi pubblicati negli ultimi vent’anni rimangono dei caposaldi didattici unici per l’apprendimento di questa negletta quanto imperitura disciplina, la psicopatologia fenomenologica, che costituisce l’humus formativo fondamentale per tantissimi psichiatri di valore. Le sue lezioni, per chi ha avuto l’onore di ascoltarle, si ricordano per la lucidità e il rigore con cui sapeva intrattenere per ore l’uditorio: non era, Luciano, uno che parlava leggendo slides: restano magistrali le sue presentazioni e dissertazioni a Figline Valdarno al Corso di Psicopatologia accompagnate da appassionata gestualità, modi di dire della quotidianità versiliese, icastica ironia sulla proteiforme umanità di molti suoi colleghi.
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