Mario Campanella**, Francesca Fiscella***, Luciano Moro****, Rosella Garbero*, Nelly Marijnsen*
** direttore sanitario della Residenza Protetta Pra’ Ellera
*** psichiatra presso la Residenza Protetta Pra’ Ellera
**** psicologo presso la Residenza Protetta Pra’ Ellera
* educatrice presso la Residenza Protetta Pra’ Ellera
Sandra è una paziente di 20 anni, inserita nella nostra Comunità circa tre anni fa, quando era ancora minorenne, e dimessa da alcuni mesi.
STORIA FINO ALL'INGRESSO NELLA NOSTRA COMUNITA' TERAPEUTICA
Sandra è stata abbandonata dai genitori naturali a pochi mesi di età, insieme alla sorella gemella, e quindi insieme a lei adottata a nove mesi.
I genitori adottivi sono apparsi sin dall’inizio in difficoltà nello svolgimento della loro funzione genitoriale, la madre è sempre apparsa molto fragile e insicura con la tendenza a demandare sempre al marito che a sua volta, incapace di comprendere e accogliere i bisogni emotivi della figlia, tendeva ad assumere comportamenti contradditori che oscillavano da un frequente eccessivo autoritarismo a un permissivismo confusivo.
La situazione è divenuta assai problematica con l’insorgenza, in età adolescenziale, di turbe comportamentali caratterizzate da oppositività, impulsività, aggressività auto ed eterodiretta e di turbe della condotta sessuale accompagnate da una forte instabilità del tono dell’umore con tendenza alla rabbia e alla disforia. I familiari si sono rivelati incapaci di sostegno e di fermezza, spaventati e impressionabili di fronte alle sue provocazioni, non in grado di contenere la sua angoscia né tanto meno di aiutarla e sostenerla nel suo percorso di crescita. Si sono quindi rivolti più volte ad autorità esterne(Carabinieri, Pronto Soccorso, Neuropsichiatria Infantile, Servizi Sociali) che fossero in grado di offrire a Sandra quel contenimento che era impossibile per loro fornirle all’interno del nucleo familiare, con un progressivo disinvestimento nei confronti della figlia e un atteggiamento di abbandono ed espulsività (il padre non comunicava più con lei; la madre le diceva di comportarsi come riteneva più opportuno e spaventata dal suo comportamento si assentava da casa fino al ritorno del marito; dopo alcune uscite serali, attuate senza il permesso dei genitori, Sandra si è trovata impossibilitata a rientrare in casa in quanto il cancello veniva chiuso e il telefono staccato). La percezione da parte di Sandra della loro distanza, impotenza e incapacità di contenerla ha determinato una rapida escalation di agiti che è culminata (dopo alcune minacce fatte alla nonna con un coltello in mano) nell’emanazione di un decreto da parte del Tribunale dei Minori (maggio 1998) che ne ha disposto l’affidamento parziale ai Servizi Sociali del Comune, coadiuvati in senso tecnico dalla Neuropsichiatria Infantile, e l’inserimento in Comunità Terapeutica. Da allora si sono succeduti numerosi inserimenti comunitari fallimentari (spesso della durata di pochi giorni) caratterizzati da molteplici fughe e da continue richieste di ricoveri ospedalieri. Sandra, inizialmente trattata come una "adolescente in crisi", ci è stata presentata, al momento dell’inserimento, come un caso disperato "all’ultima spiaggia" dopo gli ultimi disastrosi tentativi di presa in carico.
L'INSERIMENTO IN COMUNITA'
Sin dai primi giorni e in qualche modo per tutta la durata del suo percorso Sandra ci è apparsa nella sua faticosa discontinuità, con i continui agiti impulsivi a cortocircuito e poco simbolizzabili e con le repentine "fughe all'indietro" che sembravano rompere ciò che era stato lentamente costruito e rendere vano il lavoro di tutti, mettendo a dura prova l'intera equipe. Riportiamo la descrizione di due giornate tipo con Sandra, una sorta di "diario di bordo" degli educatori, nel tentativo di mantenere il progetto giorno per giorno, fra le continue ed estenuanti "fratture e riprese".
UNA GIORNATA IN COMPAGNIA DI SANDRA:UN´ESPERIENZA CHE TI SEGNA E SUSCITA EMOZIONI STRANE.
Oggi sono uscita di casa con un "sacco" di buone intenzioni, so che si tratta di un momento molto delicato, Sandra attraversa un periodo particolare nella propria storia di paziente: compierà tra poco 18 anni, vale a dire il passaggio dalla minore età all´età adulta. Appena arrivo al cancello della comunità, non ancora varcata la soglia, vedo in lontananza Sandra che mi viene incontro, con la sua caratteristica e inconfondibile andatura: schiena curva, ventre prominente ben oltre la maglietta, piccole ciocche di capelli prese tra mollette colorate, che contrastano fortemente con lo sguardo cupo rivolto verso terra, labbra serrate nel suo tipico broncio bellicoso da moccioso, occhi infantili nascosti dal trucco pesante e dalla fronte accigliata e corrucciata, aspetti fortemente tracotanti e bulleschi. Già mi sento un´altra, ma un´altra che conosco ormai bene. La sua vista suscita in me emozioni forti, caratteristiche e inconfondibili che provo non appena mi accingo a trascorrere una giornata non certo facile in sua compagnia. Non faccio in tempo a raccogliere alcune notizie dai colleghi che, immediatamente la avverto urlare e sferrare calci e pugni alla porta del nostro ufficio. La sua richiesta di attenzione è assoluta, continua e pressante: alterna rari momenti di depressione e pianto a irritabilità, minacce e continui agiti auto e eterolesivi E´ continuamente desiderosa di apparire e non esita ad alternare comportamenti di seduzione (in particolare con le figure maschili della comunità: medici, educatori, ospiti….) ad atteggiamenti di intimidazione. Devo ammettere che mi spiazza profondamente la sua totale assenza di coinvolgimento agli stati d´animo altrui e la sua noncuranza nei confronti delle emozioni sgradevoli che provoca negli altri ospiti della sua unità abitativa. La nostra conoscenza è reciproca, infatti sa sempre come comportarsi per scatenare in me quella rabbia che nasce dal senso di frustrazione e fallimento quando, mi rendo conto che, Sandra si sente appagata solo dopo aver scaricato la sua rabbia e la sua aggressività. Spesso sono esplosioni di collera sproporzionata, che non dipendono dall´evento che le ha scatenate ma sono frutto di antiche insicurezze, che lei scarica spesso " a ciel sereno " sulla vittima designata che è quasi sempre un ospite non in grado di tenerle testa. Sapere e ripetermi questo, non mi aiuta e non attenua la mia rabbia e il mio sconforto, spesso, trascinata dalla sua collera Sandra è riuscita a provocare in me reazioni verbali eccessive e non certo adeguate al momento in essere. Termino il mio turno con la consapevolezza che lascio alla mia collega un bagaglio di ansie e problematiche difficili da gestire, relative ad una paziente così distruttiva che a tratti repentinamente "fugge" all´indietro, cercando di rompere quanto costruito e che sembra così rendere vano non solo il lavoro personale ma anche quello d´équipe.
Sandra ieri ha avuto una brutta crisi, ha alzato le mani per l´ennesima volta su una compagna d´unità. Questo fatto mi indispone oltremodo perché so già che quando mi vedrà sarà invece tutta sorridente e zuccherosa. Chiederà scusa per il suo comportamento dicendo che non lo farà più. Poco dopo mi si avvicina con una letterina che devo assolutamente leggere. Chiede scusa, mi vuole tanto bene, le dispiace di essersi comportata male. Tento di mantenere un certo distacco, le dico di starmi lontana almeno fino a che la rabbia non mi sarà passata. Le domando se potrà mai cambiare, le dico che è inutile continuare a scrivere lettere colme di buoni propositi. Mentre le sto dicendo queste cose vedo cambiare la sua espressione, non le piace ciò che dico, pensava che avrei accettato subito le sue scuse. Ho bisogno di tempo, di mantenere un certo distacco: Sandra sembra invece non avere memoria di quanto accaduto. Dopo essere entrata in unità ed aver parlato con le altre pazienti continuo ad avvertire un clima di tensione, respiro il loro disagio. Lei non si è mossa di lì e non ha mutato la sua espressione cupa ed imbronciata. Sono molto tesa, aspetto che lei non sentendosi al centro dell´attenzione abbia un altro momento di rabbia. Mentre dialogo con un´altra ospite, Sandra incombe pressante: è molto invidiosa, vorrebbe per lei queste attenzioni. Mi chiede se possiamo parlare. Le rispondo che, quando avrò finito parleremo. Quando vado da lei per parlare le chiedo perché ha questo atteggiamento di continui agiti. Lei non sa rispondere "non lo sa" è più forte di lei. Mi chiede se l´ho perdonata. Non so cosa rispondere, non vorrei essere lì, a volte mi sento salire la nausea, poi annuisco. Lei continua, come da copione, dice "di essere piccina, la più piccola dell´unità". Le chiedo di che cosa voleva parlare, ma parla di sciocchezze, sembra che abbia la testa vuota. Ad un certo punto mi abbraccia e mi dice che mi vuole bene. Chiede se le voglio bene. Mi sento svuotata. Rispondo che non è facile voler bene ad una persona che, il più delle volte fa del male ad un'altra persona. Perché dentro di me provo ancora rancore. Quando vengo a conoscenza del cattivo comportamento di Sandra sto male, mi attraversano mille emozioni contrastanti. Mi verrebbe voglia di mettere in atto lo stesso " trattamento" che lei riserva alle altre pazienti. Dopo un periodo di due anni e mezzo non tollero quasi più la ripetitività di questi momenti pieni di aggressività, gelosia e invidia. Ancora meno quando si presenta come se nulla fosse. A volte quando viene ricoverata sembra dare respiro alle sue compagne e a noi: pare che ci sia un altro clima in unità e che si possa tornare a respirare. Ma forse sono io che mi sento più tranquilla e rilassata perché quando Sandra è in comunità il lavoro non è facile, non ci si può concedere pause e bisogna restare continuamente all´erta.
Sandra si è subito mostrata a noi con la sua intensa e fluttuante emotività, con le crisi di angoscia e le esplosioni di rabbia che appaiono ben poco elaborabili e simbolizzabili in una qualche rappresentazione mentale e che quasi invariabilmente culminano in agiti repentini per lo più eteroaggressivi, e con la sua fragilità narcisistica, incapace di tollerare frustrazioni anche minime e di portata quotidiana. Le sue modalità relazionali appaiono infantili e manipolative con la continua ricerca di attenzione e di pervasivo accudimento per assicurarsi un rapporto privilegiato ed esclusivo con gli operatori, salvo poi reagire con esplosioni di collera e comportamenti eteroaggressivi alla minima disattesa delle sue esigenze di riconoscimento e valorizzazione finendo per sollecitare nelle persone vicine risposte espulsive e di rifiuto. Sandra si presenta alternativamente come una bambina piccolissima e bisognosa di ogni cura proprio come fosse una lattante o come una bimba onnipotente e prepotente (comando io, sono la padrona del piano, picchio tutti…) "carnefice" che rapidamente diviene vittima dei suoi stessi agiti apparendo meritevole soltanto di essere cacciata e allontanata da tutti in una commistione confusiva di rappresentazioni di sè e dell’altro drammatiche, molteplici, contraddittorie e rapidamente cangianti. Se Sandra da un lato sembra terrorizzata di fronte alle dolorose esperienze di abbandono e di perdita precocemente esperite (abbandonata a pochi mesi, caregiver fragili) con tendenza a ricercare una continua rassicurazione, d’altro lato ella stessa con le sue modalità relazionali alimenta un circuito autoalimentato di continua ripetizione delle traumatiche esperienze di perdita. Sandra, d’altro lato, che ribadisce continuamente di essere "la più piccola della comunità", sembra vivere con estrema angoscia e opporsi rabbiosamente alla sofferenza implicita nel crescere e nell’acquisire competenze e una maggiore autonomia, probabilmente esperita come una nuova esperienza luttuosa connessa alla rinuncia all’immagine di sé come "bambina-regina". In quest’ottica i continui attacchi agli operatori e alla cura comunitaria (agiti, fughe…) appaiono anche come manifestazioni di rabbia nei confronti di genitori incapaci di sostegno e di fermezza, non in grado di contenere la sua angoscia, né di aiutarla a crescere, colpevoli di "incapacità genitoriale", in una sorta di rabbiosa e masochistica rivincita rispetto alle sue vicende del passato. Sara sembra giungere sempre a mettere le figure significative (come aveva fatto con i genitori adottivi) nelle condizioni di abdicare al proprio ruolo (genitoriale o terapeutico), sembra rifiutarsi di crescere e ricercare soluzioni regressive. In questo senso possono infatti essere lette le continue richieste di ospedalizzazione, cui frequentemente era necessario ricorrere durante tutte le precedenti esperienze comunitarie. In tali occasioni il reparto sembrava fungere da anonimo e regressivizzante contenitore, una sorta di inevolutivo genitore-istituzione, che probabilmente aveva rappresentato per lei, nelle esperienze infantili, l’unico riferimento e garanzia di una qualche rassicurazione alle sue angosce. Nel corso dell’ospedalizzazione, che insieme alle fughe, spesso rappresentava l’ennesima interruzione di un percorso, di una relazione, di una qualche continuità, Sandra appariva, come di consueto, seduttiva e manipolativa, in grado di rendere difficoltosa la gestione quotidiana del reparto con le continue e totalizzanti richieste di attenzione e l’imprevedibilità dei suoi comportamenti, come una sorta di reginetta bambina o addirittura "neonata" da seguire 24 ore su 24 sommersa da una montagna di peluche (portati dai genitori e tollerati dal personale, messo in scacco da lei).
UNA PAZIENTE "AL LIMITE"…
Sandra ci appare proprio come una paziente "al limite"…
Prima di tutto dal punto di vista psicopatologico, nell’accezione storica di Borderline (= limite, bordo, frontiera) considerato al limite fra nevrosi e psicosi e nelle classiche teorizzazioni di Kernberg. Ci sembrano di particolare chiarezza esplicativa e utilità operativa le riflessioni di Green sui casi limite, che prende in considerazione il concetto di limite, come confine posseduto dal paziente: sia fra esterno e interno che come confine all’interno della sfera psichica.Quello fra esterno e interno in tali pazienti è presente, ma è fluido, mobile, delicato e precario, alterna espansione e contrazione come difesa e ultima barriera protettiva contro disintegrazione e disfacimento di fronte ad angosce di separazione e di intrusione, per quel che riguarda invece il confine all’interno della sfera psichica, a causa della massiccia scissione, l’identità è dispersa e contradditoria, non integrata, l’Io è vulnerabile e rigido, privo di coesione, di coerenza e di continuità spazio-temporale.
La sensazione con Sandra è quella di una mancanza di coerenza e di continuità, di continui rivolgimenti "senza memoria" fra contraddittorie immagini di sé e degli altri , di un continuo fare e disfare, costruire e distruggere nell’ambito delle sue vicende relazionali e di vita senza continuità temporale e di appartenenza autobiografica. Sembra ben adattarsi a Sandra quella che Kernberg definisce "sindrome della dispersione dell’identità", quale caratteristica strutturale delle personalità al limite, con la mancanza di una visione interiore di sé e degli altri integrata, così come della continuità temporale del concetto di sé e degli altri e con la difficoltà nell’esperire e nel descrivere se stessi e gli altri come individui "interi" e coerenti. In tal senso risultano estremamente vivaci e ben esplicative le riflessioni di Green, con le sue rappresentazioni figurate, a proposito degli stati limite. Parla di un Io scisso al suo interno, privo di coesione e di coerenza, costruito da un insieme di nuclei isolati, relativamente strutturati, ma non comunicanti fra loro, separati dal vuoto, come un "arcipelago" costituito da tante isole, non comunicanti tramite l’acqua, ma divise dal vuoto, o come "una collana i cui fili si sono rotti". Allo stesso modo sembra mancare quello che Correale definisce come "sfondo psichico naturale", rappresentato dalla capacità, legata all'esperienza di rapporti intimi sufficientemente duraturi, di vivere gli eventi della vita come nostri nell'ambito di una memoria autobiografica in modo da non sentirsi "vuoti".
Queste immagini e rappresentazioni ben si adattano a Sandra e all’esperienza che abbiamo di lei, della sua estenuante discontinuità (tuttora presente nel quotidiano) fatta di tanti pezzettini scissi che sembrano annullarsi l’un l’altro e allo stesso tempo spezzettare, annullare e svuotare il lavoro di tutti.
Inoltre Sandra è una giovane paziente, un’adolescente, "al limite" quindi, fra età infantile e adulta, con tutte le fisiologiche difficoltà che comporta attraversare questo delicato confine, che implica l'abbandono e la perdita dei modelli infantili e delle immagini del sé più dipendenti e regressive, ma anche di quelle di bambina onnipotente e invincibile, nel complicato percorso di acquisizione di responsabilità, competenze e autonomia, e di maturazione di un'immagine del sé più adulta in grado di riconoscere i propri limiti e i propri bisogni (dei genitori, del terapeuta…). Per Sandra questo passaggio risulta notevolmente complicato dalla sua psicopatologia oltre che dalla pesante eredità di un abbandono precocissimo e successivamente dalla presenza di caregiver decisamente fragili non in grado di fornire un contenimento per la sua angoscia, né tantomeno di sostenerla verso crescita. Queste considerazioni ci hanno portato, a maggior ragione, a tener sempre ben presente anche questa situazione "di frontiera" e a sostenere tale passaggio di crescita nel portare avanti il progetto terapeutico.
Una situazione "al limite", infine, anche da un punto di vista istituzionale, sia per quel che riguarda la cornice sanitaria che quella giuridica, fra minore e maggiore età, fra il materno-infantile e il servizio adulti che comporta anche all’esterno una situazione di confine, dove non sempre tali agenzie sono integrate e collegate a sufficienza fra di loro o addirittura sono deficitarie (vedi presidi psichiatrici per bambini e adolescenti), mentre risulta estremamente importante dare coesione e coerenza anche a questa dimensione sociosanitaria (che non assuma l'aspetto di una sorta di famiglia istituzionale disorganizzata e scissa) per accompagnare l'adolescente nel suo percorso.
INTERVENTI CLINICI E ISTITUZIONALI (QUALI CONFINI?)
Di fronte a tanta caoticità confusiva, qual è l’intervento, il limite possibile? Quali confini fornire, nell’ambito di un trattamento comunitario residenziale e nelle sue interazioni con le altre agenzie istituzionali (famiglia, servizi di competenza, ospedale e tribunale dei minori) nel tentativo di costruire con lei esperienze più coerenti e continuative, differenziate, ma non scisse e caotiche, e anche di crescita e di integrazione, nel suo difficile cammino verso il mondo adulto?
In una prima fase del trattamento comunitario abbiamo cercato di fornire a Sandra una cornice terapeutica solida, in grado di offrirle stabilità e sostegno, in grado di fornire un contenimento alla sua angoscia senza espellerla o abbandonarla, nel tentativo di garantirle un’esperienza terapeutica il più possibile continuativa e integrata tramite interventi clinici e istituzionali. In questa direzione è stata nodale la reiterata e vigorosa esplicitazione che avremmo tentato ogni via possibile prima di giungere al ricovero ospedaliero, limitando in questo modo la sua tendenza a spezzare l’esperienza comunitaria iniziando il solito percorso autoalimentato di fughe ed espulsioni accompagnate alle pervasive spinte regressive a rifugiarsi nell’"utero anonimo" rappresentato dal contenitore ospedaliero. Abbiamo cercato di far sentire a Sandra che Pra’ Ellera costituiva una presenza sufficientemente solida per contenerla in modo continuativo e senza espellerla, con le emozioni che a tratti la devastavano e la sconvolgevano. Nella stessa ottica contenitiva-protettiva è stato effettuato il prolungamento amministrativo dell’affido ai Servizi Sociali del Comune (sottoscritto dalla paziente stessa) che si traduceva di fatto in un consapevole protrarsi della sua permanenza a Pra’ Ellera. Il progetto terapeutico, infine, risultava saldamente condiviso e "integrato" con i colleghi dei servizi di neuropsichiatria infantile (tramite rapporti telefonici e di persona, quando possibile, visibili alla paziente).
Successivamente il programma terapeutico è stato indirizzato verso un obiettivo maggiormente evolutivo e di crescita, cosa che ha sempre terrorizzato Sandra, spaventata di perdere i privilegi legati all’essere "la più piccola" e di andare così incontro ad un nuovo mortifero abbandono. In parte questo passaggio è stato stimolato dalla necessità di trovare un nuovo interlocutore nel Servizio Adulti, per portare avanti il progetto terapeutico di Sandra che rischiava di andare incontro ad una sorta di "blocco evolutivo" con la sola collaborazione del Servizio di Neuropsichiatria Infantile. Le risorse di tale servizio, infatti, si sono rivelate decisamente insufficienti: non era possibile avere a disposizione del personale sul territorio che sostenesse Sandra nei permessi a casa, né una stretta collaborazione per mediare i rapporti con l’ospedale nel necessario tentativo di ripensare i ricoveri in un ottica diversa e meno regressiva. Questo ci ha spinto a cercare nuovi collegamenti con le agenzie istituzionali perfettamente coerenti peraltro con l’obiettivo di favorire un percorso maggiormente evolutivo e di crescita. Dopo aver garantito a Sandra un’esperienza terapeutica (e di vita) un po’ più continuativa e coesa e non necessariamente espulsiva, in una cornice molto contenitiva e protettiva in cui le sue relazioni avvenivano e si modulavano per lo più all’interno della comunità dove i rapporti erano per forza di cose, molto intensi e coinvolgenti, abbiamo tentato di fornire a Sandra una gamma di esperienze e di relazioni più adulta e allargata, anche al di fuori della struttura comunitaria, estremamente importanti per il loro significato e messaggio, e allo stesso tempo maggiormente accessibili perché più distanti e limitate nel tempo e quindi protette da un eccessivo e "disorganizzante" coinvolgimento emotivo. Esperienze differenziate fra loro e "differenzianti" (di separazione-individuazione) che Sandra riuscisse a vivere con maggior coerenza. Anche in questo caso l’intervento si è svolto su due piani quello clinico e quello istituzionale che ha rappresentato un utilissimo strumento di lavoro.
Il servizio di neuropsichiatria infantile è stato affiancato nella presa in carico anche dal servizio adulti dove a Sara è stata assegnata una psichiatra "per adulti", sancendo in questo modo la sua crescita e il suo affacciarsi al mondo adulto con il compimento della maggiore età. In questo modo si è inteso ridare dignità e importanza a tale evento che in un primo momento era risultato attenuato nel suo significato evolutivo dal prolungamento amministrativo e che ora viene in qualche modo decretato e sottoscritto ufficialmente dai servizi e anche dal magistrato del Tribunale dei Minori.
Il ricovero ospedaliero non doveva più rappresentare un luogo regressivo e "dei peluches" dove rimettere in atto le usuali modalità manipolative onnipotenti-regressive e confusive, ma è stato connotato diversamente come luogo di cura e di detensione e pausa da un carico emotivo eccessivo di fronte alle stimolazioni ambientali, saldamente collegato a noi e al SSM nell’ambito di un condiviso progetto terapeutico, non evocabile ed annullabile a suo piacimento, tantomeno ottenibile minacciando o mettendo in atto agiti violenti nei confronti delle compagne. Infatti in maniera più aderente alla realtà, al di fuori delle pretese di onnipotenza, Sandra come qualsiasi altra maggiorenne, inizia a sperimentare le conseguenze dei suoi agiti, non sempre conformi ai suoi desideri (ad esempio, al di là del ricovero, una querela o una denuncia). Questo è stato possibile grazie a lavoro di collegamento con i servizi territoriali attuato anche tramite incontri diretti al CPS e in ospedale. Il comportamento di Sandra durante i ricoveri appare infatti ora tranquillo e rispettoso, in un certo senso un po’ più responsabile e adulto, "differenziato" rispetto a quello comunitario.
Infine anche i rapporti con la famiglia, inizialmente vicariata, ma mai da noi sostituita, vengono curati e rinsaldati con la mediazione nostra e dei servizi: via via sono possibili permessi a casa della durata di qualche giorno a cadenza sufficientemente regolare grazie alla attenuazione delle deleterie dinamiche di abbandono ed espulsività.
Come accennato in precedenza, nel corso del nostro lavoro ci siamo scontrati con la presenza di un "gap istituzionale" nell'ambito della cura degli adolescenti che a tratti sembrano essere "terra di nessuno". Questo ci ha costretto a cercare delle "soluzioni artigianali" per usufruire di un indispensabile supporto e strumento di lavoro in grado di contribuire a fornire chiarezza e differenziazione.
Sandra sembra essere riuscita in questo modo, a crearsi uno spazio e una possibilità di esperienza un po' più coerente, continuativa e duratura "nel mondo adulto", nella cura con il SSM e persino in famiglia dove sembrava non essere proprio più possibile. In C. T. il lavoro e il rapporto con lei risultano sempre molto difficili e faticosi, sembra che proprio lì dove trascorre la maggior parte del tempo e i rapporti sono più "vicini" Sandra esperisca anche le emozioni più intense, arcaiche e scompaginanti che necessitano comunque di uno spazio sufficientemente solido per essere accolte ed espresse, senza dilagare confusivamente e distruttivamente in ogni tipo di esperienza che invece Sandra sembra iniziare a poter conservare. Sandra riesce infatti a continuare e a migliorare i permessi a casa, durante i ricoveri mantiene un comportamento completamente diverso dal passato, e infine conclude il percorso con l’inserimento in una comunità più vicina a casa, sancito dal decreto ufficiale del magistrato del Tribunale dei Minori e supportata da noi, dal CPS adulti e dai familiari.
Al di là dei già citati modelli teorico-interpretativi di Kernberg e di Green, la nostra esperienza con Sandra mostra alcuni elementi di contatto anche con i modelli etologici e delle recenti teorie dell’attaccamento (Liotti, Bowlby, Fonagy).
L’abbandono precocissimo e la presenza successivamente di caregivers comunque fragili possono aver contribuito a determinare la presenza di uno stile di attaccamento non sicuro, un pattern di attaccamento di tipo disorganizzato, caratterizzato da una commistione di rappresentazioni di sé e dell’altro drammatiche, molteplici, dissociate e rapidamente cangianti, che rappresenta un elevato fattore di rischio per lo sviluppo di un Disturbo Borderline di Personalità nell’età adulta. In Sandra è evidente il terrore e la reazione rabbiosa di fronte al rischio di un nuovo abbandono reale o anche solo fantasticato; nelle situazioni di bisogno, paura, stress sembra riattivarsi intensamente il pattern di attaccamento disorganizzato e così avviene anche nel rapporto terapeutico che per questo la spaventa e frastorna con tendenza al ripetersi dei drop-out (i continui e ripetuti fallimenti comunitari). In tal senso il nostro tentativo è stato quello di fornire a Sandra "una base sicura" da cui non scappare con un nuovo drop-out; infatti, in particolare nella prima fase del trattamento comunitario, abbiamo cercato di fornirle una cornice terapeutica solida, che fosse in grado di contenerla in modo continuativo senza espellerla o abbandonarla. Successivamente abbiamo tentato di fornire a Sandra una gamma di relazioni più adulta e allargata, in modo da garantirle più "basi sicure", ossia più figure terapeutiche (oltre alla nostra equipe la psichiatra del servizio adulti, i medici dell’ospedale…) ben integrate fra loro, in grado di lavorare secondo un unico modello terapeutico con un continuo scambio visibile per la paziente. Infatti mentre il rapporto terapeutico più frequente e prolungato (il trattamento comunitario nel suo complesso) tende a comportare un’attivazione eccessiva e più intensa dello stile di attaccamento disorganizzato con conseguenti minori capacità autoriflessive e di insight, gli altri rapporti risultano essere un utilissima integrazione e completamento della terapia, dal momento che appaiono maggiormente accessibili perché più distanti e limitati nel tempo e quindi protetti da un eccessivo e "disorganizzante" coinvolgimento emotivo e in grado anche di smorzare e attenuare tale coinvolgimento emotivo, garantendo la rassicurante presenza di più figure terapeutiche o come sottolineato prima, di più "basi sicure".
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