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Intervista ad Eugenio Borgna

17 Set 12

Di Albertina-Seta

 

La recente uscita del libro "Le figure dell'ansia", ultima fatica di Eugenio Borgna pubblicata da Feltrinelli nella collana "Campi del sapere", ha rappresentato l'occasione per porre all'Autore alcune domande sullo stato attuale della psichiatria italiana.

 

D.Perche' un libro sull'ansia? Come si colloca questo suo lavoro nell'attuale panorama psichiatrico? E ancora più precisamente, perche' ritiene necessario un richiamo alla tradizione psicopatologica e fenomenologica?

R-Esiste indubbiamente ed e' nota una correlazione depressione/ansia; e' un fatto che gli attuali scenari della psichiatria sembrano animati da un interesse quasi esclusivo per la depressione, il libro intende spostare l' attenzione sull' altro polo quello dell' ansia e contribuire cosi' a riempire un vuoto psicopatologico/clinico.

In psichiatria e'necessario tenere conto di diversi punti di vista. Se si tengono presenti quelli essenziali: il clinico, lo psicopatologico il farmacologico , la psichiatria italiana risulta troppo spostata su una prospettiva classificatoria e farmacoterapica e sembra trascurare i contenuti psicopatologici e per così dire psicologici. Bisogna che essa torni ad essere un confronto permanente con i modi individuali di ammalarsi e di vivere il disturbo, che sono uno diverso dall'altro: strettamente personali, dotati di specifiche particolarita', profondita' e ricchezza espressiva.

 

D- A quali fenomeni storico-culturali in ambito psichiatrico fa risalire l'ondata di schematismo/biologismo attuali?

R-La psichiatria in Italia non ha una tradizione culturale. Questo si spiega con la sua storica appartenenza alla Neurologia; se ci pensiamo la psichiatria ha solo 35 anni di autonomia clinica, molti degli universitari hanno quella formazione (neurologica), di conseguenza nella maggior parte delle Universita' si privilegiano gli studi biologici e la farmacologia.
Dall' altra parte gli psichiatri ospedalieri o degli attuali servizi territoriali sono oberati di impegni e non hanno tempo per analizzare quello che fanno, tutto cio' alimenta una sorta di cortocircuito socioiatrico e naturalmente il ricorso alla prescrizione farmacologica.

 

D-Lei dedica una parte consistente del suo volume alla distinzione fra tre forme d'ansia , rispettivamente, stati d'animo, risposte motivate da eventi ed esperienze immotivate. A questo proposito, ritiene importante ii concetto di malattia? Lo intende in senso griesingeriano, come malattia del cervello?

R-Il concetto di malattia e' molto vago e molto fluido. Le fondazioni biologiche di un tale concetto in psichiatria sono indubbiamente insufficienti. Il concetto di malattia va dunque relativizzato e non assolutizzato. Non va inteso in senso strettamente biologico, anche perche' si sa che le cure farmacologiche non bastano.
In senso clinico si, il concetto di malattia é importante; Henri Hey diceva:- la clinica innanzitutto.- 
La diagnosi deve precedere qualunque intervento, altrimenti si possono fare dei disastri, per esempio nel non distinguere uno stato d'animo per cosi' dire non patologico, un atteggiamento personale o nevrotico, da una condizione psicotica.

 

D-Un lungo capitolo del libro tratta di angoscia e psicopatologia del delirio, in particolare di stato d' animo delirante. Pensa che oggi la schizofrenia sia meno studiata che in passato? Questo incide nella formazione delle nuove generazioni di psichiatri?

R- I testi di psichiatria risentono di schematismi, propongono scale di valutazione di tipo geometrico. La malattia viene cosi' perduta nei suoi significati.Si sconta l'influenza dell'America, per cui si predilige un atteggiamento classificatorio rispetto alle varie patologie e si da' piu' importanza alle psicosi non schizofreniche, forse perche' sembrano rispondere meglio ai farmaci.
Il confronto con la schizofrenia implica una gran fatica che spesso si scontra e si infrange sullo scoglio di una impossibilita'. Il confronto con la schizofrenia comporta attitudini in un certo senso psicoterapeutiche, competenza sociale profonda e non socioiatrica. Solo la psicoterapia puo' incidere su certe situazioni schizofreniche o aiutare a decifrarne il senso vero. Nella formazione di uno psichiatra e' importantissimo il confronto con queste esperienze ultime, altrimenti la psichiatria finisce col divenire una sorta di psicologia allargata.

 

D- Nel capitolo su adolescenza e post-adolescenza, si affronta il problema dell'angoscia che si accompagna e certe fasi di transizione della vita. Come giudica l'attuale insistenza sulla necessita' di sottoporre ragazzi ed adolescenti ( perfino a scuola) ad osservazioni, diagnosi precoci e precoci interventi farmacologici?

R-Questa tendenza ad abusare di giudizi, diagnosi, etichettature sulla base esclusivamente di comportamenti la trovo inutile, antiscentifica, assurda.Bisogna avvicinarsi ai vissuti, al significato essenziale per poter comprendere quelli che possono essere processi di maturazione/transizione.Sono contrario alle indagini a tappeto, e' preferibile la metodologia di ascoltare uno solo e a fondo per comprendere il significato dei cosiddetti sintomi, che poi sono segni di qualcosa.
Il dominio della tecnica porta ad un deserto di riflessione teorica, senza una valutazione della vita interiore non si fa psichiatria.

 

D-Ritiene, concordemente con il pensiero di Heidegger, l' angoscia un elemento ineliminasbile della Lebenswelt umana o pensa che si possa in qualche modo ipotizzare una condizione di vita umana libera dall'angoscia?

R-Le persone che non abbiano mai conosciuto l' ansia sono spesso indifferenti o apatiche. Ritengo che queste siano infatti le esperienze emozionali antitetiche all' ansia/angoscia. Gli ansiosi sono personalita' tormentate ma mai cosi' violente come gli indifferenti o coloro che si rivelano incapaci di vivere le insicurezze.
Naturalmente ci vuole un po' di buon senso clinico, alcune forme di ansia sono cosi' rapaci e devastanti che certamente vanno curate e non considerate normali. Esiste comunque una disponibilita' umana a vivere o ri-vivere naturalmente forme di ansia molto piu' attenuata, che non e' patologica. Ansia e conflittualita' d' altra parte puo' darsi che risparmino alcuni fortunati, non necessariamente indifferenti o apatici, che riescono a sfuggire alle loro ondate.

 

D-Come si viene curati oggi? nel leggere il suo libro sembra peggio che ieri. Le proposizioni terapeutiche da lei indicate, in sintesi , immedesimazione, dialogo ermeneutico e linguaggio avrebbero bisogno di essere confortate da ulteriori ricerche nell'ambito della realta' psichica?

R-La ricerca e' indubbiamente senza fine. Attualmente i presidi terapeutici sono rappresentati dalla psicoterapia freudiana e junghiana nelle forme nevrotiche, farmaci e psicoterapia di appoggio in quelle psicotiche.
Nel campo psichiatrico occorre avere poche certezze ed ampi orizzonti.

 

D-Ritiene che la stessa psicopatologia stia oggi scontando dei suoi intrinseci limiti?

R-La psicopatologia sganciata da un orizzonte terapeutico, la psicopatologia che perda di vista questo orizzonte per addentrarsi su un terreno di autonoma speculazione, diviene una psicopatologia da laboratorio.

 

D-Pensa che la psicopatologia possa/debba aprirsi ad una ricerca sull' inconscio?

R-Si

 

D-Perche' sono importanti nella formazione di uno psichiatra la letteratura, l'arte, il cinema?

R-Perche' fare psichiatria dopo i primi anni di formazione puo' trasformarsi in una routine desertica e senza senso. Altre discipline mediche trovano in se' gli stimoli all' aggiornamento, alla stessa riflessione sulla pratica. In psichiatria la diagnosi e' relativamente semplice e molte persone finiscono con il fare sempre le stesse cose e non aggiornarsi. C'e' bisogno di un accrescimento, di una conoscenza , come diceva Jaspers, ad esempio di grandi romanzi che rappresentano grandi studi dell' animo umano ed in cui si puo' trovare molto piu' che in un arido trattato.
Il cinema la letteratura, l' arte contribuiscono ad allargare lo spettro della conoscenza degli stati d' animo.
Una psichiatria per cosi' dire pura trasformerebbe tutti noi in semplici esecutori di operazioni routinarie.

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