Luciano Del Pistoia (1937-2023) psichiatra fenomenologico e dantista versiliese

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2 novembre, 2023 - 12:45
"...però quel che non puoi avere inteso,

cioè come la morte mia fu cruda,

udirai, e saprai s'e' m'ha offeso..."

Inferno, Canto XXXIII

 

Quando, nell’estate scorsa, mi ero recato in vacanza a Campo Soriano, sui Monti Ausoni, portandomi dietro gli Atti di un Convegno italo-francese di psichiatria, organizzato da Luciano Del Pistoia e Franco Bellato nell’autunno del 1980, non solo ero tornato indietro, gradevolmente, nel tempo di 43 anni ma, immergendomi nella lettura, avevo rivisto tutti i partecipanti con le sembianze di allora, parlare, muoversi, polemizzare, ridere, motteggiarsi, come in un film, “il vivo” di quel tempo [01]. Molti dei protagonisti, quelli che hanno fatto la storia della psichiatria italiana dell’ultimo secolo, non ci sono più, ma il vero mattatore, Luciano Del Pistoia, col quale ho passato una piacevolissima vacanza (eidetica), faticando a rincorrere il suo ragionamento coltissimo camuffato dietro un eloquio da vecchio lupo di mare della Versilia fatto di molte vocali aspirate, allusioni, sottintesi con improvvise esplosioni vernacolari, lo psichiatra viareggino désaliéniste, che pensavo immortale, se n’è andato per sempre e per davvero. L’ho saputo senza ombra di dubbio da POL.it Psychiatry on line Italia, la rivista telematica di Francesco Bollorino, che guardo ogni giorno insieme ai quotidiani nazionali. Pensavo ad una svista, quando ho letto il titolo di Riccardo Dalle Luche e Giampaolo Di Piazza «Luciano Del Pistoia (1937-2023) Un ricordo», licenziato alle 06:59 (le ore antelucane del Direttore) del 15 ottobre, 2023 [02]. Ma è bastato trasferirlo nel file “ritagli”, dove metto le cose speciali da rileggere con attenzione, alzarmi, prendere gli occhiali, spegnere la moka, versare nella tazzina speciale, allungare il caffé amaro con un po’ di latte e tornare alla consolle, per trovare anche il necrologio di Gilberto Di Petta «Obituary Luciano Del Pistoia (1937-2023)», licenziato, sempre su pol.it alle 07:05, sei secondi dopo [03]. Era vero, se n’era proprio andato, davanti al mare nella sua casa alla “Verdina”, l’antica Fattoria di Camaiore dove la prima cosa che aveva imparato da bambino era andare per mare con una deriva, mi immagino un monoscafo ancora in legno, prima del boom dei 420 in vetroresina. Lo comunicai anche a Giovanni “Gianni” Paciucci, un giovane psicologo del mio gruppo che, nella lontana circostanza, mi raggiunse per partecipare al Convegno. Vorrei aggiungere ai ricordi, che rammento vaghi e imprecisi, come un tempo lontano, Antonino, “Nino”, Lo Cascio, il Collega junghiano, allievo del mitico Ernst Bernhard, ispiratore di Fellini, mi raccontò come un gruppo di Colleghi toscani, negli anni Sessanta del Novecento, con in capo Luciano Del Pistoia e Arnaldo Ballerini, per protestare contro il direttivo SIP, si fosse riunito in un celebre caffé storico di Firenze, per fondare la “Società Italiana per la Psicopatologia Fenomenologica”; forse al “Paszkowski”, ma poteva essere anche il “Giubbe rosse” o il “Gilli”.

 

Lo conoscevano entrambi e soprattutto lo avevano frequentato più di me, Luciano, anche per via dei corsi residenziali di psicopatologia fenomenologica, a Figline Valdarno. Io non ho mai trovato il tempo di andarci, ma forse è anche per il fatto che mia madre, quando avevo 10 anni mi portava alla stazione di Bologna, si recava al primo treno in partenza per Firenze, mi affidava al capotreno e gli diceva di consegnarmi al capostazione di Figline Valdarno, Ettore Alpi, il mio padrino di Battesimo, con cui era già d’accordo. Secondo lei, qualche giorno in Toscana mi avrebbe tolto la pronuncia bolognese con le esse e le zeta troppo sibilanti. Personalmente conosco la serietà di entrambi i redattori del necrologio, ai quali sono grato per avermi fornito notizie preziose di Luciano che mi mancavano. Da Gilberto - che ha l’età di Chiara, la mia figlia antropologa e come un figlio mi è caro per il suo talento anche letterario - ho saputo che era rimasto vedovo: «Aveva perduto, da qualche anno, il grande amore della sua vita, Elisabeth Nibelle, artista e poetessa alsaziana», persona che ho incontrato anche per le sue puntuali traduzioni dal tedesco e dal francese. Da Riccardo, ho saputo che dopo il sano gesto «di conoscere, e immediatamente disconoscere, i colleghi che preparavano la rivoluzione antipsichiatrica» tentò di creare un servizio dipartimentale di Salute Mentale sul territorio della Versilia. Dalle Luche non l’ho mai incontrato di persona, ma se si chiama Riccardo e fa lo psichiatra, me ne parlò benissimo, molti anni addietro sempre “Nino” Lo Cascio, raccontandomi che un giovane psichiatra toscano si era battuto coraggiosamente contro l’establishment accademico-farmaceutico della pillola della serendipità: era l’epoca della promozione forsennata della fluoxetina. Bene, Riccardo Dalle Luche con Giampaolo Di Piazza scrive che Luciano Del Pistoia: «... in virtù della legge 180, tornò nella Versilia che l’aveva visto bambino, come primo Primario dei servizi territoriali e dell’SPDC dello storico Ospedale Tabarracci. Il suo modello era quello del secteur francese ovvero di un’organizzazione articolata di servizi di salute mentale diffusi sul territorio: al posto di un modello ospedalo-centrico, veniva proposta negli anni ’60 la possibilità di una continuità terapeutica nella comunità garantendo pieno e concreto diritto di cittadinanza al malato di mente». Non ebbe fortuna, ma si mise a scrivere libri, a organizzare incontri internazionali e a fare scuola a giovani psichiatri che non si stancavano di ascoltarlo. «Non era, Luciano, uno che parlava leggendo slides» ricorda ancora Dalle Luche, come pure Di Petta, sintetizzando perfettamente quello che io, ai Congressi di psichiatria, dando di gomito a “Nino” Lo Cascio dicevo «Ecco i doppiatori dei cartelli», giacché mi accompagnava spesso ai “turni” di sincronizzazione cinematografica.

 

A distanza di oltre mezzo secolo, vale la pena riflettere, prima che ci scappi la terza guerra mondiale a bandiere unificate tra chi ha tutto e chi niente, chi è democratico e chi no, se sbagliammo qualcosa nel fare quella rivoluzione psichiatrica per l’abolizione dei manicomi in Italia, ma con profondi mutamenti in Francia, in Inghilterra e in America. In pratica, per entrare nei dettagli, contemporaneamente alla chiusura dei manicomi, apparve necessaria una unica equipe medico-sociale, sotto la responsabilità di un unico primario capo-settore, il quale prendesse in carico tutti i pazienti psichiatrici, sia nell’ospedale generale (SPDC e relative consulenze), sia nei servizi ambulatoriali di territorio, quanto nelle comunità terapeutiche, nei centri diurni, nonché il servizio di psichiatria d’urgenza, dotato di autoveicoli propri. Il faro dominante che dalla vetta illuminava la triade della salute doveva lampeggiare incessantemente sulla triade «prevenzione cura riabilitazione». Un progetto gigantesco, una utopia smisurata che aveva bisogno di molti specialisti della condizione umana, tranne che dei neuropatologi alla Griesinger [04], indefettibili assertori che “La malattia mentale è malattia del cervello" e i predicatori del DSM dell’APA. Nè più nè meno quello che feci io, che i virus del “secteur” e quello della “therapeutic community” li avevo contratti pienamente dall’esperienza francese dei disalienisti rivoluzionari che rispondevano ai nomi di Lucien Bonnafé, Georges Daumézon, Philippe Paumelle, Louis Le Guillant, François Tosquelles, e da quella inglese di Thomas Main e Maxwell Jones, soprattutto. La determinazione era più o meno la stessa ma ebbi miglior sorte. Aprì il primo SPDC romano in un posto demenziale: prendemmo possesso dei 15 letti assegnatici, per i casi acuti psichiatrici, nella “Sala Mazzoni” del complesso Ospedaliero di S. Giovanni [05]. Non era certamente il glorioso “Tabarracci”, ma un pezzo della storia di Roma con l’affaccio più prestigioso su Piazza San Giovanni in Laterano, un palinsesto di monumenti dall’epoca dei Cesari all’età dei Barberini, il tardo barocco della fontana di Trevi di Urbano VIII. Ancora non so se sia stato uno scherzo, una beffa o che altro; ci avevano messo nella parte museale dell’Ospedale, solitamente chiusa e non utilizzata, anzi adibita a magazzeni per cronica mancanza di fondi. Per fortuna venne presto l’assegnazione definitiva al Municipio delle Torri (Roma VI) in via di Torrespaccata dove ho lavorato fino alla pensione completando un “Settore Dipartimentale alla francese” tranne l’SPDC, del quale dopo il fallimento della trattativa con il complesso ospedaliero indiano delle “Figlie di San Camillo”, oltre 25 anni fa, nessuno parla più. anch’io da quando ho smesso ho ripreso a studiare e mi sono occupato di etnopsichiatria.

 

Di certo, mancò un apparato amministrativo, legislativo, economico e politico che accompagnasse la riforma passo dopo passo. C’è stato, invece, in tutti questi oltre cinquant’anni una esiziale spartizione dello Stato in perniciosi governatori mattarelloidi d’assalto, uno smantellamento progressivo delle strutture amministrative provinciali titolari dell’assistenza psichiatrica e un’assenza di titolarità del servizio psichiatrico d’urgenza per l’esecuzione del TSO. Mi sembra, comunque, che il ricordo più affettuoso che io possa rivolgere a Luciano Del Pistoia, per concludere questo necrologio sia completare, con la conclusione, il suo razionale pubblicato questa estate per introdurre il testo “Curare e ideologia del curare in psichiatria” [06]

 

«Innanzitutto desidero ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questo Convegno dagli Enti organizzatori e patrocinatori ai Relatori e ai partecipanti. Il compito dei Relatori diciamo che non era difficile, ma era perlomeno insolito avevamo chiesto loro di esaminare, per così dire dall’esterno, quell’agire terapeutico all’interno del quale ci colloca il nostro compito quotidiano e di individuare quelle concezioni e convinzioni che esso contiene, il più sovente in modo implicito; di individuarne, in altre parole, l’implicita -o nascosta -ideologia (intesa questa in senso positivo, come vita di idee in rapporto alla pratica e non come ottuso astratto dogmatismo). Anche il compito dei « discutatnts » era particolare: non si trattava di «criticare» i Relatori opponendo alle loro concezioni, ai loro modi di vedere altri modi di vedere, altre concezioni; al limite di opporre «verità» a «verità». Avevamo loro chiesto, al contrario, di cercare di penetrare nel pensiero dei Relatori, di individuarne ed evidenziarne interne contraddizioni, di stimolarli a riscoprire eventualmente il loro pensiero stesso. Noi ringraziamo gli uni e gli altri di avere accettato questo confronto, un confronto al quale spesso molti preferiscono sottrarsi.

Crediamo di poter dire che il Convegno ha raggiunto il suo intento: cercavamo appunto un confronto fra punti di vista, modi di pensare e di agire diversi, seppur tutti appartenenti all’ambito del curare psichiatrico, un confronto che non sempre è dato di poter vedere. C’è infatti una tendenza centrifuga nella psichiatria attuale e il bisogno di sentir riecheggiare la proprie idee prevale spesso sul desiderio di confrontarle con idee diverse. Ci si riunisce più volentieri tra amici, o fra compagni di ideologia, dimenticando un po’ troppo spesso che riunioni del genere sono puri rituali celebrativi o mere rassegne di forza.

Per la sua natura quindi il nostro Convegno non produce delle conclusioni: le conclusioni le trarrà ciascuno per proprio conto, da solo o con i propri amici; a noi importa solo di mettere le persone in grado di farlo. Volevamo che, uscendo di qui, nessuno si sentisse sopraffatto o si sentisse un estraneo: come purtroppo succede spesso, oggi, ai convegni psichiatrici. Estraneo ad una chiesa o sopraffatto da verità grossolanamente rassicuranti, oppure dalle sottili inquietudini del terrorismo intellettuale. Il nostro Congegno dà solo delle indicazioni, dei punti di repere intorno ai quali si possa tornare a tessere il filo dei nostri pensieri, in relazione ai quali si possa dare un senso nuovo a quella pratica del curare che ci attende domani stesso. Avevamo sommessamente avanzato l’ipotesi che il curare psichiatrico avesse un risvolto ideologico; abbiamo potuto renderci conto che il campo di questo curare è percorso, è solcato da ideologie. Ideologie in senso positivo alcune, cioè concezioni filosofiche, antropologiche, psicopatologiche che portano a diversi atteggiamenti terapeutici, in un rapporto vivo con i fatti a cui cercano di dare un senso; ideologie in senso negative altre, con l’aria di dogmi ormai stanchi, e, per questo, diceva Mondella, non più inquietanti di un positivismo sorpassatissimo. D’accordo con Mondella ma quel che conta è che simili ideologie si siano dichiarate e che chi ha ascoltato abbia potuto valutare dal vivo la discrepanza fra i diritti derivati dalla cultura e le prevaricazioni delle posizioni di potere e dell’inerzia istituzionale: un problema che rinvia ai rapporti dello psichiatra con il potere committente. A questo proposito, la risposta è stata polimorfa, a volte sfumata, altre volte molto esplicita: il problema evidentemente sussiste, come hanno sottolineato Pariante, Scapicchio, Novello, come ha ribadito Giacanelli nella sua risposta. Occorre tuttora trovarvi una soluzione, la legge 180 è una indicazione: il problema sussiste nella sua interezza, non si può eluderlo, come fanno alcuni, nè darlo per risolto una volta per tutte, come fanno altri.

È la psichiatria medicina? È il terzo grosso problema che abbiamo sentito apparire esplicitamente o insistere fra le righe del nostro Convegno. Per alcuni la risposta è di una affermatività totale, garantita da n correlato biologico; dietro il quale per la verità sentiamo il vecchio imperativi scientista di mettere l’occhio sul microscopio. Giacanelli, al contrario, diceva che la traduzione medica della follia e la conseguente presa terapeutica su di essa sono solo metafore, « il fatalismo gonfiato di parole, la sonorità dell’impotenza». Il professore Lantéri, dal canto suo richiamava ad una analisi storica rigorosa, dalla quale si apprende l’idea di una medicina coerente all’interno di un unico modello e la psichiatria incoerente nell’intreccio di una molteplicità di modelli. Anche la medicina, dice il professor Lantéri, ha più modelli interpretativi (solidista, funzionalista, ecc.). il che riviene a dire, aggiungeremmo noi che pensare il modello medico al singolare per criticare la psichiatria, è un atto di fede che difficilmente ci si attenderebbe da chi si pone a criticare in nome della vera scienza.

Per terminare un ringraziamento particolare agli amici francesi, all’amico Lantéri ci sia consentito in primo luogo, di cui Lucca ricorderà certo con orgoglio e con piacere la sua presenza di insigne uomo di cultura, di clinico, in particolare di storico della psichiatria; al dottor Trillat, poi, redattore-capo della prestigiosa “Evolution Psychiatrique”, al dottor Demangeant, agli amici Gineste e Arveiller ... un grazie affettuoso all’amico Franco Bellato che ha curato con me il Convegno».

 

Adieu mon ami, nous puovons baisser le rideau.

 

Note.

01. POL.it Psychiatry on line Italia. Gli anni della riforma psichiatrica italiana 1980 - Il Convegno italo-francese di Lucca di Sergio Mellina. 11 settembre, 2023.

02. POL.it Psychiatry on line Italia. Luciano Del Pistoia (1937-2023) Un ricordo. di Riccardo Dalle Luche, Giampaolo Di Piazza. 15 ottobre, 2023.

03. POL.it Psychiatry on line Italia. Obituary Luciano Del Pistoia (1937-2023). di Gilberto Di Petta. CUORE DI TENEBRA. 15 ottobre, 2023.

04. Cfr. Wilhelm Griesinger, Die Pathologie und Therapie der psychischen Krankheiten, Stuttgart : A. Krabbe, 1861.

05. Nulla da segnalare - Molto da raccontare Sulla riforma psichiatrica italiana.

06. Si veda 01.

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