"Il linguaggio della musica è uno, ed è quello dell’anima, là dove le parole ci ingannano con i loro mille significati. È libera di volare in paradiso, di scendere nella viscere dell’inferno o di starsene a galleggiare nel limbo. Io amo quei musicisti che cantano, scrivono e suonano ogni volta come se fosse l’ultima."
Con queste parole si chiude il film di Riccardo Milani; nella finzione sono scritte da Luca Flores (Kim Rossi Stuart) in una lettera al padre (Michele Placido) prima di togliersi la vita. Con le medesime parole inizia, invece, un piccolo libro di poco più di cento pagine, Il disco del mondo, di Walter Veltroni: qui, nella realtà, lo scritto viene inviato da Staten Island il 16 ottobre nel 1990, da Luca al suo discografico.
Entrambe le opere vogliono raccontare la breve e travagliata vita del pianista jazz. La pellicola si concentra maggiormente sul periodo della maturità dell’artista, cogliendo soprattutto il sempre più evidente malessere derivato dalla malattia dell’uomo che sfocerà nel suicidio, il libro, invece, è di più ampio respiro e sembra descrivere con più affetto e partecipazione la vita dell’artista e della sua famiglia, distrutta dai lutti. In quest’ultimo traspare l’amore per la musica, per il jazz "…come musica di libertà ma anche come territorio di dolore, di umana disperazione". Manca in entrambi i lavori un maggiore approfondimento del tema della malattia (che non viene mai nominata) dell’artista che viene rappresentata e descritta legando eccessivamente e inevitabilmente la perdita della madre alla psicosi stessa.
Il film inizia con i contrastanti colori del Kenya, quattro bambini, i fratelli Flores, giocano in una spiaggia sterminata mentre la madre (Sandra Ceccarelli) veglia su di loro. Il flashback continua col ricordo di Luca bambino, che attende un bacio della buona notte che gli verrà negato a causa di una sua bravata; il giorno successivo, lui e la sorella ("Baba", Paola Cortellesi) saranno coinvolti nell’incidente che porterà loro via la madre. Questo dolore è il fulcro della storia, della vita del protagonista e dell’uomo, Luca Flores.
La disperazione e la famiglia che si disgrega: i due fratelli più grandi (Heidi e Pablo) andranno a Londra in collegio, Luca e Baba seguiranno il padre, Giovanni ("stimato geologo"), in Italia.
Terminano le drammatiche rievocazioni del passato e il film si immerge nella Firenze degli anni ottanta, dove Luca, non ancora ventenne si diploma al conservatorio da privatista impressionando la commissione in un’interpretazione "a prima vista" di un testo di Serge Rachmaninoff (piano solo). Il ragazzo, però, sembra essere stanco del rigore del classico impostogli sin da bambino e scopre, ora, il jazz con un vinile di Bud Powell, applica la sua grande precisione e dedizione, derivate dai molti anni di studio e disciplina, al jazz e trova uno stile unico.
La musica rappresenta l’unica via di fuga, unico modo per esprimere il sua sofferenza, per la morte e per la colpa ("il piccolo e il grande Luca" sente su di se la colpa per la morte della madre).
Inizia la sua carriera con quelli che rimarranno i suoi amici più cari nonostante le vicissitudini e la malattia. Durante una delle sue prime esibizioni incontra Cinzia (Jasmine Trinca), il suo più grande amore, destinato a essere sopraffatto dalla disperazione.
In questo periodo di grande espansione professionale, ha importanti collaborazioni tra cui quelle con Massimo Urbani e Chet Baker (anch’egli morto suicida).
Ma sottilmente i tragici ricordi della sua infanzia riaffiorano e a più riprese si fanno più incombenti nella sua mente, sulla sgradevoli note di un disco che si incanta, sul girare a vuoto di una ruota della Mercedes nera che costringe il corpo esanime della madre.
Luca che è sempre stato timido e riservato diventa sempre più irritabile e angosciato, si rinchiude in se stesso, riesce solo di concentrarsi sul pianoforte. Unica custode della sua inquietudine è Baba a cui confida di avere strane sensazioni, la visione di se stesso dall’esterno come mosso da fili, la sua paura del futuro e di diventare pazzo.
Le note di How far can you fly? (tratto da For Those I never Knew, 1995) sono la colonna sonora dei momenti più drammatici dei deliri, dei gesti autolesivi, dei numerosi ricoveri, dell’elettroshock.
Gli attimi in cui la tensione si allevia lasciano il tempo per un riavvicinamento con il padre e i tentativi di tornare alla musica. Intraprende un lungo viaggio solitario in Africa, raccontato nelle lettere ai fratelli: "…dovevo attraversare tutti i deserti che ho attraversato, arrivare fino a qua dove ogni cosa è semplice ed essenziale come noi non siamo…".
Ma qualcosa gli impedisce di tollerare un dolore divenuto insopportabile. Non è possibile una soluzione.
Nella biografia di Luca Flores, Veltroni racconta che How far can you fly? diviene Ladder,, scala, quella su cui sarebbe salito per togliersi la vita.
"…quanto si può andare lontano, cosa ci impedisce di volare…?".
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