Percorso: Home 9 Clinica 9 Recensione Saggio “Sulla sublimazione. Un percorso del destino del desiderio nella teoria e nella cura”,

Recensione Saggio “Sulla sublimazione. Un percorso del destino del desiderio nella teoria e nella cura”,

2 Set 18

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La recensione di un libro sulla sublimazione appropinqua a un ambito, non esente da trappole, del quale l’autrice, la collega psicoanalista Rossella Valdrè, non si stanca di ribadire una certa inattualità. Inattualità sociale dinanzi a una struttura economica volta a rendere sempre possibile il godimento dei beni di consumo in tutta la loro poliedricità e inattualità nella speculazione psicoanalitica stessa, maggiormente interessata al novero delle relazioni interpersonali anziché a quello della pulsione.
Si tratta di un argomento che si presta alquanto a due forme di fraintendimento. Anzitutto, l’influsso che la legge biogenetica di Haeckel ha avuto su Freud rischia di condurci a un impianto dottrinale rigidamente edificato sul versante dell’evoluzione, nel quale la sublimazione venga considerata l’apice di un cammino di ricapitolazione della filogenesi a scapito di altre forme di organizzazione delle proprie posizioni soggettive meno volte a inibire la pulsione nel giungere alla meta del soddisfacimento sessuale. La legge di Haeckel è riassunta nel celebre aforisma secondo il quale l’ontogenesi costituisce una ricapitolazione della filogenesi. Haeckel fu fra coloro che diffusero in lingua tedesca l’opera di Darwin centrata sull’evoluzionismo che ha costituito una delle tre modalità dello spodestare l’uomo dalla propria fallace centralità. Dopo la lesione all’egocentrismo, demolito dalla rivoluzione galileliano/copernicana che scardinava la Terra dal centro dell’universo, e prima del taglio indotto dallo stesso Freud, con la scoperta dell’inconscio quale luogo del desiderio sessuale in grado di sovvertire l’illusoria supremazia della coscienza e del cogito cartesiano, vi è stata la radicale ferita suscitata da Darwin con lo studio della catena evolutiva che giunge sino all’essere umano. In questi termini, la sublimazione può sembrare la forma più evoluta di quelle vicissitudini del Trieb freudiano descritte nel testo metapsicologico Pulsioni e loro destini che costituisce la prima trattazione rigorosa dell’evento sublimatorio e che la Valdrè cita puntualmente. La Kultur, pur con il disagio che comporta, troverebbe il suo culmine proprio nelle operazioni sublimatorie che andrebbero a ricapitolarne nell’individuo quanto solitamente avvenuto nei collettivi sociali: dalla barbarie primitiva ci si evolverebbe verso la raffinata ed elegante sublimazione artistica e creativa. Sublimazione, etimologicamente, è un termine che proviene dal latino sub limen ovvero da sotto il limite, da sotto la soglia: chi stabilisce che pervenire al soddisfacimento stando sotto il limite sia più evoluto del giungervi oltrepassando una soglia?



La seconda via di un eventuale fraintendimento sta nella deriva moralistica nella quale la psicoanalisi si impiglia quando pretende di elevare verso le categorie dello Spirito, in una sorta di Aufhbeung di stampo hegeliano, quel concetto sempre al limite fra il somatico e lo psichico che è appunto il Trieb di Freud; del resto, un concetto come quello di sublimazione è sempre al limite fra il soggettivo e il culturale, come la Valdrè ribadisce nel suo bel libro. Ecco allora che una certa psicologia dell’Io, a partire dal celebre L’io e i meccanismi di difesa di Anna Freud, fa della sublimazione un meccanismo di difesa fra gli altri; emblematico in questo è il Trattato di psicoanalisi di Fenichel che la va a rubricare fra le difese “positive”. Come potremmo cancellare il fatto, evidente nelle esperienze analitiche, di uno smarrimento del cuore del nostro essere quando la psicoanalisi diventa una psicologia dell’io narcisistico, grandioso e persino megalomanico ? La difesa dal cuore del nostro essere diviene, comunque, frustrazione in una sorta di ipostatizzazione immaginaria finalizzata al successo, alla competizione, al gareggiare, all’autoaffermazione secondo le modalità di quel celebre american way of life che, con Lacan, crediamo vada quantomeno messo in questione se non essenzialmente attraversato. Cuore del nostro essere che concerne precisamente quel punto di sostanziale mancanza attiguo all’oggetto perduto di freudiana memoria.
Veniamo, dunque, a puntualizzare alcuni argomenti fondamentali di questo libro, imprescindibile per colleghi e studenti al lavoro sugli sviluppi della sublimazione nella psicoanalisi contemporanea.
 
  1. La sublimazione nella teoria psicoanalitica
La Valdrè si interroga approfonditamente sui motivi di un eclissarsi del concetto di sublimazione nella psicoanalisi post-freudiana, eccezion fatta per quella di matrice francofona.
Enuclea allora tre tesi: una concerne il declino di patologie nevrotiche, in linea con una sorta di anti-sublimazione sociale, nel mondo contemporaneo, a favore dei casi di psicosi e cosiddetti borderline maggiormente dediti agli agiti e al godimento; un’altra avrebbe a che fare con una criticità relativa al rendere ragione nella praxis clinica delle operazioni sublimatorie. Pur certo assennate e non disdicevoli, queste due tesi ci paiono meno convincenti della terza, focalizzata sul cambiamento di paradigma epistemologico nella psicoanalisi nel momento in cui si considera, con la celebre frase di Fairbairn, la libido come object-seeking anziché come ricerca del piacere e del soddisfacimento. La sublimazione è relativa alla pulsione, soprattutto alla pulsione sessuale; la sublimazione è un destino della pulsione. Se si tralascia quel concetto fondamentale della metapsicologia freudiana che è la pulsione, viene meno anche l’interesse per la sublimazione.
Cosa sostituisce, dunque, la funzione della sublimazione nella psicoanalisi? La Valdrè ripercorre il cammino degli autori influenzati dalla scuola ungherese: da Ferenczi, dai Balint, da Imre Hermann. Dal momento che essi valorizzano la relazione intersoggettiva e addirittura l’istinto, il concetto fondante di pulsione conosce un declino. Poiché, a iniziare da validi e innovativi allievi di Freud come Abraham, l’ontogenesi prenderebbe una prospettiva evolutiva dagli oggetti pregenitale (orale e anale) alla genitalità, pregnante diventa la relazione con l’oggetto. Se, con la Klein, l’oggetto parziale della posizione schizoparanoide si evolve in un oggetto riparabile nella posizione depressiva, allora la sublimazione viene rimpiazzata dal concetto di riparazione. E’ questa una tesi ripresa da lavori di Francesco Conrotto riguardo alla quale la Valdrè sottolinea giustamente criticità e lacune. Fermo restando il ruolo apicale di un passaggio come quello che conduce, via assunzione del senso di colpa, alla prospettiva di riparazione dell’oggetto che si crede di aver danneggiato, nello zelo riparatorio viene meno il cambiamento di meta che sta alla base della sublimazione. Nella riparazione, l’individuo cerca di restaurare quanto danneggiato mantenendo sempre il rapporto con lo stesso oggetto; nella sublimazione, invece, cambia la meta che da sessuale diviene artistica o culturale oppure ancora sociale.
In Winnicott, il posto lasciato vacante quando il concetto di sublimazione giunge al crepuscolo, viene denominato “spazio potenziale”, luogo dell’instaurarsi dei fenomeni dell’area transizionale e, segnatamente, di quelle manifestazioni di creatività che rendono l’esistenza vitale e dinamica. In Bion, le trasformazioni verso l’estetica vanno nella direzione di un nuovo modo di dire la sublimazione che non ci risulta sia mai stata in quanto tale al centro della sua terminologia; l’emozione suscitata dall’opera d’arte è un ottimo esempio di trasformazioni in O, del divenire O. Dal suo vertice, Matte Blanco fa qualche accenno alle idee che potrebbero levare la sofferenza sintomatica in modo analogo alla sublimazione ma non dedica, a nostra conoscenza, ampie riflessioni alla sublimazione.
In effetti, con autori come Meltzer e lo stesso Bion, sono l’incremento del ruolo della parola, la pensabilità dei pensieri, l’aumento delle risorse volte alla mentalizzazione, lo sviluppo della capacità di sognare, i fattori che fanno dell’esperienza analitica stessa un momento estetico e sublimatorio. Trovarsi nel campo, nel quale emerge il terzo analitico, per dirla con Ogden, è già un’esperienza artistica analoga alla sublimazione. Non a caso, lo stesso Ogden ha pubblicato un considerevole testo denominato L’arte della psicoanalisi e Bowlby intitola La psicoanalisi come arte e come scienza un ricco e dettagliato capitolo del suo libro sulla teoria dell’attaccamento e la base sicura.
Del resto, sia Freud sia Lacan sostenevano esplicitamente che l’artista sia già sulle piste dell’inconscio. L’artista precede sempre lo psicoanalista in quanto, pur senza un’esperienza clinica e senza aver attraversato un proprio percorso analitico, gli spiana la strada. Per Freud, i poeti sanno più dei filosofi, specialmente quanto alla via regia per giungere all’inconscio che è il sogno.
Rossella Valdrè si chiede, a giusto titolo, come leggere questi avanzamenti teorici: “siamo nel terreno di rivisitazioni della sublimazione o siamo definitivamente in altro ?” Concordiamo sulla risposta scritta a chiare lettere in quanto “la sublimazione non esiste se non all’interno della teoria pulsionale” (p. 49). Trovo sia questa la tesi fondamentale del libro; quando si smarrisce il concetto di pulsione, persino in nome di un più edulcorato e spirituale riferimento al desiderio, vengono meno le coordinate intorno alle quali si organizza la sublimazione. Del resto, è il diffondersi stesso dei trattamenti monosettimanali a scapito delle 3 o 4 sedute la settimana, a rendere le cure simmetriche e relazionali in un ridursi delle elaborazioni sulla sostanza pulsionale e, dunque, sulla sublimazione stessa.
 
  1. Sublimazione e lutto per l’oggetto perduto
Rossella Valdrè, con dovizia di particolari e con resoconti precisi, riscontra un frequente collegamento fra l’operazione sublimatoria e il lavoro del lutto. La celebre Recherche di Proust fa seguito alla morte dei genitori, Amleto viene scritto da Shakespeare dopo la scomparsa del padre, la pittura di Schiele è segnata dalla morte del padre e dei figli, L’urlo di Munch compare dopo il decesso della madre e della sorella.
Quando un oggetto affettivo va perduto, dinanzi a una separazione, a un distacco, a un decesso, ci si sente non di rado spronati a mettersi al lavoro con un afflato di creatività e di inventiva inedita. La libido, da tempo investita su un oggetto carico di valore sentimentale o erotico, non può giungere alla meta e viene rielaborata in una produzione, in un’opera che conserva spesso le tracce di ciò che è andato perduto.  Giustamente ricordiamo, sogniamo, fantastichiamo intorno all’oggetto perduto ma, poi, viene il giorno in cui reagiamo iniziando a produrre.
La Valdrè cita testualmente un passo di Anzieu, secondo il quale “l’opera si costruisce contro il lavoro della morte”. Vi è una vitalità nell’opera sublimatoria, nella passione coinvolgente ed entusiasmante che ci abbranca quando leggiamo, scriviamo, dipingiamo, cantiamo sotto la doccia, suoniamo, realizziamo un video (p. 96). Come dimenticare l’insegnamento di Foucault quando, in una delle appendici a Storia della follia nell’età classica, considera la follia quale assenza d’opera ?
Un tratto malinconico, una sofferenza accostabile allo spleen di Baudelaire, un costeggiare il vuoto depressivo, una sfumatura di tristezza: un elemento di tal fatta viene qui considerato indispensabile per radicarvi la spinta creativa. L’oggetto mancante e l’oggetto perduto fanno da propulsore alla ricerca intrinseca all’operazione sublimatoria.
Come situare questa ipotesi teorica nel più vasto contesto della società contemporanea ? In fondo, il vero grande lutto che la psicoanalisi stessa sta compiendo, come Jacques Alain Miller ha sottolineato a più riprese, è il graduale lutto del padre edipico. Dal padre si passa oggi a qualcos’altro. Quello che subentra al padre, evaporato e storicamente in declino, è proprio l’oggetto pulsionale. L’epoca della legge del padre, l’epoca del padre edipico via via scompare in favore della progressiva ascesa alla vetta sociale dell’oggetto. Alcune azioni sublimatorie traggono spunto da tracce paterne e si inseriscono sovente in una più vasta e struggente ricerca di residui del padre morto o del padre che si è allontanato dopo la separazione dalla moglie.
 
 
  1. La sublimazione nella psicosi
Nella psicosi, l’oggetto non è perduto. Si tratta di individui non separati dalla Cosa, dal Das Ding freudiano. Per la carenza del significante paterno, non riescono a estrarre l’oggetto pulsionale; ciò si riscontra in vari modi e con gradazioni diverse che vanno dai soggetti ben compensati e stabilizzati sino ai casi assediati da persecutorietà e deliri.  
In caso di psicosi, il soggetto è comunque sostanzialmente privo di un proprio desiderio e privo di una propria pulsione. Questo può sembrare contraddittorio in quanto ogni essere umano, indipendentemente dalla propria diagnosi clinica, è un essere pulsionale. Nella psicosi, tuttavia, il soggetto si trova privo di una propria pulsione in quanto egli è invaso dalla pulsione dell’Altro, è devastato dalla pulsione dell’Altro. Ne è un esempio eclatante Schreber, invaso dai raggi divini che gli impongono un godimento continuo, femminilizzante, nel senso della direzione verso la trasformazione in donna. Schreber non è un soggetto pulsionale mentre viene devastato dal godimento delirante di quell’Altro assoluto che è Dio. Quando abbiamo a che fare con un soggetto di desiderio, con un soggetto caratterizzato dalla pulsione erotica, sappiamo che la sua diagnosi clinica è diversa dalla diagnosi di psicosi.
La sublimazione, nei casi di psicosi, consiste in un lavoro sulla pulsione dell’Altro anziché sulla pulsione soggettiva. In queste situazioni cliniche, l’invenzione sublimatoria risulta strettamente attinente alla costruzione, sempre precaria come la Valdrè sottolinea a proposito della sublimazione stessa, di una supplenza al significante del Nome del Padre la cui Verwerfung sta, quantomeno nella lettura lacaniana di Freud, al cuore della struttura psicotica. Se la follia è assenza d’opera, la Valdré rimarca come spesso sia proprio dalla follia che trae origine quel tentativo di guarigione dalla psicosi che è l’opera sublimatoria.
In questo libro si sostiene la tesi di un epocale cambiamento socio-culturale che determina un frequente cambiamento del meccanismo fondamentale dell’economia psichica: non si tratta più tanto della Verdrangung (rimozione) come agli albori della psicoanalisi quanto appunto della Verwerfung (rigetto). Ciò viene argomentato con diversi riferimenti a recenti testi di colleghi fra i quali spiccano quelli di Conrotto.
La pittura pare sia la forma artistica più efficace nel trattamento del disfunzionamento dell’immagine corporea, a volte fissata a un livello di frammentazione che non permette neppure il raggiungimento del giubilo dinanzi alla propria immagine speculare. Per questo – come esplicitato in questo libro – l’arteterapia pittorica viene spesso utilizzata in contesti di cura delle problematiche psicopatologiche.
 
  1. Controtransfert e idealizzazione
Come ultimo punto, che estrapoliamo da un testo di ottimo livello da leggere passo passo, vi è un dubbio fondamentale del quale l’autrice ci rende edotti riconducendoci a quella da me descritta sopra come eventuale trappola di cui è forse intriso il concetto di sublimazione. Chi ci promette che non sia un inganno controtransferale dell’analista quello di idealizzare la sublimazione ? Come negare quanto ella scrive quando parla del sentirsi lusingati, del provare gratificazione nel vedere riscontri sublimatori da parte dei propri pazienti ? Non vi è il pericolo di credere alla via sublimatoria come percorso ideale di un’analisi, soprattutto per quanto concerne la fase finale dell’analisi stessa ? Terreno che, come sottolinea la Valdrè, è tanto più scivoloso quando si tratta di analisi cosiddette “didattiche” nelle quali riceviamo colleghi che praticano già oppure intendono praticare la psicoanalisi.
Non di rado, si sottolinea il valore della generatività, della capacità di produrre e di creare come segno se non di guarigione quantomeno di avanzamento dell’analisi in direzione conclusiva. Si valorizza, dunque, molto la desessualizzazione della libido facendo del desiderio meno qualcosa di terreno e carnale mentre molto più qualcosa di trascendente. L’autrice giustamente coglie in questo l’eventualità di un operare dell’analista sulla base di una propria pruderie moraleggiante oppure di una discriminazione fra risultati higher oppure lower dell’analisi, secondo un “concetto valutativo che è esente dalla cura psicoanalitica” (p. 82).
In sintesi, nelle conclusioni, Rossella Valdrè propone una frase paradigmatica sulla sublimazione oggi: occorre “ridare piena dignità al concetto, senza farne un atto di fede o un vincolante e difensivo feticcio” (p. 139). Condividiamo senza dubbio questa frase.

 

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