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COVID-19: Palingenesi della psicologia professionale

29 Mar 20

A cura di Luigi D'Elia

Siamo in giorni decisivi, anche se sembrano da tre settimane tutti uguali per la gran parte di noi, confinati in questo ricovero planetario.

Sono decisivi per le sorti dell’Europa, i cui ragionieri-burocrati si sono presi il lusso di riflettere per ben due settimane sulle urgenze degli stati devastati dalla crisi pandemica, sanitaria e economica. L’Europa come soggetto etico-politico non esiste. Si occupa di conti durante le emergenze planetarie. È un soggetto sociopatico che va rinchiuso e gli va impedito di nuocere.

Ma, cambiando totalmente scala e scenario, sono giorni decisivi anche per il futuro della mia professione dove questa crisi prefigura un vero e proprio spartiacque e prospetta un drastico dimagramento interno.

Un breve, stupefacente, sondaggio tra amici e conoscenti colleghi mi ha fatto immediatamente intendere che sono moltissimi coloro che in questi giorni hanno perso tutti (dicasi tutti) i pazienti nel passaggio ad un’eventuale prosecuzione online, e moltissimi coloro che hanno subito drammatiche perdite. Quasi nessuno di noi non ha subito importanti riduzioni di lavoro. Certamente non si tratterà di una sfortunata parentesi. Il mondo che ci aspetta dopo non sarà esattamente quello che abbiamo lasciato i primi di marzo 2020.

Tale scenario, prolungato nei mesi di isolamento che ci attendono, significa che presumibilmente saranno molti i colleghi che chiuderanno lo studio e cambieranno attività o semplicemente rimarranno senza lavoro in una situazione di contrazione economica di una certa rilevanza.

Poco male, qualcuno commenterà, ed in effetti l’esorbitante numero di iscritti agli ordini regionali (113.000 in tutto, di cui solo una metà esercita effettivamente) forse richiedevano un diluvio purificatore che né l’università, né i ministeri competenti, né gli Ordini stessi, sono mai stati in grado di pianificare. 
In mancanza di una politica di selezione e qualità, mai vista in questi primi 31 anni dalla legge 56/89, dobbiamo affidarci alla lungimirante falce livellatrice di Sir Charles Darwin che con la sua legge della selezione naturale ci indica come gli stravolgimenti degli ecosistemi permettano solo agli organismi più adattati e/o che riescono più velocemente a mutare, la fortuna di sopravvivere al diluvio.

Quindi lo scenario che ci aspetta presumibilmente dopo questa crisi è che le poche migliaia di colleghi sopravvissuti saranno quelli già ben posizionati e quei pochissimi che diventeranno ingegnosi.
Tutto questo, naturalmente, nell’ottica praticamente unica qui in Italia, del ruolo totalmente privatistico della nostra professione. Situazione, questa del collocamento privatistico degli psicologi, implementata fin dalle origini della fondazione della professione e replicata da ogni organismo formativo in questi decenni.

Ma veniamo al ruolo che la nostra comunità professionale sta giocando in questo momento di crisi (già mi sembra di sentire i commenti: “quale ruolo??”).

Il 17 Marzo, in preda al più profondo sconforto, scrivo una lettera aperta al governo sul mio profilo facebook con invito a recapitarla a chi di dovere, che diventa, nel suo piccolo, virale.

In calce, qui in fondo all'articolo, potete leggerne il contenuto completo che riassumo nella frase ad effetto: lasciare oggi 113.000 psicologi, a casa, in quarantena, a prendersi cura al massimo dei propri clienti, è come lasciare durante una guerra i carri armati in garage. Non ho alcun dubbio nell'affermare che in questo momento storico l'Italia ha bisogno urgente di psicologi subito dopo l'urgenza di infermieri, medici e personale in prima linea
Mi industrio subito dopo, sempre nella stessa lettera, a documentare nel dettaglio e solidi argomenti l’urgenza del nostro operato in ogni ambito pubblico in questo momento drammatico per il paese.

Non sono così ingenuo da aspettarmi una risposta, la mia è stata semplicemente una chiamata alle armi, ed infatti il mio Presidente Nazionale, David Lazzari (che conosco ed è una brava persona anche molto preparata e si è appena insediato in quel ruolo) mi risponde nei commenti di quel post (mai successo con altri presidenti) ringraziandomi e ricordando le iniziative che l’Ordine sta prendendo a favore della popolazione.

Sì, ma quali sono le iniziative prese dagli Ordini? E quanto incidono? E quale impatto hanno sulla popolazione? E quale impatto hanno sul burn out di medici e infermieri (alle stelle)?
Credo che la risposta la immaginate tutti. Praticamente 0 (zero).

Una goccia nell’oceano: ciò che è stato fatto dai vari Ordini sono: vademecum sulla gestione dell’ansia e liste di psicologi volontari rintracciabili attraverso i siti degli Ordini disponibili a contenere, estemporaneamente, tramite telefono o videochiamata, le ansie estemporanee dei cittadini. Mi ricordano tanto i depliant degli aerei in caso di sciagura: utilissimi come un’estrema unzione.
Non credo che saranno in molti a chiamare… anche perché la notizia, tra l’altro, non è apparsa nei canali pubblici.

Ma zero non è una sorpresa per chi come me segue da circa 30 anni, in svariate vesti, l’evoluzione nostrana di questa professione. Zero è il peso specifico della psicologia italiana. Zero è l’accreditamento sociale che la nostra comunità professionale possiede. Nessuno pensa che il nostro sia un lavoro essenziale, nemmeno in un momento come questo. Ma non lo pensano per primi gli stessi psicologi, abituati a confrontarsi con il pensiero unico privatistico.

Gli unici che conoscono l’essenzialità del nostro operato sono i pochi utenti privati e pubblici che ci frequentano. Direi che non sono affatto una massa critica per determinare una consapevolezza della nostra utilità sociale. È questa la scelta che oggi tutti noi stiamo amaramente pagando: la decisione che il nostro servizio non fosse pubblico.

Il nostro “pubblico” sono le poche decine di persone ben paganti che ci sono immensamente grate. Ma solo loro. È solo per loro che abbiamo studiato 10-15 anni prima di esercitare. Demenziale.

Ripeto, il Dr. Lazzari, ma anche tutti gli altri colleghi che dirigono i vari Ordini regionali, ricevono nella maggior parte dei casi copiosamente la mia stima personale e professionale. Non è questo il punto, non sono loro il problema, anzi la qualità della nostra classe dirigente è persino verticalmente aumentata negli ultimi anni. Ma è del tutto evidente che mai, come in un caso come questo, ciò che si evidenzia è l’assoluta inutilità di questa istituzione. Che non può e non riesce in alcun modo a veicolare ruolo e funzione pubblica dei servizi offerti da questa comunità professionale.

Se una consapevolezza dobbiamo tutti raggiungere dopo questo diluvio professionale è che una professione come la nostra o diventa organicamente pubblica e incide significativamente sulla salute dei cittadini, oppure, se come prevedibile, rimarrà privata, dovrà essere, coerentemente, gestita da organismi privato-sociali (Associazioni Scientifiche) che sostituiscano le funzioni istituzionali pubbliche degli attuali Ordini (tutela dei cittadini, criteri di accesso alla professione, etc.) ma che aggiungano a questi criteri-base, gli essenziali criteri di selezione drastica e qualità scientifica e professionale dei propri membri che nessun Ordine è nella posizione di poter realizzare.

Spero proprio, prima di lasciare questo mondo, di assistere a un passaggio di questo tipo e personalmente lo agevolerei in ogni modo.

Il diluvio ci indichi la strada non solo del dimezzamento (forzoso) dei professionisti, ma anche quella del definitivo superamento (programmato) di un organismo che non è nella posizione di rappresentare e promuovere la professione presso la società civile.

Una psicologia professionale che non venga in occasioni come questa considerata “asset strategico” dallo Stato al pari dei rianimatori, degli infermieri specializzati, etc, è meglio che scompaia e risorga dalle proprie ceneri con maggiore consapevolezza di se stessa e della propria concreta funzione sociale.

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17/03/2020

Lettera aperta al governo da uno psicologo in quarantena.



Gentile Presidente Giuseppe Conte, e Ministro Roberto Speranza, oggi ci troviamo tutti nella medesima condizione di impattare una crisi sanitaria e sociale senza precedenti e di carattere globale. Tutti noi, indipendentemente dal ruolo e dalle funzioni che svolgiamo nella società, siamo chiamati a rispondere ad una responsabilità collettiva rispettando con rigore tutte le disposizioni sanitarie. Mai come in questo momento, a causa di questa pandemia, è tangibile lo stretto legame che ognuno di noi intrattiene con il prossimo. Mai come in questo momento si rende visibile la natura collettiva e sociale della mente.

Come professionista della salute mentale, seppure operante nel settore privato, sento di ricevere in questo momento storico un compito ulteriore, molto più ampio di quanto mi è già richiesto dallo stretto numero di pazienti che seguo e che continuo a seguire online laddove possibile.
Sento cioè il disagio, condiviso da gran parte della mia comunità professionale, di essere, assieme a tutti i miei colleghi psicologi, drammaticamente sottoutilizzato a fronte dell'emergenza collettiva in corso. Mi spiego.

Facciamo due conti: gli psicologi iscritti agli ordini in Italia sono circa 113.000, un numero spropositato rispetto alla possibilità realistica di impiego pubblico, ed infatti la percentuale operante nel servizio pubblico è bassissima (3% se non sbaglio).
E' sempre mancata in Italia la cultura dell'intervento preventivo sulla salute mentale e sulla qualità dei nostri stili di vita. Nei servizi pubblici la possibilità di accedere ad una psicoterapia (servizio previsto dai LEA) è di fatto un diritto inesigibile: manca quasi sempre il personale, manca quasi sempre la cultura della prevenzione (tranne in piccole oasi fortunate).
La maggioranza dei 113.000 colleghi aspira a diventare libero professionista e tutta la sua formazione è quasi sempre fortemente orientata in senso privatistico.
Nonostante ciò sono moltissimi i colleghi impegnati in lavori sociali di elevatissima rilevanza e utilità, ma di bassissima considerazione economica.
Siamo, tra l'altro, credo, l'unico paese del primo mondo a cui manca un inquadramento istituzionale dello psicologo scolastico.

Non voglio entrare nelle tristi considerazioni circa i tagli alla sanità dei nostri precedenti governi, anche se dovremmo farlo prima o poi.

Ma non voglio nemmeno che questa mia lettera appaia in alcun modo come una rivendicazione corporativistica o sindacale in un momento come questo, tutto al contrario.

Sto dicendo un'altra cosa: sto dicendo che lasciare oggi 113.000 psicologi, a casa, in quarantena, a prendersi cura al massimo dei propri clienti, è come lasciare durante una guerra i carri armati in garage,

Non ho alcun dubbio nell'affermare che in questo momento storico l'Italia ha bisogno urgente di psicologi subito dopo l'urgenza di infermieri, medici e personale in prima linea.

Provo a spiegarglielo basandomi su una review del Lancet del 26 Febbraio (https://www.thelancet.com/action/showPdf?pii=S0140-6736%2820%2930460-8) che compendia tutti i recenti studi sull'impatto sulla salute mentale (ma anche sulla compliance alle misure pubbliche) delle quarantene.

In sintesi ciò che emerge da questa meta-analisi (da cui traggono spunto anche quelli dell'American Psychiatric Association) è questo:

1. sono PARTICOLARMENTE sovraesposti alla condizione di ammalamento psicologico/psichiatrico in questo momento persone psicologicamente già vulnerabili assieme al personale sanitario che invece è in prima linea
2. Sono esposti a stress forti, depressione, ansia acuta, problematiche di convivenza, TUTTI I CITTADINI.
3. Il ruolo della comunicazione istituzionale (del rischio e della partecipazione alle regole) è un ruolo chiave e decisivo
4. Fondamentale saper utilizzare e saper indicare le fonti di informazione adeguate
5. Decisivo saper rassicurare e sostenere i cittadini in questi momenti difficili sia per i beni di consumo che per il futuro economico.
6 Importantissimo saper dare scadenze riguardo la fine della quarantena
7. Fondamentale è saper attivare i comportamenti prosociali e altruistici.
8. Decisivo è saper prevedere gli effetti della restrizione della libertà prolungata su larga scala.

Su queste come su moltissime altre funzioni, le competenze- base dello psicologo sono decisive per il bene pubblico.

Ma non solo:
A. Occorre sostenere il personale medico e il rischio elevato di burn out.
B. Occorre aiutare professionalmente tutte le persone che vanno ripetutamente in crisi a causa dell'isolamento forzato o per la paura di ammalarsi e morire.
C. Occorre fornire accesso gratuito a tutta la popolazione a servizi telefonici o a incontri online in videochiamata.
E così via…

Non so se e come si stia pensando alla salute psicologica pubblica in questo momento, ma una cosa è certa: 113.000 psicologi a casa, semi-inattivi, e la cittadinanza che sta male è qualcosa che dal mio modesto punto di vista risulta inaccettabile.

Cordialmente

Luigi D'Elia
Psicologo, Psicoterapeuta, Roma, Docente di Psicologia Sociale (Scienze dell'amministrazione e Organizzazioni del San Raffaele di Roma)

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