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SAY SOMETHING…

8 Apr 18

A cura di Maria Ferretti

Con alterna chiave
tu schiudi la casa dove
la neve volteggia delle cose taciute.
A seconda del sangue che ti sprizza
da occhio, bocca ed orecchio
varia la tua chiave.
 
Varia la tua chiave, varia la parola
cui è concesso volteggiare coi fiocchi.
A seconda del vento che via ti spinge
s'aggruma attorno alla parola la neve.
 
da "Di soglia in soglia"  ("Von Schwelle zu schwelle") di Paul Celan
 
 


Dì qualcosa, say something, Dottore!
Questa caparbietà di alcuni Dottori di ritenere il silenzio dell'analista come unica possibilità di poter permettere al paziente di disvelarsi di vedersi sembra far parte di un'ostinazione teorica un "a tutti i costi  deve esser così".
Perchè ci si ostina a chiudere gli esseri umani in teorie rigide?
Le teorie orientano la prassi insegna!
E cosa ci insegna la pratica Dottori?
Ci insegna ad aver cura dei particolari che fanno sempre la differenza.
Mi ha sempre appassionato la diagnosi differenziale : l'arte dei particolari.
Come è possibile distinguere in poche blande categorie diagnostiche la descrizione di movimenti e finalità dell'essere umano .
Almeno si faccia uno sforzo per conoscerne le infinite combinazioni. Dalla psichiatria alla psicoanalisi con amore. I colleghi che demonizzano sia una o l'altra portano con se una scissione che nell'esser umano non esiste. Il cervello e ' sede del pensiero, il pensare ha un corpo come la stessa consapevolezza.
Ma siamo ancora qua a domandarci se è nato prima l'uovo o la gallina?
Ancora possiamo pensare ad un riduttivismo teorico sul caso?
Taciamo perché la tecnica ce lo impone?
Parliamo perché la tecnica ce lo impone ?
Dottori siamo tenuti a non avere partiti rigidi di appartenza altrimenti lo scotoma sarà sui pazienti.
A quanti di noi è capitata un'analisi così?
Quali esiti di cecità teoriche?
Altro elemento per riconoscere un bravo analista assenza di scissioni teoriche che implicano ancora mente/corpo.
Basta non se ne può più di colleghi ancora che demonizzano psichiatri, o di psichiatri che demonizzano psicoanalisti .
Basta psichiatri che demonizzano la filosofia.
Tutto deve avere il suo spessore.
Tutto deve esser visto e sentito.
La sacro santa clinica, la sacro santa esperienza, le sacrosante lenti con cui leggere le realtà degli esseri umani.
Un luogo interessante dove le prese di posizione rigide fanno acqua sono i grandi traumi.
I grandi traumi ci consegnano a grandi buchi , a grandi richieste a grandi affetti.
I grandi traumi hanno a che fare con l'indicibile.

QUESTO è un terreno molto interessante perché ci mette di fronte all'aspetto creativo della terapia alla capacità dell'analista di muoversi in spazi sconosciuti.
Provi lei Dottore a stare in silenzio con qualcuno che ' stato intrappolato in un luogo dove non poteva esser sentito. Il silenzio potrebbe uccidere un paziente così.
E che facciamo siccome la teoria ci dice che è meglio tacere lasciamo l'altro angosciarsi perché trova se stesso.
QUESTO è un atto folle!
Se qualcuno non è stato sentito dovrà sperimentare la possibilità di esserlo sentito.
Certo tutto ciò avviene attraverso la possibilità di risperimentarlo.
Per cui un po' sadicamente il Dottore ci dovrà riportare a quel limite, sempre però avendo il polso della situazione.
Il polso però bisogna sentirlo "davvero" altrimenti siamo nel campo della teoria, e perdiamo di vista il paziente.
Un analista pensa il suo paziente, lo pensa, lo immagina anche la fuori. Esser pensati non significa esser invasi ma significa "cura". Si cura pensando.
Noi tutti abbiamo presente questa cosa quando siamo stati innamorati . Il piacere ma anche il conforto dell'essere pensati.
Pensare per esempio è un verbo che si sposa molto bene con attendere.
Nel processo di cura e nel processo poetico c'è un verbo comune che è Aspettare.
 Aspettare è un movimento.
Aspettare significa attesa umile che qualcosa appaia, si dispieghi, emerga.
Attendere pazientemente quel "sentire" interrotto evidente soprattutto nei grandi traumi.
Sentire non ha a che fare con le emozioni ma con una certa capacità di rimanere in contatto con se e l'altro (candiani) .
Un trauma è simile ad un boato provocato da una bomba.
Se si è troppo vicini si perde l'udito. L'udito del nostro pensiero viene interrotto. I ponti radio sono saltati. Quando i collegamenti son saltati non rimane altro da fare che tornare indietro. Impossibile proseguire.
Dopo un grande trauma il dolore è sordo e muto. Quando qualcuno è in grado di aspettarti di accoglierti nella tua infinita sorditudine tu finalmente inizi a sentire.
Non è un sentire che ha parola. Non esiste parola è troppo la in fondo. I traumi uccidono il linguaggio. Non c'è linguaggio dell'altro.
Esiste solo linguaggio dell'idea di .
 Idee poggiate sul nulla, brandelli di immagini rubate qua e là per "sentito dire" o per "sentito vedere".
L'altro è ridotto a frammento pezzo inconsistente.
La "prova" che alcuni traumi richiedono per potersi dispiegare è nella affermazione "ti aspetto".
C'è desiderio, c'è resa in chi ti attende.
La resa di chi ha compreso, la resa di chi potrebbe forse immaginare. La resa di chi ti ama davvero.
Qualcuno tace e qualcun'altro parla. Qualcuno non può per amore, qualcun'altro può per amore.
Uno entra l'altro fa entrare.
Ma cosa c'è in fondo ai traumi indicibili, la in fondo.
Niente immagini, niente suoni solo un concentrato di dolore, un urlo cacciato giù in gola la in fondo.
Nessuno ti sente, non puoi dire a nessuno. Nessuno vede nessuno ascolta. Non serve a nulla parlare se nessuno ti sente. Migliaia di giorni moltiplicati per migliaia di ore e minuti dopo un trauma rende il dolore sordo.
Ponti radio saltati.
E come si comunica dopo i traumi?
Immaginatevi di esser chiusi in un caveau con muri spessi. Urli ma non ne esce niente.
E allora la frustrazione , la rabbia verso quelli che dovrebbero sentire.
Ma per sentire ci vuole la combinazione. Non posson sentir tutti. Non è facile.
E qual'e la combinazione giusta ?
La combinazione è la variazione del nostro linguaggio abituale con gli esseri umani .
Se sono chiusa in un caveau avrò bisogno di strumenti diversi, parole diverse: la profondità innanzitutto .
Le parole devono esser forti e spesse,dotate di consistenza.
Bisogna creare un grande tunnel per arrivare la in fondo.
È necessario avere anche materiale esplosivo per far esplodere pareti dure e spesse.
Un materiale esplosivo è la tua consistenza: spessa, granitica.
Dottore sei duro come una pietra!
Il ponte radio a volte salterà e li ci son momenti di pura disperazione. Ti ho sentito, dai ci sei poi perso.
Ogni disperso  ha vissuto questo momento idilliaco tra esser trovato e perso per sempre: un incubo.
Il momento in cui ti trovano e ti riperdono è una discesa agli inferi.
Il ponte radio deve ripristinarsi più e più volte, e più e più volte si scenderà nel mondo dei non raggiungibili.
L'analisi è un ponte radio, coglie segni e segnali ristabilisce contatti.
Ma ciò che toglie al linguaggio mette nel corpo, il trauma.
Batti pugni, scalpiti,nessuno ti sente. Aiutatemi vi prego son qua sotto. Non ti rimane che piangere da solo, solo il pianto.
E il pianto riemerge, un pianto da recluso. Il pianto diventa unico suono riconoscibile. Un pianto senza legame.
Il pianto dei piccoli è un richiamo, ma quando non torna niente e nessuno il pianto è solo suono per ricordarti che sei solo.
E che fai dopo questo pianto ti aggrappi a qualcosa di te o dell'altro. Una parola, un braccio, un collo, una barba e svieni sfinita.
La svolta finalmente è quando qualcuno sa che sei la sotto.
Non facile capirlo Dottori!
Chi non è stato sentito evita di esser raggiunto non può risperimentare il trauma del non esser stato trovato. Si fa vedere per quel che può . Non è facile riconoscerlo unica possibilità è tradurre alcuni segnali che come piccole bricioline ci lascia sul suo sentiero.
Lui tenta in svariati modi di comunicarcelo. Spesso è un " paziente" paziente. Salvo al fatto che un bel giorno vi presenta di colpo il conto. Voi dovete scoprirlo lui non può non è che non vuole.
Il grido disperato lo si riconosce quel grido muto è inconfondibile.
Guai Dottori non riconoscerlo, guai!
Non esser sentiti per chi ha perso voce nella ricerca di aiuto è forse il trauma più indicibile.
Da piccoli è subito ma da grandi  se cerchiamo aiuto e non lo troviamo è come esser rinchiusi per la seconda volta.
Ero piccola quando il piccolo Alfredino rimase incastrato in un pozzo sotterraneo ma me la ricordo benissimo quella voce da la sotto: la sua sopravvivenza legata alla possibilità di raggiungimento di un'altra voce. Finché c'è stata parola il,piccolo ha potuto sopravvivere. Non solo aria per i suoi polmoni ma aria per comunicare con qualcuno.
La voce il suo calore, la sua parola i modi le carezze vocali che ti fan sentire.
Senti di esistere, di aver possibilità .
Poi c'è il sentire dei "modi", mai bruschi, dolci, con senso del ritmo.
Le persone che sanno amare hanno orecchio, senso del ritmo.
Calore tanto calore nei suoni emessi.
I traumi ti rendono un cane bastonato senza chance di avvicinarsi ad alcunché, un paziente mi racconto' di sentirsi "randagio" ma non rabbioso.
Si perché la cosa straordinaria è che certi traumi non tolgono tutto, persone meravigliose nascoste nella quotidianità in un luogo dove alcuni si accorgono di questa grande "sensibilità".
Alcune volte mi è capitato di osservare che il riconoscimento della loro straordinarietà avviene sempre e solo in un secondo momento della loro vita.
Prima non si facevano sentire. Personalita' in sordina. Spettatori del mondo.
I grandi traumi non possono far acceder al desiderio non perché vi è rinuncia. No non c'è movimento di rinuncia c'è strada sbarrata. Il desiderio è dall'altra parte e manca un ponte d'accesso.
Il desiderio è intatto!
Il desiderio sembra aver la consistenza di un materiale indistruttibile o tuttal più plastico.
Quando il desiderio èintaccato siamo in una zona off limits.
La zona off limit spesso è prodotta da tentativi fallimentari di risposta a richieste di aiuto.
Attenti Dottori quando arriva una richiesta ennesima.
Attenti a non cadere subito a conclusioni affrettate .
Attenti sempre siamo esseri umani degni di seconde possibilità .
Sulla mia scrivania poggia una piccola danzatrice in ceramica. Quella piccola danzatrice me la regalo' la storia più incredibile che attraverso' il mio studio non tanto per la biografia di  questo paziente abbastanza comune ma per l'età della sua richiesta.
A quasi 70 anni QUESTO paziente mi chiese di voler sperimentare l'amore verso sua moglie nonché le gioie della sessualità. Gioie recise da un grande trauma.
Una richiesta al limite ma la ballerina sul mio tavolo testimonia sempre che l'ultimo desiderio prima di lasciare questa terra è quello di poter amare ed esser amati.
 
COMPLICE
Tutti abbiamo bisogno talora di un complice,

qualcuno che ci aiuti a usare il cuore.
Che ci aspetti orgoglioso nelle vecchie stanze,
che denudi il passato e disarmi il dolore.
 
Prodigioso/unico/padrone del suo silenzio.
Qualcuno rimasto nel quartiere dove nascemmo o
che perlomeno si accolli i nostri rimpianti
finché la coscienza non apponga il suo perdono.
 
Complice dell'immaginario ci difende dal mondo,
dalla sciabolata del raggio e dalle fiamme del sole.
Tutti abbiamo bisogno talora di un complice,
qualcuno che ci aiuti a usare il cuore.
 
(da MARIO BENEDETTI, Adioses y bienvenidas, 2005)
 

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1 commento

  1. antonello.sciacchi16

    La teoria non dice che è
    La teoria non dice che è meglio tacere; dice che è meglio non rispondere alla domanda per poterla analizzare. Quello dell’analista è un silenzio di secondo livello, direi un metasilenzio. Per esercitarlo ci vuole orecchio, diceva Enzo Jannacci.

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