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La terapia espositiva enterocettiva (per il disturbo di panico)

8 Gen 24

Di FRANCESCO BOLLORINO

PREMESSA: sempre in tema “esposizione” e intorno al lavoro di Emiliano Toso, si vedano anche:

Come si nota dalla lettura del caso clinico, il punto centrale dell’esposizione (per come la intende Toso) è la violazione delle aspettative, tanto da rendere controproducente lavorare con il paziente in senso psicoterapico prima dell’esposizione stessa. Il caso clinico mette insieme diversi temi e aspetti collaterali all’esposizione stessa, come il sonno, l’alimentazione, l’interferenza dei farmaci nella psicoterapia (con il rischio che inibiscano l’apprendimento inibitorio). É opportuno ricordare che quando si abbia a che fare con disturbi psichici incentrati sulla paura patologica, la terapia espositiva è LA terapia elettiva, e molte forme di terapia “altra” (compresi alcuni interventi di psicoterapia psicodinamica, l’EMDR o gli esercizi di scrittura o incentrati sulla peggiore fantasia degli strategici, etc.) sono forme di terapia espositiva “sotto mentite spoglie”. (R. Avico, redazione Psychiatry on line)

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La terapia espositiva enterocettiva (per il disturbo di panico)

Il disturbo di panico è dato da esperienze di attacchi di panico inaspettati e ricorrenti, cui fanno seguito, per un periodo non inferiore ad un mese, persistenti preoccupazioni di poter avere nuovi attacchi e significative alterazioni del proprio comportamento in rapporto a detta preoccupazione.

I modelli eziopatogenetici del disturbo di panico non si differenziano nella sostanza da quelli che riguardano lo sviluppo di paure e fobie secondo l’approccio delle teorie dell’apprendimento. Il modello di Goldstein e Chambless (1978) si basa sulle teorie dell’apprendimento ed enfatizza il ruolo della “paura della paura”, simile al condizionamento enterocettivo di Razran (1961), in cui le sensazioni somatiche divengono stimoli condizionati di panico capaci di elicitare ansia.

I trattamenti che risultano efficaci per il disturbo di panico enfatizzano proprio  l’esposizione a tutte quelle sensazioni somatiche  che, a causa di apprendimento per condizionamento classico, cominciano ad essere temute ed evitate. Questi interventi sono attualmente molto diffusi presso i terapeuti cognitivo – comportamentali, poichè mirano direttamente al cuore del problema, ossia all’associazione tra la sensazione fisica e l’ansia, riducendo così la paura della paura e il rischio di agorafobia.

Da un punto di vista pratico gli esercizi espositivi mirano a indurre nel paziente le sensazioni corporee temute come, ad esempio l’aumento del battito cardiaco o della temperatura corporea. Gli esercizi espositivi prevalentemente utilizzati sono quelli di iperventilazione e le diverse prove di Andrews.

L’esposizione enterocettiva, così com’è stata usata sino ad oggi, si basa prevalentemente su due meccanismi di funzionamento: 1) favorire l’abituazione nei confronti dell’ansia associata alle sensazioni corporee; 2) confutare le convinzioni catastrofiche nei confronti delle sensazioni corporee. Entrambe le ipotesi hanno un denominatore comune ossia che sia possibile cancellare l’apprendimento eccitatorio alla base del disturbo.

Negli ultimi due decenni la ricerca ha evidenziato però (Toso, 2021, 2023) che la terapia di esposizione,  non comporterebbe una vera e propria cancellazione della memoria di paura bensì “darebbe vita” ad un nuovo apprendimento, capace di interferire con essa e con la sua espressione: un apprendimento, dunque, “inibitorio”- (Fig.1).

Nello specifico, sintetizzando, sta emergendo che durante il sistematico confronto con uno stimolo condizionato eccitatorio, sia esso esterno o interno (come nel caso delle sensazioni somatiche nel disturbo di panico), l’innesco del processo di “creazione inibitoria” dipenderebbe oltre che da aspetti intrinseci al processo stesso (errore predittivo, dipendenza dal contesto e ricompensa gratificante), anche da aspetti estrinseci ad esso, (capaci di modulare i primi, come ad esempio il sonno, l’attività fisica, il benessere del microbiota intestinale ). Sulla base di talI novità concettualI stanno nascendo nuove modalità operative, molto più articolate, intense, ricche e precise, che sembrano rendere l’intervento espositivo più parsimonioso ed efficace rispetto al passato (fig, 2).

Studi clinici pionieristici stanno evidenziando questi entusiasmanti risultati per numerosi tipi di disordini d’ansia, compreso il disturbo di panico (ad es. Diacono et al. 2013 – Massimizzare l’efficacia dell’esposizione interocettiva ottimizzando l’apprendimento inibitorio: uno studio randomizzato controllato).

Caso clinico esemplificativo

(fonte Toso 2023)

Ermanno è un quarantacinquenne, sposato e con due figli rispettivamente di 4 e 7 anni. Lavora come impiegato in una famosa azienda da circa 10 anni e finalmente, circa tre mesi fa, gli è stata proposta l’offerta di responsabile dell’ufficio amministrativo. Se da una parte la promozione è stata molto gradita e quindi accettata, dall’altra ha comportato sin da subito una “bella” dose di stress, sia per quanto riguarda l’enorme mole di lavoro (e la conseguente responsabilità) sia per quanto concerne il rapporto con i diversi impiegati che sembravano non gradirne la presenza al posto del precedente responsabile. “In particolare, ci sono due persone, che poi sono quelle in grado di influenzare anche tutti gli altri, che fanno in modo di farmi sentire sempre inadatto al mio ruolo. Questa cosa mi sta facendo soffrire molto, anche perché io sono una persona che ha difficoltà nell’esprimere le emozioni e dunque non riesco a chiarirmi con loro”. Il primo segno serio del suo malessere si è manifestato con l’insonnia, dapprima solo qualche notte a settimana ma poi quasi tutte le notti. A causa del senso continuo di stanchezza Ermanno ha smesso di andare a correre, come era solito fare due/tre volte alla settimana, e nonostante l’aumento della sedentarietà ha cominciato a mangiare molto cibo spazzatura e a bere alcol più del solito. In breve tempo anche la salute e la regolarità del suo intestino sono peggiorate con un senso di gonfiore costante e stitichezza.

All’interno di questo vortice di disagio interpersonale, insonnia, stanchezza, e malessere fisico una sera, mentre stava rientrando dal lavoro in auto Ermanno ha accusato un improvviso e duraturo capogiro, accompagnato da mancanza di respiro e tachicardia. A questo punto, spaventatissimo, accostò immediatamente con l’auto e chiamò la moglie con il cellulare. Accompagnato d’urgenza al pronto soccorso venne subito assistito dai sanitari con tutte le dovute indagini del caso; nel frattempo, vista l’agitazione, gli venne somministrato un tranquillante. Alla fine gli venne spiegato che il suo era stato un forte attacco di panico e che molto probabilmente esso era la conseguenza di un periodo di stress. Gli venne consigliato dunque di ridurre la mole dei suoi impegni e di assumere per una decina di giorni i tranquillanti benzodiazepinici che gli vennero prescritti. Nonostante avesse preso qualche giorno di riposo e assumesse i farmaci, dopo quell’esperienza, le cose andarono peggiorando ed Ermanno continuò ad avere altri attacchi con una frequenza di una o due volte alla settimana, intervallati da una forte ansia anticipatoria. “Ero sempre più preoccupato e temevo che questi sintomi fossero la spia di un grave problema di salute”. Iniziò così a far visita a vari medici e, nonostante gli esiti negativi delle loro indagini, si convinse che tali malesseri potessero essere di natura cardiaca. Viveva continuamente con l’ansia e la paura di avere l’attacco decisivo e questo stava stravolgendo completamente la sua vita. Smise completamente di praticare attività fisica, anche la più leggera, spesso non andava al lavoro e chiedeva continuamente rassicurazioni alla moglie e al proprio medico. Quest’ultimo, visto l’aggravarsi delle condizioni emotive del suo assistito, gli consigliò vivamente di intraprendere un trattamento psicologico.

Le prime due sessioni sono consistite in una fase di psicoeducazione e di pianificazione del trattamento. Il terapeuta ha discusso circa le origini ed i fattori di mantenimento del disturbo di panico, in particolare del fatto che per il paziente, le specifiche sensazioni fisiche avevano acquisito capacità predittiva di un possibile attacco di cuore. Inoltre, ad Ermanno venne spiegato che i numerosi comportamenti di protezione ed evitamento usati, non permettevano la violazione delle aspettative temute, mantenendo il disturbo, e per tali motivi è emersa l’importanza di eliminarli. Prima di procedere con i vari esercizi di esposizione ad Ermanno sono state evidenziati due aspetti rilevati durante la fase di assesment; il primo era l’insonnia ed il secondo il suo stato di malessere intestinale. Dopo avergli spiegato l’importanza di questi due fattori nei confronti del processo di creazione inibitoria, è stato invitato a consultare gli opportuni specialisti i quali avrebbero agito con interventi adeguati promuovendo un buon sonno e ripristinando il benessere dell’intestino. Considerando inoltre che anche le benzodiazepine prescritte al paziente avevano la capacità di ostacolare il processo di creazione inibitoria, in questa fase il terapeuta ha consultato il medico per concordarne la sospensione. Le sessioni dalla 3 alla 15 (eseguite due volte a settimana) si sono concentrate prevalentemente sulle esposizioni enterocettive mediante l’utilizzo di esercizi fisici capaci di indurre rispettivamente vertigini, mancanza di respiro e tachicardia. Per indurre i capogiri (primo sintomo percepito nella sequenza del panico), Ermanno doveva posizionarsi al centro dello studio del terapeuta e girare in cerchio su se stesso. Poiché egli credeva che ci fosse una probabilità dell’90% di avere un infarto dopo 30 secondi di esposizione a tali sensazioni, venne concordato con lui di prolungare l’esercizio per una durata di almeno un minuto. Questo aumento temporale aveva il fine di massimizzare la probabilità percepita di pericolo e quindi la violazione delle aspettative. Nelle sessioni dalla 5 alla 10 per indurre la mancanza di respiro il paziente è stato invitato a respirare attraverso una cannuccia tenendo contemporaneamente chiuso il naso oppure trattenendo il respiro. Anche queste esposizioni sono state progettate in modo da oltrepassare il punto in cui il paziente credeva di avere un attacco cardiaco, ossia 20 secondi. Infine, per provocarsi le palpitazioni, egli fu invitato nelle successive 5 sessioni a correre sul posto oppure a salire e scendere su di un cubo predisposto in studio. Al fine di amplificare il sintomo tachicardia e aumentare l’aspettativa temuta, ad Ermanno fu chiesto di assumere della caffeina (bevendo un caffè), poco prima degli esercizi, e di guardare assieme al terapeuta alcuni documentari sull’ infarto. Tale strategia ebbe un effetto immediato sulle aspettative del paziente, aumentando la sua ansia e paura ma massimizzando, al contempo, l’errore predittivo e la sorpresa. Come compiti per casa (tra una seduta e l’altra), il paziente è stato invitato a esercitarsi con gli stessi esercizi svolti in studio con l’aggiunta dei seguenti: frequentare ambienti affollati (per le vertigini), usare un colletto stretto ed entrare in ambienti caldi (senso di soffocamento) e riprendere a fare running (tachicardia). Gli è stato inoltre raccomandato di eseguire le esposizioni variando i contesti (spazio/tempo e interni/esterni). Le esposizioni dovevano quindi essere eseguite in vari momenti della giornata, e nel maggior numero di luoghi da lui solitamente frequentati. Questo avrebbe permesso di favorire il recupero di ciascun nuovo apprendimento inibitorio svincolandolo dal contesto specifico. Al termine di ogni sessione di esposizione Emanuele è stato invitato a compilare una scheda finalizzata a consolidare il lavoro svolto mettendo in evidenza l’errore di predizione e la gratificazione che ne consegue. In questa fase è risultata utile anche una discussione con il terapeuta sull’esperienza fatta, sulle domande della scheda (ad es. Hai dei pensieri che tendono a sminuire i risultati ottenuti? Se si quali?) e sulle difficoltà incontrate. Come è possibile notare le esposizioni enterocettive usate con Ermanno e basate sul modello di apprendimento inibitorio, differiscono da quelle finalizzate all’abituazione. Nel primo caso, infatti, ogni esercizio non ha lo scopo di ridurre l’ansia nel paziente bensì il fine è quello di aumentare la probabilità dell’aspettativa temuta e dunque l’ansia e la paura. Questo approccio differisce anche dai modelli cognitivi che enfatizzano la messa in discussione di errate interpretazioni e l’attenzione ai possibili segnali di sicurezza prima o durante l’esposizione. Tali interventi, eseguiti nei tempi solitamente indicati, riducendo significativamente l’aspettativa di minaccia comprometterebbero l’errore predittivo e di conseguenza anche la gratificazione. Per tali ragioni l’azione sui pensieri relativi alla minaccia sono sempre stati eseguiti alla fine di ogni esposizione in modo da consolidarne gli effetti. Le sessioni dalla 15 alla 20 sono state focalizzate sulla strategia di estinzione approfondita, che è consistita in esposizioni a diversi stimoli combinati dopo che essi erano stati estinti isolatamente. Tale strategia agisce prevalentemente ostacolando il naturale processo di abituazione allo stimolo temuto, mantenendo elevata l’aspettativa di minaccia. Dal punto di vista pratico per il paziente questo ha comportato il compito di unire nella stessa sessione esercizi di esposizione alla mancanza di respiro con altri per affrontare il battito cardiaco accelerato, dopo averli eseguite separatamente. Una volta completata questa combinazione, il terapeuta ha proposto esposizioni aggiungendo le vertigini. In questo modo, tutti e tre i sintomi temuti da Ermanno, dopo essere stati affrontati singolarmente, sono stati inclusi in un’unica esposizione per massimizzare la violazione delle aspettative. In questa fase il terapeuta ha preferito distribuire il carico di lavoro in più incontri, piuttosto che eseguire esposizioni in poche sedute. Tutto questo al fine di favorire un maggior consolidamento di quanto veniva appreso durante ogni esposizione. In un’ottica di prevenzione delle ricadute, considerando infine le difficoltà riferite dal paziente in fase di assessment, ossia quelle relative alla sue abilità assertive (“Questa cosa mi sta facendo soffrire molto anche perché io sono una persona che ha difficoltà nell’esprimere le emozioni e dunque non riesco a chiarirmi con loro”), al fine di ridurre lo stress con i colleghi e prevenire un recupero delle memorie eccitatorie ad Ermanno è stato proposto di partecipare ad un training di gruppo sull’assertività.

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Fig. 1 (sotto) La figura rappresenta la sintesi del processo di apprendimento inibitorio. Viene descritta la formazione di un nuovo apprendimento (SC – no SI) come conseguenza di un sistematico confronto con lo SC. Viene evidenziata la sua azione competitiva e bloccante nei confronti dell’associazione eccitatoria (SC – no SI). Infine viene descritta l’azione “frenante” della corteccia prefrontale ventromediale rispetto all’amigdala (PFCVM). I nuovi schemi di connessioni sinaptiche, tra i vari neuroni forgianti il metaforico freno, rappresentano la nuova memoria inibitoria (fonte Toso 2023).

 

Fig. 2 (sotto) Nella figura troviamo in grigio, in alto a destra, la rappresentazione del nuovo meccanismo ritenuto alla base del processo di estinzione della paura definito come “apprendimento inibitorio”. Nei riquadri blu, sono elencati gli aspetti modulatori intrinseci al processo stesso (errore predittivo, dipendenza dal contesto e ricompensa gratificante) e le strategie proposte per sfruttarli al meglio.Nei riquadri in rosso, invece i principali fattori estrinseci al processo (biologici, psicologici e ambientali) ed altrettante strategie d’intervento. Fattori intrinseci ed estrinseci agiscono sinergicamente durante il confronto con lo SC eccitatorio (Fonte Toso e Chiaravalle 2023);

Bibliografia

Toso E., Craske M.G., Treanor M., Conway C., Zbozinek T., Vervliet B. (2016). Massimizzare la terapia di esposizione: Un approccio basato sull’apprendimento inibitorio. Cognitivismo Clinico 13, 2, 103-133. Tr. it. Craske M.G., Treanor M., Conway C., Zbozinek T., Vervliet B. (2014). Maximizing exposure therapy: an inhibitory learning approach. Behaviour Research and Therapy 50, 10 – 23.

Toso, E. (2021). La seconda giovinezza dell’esposizione. Modello concettuale e modalità operative. Giovanni Fioriti Editore, Roma.

Toso, E. (2023). Verso una terapia espositiva di precisione. Dalla scienza dell’estinzione della paura alla clinica. Giovanni Fioriti Editore, Roma.

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