Νon passa giorno che non venga sfornato almeno uno studio di scienziati cognitivisti che cerca di spiegare come siamo fatti in questo o in quell'altro aspetto del nostro modo di sentire e di essere.
La tenacia di questi studiosi è pari alla banalità delle loro asserzioni che è peraltro comprensibile. L'originalità non è compatibile con la loro impostazione di ricerca che pretende di ridurre la complessità del nostro pensiero, dei nostri sentimenti e dei nostri desideri in schemi neuro-biochimici. Dal momento che non possono abbandonare il loro posto di lavoro (assai sicuro e remunerativo vista la domanda importante in tutto il mondo di qualsivoglia verità col timbro scientifico) devono combattere con la noia dei loro schemi e da un po' di tempo inventano cose stravaganti, a volte un po' comiche.
Secondo uno studio fatto da ricercatori dell'Istituto Nazionale Giapponese di Scienze Radiologiche la maggior parte di noi soffre di illusione di superiorità.
Ci giudichiamo superiori alla media a causa di un inganno cognitivo che agisce sulla nostra autopercezione.
L'illusione sarebbe determinata dall'interazione tra due regioni del cervello, lo striato e la corteccia frontale, e regolata dal "neurotrasmettitore del piacere", la dopamina.
Dopo l'interessante scoperta che il nostro senso di superiorità è solo un'illusione (il che rischia di farci precipitare nella sgradevole sensazione che tutto sommato siamo solo nella media nella migliore delle ipotesi) arriva un'altra più importante: i depressi non hanno quest'illusione, non soffrono del senso di superiorità. Hanno una visione più realista di se stessi e se sono molto depressi arrivano ad essere pessimisti.
Come riferisce il coordinatore della ricerca tutto indica che "alla base del realismo depressivo possa esserci proprio l'incapacità di illudersi di essere sopra la media." Secondo il suo punto di vista la scoperta potrebbe portare a nuove soluzioni per la cura della depressione.
Possiamo immaginare che in un futuro non molto lontano si cercherà di riparare con tutti i depressi del mondo questo scherzo della natura che ha privato loro del l'illusione di un senso di superiorità condannandoli a un realismo bieco e portandoli a scoprire come veramente sono: tutto sommato, sembrerebbe, niente di che.
A dire il vero non si capisce bene se gli studiosi giapponesi preferiscano il pessimismo della ragione o l'ottimismo della volontà e forse, alla fin fine, quello che auspicano è solo una prospettiva di commercializzazione proficua del loro lavoro: modulare la quantità di dopamina per iniettare un po' di realismo depressivo agli esaltati e un po' di illusione ai depressi. I motivi per cui questi studi vengono fatti e regolarmente ripresi dai giornali di tutto il mondo, nonostante la loro inutilità, sono vari e complessi ma la cosa fondamentale è la cultura commerciale, per nulla scientifica, della relazione con il mondo che li fa nascere.
La tenacia di questi studiosi è pari alla banalità delle loro asserzioni che è peraltro comprensibile. L'originalità non è compatibile con la loro impostazione di ricerca che pretende di ridurre la complessità del nostro pensiero, dei nostri sentimenti e dei nostri desideri in schemi neuro-biochimici. Dal momento che non possono abbandonare il loro posto di lavoro (assai sicuro e remunerativo vista la domanda importante in tutto il mondo di qualsivoglia verità col timbro scientifico) devono combattere con la noia dei loro schemi e da un po' di tempo inventano cose stravaganti, a volte un po' comiche.
Secondo uno studio fatto da ricercatori dell'Istituto Nazionale Giapponese di Scienze Radiologiche la maggior parte di noi soffre di illusione di superiorità.
Ci giudichiamo superiori alla media a causa di un inganno cognitivo che agisce sulla nostra autopercezione.
L'illusione sarebbe determinata dall'interazione tra due regioni del cervello, lo striato e la corteccia frontale, e regolata dal "neurotrasmettitore del piacere", la dopamina.
Dopo l'interessante scoperta che il nostro senso di superiorità è solo un'illusione (il che rischia di farci precipitare nella sgradevole sensazione che tutto sommato siamo solo nella media nella migliore delle ipotesi) arriva un'altra più importante: i depressi non hanno quest'illusione, non soffrono del senso di superiorità. Hanno una visione più realista di se stessi e se sono molto depressi arrivano ad essere pessimisti.
Come riferisce il coordinatore della ricerca tutto indica che "alla base del realismo depressivo possa esserci proprio l'incapacità di illudersi di essere sopra la media." Secondo il suo punto di vista la scoperta potrebbe portare a nuove soluzioni per la cura della depressione.
Possiamo immaginare che in un futuro non molto lontano si cercherà di riparare con tutti i depressi del mondo questo scherzo della natura che ha privato loro del l'illusione di un senso di superiorità condannandoli a un realismo bieco e portandoli a scoprire come veramente sono: tutto sommato, sembrerebbe, niente di che.
A dire il vero non si capisce bene se gli studiosi giapponesi preferiscano il pessimismo della ragione o l'ottimismo della volontà e forse, alla fin fine, quello che auspicano è solo una prospettiva di commercializzazione proficua del loro lavoro: modulare la quantità di dopamina per iniettare un po' di realismo depressivo agli esaltati e un po' di illusione ai depressi. I motivi per cui questi studi vengono fatti e regolarmente ripresi dai giornali di tutto il mondo, nonostante la loro inutilità, sono vari e complessi ma la cosa fondamentale è la cultura commerciale, per nulla scientifica, della relazione con il mondo che li fa nascere.
Pregevole e molto godibile
Pregevole e molto godibile questo secondo medaglione psicoanalitico di Sarantis Thanopulos. Al centro dell’attenzione: la cultura commerciale, non scientifica, “della relazione con il mondo” che fa nascere molti inutili studi di impianto cognitivista dedicati ai nostri quotidiani modi di essere e alle nostre basilari modalitá di funzionamento. Il testo va letto, se non altro per la sua brevità, incisività e chiarezza. Non voglio togliere al lettore il piacere della scoperta. Mi limito a raccomandare la lettura del medaglione anche per la presa di posizione antiriduzionista che lo attraversa: antiriduzionista, qui, significa avversa ad ogni tentativo di “RIDURRE la complessità del nostro pensiero, dei nostri sentimenti e dei nostri desideri in schemi neurobiochimici”. Polemica, quella di Sarantis, attuale e NECESSARIA, soprattutto se si tiene conto degli effetti devastanti, prodotti sulla CURA, dal prevalere, nei nostri servizi, di un cognitivismo monoparadigmatico e riduzionista. Ogni clinico onesto e competente potrebbe/dovrebbe intervenire, anche qui, portando esemplificazioni concrete di questi effetti devastanti, pagati dai pazienti sulla loro pelle.