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E’ possibile de-scrivere l’istituzione? (“Mine vaganti”, di Ferzan Ozpetek, 2010)

2 Ott 12

Di Guido-Ambrogini

polit

Da Wikipedia: "L’Istituzione è una forma di aggregazione sociale, organizzazione, meccanismo, struttura sociale, che governa il comportamento di due o più individui…è qualcosa di più generale di un ente, è un comportamento oggettivato. Le istituzioni si identificano con uno scopo e una durata che trascendono la vita e le intenzioni umane…"

Può l’istituzione, il nostro rapporto con l’istituzione in cui viviamo-lavoriamo essere raccontata, rappresentata? Quanto le alleanze sociali inconsce (R.Kaes, 1996), i patti, i legami che ci abitano, ci guidano e ci legano all’istituzione più o meno inconsapevolmente ci debbono tenere necessariamente nello scacco dell’irrappresentabile e quanto può essere utile invece poterli "vedere" e raccontare?

Nelle Mine vaganti forse si annuncia la possibilità di scrivere, di raccontare l’istituzione, la sua storia e i suoi legami e la possibilità di poterci vivere e non solo sopravvivere.

La famiglia Cotrone è proprietaria di uno dei più importanti pastifici del Salento, aperto dalla nonna insieme al cognato di cui si è segretamente innamorata tutta la vita. Questo segreto ricadrà sulle abitudini di una famiglia schiava del perbenismo. Tommaso è pronto a sconvolgere i piani del padre di affidargli l’azienda dichiarando apertamente la propria omosessualità, ma viene anticipato con lo stesso coming out dal fratello. Quest’ultimo a seguito di ciò viene espulso dall’azienda e il padre va incontro ad un attacco cardiaco e ad un periodo di intensa crisi per la vergogna e la delusione causata dal figlio. Tommaso dovrà così dissimulare i propri desideri e assecondare gli oneri familiari per evitare che il padre stia male.

Il personaggio Tommaso interpretato da Scamarcio potrebbe essere ciascuno di noi operatori nell’istituzione in cui lavoriamo. Tommaso è sofferente nel conflitto tra il tentativo da un lato di custodire i segreti, le ambivalenze, i dinieghi della famiglia, i vincoli della fabbrica della pasta, e dall’altro dalla voglia di andarsene lontano e non vedere più tutto ciò. La pasta di produzione familiare è pasta buona da sgranocchiare, fa sentire appartenente ma la vergogna, i segreti, la negazione di ogni verità, fanno venire la voglia di prendere le distanze. Nel film ci sono due coming out. Nella maggior parte delle critiche e delle recensioni sul film viene data importanza assoluta al momento in cui il fratello di Tommaso annuncia la propria omosessualità per potersene andare come momento di svolta della storia in cui l’affacciarsi di un elemento nuovo e dirompente determina un cambiamento in tutto il sistema familiare-istituzionale. A mio parere il processo avviene in due tempi ed è il secondo momento quello che attiva un vero cambiamento nelle dinamiche familiari, quello del coming out del protagonista. Quando Tommaso a tavola con i familiari chiede la parola e sta per fare il suo annuncio, tutti, sia noi spettatori che i personaggi del film (che custodiscono il segreto del non ancora detto), ci aspettiamo che anche lui voglia finalmente svelare la propria omosessualità così faticosamente custodita. Invece rivela che lui ha deciso di dedicarsi alla scrittura. E il film mostra come questo annuncio rimobilizza la storia, come consente la ricircolazione delle comunicazioni, delle emozioni, il riavvicinamento e la ridefinizione delle distanze tra i familiari. La vita e la morte riprendono il loro posto (la nonna "può morire" e lasciare i propri familiari). Credo che il fatto che qualcuno si sia assunto il compito di scrivere, de-scrivere, ri-scrivere la storia familiare-istituzionale consente che vengano accolti i traumi, e i conseguenti segreti, delle generazioni precedenti, "segregati" nei vissuti o meglio nei non vissuti familiari.

Come sostiene Kaes ognuno di noi è diviso tra la doppia necessità da un lato di essere autonomo, di determinare la propria vita psichica, dall’altro di essere anello di una catena intersoggettiva cui è assoggettato senza la partecipazione della sua volontà. Il soggetto tenta di pensarsi libero, ma è nello stesso tempo soggetto del gruppo, anello di una catena che credo possa essere distinta in longitudinale e trasversale. La prima è quella che ci lega alle generazioni precedenti attraverso identificazioni inconsce e mute, per cui il soggetto porta in sé qualcosa che non gli appartiene. La seconda è quella delle relazioni attuali, quella matrice di investimenti, quell’insieme intersoggettivo in cui siamo immersi, fatto di protezioni, di attacchi, di regole, di interdizioni che fa sì che in ognuno di noi abiti la presenza conosciuta o più spesso misconosciuta di più di un altro.

Come nel film queste catene ci abitano, determinano le nostre adesioni e le nostre ribellioni. Ma il problema, come sostiene A.Ferro, non è tanto che tutto ciò si manifesti nei nostri disagi e in comportamenti a volte disturbati, inevitabile segno di vitalità e di partecipazione emotiva. Il problema è non essere in grado di individuare i legami che ci abitano e si impongono in noi, il problema è non poterli descrivere, raccontare, rappresentare…

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