La psichiatria è una scienza che si occupa anche di sogni, dei pazienti e degli operatori. Fare della terapia consiste nella possibilità di rendere i sogni sognabili e i desideri percorribili, esattamente nel momento in cui essi si trovano ad essere nascosti, negati e spesso taciuti. Si tratta di sogni certamente individuali, ma anche collettivi: il sogno dei nostri pazienti di essere nel mondo, nonostante tutto, non è forse il desiderio di un mondo più accogliente e quindi desiderabile per tutti?
La psichiatria italiana, grazie alla legge 180, che ha portato alla chiusura degli ospedali psichiatrici, ha osato pensare un’utopia[1], ispirandosi a una visione inclusiva della società, che tenesse conto della possibilità di essere nel mondo, dei progetti e del diritto alla cittadinanza delle persone che soffrono di disturbi mentali. Essa ha cercato di rendere possibile un pensiero e una pratica dell’alterità, ricollocando individui che abitavano l’istituzione totale, del tutto esclusi dagli scambi sociali, all’interno di un mondo, di una città e di un contesto di vita quotidiana in cui le relazioni siano nuovamente possibili (Bruno 2017). Questa bella legge, che è ancora oggi fonte di ispirazione per la psichiatria europea, “cercava, con forza, di modificare non solo le rappresentazioni che avevamo dei malati, ma anche le nostre pratiche nei loro confronti e, in un certo modo, le loro vite. Essa affermava che potevamo vivere tutti insieme, ne avevamo interesse e moltissimo da guadagnarci, sia per gli uni che per gli altri. Questo spirito rivoluzionario ha bisogno di essere sostenuto ancora oggi nella clinica contemporanea che, se non si sta in guardia, rischia di dimenticarlo” (Moro 2017: X).
La forza e la grandezza della 180 risiede nel fatto che essa è una legge insatura, che enuncia dei principi ispiratori, la cui implementazione è affidata alla riflessione e all’azione degli enti sanitari e delle amministrazioni locali (de Leonardis 1988). Questa struttura “aperta” le ha permesso di generare esperienze davvero innovative nel campo della salute mentale e di contemplare punti di vista assai vari, che rendevano conto della complessità del modello bio-psico-sociale applicato alla clinica medica, in modo “laico” e non pregiudiziale. Molti progressi sono stati ottenuti non solo grazie alla ricerca in campo psicofarmacologico, ma anche alla sperimentazione di nuovi approcci in campo socio-riabilitativo e psicoterapico. Per limitarci a quest’ultimo, si potrebbe osservare che la legge Basaglia, chiudendo i manicomi, ha permesso interessanti esperienze di ispirazione dinamica e sistemica, ad esempio, applicate anche a casi gravi.
Questa ricchezza multidisciplinare, che è il nutrimento della nostra terapia, è oggi messa in crisi da approcci sempre più burocratizzati e aziendalistici che mortificano e appiattiscono la creatività e la vitalità delle équipe psichiatriche, che rimangono il vero antidoto contro le istanze più primitive e mortifere espresse dai pazienti che ci vengono a consultare. L’esiguità degli investimenti pubblici in termini di risorse e di personale non fa che aggravare il quadro: attualmente i centri di salute mentale si trovano ad essere saturi, le liste di attesa si prolungano sempre di più nonostante la buona volontà degli operatori, la penuria di specialisti psichiatri impiegati nella sanità pubblica è di giorno in giorno più evidente. Alcune interpretazioni recenti della legge 180, restrittive e ispirate a temi securitari, nonché l’introduzione della nozione di “posizione di garanzia” dello psichiatra all’interno delle sentenze della Magistratura hanno inoltre portato all’esercizio di una psichiatria sempre più arroccata e difensiva, che ripropone, sotto un’apparente indoratura, vecchi schemi d’intervento tesi all’esercizio di un controllo sociale che si è fatto certamente più diffuso, ma non per questo meno insidioso. Tali derive in cui il Trattamento Sanitario Obbligatorio, ad esempio, assume valenze più custodialistiche che di cura, coesistono in modo paradossale con movimenti di pazienti e di familiari che rivendicano a gran voce maggiori diritti nei campi della libertà personale e delle terapie ispirate a una medicina personalizzata e centrata sulle persone. In tale contesto in cui la cronica mancanza di risorse rende sempre più difficile un lavoro di lungo respiro sul territorio, al punto da partecipare alla costruzione di scenari sempre più emergenziali, e in cui l’esercizio della medicina difensiva svuota di senso il lavoro degli operatori (Di Petta, 2017), gli psichiatri italiani si trovano sempre più spesso divisi in fazioni che non dialogano tra loro, impauriti, sopraffatti e demotivati.
La legge 180 è frutto di un processo collettivo che ha portato alla sua promulgazione, e della creazione di un immaginario che dava diritto di cittadinanza all’alterità. La creazione continua di scenari possibili è la premessa indispensabile per cambiare le cose e il mondo, in modo tale che ciascuno possa trovare il proprio posto (Moro 2017). La 180 ci ricorda oggi non solo i principi di cura a cui si ispira il nostro lavoro, ma soprattutto che la condivisione delle idee e delle esperienze è il necessario punto di partenza per sognare un mondo e un futuro possibile, in cui le utopie si possano realizzare.
BIBLIOGRAFIA
Basaglia F (2005) L’utopia della realtà. A cura di Ongaro Basaglia F. Torino: Einaudi.
Bruno D. (2017) Alle Frontiere della 180. Storie di migranti e psichiatria pubblica. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore.
De Leonardis O. (1988) Il ciclo di una politica: la riforma psichiatrica. In: Donolo C, Fichera F, eds. Le vie dell’innovazione. Milano: Feltrinelli.
Di Petta G. (2017) E lentamente muore la psichiatria italiana.
Moro M.R. (2017) Et si nous aimions nos ados? Paris: Bayard
Moro M.R. (2017) Abitare lo stesso mondo. Verso maggiori legami, verso più tenerezza, verso un’etica della fragilità. Presentazione a Bruno D. (2017) Alle Frontiere della 180. Storie di migranti e psichiatria pubblica. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore.
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