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Sette domande a Maggie Watson

17 Set 12

Di teresagrassi.mail

 

Maggie Watson è Consultant Clinical Psychologist presso il Royal Marsden NHS Trust e Honorary Senior Lecturer e responsabile dell’équipe presso l’Institute of Cancer Research. Laureata presso l’Università di Bath e l’Università di Sheffield, ha ottenuto la specializazione presso l’Università di Oxford e l’Università di Londra (Kings College Medical School). Lavora im ambito oncologico da oltre vent’anni.

Editor della rivista Psycho-oncology è autore con Mary Burton del volume "Counselling People with Cancer". Ha pubblicato circa 150 lavori scientifici inerenti gli aspetti psicologici del cancro. Ha ottenuto l’Honorary Life Membership dalla British Psychosocial Oncology Society nel 1990.

Ha sviluppato e condotto gruppi supportivi per pazienti con carcinoma della mammella nell’ultimo decennio. I suoi interessi di ricerca prioritari riguardano le patologie neoplastiche della mammella e le la genetica del cancro della mammella.

 

L’INTERVISTA

 

Domanda (D): Qual è l’attuale "stato dell’arte" della psico-oncologia nelle strutture oncologiche?

Risposta (R): Stato dell’arte non è probabilmente la corretta definizione, preferirei parlare di "stato della scienza". Forse una delle difficoltà che abbiamo in ambito psico-oncologico è di dimostrare che è una scienza. Quindi credo che un modo per discutere lo "stato dell’arte", se si preferisce usare questo termine, è su come le evidenze tratte dalla pratica vengono la impiegate per sostenere lo sviluppo di quest’area. Credo sia importante che ci consideriamo come "scienziati" clinici al fine di dare credibilità alla nostra area e permetterle di migliorare. Sicuramente vi è stato un notevole accumulo di evidenza nell’ultimo decennio che supportano molti aspetti della psico-oncologia. È necessario un ulteriore lavoro per integrare queste evidenze nella pratica clinica.

 

D.: Diverse tipologie di psicoterapia, quali interventi di gruppo individuali, vengono applicate per aiutare persone colpite da patologie neoplastiche. Qual è la sua opinione su queste due diverse forme principali di psicoterapia?

R.: Credo vi sia spazio per entrambe e vi è infatti evidenza che dimostra come entrambe le forme siano utili per diversi gruppi di pazienti. La cosa più importante è che ai pazienti possano essere offerte opzioni diverse di trattamento. Vi sono sempre persone che non desiderano entrare nei gruppi e altri che preferiscono il gruppo ad interventi individuali. Credo quindi sia interessante sviluppare entrambe le forme di terapia. Non vi è ancora evidenza basata su ricerche che indichino che il gruppo è più efficace della terapia individuale e la scelta della tipologia di terapia deve essere determinata sui bisogni dei singoli pazienti.

 

D.: Tra i diversi modelli di psicoterapia, la terapia cognitivo-ccomportamentale (CBT) ha dimostrato di essere efficace in oncologia. Qual è la sua esperienza e la sua opinione a questo proposito?

R.: Devo dire che personalmente supporto l’uso della CBT, poiché il mio training è stato in CBT. Trovo che questo modello si applichi In maniera ampia sui problemi che i nostri pazienti presentano. È breve, focalizzata sui problemi e ne è stata dimostrata l’efficacia in trias clinici randomizzati. Vi è qualche evidenza limitata che suggerisce come la CBT sia forse più efficace del counselling per i pazienti con disturbi psicologici più seri. La terapia di tipo problem-solving ha dimostrato una propria efficacia in psico-oncologia. Nella mia pratica clinica lavoro con un approccio molto eclettico a seconda del tipo di problemi che mi vengono portati e mi piace decidere con i pazienti su quello che è più utile per loro. Ci confrontiamo con un’ampia gamma di problemi psicologici e psichiatrici in psico-oncologia e dobbiamo poter scegliere sui trattamenti più appropriati piuttosto che tentare di applicare un unico metodo a tutte le situazioni.

 

D.: Quali spazi vi sono per il counselling nei centri oncologici?

R.: Vi è assolutamente spazio per il counselling poiché l’approccio che usiamo prevede di considerare I bisogni dei pazienti come una piramide alla base della quale vi sono i bisogni emozionali quotidiani che i medici e gli infermieri devono essere in grado di affrontare. In altre parole ogni medico e infermiere dovrebbe essere in grado di chiedere "Cosa prova?" senza aver paura di formulare questa domanda. Il successivo livello riguarda i pazienti che hanno problemi più seri e, infine, al vertice della piramide vi sono i pazienti che presentano problemi ancora più complessi e che vengono inviati a psicologi e psichiatri. Credo che il counselling trovi applicazione nel settore intermedio, mentre probabilmente sarebbe meno efficace con pazienti con problemi più severi. Parte della difficoltà a questo riguardo è data dal fatto che raramente negli studi vengono selezionati i pazienti sulla base dei loro bisogni. La tendenza è quella di condurre trials randomizzati rivolti a gruppi non selezionati di pazienti. La nostra ricerca deve divenire più sofisticata. La domanda non è tanto se il counselling funziona meglio di altri trattamenti ma piuttosto se funziona meglio a questo livello intermedio della piramide. Ugualmente per la CBT la domanda dovrebbe essere se funziona meglio con pazienti che hanno i problemi più complessi. Sarebbe bene, dunque, avere un’ottica aperta nell’uso del counselling. È probabile che un elevato numero di pazienti con problemi psicologici lievi o moderati o con difficoltà dell’adattamento possano trarre beneficio dal counselling. Lo staff psico-oncologico dovrebbe di conseguenza poter proporre diversi tipi di intervento.

 

D.: Qual è la sua esperienza o quali informazioni ha riguardo a come i medici della medicina generale gestiscono i problemi dei pazienti, impiegando il counselling?

R.: Nel Regno Unito il supporto e le risorse terapeutiche sono ancora molto limitate a livello territoriale. I Medici della Medicina Generale (MMG) talvolta collaborano con counsellors che lavorano in collegamento con i loro servizi di medicina generale. Il supporto psicologico che I medici stessi offrono è limitato. Ciò in parte per l’elevato carico di lavoro e in parte per la mancanza di abilità nell’affrontare le problematiche psicologiche più complesse. Nel Regno Unito, i trattamenti psicologici sono offerti o da servizi di psico-oncologia all’interno degli Ospedali o dal settore del volontariato. Nell’ultimo decennio si è in effetti assistito ad una notevole espansione del supporto offerto dalle associazioni di volontariato. È probabile che nei Paesi, come il Regno Unito, che hanno un Servizio Sanitario Nazionale le limitate risorse finanziarie devolute ai servizi continueranno nel prossimo futuro a rendere difficile che i MMG e il loro staff clinico possa offrire assistenza psicologica. Vi sono anche scarsi dati riguardo all’efficacia degli interventi psicologici forniti dai MMG. Il MMG svolge un ruolo importante nel dare supporto alle persone con cancro ma scarse sono le risorse per raggiungere il livello desiderato rispetto a come questi servizi vengono offerti.

 

D.: Le cure palliative, o la medicina palliativa, si sta sviluppando come area importante per i pazienti negli stadi avanzati di malattia. La Psico-oncologia è strettamente collegata con le cure palliative. Quali sono le applicazioni possibili degli interventi psicologici nelle cure palliative?

R.: Le cure palliative si sono sviluppate enormemente nell’ultimo decennio ed è stato riconosciuto dai medici della palliazione e dalle figure infermieristiche che la psico-oncologia svolge un ruolo importante. Nell’ospedale dove lavoro, i medic delle cure palliative sono i primi a richiedere uno psico-oncologo nella loro équipe. Essi incontrano un ampia gamma di problemi con i loro pazienti, a partire dai più severi disturbi mentali organici alle difficoltà esistenziali legate all’avvicinarsi della morte. Ritengo quindi che vi possa essere un grande sviluppo nei contesti dove la psico-oncologia e le cure palliative collaborano clinicamente e scientificamente.

 

D.: Uno dei più significativi problemi in psico-oncologia riguarda la formazione. Come è possibile raccogliere fondi e convincere le strutture amministrative dell’importanza di avere un core curriculum in psico-oncologia nei centri oncologici o negli ospedali che hanno servizi rivolti ai pazienti con patologie neoplastiche?

R.: Vi sono due aspetti da discutere brevemente sul training. Ritengo vi sia un ruolo attivo della psico-oncologia nella formazione. Un argomento persuasivo potrebbe riguardare il convincere le figure amministrative e manageriali che il nostro compito è anche di formare altre équipes e migliorare le loro competenze nella gestione dei problemi psicologici quotidiani che riscontrano nei loro pazienti. È necessario sottolineare l’evidenza che indica come una buona assistenza psicologica da parte di tutto lo staff oncologico è vantaggioso in termini di costi. Questo è un primo aspetto relativo alla formazione. L’altro riguarda il fatto che è assolutamente essenziale che vengano sviluppati programmi di training post-laurea in psico-oncologia e che vengano messi in campo sistemi di accreditamento. So che in Europa alcuni Paesi si stanno muovendo in questa direzione ma la professionalizzazione della psico-oncologia è estremamente importante e i corsi di formazione accreditati sono il prossimo passo. Questi devono essere ulteriormente sviluppati in tutta Europa, e sicuramente nel Regno Unito. Sarebbe molto utile avere sistemi di comunicazione tra i gruppi che stanno creando curricula specifici in psico-oncologia. Molti infatti se ne stanno occupando nel mondo e dovrebbe essere possibile imparare dalla loro esperienza. Storicamente è sempre avvenuto che l’accettazione di una determinata professione derivasse dall’avere stabilito criteri relativi alle abilità necessarie per svolgere in maniera ottimale nella pratica clinica questa professione. Lo sviluppo di corsi post-laurea è il passo successivo. La professione della psico-oncologia sarà meglio accettata dai colleghi che lavorano in ambito oncologico se lo psico-oncologo risulta qualificato e i pazienti ne trarranno beneficio poiché una formazione sistematica migliora le capacità con cui vengono erogati i servizi. Schemi di training accreditato daranno il riconoscimento necessario.

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