Il caso e la necessità
Antinomie. Potenza e impotenza, libertà e costrizione, attività e passività, possibilità e impossibilità, ripetizione ed improvvisazione, natura e cultura… Caso e necessità.
Il percorso di individuazione si sviluppa, a partire dalla sua più remota origine, nel confronto e nella risoluzione di infinite antinomie; alternative che, mentre determinano la perdita irrevocabile di una serie di linee evolutive possibili, ne affermano altre, fino a costituire una identità certa della sua forma e del suo essere, e capace anzi di informare di sé il mondo, a patto di accettare il proprio definitivo consolidamento
Antinomie, che trovano tutte una soluzione al confine tra le possibilità: una frontiera mobile, che spesso la psichiatria é chiamata a presidiare; una frontiera come quella che c’è tra la depressione, o esperienza della impotenza assoluta, fino al non esserci più per implosione, e la mania, o esperienza della potenza assoluta, fino al non esserci più per esplosione; una frontiera sulla quale diciamo collocarsi la normalità dell’essere sé, invarianti nella propria sicura, anche se limitata, forma e ricchi di una potenza relativa.
Qualche cosa, allora, nel nostro mestiere si può sempre fare; collocati anche noi su una frontiera mobile, fra natura e cultura, ognuna di queste dotata di una propria forma di azzardo e di una propria forma di necessità dell’esserci.
“I caratteri acquisiti non sono trasmissibili…”: non è più così vero. Come forma di transizione, come frontiera tra caso e necessità, l’epigenetica ci insegna come ciò che accade anche casualmente nell’esperienza modifichi l’espressione di ciò che è invariante nella sua necessità: il patrimonio genetico risponde all’esperienza, e quel che accade – la concreta espressione dell’umano – è quindi sul limite, sulla frontiera…
Anche la presa di dimora della mente nel corpo è un incontro, che avviene tra due realtà libere e necessitate insieme; lo spazio prossimale di sviluppo del bambino è l’area in cui la madre e gli adulti trasmettono a lui, ma anche all’attualizzarsi del suo genoma, la cultura proprio di quel luogo, e proprio di quel tempo; e forse è per questo che i recettori ed i leganti non cambiano nella loro struttura, ma le malattie cambiano nella loro espressione, che è cultura. Scomparse allo stesso modo le isteriche viennesi e le tarantate del Salento, oggi la malattia è divenuta esplicitamente malattia della frontiera; disturbo di personalità, come forma di esistenza fluida, e per questo mancata, conflitto irrisolto tra libertà interiori e libertà esteriori, diversa malattia di una diversa mente e di un diverso cervello.
Diversa la malattia, diversa la cura: se il farmaco interviene precocemente a sanare un disagio, quel disagio lederà meno il fondo fondamentale non vissuto (forse era anche questo l’ “Unerlebte Untergrund” di Kurt Schneider); diversa la modulazione tra interventi legati un po’ più alla natura o un po’ più alla cultura, e più mobile la frontiera che unisce (separa) il farmaco e la relazione terapeutica…
Diversa la cultura, diversa la malattia, diversa la legge: di nessuna malattia si interessa o si è interessato il diritto, se non delle malattie della mente, perché assai più delle altre malattie dell’uomo: e anche di questo ci dobbiamo occupare.
Così, ancora una domanda: la frontiera, mobile o immobile, è più a separare ciò che tiene comunque unito, o più ad unire ciò che tiene comunque separato?
Forse, come scriveva Toquinho, “…la vita, amico, è l’arte dell’incontro.”
Il congresso come ogni anno si articolerà in tre moduli, due in plenaria e uno in gruppi
Il percorso di individuazione si sviluppa, a partire dalla sua più remota origine, nel confronto e nella risoluzione di infinite antinomie; alternative che, mentre determinano la perdita irrevocabile di una serie di linee evolutive possibili, ne affermano altre, fino a costituire una identità certa della sua forma e del suo essere, e capace anzi di informare di sé il mondo, a patto di accettare il proprio definitivo consolidamento
Antinomie, che trovano tutte una soluzione al confine tra le possibilità: una frontiera mobile, che spesso la psichiatria é chiamata a presidiare; una frontiera come quella che c’è tra la depressione, o esperienza della impotenza assoluta, fino al non esserci più per implosione, e la mania, o esperienza della potenza assoluta, fino al non esserci più per esplosione; una frontiera sulla quale diciamo collocarsi la normalità dell’essere sé, invarianti nella propria sicura, anche se limitata, forma e ricchi di una potenza relativa.
Qualche cosa, allora, nel nostro mestiere si può sempre fare; collocati anche noi su una frontiera mobile, fra natura e cultura, ognuna di queste dotata di una propria forma di azzardo e di una propria forma di necessità dell’esserci.
“I caratteri acquisiti non sono trasmissibili…”: non è più così vero. Come forma di transizione, come frontiera tra caso e necessità, l’epigenetica ci insegna come ciò che accade anche casualmente nell’esperienza modifichi l’espressione di ciò che è invariante nella sua necessità: il patrimonio genetico risponde all’esperienza, e quel che accade – la concreta espressione dell’umano – è quindi sul limite, sulla frontiera…
Anche la presa di dimora della mente nel corpo è un incontro, che avviene tra due realtà libere e necessitate insieme; lo spazio prossimale di sviluppo del bambino è l’area in cui la madre e gli adulti trasmettono a lui, ma anche all’attualizzarsi del suo genoma, la cultura proprio di quel luogo, e proprio di quel tempo; e forse è per questo che i recettori ed i leganti non cambiano nella loro struttura, ma le malattie cambiano nella loro espressione, che è cultura. Scomparse allo stesso modo le isteriche viennesi e le tarantate del Salento, oggi la malattia è divenuta esplicitamente malattia della frontiera; disturbo di personalità, come forma di esistenza fluida, e per questo mancata, conflitto irrisolto tra libertà interiori e libertà esteriori, diversa malattia di una diversa mente e di un diverso cervello.
Diversa la malattia, diversa la cura: se il farmaco interviene precocemente a sanare un disagio, quel disagio lederà meno il fondo fondamentale non vissuto (forse era anche questo l’ “Unerlebte Untergrund” di Kurt Schneider); diversa la modulazione tra interventi legati un po’ più alla natura o un po’ più alla cultura, e più mobile la frontiera che unisce (separa) il farmaco e la relazione terapeutica…
Diversa la cultura, diversa la malattia, diversa la legge: di nessuna malattia si interessa o si è interessato il diritto, se non delle malattie della mente, perché assai più delle altre malattie dell’uomo: e anche di questo ci dobbiamo occupare.
Così, ancora una domanda: la frontiera, mobile o immobile, è più a separare ciò che tiene comunque unito, o più ad unire ciò che tiene comunque separato?
Forse, come scriveva Toquinho, “…la vita, amico, è l’arte dell’incontro.”
Il congresso come ogni anno si articolerà in tre moduli, due in plenaria e uno in gruppi
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