"La prima considerazione è che abbiamo tempo da perdere o meglio da regalarci."
Rocco Papaleo
Tornano i Basilischi. Tornano dopo cinquant’anni e non sono gli stessi, anche se alcuni residui dell’immobilismo lucano, ovviamente, restano. I basilischi di oggi non li vediamo sotto l’incantesimo della siesta come ce li ha resi Lina Wertmüller nella scena memorabile del suo film. La si trova su Youtube cercando Il pranzo dei terroni: cinque minuti e mezzo di silenzio, in cui tutti nella controra sono tra le braccia di Morfeo, vero santo patrono del paese.
I basilischi di oggi sono ritratti ironicamente on the road; in un gioco, quello del titolo, scoperto e coerente fino alla fine. Allora, se di gioco si tratta, perché parlarne in una rubrica di Cinema e Psicologia? Semplicemente perché, senza scomodare Freud e il motto di spirito, psicologia non fa rima soltanto con nostalgia, malinconia, patologia eccetera, ma per fortuna anche con ironia, allegria, fantasia, poesia.
E Rocco Papaleo ci dice che ha voluto proprio fare un film sul sud, così come lo guardava da giovane, "con la sua capacità di fare ed inseguire sogni, la voglia e la possibilità di cercare un cambiamento, la leggerezza poetica di cui è capace".
Lieve infatti è la narrazione del coast to coast da Maratea a Scanzano, un attraversamento a piedi della Basilicata in dieci giorni, per un tragitto che si risolverebbe in un’ora e mezza. Ma il sogno e la sua realizzazione valgono per l’irrazionalità che spinge i quattro uomini a partire e a tenere fede fino in fondo al loro progetto: arrivare al festival di Scanzano, Scanzonissima, ma arrivarci camminando, in un elogio della lentezza che rinnova la condizione mitica del viandante.
La metafora del viaggio: quante volte e in quanti modi ce l’hanno raccontata! Da piccoli erano le fiabe fatte di allontanamento iniziale, prove superate e ricompensa conclusiva; a scuola gli eroi epici e le loro odissee; poi, un po’ cresciutelli, l’allegoria dantesca – dalla selva oscura fino agli orrori infernali per poi risalire, sempre più in alto a raggiungere l’amor che muove il cielo e le altre stelle. Dopodichè, da adolescenti e più consapevolmente da adulti, i romanzi di formazione che ci hanno tenuto tanta compagnia. Per ultimo il cinema, che ha rafforzato in noi l’equazione viaggio uguale cambiamento, crescita, conquista personale.
Se pure con leggerezza, la stessa cosa avviene ai protagonisti di questo piccolo e ben riuscito film. Sono tutte persone la cui vita è stata interrotta da una perdita: l’amore, la carriera, un matrimonio ancora rimediabile, ma che rischia di naufragare.
Alessandro Gassman è Rocco, attore sbruffoncello che vanta i suoi successi televisivi, ma che in realtà non lavora da due anni. Fragile e spavaldo, per usare l’efficace espressione di Charmet a proposito degli adolescenti (ma quanto poco sono cresciuti gli uomini di questo film!) è un po’ lo spaccone del gruppo e sembra una continua citazione del padre nell’armata Brancaleone.
Max Gazzè (autore delle canzoni) è Franco: uomo tenero, bloccato nelle sue emozioni al punto di aver perso la parola dopo la perdita della sua donna, morta in un incidente. Sarà Tropea (Giovanna Mezzogiorno) a sciogliergli il freddo dell’anima, rispecchiando nel linguaggio muto di lui la sua stessa, identica incapacità di dire.
Paolo Briguglia è Salvatore, anche lui paralizzato nelle sue scelte di vita dopo una delusione amorosa. I suoi ultimi piaceri (dal sesso alla sigaretta) risalgono a sette anni fa.
E infine lo stesso Rocco Papaleo (Nicola), professore di matematica in crisi, che per la prima volta sa dare concretezza ad un’idea, se pure strampalata e sconnessa.
L’improbabile e buffa compagnia parte con il suo slogan, "La vita è un viaggio troppo corto, se non lo si allunga". Bandite le comodità: alberghi ristoranti e cellulari. Ciascuno alla ricerca della parte del Sé dimenticata, rimossa o tradita, di quello che Hillman ha definito Daimon, la propria missione esistenziale, il senso autentico del nostro stare al mondo.
Ricordano i personaggi emblematici del Mago di Oz: il Leone alla ricerca del coraggio, il Boscaiolo di latta del cuore, lo Spaventapasseri del cervello e Dorothy, che scopre solo alla fine di aver sempre posseduto gli strumenti per tornare a casa. Un po’ come Tropea, la figura femminile di Basilicata coast to coast, di cui non si capisce bene l’essenza del vagabondare e delle rinunce.
A Scanzano la nostra strampalata compagnia non troverà la città di Smeraldo, bensì una piazza lastricata di bottiglie vuote: il festival è finito, la compagnia si è persa poco prima di arrivare. Il percorso terapeutico dei nostri cinque amici, i loro nodi esistenziali si sono ingarbugliati proprio vicino alla meta che, per usare una citazione ormai trita e ritrita, ma vera, è meno importante del tragitto.
Ma forse la citazione che più si adatta alla storia dei basilischi di oggi è quella di Proust: "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi". Infatti, non ci sono grandi sorprese nei dieci giorni di cammino, se non lo sguardo rinnovato sulle cose.
Una per tutte: il pane con la frittata della mamma (la zia Carmela). "Il pane con la frittata che dopo un po’ di ore diventa un tutt’uno e non si capisce più dove finisce il pane e dove comincia la frittata, che se ci togli la mamma diventa generico, ordinario, banale, che lì per lì ti sfama pure ma è senza memoria, non ti appassiona, non ti fa crescere. Un pane e frittata che la mamma può sempre fartene un altro che le viene meglio…..o peggio…….che uno può fare dei paragoni e oltre il pane con la frittata c’è il gusto dell’imprevisto che è il sale della vita". Un pane e frittata scanzonato, ma che per lo spettatore si fa madeleine, e siccome ciascuno di noi ha una zia Carmela da ricordare ed una sua propria personalissima madeleine, la scena mentre ci diverte ha anche il potere di intenerirci.
Tra una canzone e l’altra, uno scherzo e l’altro, si arriva alla fine del cammino e del film. E, se al tema del viaggio si addicono infinte citazioni, ecco l’ultima: "Saremo giunti alla meta quando incontreremo noi stessi come ci vorremmo incontrare" (Achenbach). Forse è invece questa la più adatta alla bizzarra, spassosa e gradevolissima narrazione dei nuovi basilischi e della loro stravagante impresa.
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