Valerio Eletti è professore di "Editoria Multimediale" presso il C.d.L in Scienze della Comunicazione dell'Università La Sapienza di Roma dal 1999. E’ attualmente e-learning chief editor presso Sfera, una start up company del Gruppo Enel tra le cui mission c'è l'avvio di collaborazioni e joint venture con alcune tra le maggiori università italiane e straniere per la messa a punto, la realizzazione e la gestione di master post-laurea a distanza. Eletti è anche direttore del Master in Editoria e Comunicazione Multimediale presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma e direttore scientifico dell’NBA, il Master on line in Net Business Administration del Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro si intitola ‘Che cos’è l’e-learning’ (Carocci editore).
D.: Nel suo libro ‘Che cos’è l’e-learning’ lei afferma che il maggiore ostacolo alla diffusione dell’e-learning e delle forme di insegnamento misto è l’incapacità di capirsi tra formatori e tecnologi. Quali soluzioni ritiene che siano possibili attuare per superare questa situazione di stallo?
R: La prima condizione è il tempo.
E’ necessario del tempo per ‘digerire’, per cominciare a conoscere, per scambiare opinioni e per entrare in territori che non ci sono propri.
Altro punto, sempre in riferimento al tempo, è che più si incontrano generazioni giovani, più è facile il colloquio, perché un formatore di aula, che per decenni ha formato in un certo modo, ha difficoltà a inserirsi in un processo che è profondamente diverso, perché le figure dei docenti sono ‘sminuzzate’ e moltiplicate nel processo formativo a distanza, perché ci sono l’istructional designer, il docente che scrive i contenuti, chi li organizza, il tutor, il mentor, il facilitatore e così via. Sono ruoli diversi da quelli della formazione in aula.
Io credo, quindi, che ci voglia un tempo fisiologico. Naturalmente, un tempo e dei luoghi in cui queste persone si possano incontrare.
Per quanto riguarda la mia esperienza diretta, vedo che cominciano a essere sempre più frequenti questi incontri e, soprattutto, ho notato, andando ai convegni, che c’è una differenza enorme tra quelli che si svolgevano uno o due anni fa e quelli che ho seguito in quest’ultimo anno.
Ho trovato molto più allineamento, ho trovato sana disillusione per certi slogan e molta più concretezza.
Credo che sulla concretezza e sulla misura dei risultati le discussioni e i preconcetti cadano, perché se si comincia e lavorare in qualità, e non come si è fatto spesso fino ad oggi, con scarsa qualità e scarsa attenzione all’utente.
Se si lavora in qualità, i risultati si ottengono.
E se si ottengono i risultati, diventa più facile confrontarsi fra le varie componenti del processo.
D: Specificamente, in Italia, e nell’ambito educational, cioè nelle scuole, nelle università, e via dicendo, quali possono essere le soluzioni, oltre a quelle da lei citate, cioè i momenti di incontro, la qualità e il tempo per fare ‘digerire’ le novità?
R.: Mentre il processo è sicuramente avviato, e con un certo successo, nelle aree aziendali, perché c’è proprio una necessità di risolvere dei problemi, ho molti più dubbi nell’area scolastica e universitaria in Italia, non perché non ci siano persone di valore, anzi, ce ne sono almeno quante, se non di più, che in altri posti. Però, anche qui, ancora una volta, abbiamo delle grandi eccellenze, delle grandi personalità che inventano soluzioni efficaci, trascinano.
Poi, però, manca quella struttura organizzativa che permettere di disseminare le soluzioni e di confrontarle e, quindi, di creare delle regole e ottimizzare i processi.
Faccio un esempio.
Negli Stati Uniti c’è stata una grande ubriacatura di online learning negli scorsi anni, rispolverando le nozioni del costruttivismo, quindi centrando molto più sull’utente del processo e appoggiandosi a teorie varie di stampo soprattutto costruttivista, da parte di alcune università private, si è cercato di trovare una soluzione ‘furba’, nel senso che molte università hanno cominciato a spacciare per online learning, per laurea a distanza, semplicemente del materiale e delle dispense appoggiati su Internet a cui era dato accesso, attraverso delle password agli iscritti, e poi una serie di incontri, tipo teleconferenze, forum, o bacheche.
E’ ovvio che, poi, a questo, c’è stata una risposta negativa, che ha fatto crollare e ha fatto chiudere diverse università online, perché, in un momento di partenza, tutti, appoggiandosi a teorie che possono sembrare delle scorciatoie, nelle quali, invece di insegnare, si mettono a disposizione tutti i libri del docente si fa la formazione a distanza.
Ma è troppo facile.
E magari me la faccio anche pagare …
Poi il gioco si scopre.
Ci sono strutture che hanno funzionato in questo modo e hanno chiuso, mentre emergono quelle che funzionano.
C’è la Phoenix University, ad esempio, che oggi sta completamente decollando, perché è andata a misurare i risultati, il gradimento, l’efficacia, l’efficienza dell’insegnamento.
E’ riuscita, quindi, a mettere a punto un mix giusto di sincrono e asincrono, di presenza e distanza, di autoapprendimento, senza vincoli di tempo e spazio, e ha trovato un mix giusto, con una temporizzazione e una creazione forte di community, che è poi la cosa più importante, che ha permesso agli studenti di raggiungere dei risultati, e soprattutto di non scoraggiarsi e abbandonare a metà l’impresa.
Laddove, quindi, c’è modo di sperimentare, di buttare via le cose finte o le scorciatoie, di andare onestamente a cercare la soluzione migliore e, dove si può, di contare su una organizzazione molto forte, che istituzionalizzi questi processi, allora si arriva a dei risultati.
Nel caso dell’Italia, nelle scuole italiane sono molti anni che si fanno progetti, anche, a volte, ampiamente finanziati dalla Comunità Europea che, però, hanno magari anche dato dei buoni risultati locali, ma che non sono stati diffusi, non hanno costituito prototipo per altre cose.
E’ mancato un coordinamento centrale tra le scuole, tra le regioni, che potesse trovare le best practices e, quindi, dare dei suggerimenti sui quali fare muovere tutti gli altri.
Ci sono stati, quindi, n, dove è n è molto alto, tentativi di utilizzo dell’uso del computer e della Formazione a Distanza, ma i risultati, buoni o cattivi, non si sono conosciuti.
Questo, ad oggi, non ha permesso di creare una organizzazione che potesse avviare veramente la Formazione a Distanza nelle scuole.
Forse, nelle scuole non è così indispensabile.
Forse, possono servire degli affiancamenti computer based, non la vera e propria Formazione a Distanza, perché non abbiamo territori così ampi e scuole così disperse, lontane. Ci può essere qualche caso, in qualche isola o in qualche zona di montagna, ma è veramente relativo.
La cosa, invece, diventa molto più centrale nell’università e, in particolare, nel post-università, nei master.
Qui c’è molto fumo ancora, ma si stanno muovendo molti attori in quest’ultimo anno.
Molti si sono improvvisati, ma ci sono diversi luoghi in cui si stanno facendo delle sperimentazioni molto interessanti e credo che qui si andrà a concretizzare qualcosa nel giro di un paio d’anni, al massimo.
D.: Può fare qualche esempio di realtà universitarie che si stanno muovendo nel modo corretto?
R.: Scusandomi per quelle che magari non ricordo, i capofila in questo settore sono sicuramente il Politecnico di Milano, la Bocconi, la Cattolica e anche l’Università di Firenze si sta muovendo molto in questa direzione.
Anche La Sapienza e Tor Vergata a Roma stanno facendo dei tentativi.
Secondo me, La Sapienza sta arrivando ad una massa critica di esperienze, che erano inizialmente un po’ isolate, ma credo che troveranno un minimo comune denominatore a breve.
La Federico II e Lecce sono altre due università che si stanno muovendo in questa direzione.
E poi Genova, naturalmente.
D.: A proposito della diffusione dell’e-learning, citando Elliot Masie, sembra che sia necessario non soltanto allestire quanto necessario a livello di tecnologie e infrastrutture, ma anche creare una vera e propria cultura dell’e-learning e quelli che lui stesso definisce ‘e-student’.
E’ d’accordo con tale presa di posizione ed, eventualmente, in che modo ritiene che possa essere attuata anche in Italia?
R.: Io credo che qui sia proprio un problema di tempi.
Io credo che questo sia un processo inarrestabile.
Sono d’accordo, ma è un processo lento e irreversibile.
Faccio una semplice considerazione.
Finora si sono alternati momenti in aula e momenti di studio sui libri, lungo tutto il nostro percorso, quindi, attivando zone particolari del cervello.
Se noi andiamo a vedere, invece, le generazioni nuove, quelle che si affacceranno poi all’università nei prossimi anni, sono bambini, ragazzi che hanno imparato ad affrontare dei problemi, da risolvere attraverso i videogiochi, in una maniera che ci è completamente sconosciuta.
Sono state fatte anche misure dell’attività cerebrale e si è visto che nei videogiochi, non quello di pugni e sparatorie, ma quelli di ruolo, in cui si devono mettere in atto strategie, si devono risolvere dei problemi, si vede come c’è un utilizzo di entrambi gli emisferi cerebrali e del ponte che li unisce.
E’ proprio fisiologicamente diverso l’approccio al problema, perché ha componenti emotive, razionali, visive, tutte contemporanee, che passano attraverso i diversi sensi.
Evidentemente, queste persone hanno una grande facilità ad apprendere le regole dei videogiochi.
Io vedo che ci sono molti di questi giochi, con delle regole molto complesse, che i bambini imparano immediatamente, comunicano tra di loro, proprio perché c’è grande motivazione.
Se analizziamo le cose che imparano, per vincere ai videogiochi, vediamo che ci si ritrovano tutte le teorie più evolute del cognitivismo e l’applicazione della motivazione sembra rappresentare la regola base per apprendere al meglio! Le persone che vivono queste esperienze troveranno sempre più limitata l’esperienza in aula, e poi sui libri, e sempre di più sentiranno il bisogno di usufruire, prima, e di produrre, poi, quando saranno laureati, e, a loro volta, produttori di conoscenza, dei titoli, dei corsi, degli ambienti conoscitivi che sfruttano di più le cose che per loro sono più familiari, quanto sono stati familiari i cartoni animati, per certe generazioni, o la televisione, o, prima ancora, il Giornalino di Giamburrasca, o Pinocchio, e così via.
Quindi, è proprio l’approccio alla strutturazione della conoscenza che sta cambiando, e la scuola e l’università non potranno non tenerne conto, proprio perché le persone che finiranno il loro percorso scolastico nella maniera tradizionale avranno dentro questo disagio e dovranno poi produrre prodotti per la conoscenza che utilizzino appieno questo ventaglio enorme, questa enorme possibilità nuova di apprendere e di memorizzare.
E’ noto come cambiano le percentuali di memorizzazione di nozioni lette, ascoltate, viste o vissute.
Il videogame è la soluzione del vissuto.
Poi, videogame può sembrare una parola eretica, ma pensiamo alle simulazioni che vengono usate dai piloti per imparare a pilotare gli aerei, ai business game che vengono giocati in elettronico, analoghi ai Mud, quindi, ai videogiochi con molti utilizzatori contemporanei.
Sempre di più nelle aziende si stanno utilizzando le simulazioni non solo per l’addestramento materiale, per l’informatica, per gli operai, e così via, ma anche per la dirigenza, per il management, che, attraverso le simulazioni, può percepire meglio quali sono i punti di vista, ad esempio, dei colleghi.
Un direttore commerciale messo in un business game, in una simulazione in cui si trova a giocare il ruolo di direttore della produzione capirà meglio i problemi del collega con cui, magari, si scontra quotidianamente.
Mi sembra che si sia imboccata una strada e si siano andate a sollevare anche conoscenze che erano rimaste un po’ in un cantuccio, perché non si trovava il modo di applicarle al meglio dentro l’aula, invece con questo ventaglio di possibilità che ci sono oggi, probabilmente, potranno dare il meglio di se stesse, potranno veramente aiutare a fare un salto di qualità nella acquisizione e nella condivisione della conoscenza tra le persone.
D.: A proposito di profili professionali che possono fruire della Formazione a Distanza, come ritiene che il personale socio-sanitario e, in particolare della salute mentale, potrà utilizzare al meglio queste tecnologie e, soprattutto, prima ancora, come cercare di farli avvicinare ad esse?
R.: Non è facile farli avvicinare, perché non ci sono ancora prodotti di qualità.
Queste cose richiedono grandi investimenti e la Comunità Europea ha investito, ma, purtroppo, non sono usciti grandi prodotti.
L’unico che io ho visto veramente di qualità è un prodotto che sta per essere rilasciato e che ha vinto anche il Premio Moebius quest’anno, in Svizzera, coordinato dalla Interactive Lab di Genova, credo anche con l’Università di Genova, dedicato al pronto soccorso, con un mix veramente fatto bene di Cd-Rom, con delle simulazioni in 3D, con dei veri e propri videogiochi e una ambientazione tipo ‘Tomb Rider’, cioè con una persona da salvare, e così via. E, poi, con delle pillole da imparare, il tutto, però, viene immerso anche con dei passaggi in aula, sulle ambulanze, che permettono di non sostituire la pratica con l’e-learning, ma di utilizzare l’e-learning per allineare sulle conoscenze base e per rafforzare quelle conoscenze e reiterare l’apprendimento, che viene poi applicato nelle condizioni fisiche ideali.
Un’altra cosa analoga, che è una esperienza personale, è stata la realizzazione con Sfera di un prodotto per la formazione degli operai che vanno a lavorare sui tralicci delle linee ad alta tensione.
Abbiamo realizzato un prodotto che si fruisce con il caschetto e i guanti nella realtà virtuale, in modo che l’operaio vede che si trova in cima al traliccio, se gira la testa vede i colleghi sotto che gli passano i vari oggetti, e, quindi, ripetono n e n volte questi gesti, finché diventano quasi automatici e poi salgono sui tralicci, prima senza tensione, poi sotto tensione.
La simulazione, e soprattutto la realtà virtuale immersiva, sarà fondamentale per questi settori.
Ma la cosa fondamentale è rendersi conto che questi prodotti sono efficaci, se sono fatti molto bene.
Per essere fatti molto bene, però, richiedono degli investimenti notevoli.
Il che vuole dire che ci deve essere un ente erogatore di fondi, che creda in queste cose.
La più grossa trappola, qui, come in tutte altre possibilità che esistono, sta proprio nel fatto che, se vengono erogati dei prodotti deludenti, si fa un danno che dura anni, perché chi ha fruito di un corso deludente, non si avvicinerà più per anni alla formazione a distanza.
D.: Relativamente al suo citare ripetutamente il concetto di qualità, attualmente, ci sono dei sistemi di certificazione della qualità dei prodotti di e-learning in Italia?
R.: Li stanno mettendo a punto.
Sono tanti gli Enti che ci stanno provando.
Finora, ciò che si riesce a misurare sono: il gradimento degli utenti, l’indice di abbandono dei corsi e l’efficacia nel trasferimento di conoscenza.
Non sono, invece, misurabili, ma non lo sono per alcun tipo di formazione, il ROI, il Return On Investment, che tanto assilla gli amministrativi, che vogliono sapere se io investo tot per la formazione, quanto ci guadagnerà l’azienda.
E’ difficile capire se io faccio un corso su Excel a 10 segretarie, sia che io lo faccia a distanza, sia in presenza, quanto guadagni l’azienda da quel corso.
E’ molto più facile, invece, misurare l’efficacia della Formazione a Distanza rispetto all’aula: questi sono costi che si possono valutare con grande facilità, perché si contano gli spostamenti, gli investimenti necessari per l’online, da una parte, le spese indispensabili per spostare le persone, seguire dei corsi, dall’altra.
Qui esistono delle curve che fanno vedere che mettendo sui vari assi le componenti fondamentali, cioè il numero di utenti, il tipo di contenuto, più o meno tecnico, la dispersione sul territorio degli utenti, si vede che ci sono delle curve per cui, fino ad un certo punto, conviene l’aula, dopodiché è più efficace la Formazione a Distanza.
D.: Ritornando ai professionisti della salute mentale, l’approccio fondamentale, attualmente, consiste nella integrazione della formazione in presenza con quella a distanza. Più specificamente, nella progettazione di un evento formativo a distanza, secondo lei, quale è la teoria da utilizzare più adatta?
R.: Dipende da quali sono gli obiettivi didattici, da quale argomento va affrontato.
Faccio degli esempi concreti.
Se io devo insegnare a tot persone come si usa Word, Excel o PowerPoint, posso tranquillamente utilizzare una metodologia di tipo behaviorista, in pillole, passo dopo passo, a stimolo e rinforzo, facendo poi sperimentare direttamente, con un tutorial online, i vari step che vengono utilizzati nell’uso di questi programmi e farlo ripetere e ripetere, finché l’utente arriva in fondo.
Al contrario, se io devono insegnare come si fa ad ottenere la leadership di un gruppo, l’aula qui è imprescindibile e, anche se faccio una parte del percorso online, dovrò partire da tutt’altro approccio.
Dovrò mettermi, quindi, in un ambiente più di tipo cognitivista-costruttivista, fare delle comunità, creare dei gruppi, lasciare più libero il discente e, soprattutto, immergerlo in un problema che lui deve risolvere e mettergli a disposizione, nel punto giusto, le nozioni giuste che deve sapere per andare avanti, in modo che, spinto dalla motivazione di arrivare in fondo, di vincere una gara, l’utente vada a prendersi e a studiare le nozioni che gli servono per arrivare in fondo e memorizzarle, perché le applica immediatamente.
Quindi, direi che bisogna pensare non tanto a prodotti, quanto a percorsi formativi, quindi bisogna partire da una analisi molto approfondita dei bisogni formativi, andare a vedere che tipo di risposta bisogna dare, poi, utilizzare vari prodotti in cui l’aula è una delle tante metodologie utili.
Ma l’aula non vuole solo dire la lezione frontale, ma anche il piccolo gruppo intorno ad un project work, esercitazioni, apprendimento di tipo imitativo, apprendistato, e così via.
La cosa che vorrei sottolineare è che l’e-learning è sostitutiva per certi insegnamenti, soprattutto tecnici e di informatica o nuove tecnologie.
Invece, in quasi tutti gli altri casi, è uno dei nuovi strumenti che sono utilizzabili per un percorso formativo che deve essere sempre più complesso e personalizzato.
Per cui, il formatore dovrà essere sempre più consapevole del fatto che ha una borsa degli attrezzi molto più ricca di quanto aveva prima, che non vuol dire che io devo sostituire il martello con la tenaglia: io devo usare il martello dove serve e la tenaglia dove serve.
D.: Sempre nel settore socio-sanitario, relativamente alla evoluzione del mercato dell’e-learning, ritiene che si andrà maggiormente verso uno sviluppo di fornitori di tecnologia, contenuti e servizi, oppure di una offerta integrata di essi?
R.: C’è stato un periodo, un paio di anni fa, in cui tutti compravano le piattaforme, pensando di avere risolto tutto.
In realtà non avevano risolto niente.
E’ una condizione necessaria, ma assolutamente non sufficiente per erogare formazione a distanza.
E’ alla base dell’equivoco il vedere la formazione a distanza alterativa tout court a quella in presenza, magari solo per ridurre i costi delle aziende, senza pensare, invece, che ci sono momenti in cui è più efficace uno strumento, invece che l’altro.
Tutti gli studi, in tutti gli ambienti, non solo in quello socio-sanitario, mostrano che i trend sono verso lo sviluppo delle società o delle istituzioni che danno pacchetti modulari di formazione, proprio perché c’è bisogno sempre più di dare, da parte di chi fornisce questi servizi, una serie di prodotti e di servizi.
La prima cosa da fare è affiancare il committente, il cliente, la struttura che deve fornire la formazione ai propri dipendenti, per fornire una consulenza, per individuare perfettamente quali sono i bisogni formativi, per capire se c’è da impostare un sistema di knowledge intorno, ad esempio, perché, magari non è solo formazione, ma è anche condivisione della conoscenza da impostare. Bisogna capire all’interno di quale ambiente si colloca quel processo.
Quindi, prima di tutto, deve dare una consulenza sapiente, in modo da non utilizzare la prima soluzione che viene in testa, o, peggio ancora, quella più ‘di moda’.
Dopodiché, questa learning agency, deve poter avere a disposizione una sua piattaforma da poter dare in ASP, ‘a noleggio’, per così dire, al suo cliente, deve avere un catalogo di corsi già pronto, strutturati in molecole, in pillole, in modo da poterli scomporre e ricomporre, secondo le necessità del cliente.
Poi, deve essere in grado di sviluppare i pezzi di pillole mancanti, per personalizzare il percorso per quella società, e poi, quando si parte con l’erogazione, deve poter dare tutto il supporto di mentoring e di tutoring, indicando con mentoring il facilitatore, l’assistente didattico, non specializzato nei contenuti e il tutoring, che è quello che specializzato, che, in genere, viene fornito dal committente stesso, cioè lo specialista della materia in genere, poi, viene fornito dal cliente.
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