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Il Disturbo Ossessivo Compulsivo

9 Gen 13

Di FRANCESCO BOLLORINO

di Rosa Maria Lombardo

 

 

Presentazione

 

Il lavoro nasce dall’esigenza di creare un discorso pedagogico intorno ad un disturbo che ha un grande impatto sui modi e sui tempi dell’apprendimento ma primariamente sull’intera vita della persona.

Per quanto si parli pochissimo di studenti con Disturbo Ossessivo Compulsivo fra i banchi ce ne sono tanti, molto spesso non riconosciuti perché il D.O.C. è ancora una di quelle "malattie" scomode di cui si sa pochissimo e si parla pochissimo.

Come insegnante mi sono trovata spesso di fronte ad alunni molto intelligenti, svegli, capaci di intuizioni e ragionamenti che si scontravano con prestazioni scolastiche spesso insoddisfacenti, soprattutto relativamente agli ambiti della letto-scrittura e del calcolo. Non so quanti di questi alunni avessero sviluppato un disturbo specifico ma so che in alcuni di essi ho potuto osservare atteggiamenti palesi di azioni ripetute, eseguite al rallentatore con una meticolosità esagerata, complicate da azioni e sotto-azioni non necessarie al raggiungimento dell’obiettivo.

       

 

Una certa esperienza, maturata come moderatore-volontario di un sito che offre possibilità di scambio on line a persona che soffrono di disagi esistenziali, mi ha permesso di fare collegamenti, di avere un occhio più attento, di vedere un po’ oltre lo scontato e di non fermarmi alle prime impressioni.

Che di piccole manie tutti ne abbiano avuto esperienza è un dato di fatto anche molto riconosciuto dal senso comune ; credo però che in certi casi si debba essere in grado di interagire con un bambino che presenta tendenza alla ritualità seppure in modo limitato a momenti ( all’arrivo ad esempio o all’uscita) o che ha superato la fase della piccola mania e del breve rituale ed è entrato in una spirale di gesti e pensieri ossessivi.

Sono tante le ragioni per cui una persona, che è anche un alunno , incontra difficoltà nel suo processo di crescita, fra questa una è certamente il D.O.C.

Un approccio più umano e meno scolastico ad alunni che apparivano ansiosi quando impediti nel realizzare il loro piccolo rituale, mi ha consentito di individuare comportamenti , di cui a volte i bambini hanno parlato spontaneamente, che potessero ricondurre ad un elemento di disturbo, intrusivo e non volontario, ma capace di rallentare o mortificare il rendimento di questi alunni.

Di qui l’esigenza di formalizzare, in uno studio, le competenze pedagogiche da rivolgere a questi alunni che mostrano un intelligenza nella norma a cui non corrispondono prestazioni che confermino il livello intellettivo, la cui osservazione clinica può portare ad una diagnosi oppure no. Ritengo giusto però sottolineare che accanto alla diagnosi, importante per delineare progetti di intervento adeguati e a più livelli, conti la conoscenza di procedure di intervento adatte, altrimenti si correrebbe il rischio che la diagnosi serva solo a confinare l’alunno nella condizione di disabile di cui si fatica ad avviare una lettura in chiave di processualità dell’essere disabile per dare alla condizione di disabilità una lettura in termini di staticità e di accettazione rassegnata.

Al pedagogista e all’educatore , all’insegnante si richiede una conoscenza ad ampio raggio dei processi di sviluppo e di ciò che può intervenire a rallentare, deviare o invalidare tali processi; la conoscenza e la capacità di attivare strategie nuove, anche in terreni non ancora percorsi, richiama in causa una professionalità che ha nella continua ideazione e creazione di strumenti e procedure nuovi una finalità in sintonia con la continua mutevolezza dell’essere umano.

Il Disturbo Ossessivo Compulsivo, come avrò modo di argomentare nei paragrafi successivi, rientra a pieno titolo fra quei disturbi di natura psichiatrica che hanno un’incidenza importante nel rendimento scolastico e che attiene alla funzione del pedagogista per gli aspetti evolutivi,educativi e rieducativi riferiti al bambino, alla famiglia e ai docenti che con lui interagiscono, al fine di evitare che le cure specifiche al sintomo , di competenza dello psicologo e dello psicoterapeuta, vengano vanificate da interventi inappropriati dei genitori o dei docenti di classe, e che il recupero di funzioni dello sviluppo sia seguito con professionalità e competenza permettendo al bambino di archiviare l’incontro con il D.O.C. come un ricordo.

Il lavoro svolto non ha la pretesa di avere esaurito quanto esiste come sapere condiviso sul disturbo; più che altro è una carrellata che può essere ulteriormente sviluppata e direzionata. Anche i centri e i professionisti citati sono solo rappresentativi dell’impegno profuso da parte di professionisti in questo settore; chiaramente riunire tutto sarebbe stato arduo, ho preferito muovermi lungo i canali che la stessa utenza privilegia e da cui mi sono lasciata guidare nella ricerca di materiale e testi informativi. Il mio obiettivo era infatti quello di creare un sapere attorno al problema condivisibile da un pubblico anche di non addetti ai lavori e quindi di facile accesso e socializzazione.

 

1.Il D.O.C. : cosa è e come si presenta.

 

Il DSM IV ( 1994) definisce i criteri diagnostici del disturbo ossessivo compulsivo come segue:

A.Ossessioni e compulsioni:

  1.  
  2. Pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e persistenti, vissuti in qualche momento nel corso del disturbo, come intrusivi o inappropriati e causano ansia o disagio marcati;
  3. I pensieri, gli impulsi o le immagini non sono semplicemente eccessive preoccupazioni per i problemi della vita reale:
  4. La persona tenta di ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi , immagini o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni;
  5. La persona riconosce che i pensieri, gli impulsi o le immagini ossessive sono un prodotto della mente ( e non imposti dall’esterno come nell’inserzione di pensiero).
  6.  

Compulsioni:

  1.  
  2. comportamenti ripetitivi ( ad esempio lavarsi le mani, riordinare controllare), o azioni mentali ( ad esempio , contare, ripetere parole mentalmente) che la persona si senta obbligata a mettere in atto in risposta ad un’ossessione, o secondo regole che devono essere applicate rigidamente;
  3. I comportamenti o le azioni mentali sono volti a prevenire o a ridurre il disagio o a prevenire alcuni eventi o situazioni temuti; comunque questi comportamenti o azioni mentali o non sono collegati in modo realistico con ciò che sono designati a neutralizzare o a prevenire, oppure sono chiaramente eccessivi.
  4.  

B. In qualche modo nel corso del disturbo, la persona ha riconosciuto che le ossessioni o le compulsioni sono eccessive o irragionevoli.

Nota: ciò non si applica ai bambini.

C.Le ossessioni o compulsioni causano disagio marcato, fanno consumare tempo ( più di un’ora al giorno), o interferiscono significativamente con le normali abitudini della persona, con il funzionamento lavorativo ( o scolastico) o con le attività o relazioni sociali usuali.(1)

 

Sulle cause del disturbo , il dottor Lee Bar scrive nel suo libro "Siamo pressocchè sicuri che questi disturbi siano, in parte, ereditati geneticamente: quando un gemello identico soffre di disturbi ossessivi-compulsivi, è probabile che ne soffra anche l’altro gemello, anche se sono stati allevati separatamente.Inoltre questi disturbi sembrano essere legati geneticamente ad altri problemi come l’agorafobia, la depressione e la sindrome di Gilles de la Tourette. I parenti di malati con disturbi ossessivo-compulsivi hanno una maggiore probabilità di ammalarsi di questi disturbi.La serotonina, inoltre è uno dei neurotrasmettitori, sostanze che chimiche cerebrali che aiutano i nervi a trasmettere le informazioni.Sappiamo che tutti i farmaci efficaci contro i disturbi ossessivo-compulsivi modificano il livello cerebrale di serotonina. Pensiamo quindi che questa sostanza sia coinvolta nella comparsa del disturbo. Tuttavia la serotonina non rappresenta la chiave di tutto.Talvolta i genitori dei pazienti sono ritenuti responsabili dei disturbi dei figli a causa di un’educazione troppo severa della vescica e dell’intestino in età infantile. Neanche in questo caso esistono prove certe che ciò sia vero; questa questione è stata valutata attraverso uno studio che non ha rilevato l’esistenza di alcun rapporto tra il tipo di educazione all’uso del bagno e la successiva comparsa di disturbi ossessivo-compulsivi. E’ però probabile che le prime esperienze di vita siano in qualche modo legate a questi disturbi. Secondo alcuni studiosi, punizioni troppo severe, impartire in epoca infantile, possono predisporre successivamente un individuo ad avere dubbi ossessivi e a compiere rituali di controllo"(2)

Le indagini circa le cause del D.O.C. non sono pervenute ad una posizione univoca ma si arricchiscono dei contributi significativi dei vari ricercatori che si accostano allo studio del disturbo.La causa organica è tra le più indagate, anche perché da questa la possibilità di individuare una molecola farmacologica che arrechi immediato e duraturo sollievo a chi si scontra con una sofferenza così grande ma soprattutto invalidante per certi aspetti.

"Nello studiare l’attività cerebrale di persone affette da D.O.C. il mio collega Lew Baxter e io abbiamo ottenuto alcune immagini servendoci di quella tecnica di scansione altamente specializzata che è la tomografia a emissione di positroni( P.E.T.), in cui una minuscola quantità di una sostanza chimicamente definita come glucosimile viene iniettata nel corpo del paziente e fatta affluire al cervello.Le immagini risultanti indicano chiaramente che negli individui affetti da disturbo ossessivo compulsivo, l’attività cerebrale è notevolmente più alta rispetto alla norma nella corteccia ( o strato periferico del cervello) orbitale, la quale lavora, quindi in eccesso fino a scaldarsi, letteralmente"(3).

Davide Dottore4 nel suo recente libro sul D.O.C. passa in rassegna una moltitudine di studi effettuati in vari centri universitari, frutto di una raccolta di quanto è attualmente disponibile, in Italia, in termini di letteratura scientifica sul problema. I suoi studi quindi raccolgono le varie ipotesi eziopatogenetiche sino ad ora prese in considerazione, sottoposte a sperimentazione ed ancora in fase di verifica.

Dallo studio dei lobi frontali, allo scambio serotoninergico; agli studi sulla regione setto-ippocampica del cervello di Gray (1982) denominata B.I.S.( Behavioural Inibition System); questa corrisponde all’attività e alla funzione di strutture ( nella regione ippo-campica appunto) e determina un’attivazione del B.I.S. da parte di una minaccia reale o potenziale e il cui innesco porterebbe ad un’inibizione del comportamento in atto, ad un’esaltazione dell’attivazione e dell’attenzione, principali costituenti dell’ansia.

Ingram, in uno studio risalente al 1961 attribuirebbe il D.O.C. ad una scarsa attività dell’emisfero destro, con una prestazione insufficiente su test di tipo cognitivo; altri studi propendono per un deficit di memoria (Sher1983,Cox 1989, Hollander 1990, Wilhelm 1997). Nessuno di questi studi può considerarsi definitivo, esaustivo e determinante nella comprensione e nella terapia ; tutti insieme però contribuiscono alla sua conoscenza.

Sul piano psicologico lo studio di Dèttore prende in considerazioni alcune ipotesi fra le più conosciute, da quella freudiana che attribuisce al D.O.C. una funzione inconscia di scarico di energie libidiche represse; quella neurofisiologica di Pavlov condotta con le strumentazioni dell’epoca dello studioso ; la teoria comportamentale attribuisce al D.O.C. il valore di una serie di comportamenti appresi e consolidati da una lettura sbagliata di rinforzi o da rinforzi impropriamente dati o da autorinforzi ( eseguire il rituale placa temporaneamente l’ansia associata); l’ipotesi cognitivista, a partire dagli studi di Carr del 1974, attribuisce la strutturazione della sintomatologia ad una errata lettura della realtà, una valutazione anomala del rischio con la conseguente attivazione di risposte adattive, di contenimento o di fuga.

Il disturbo ossessivo compulsivo trova una sua veste specifica in quanto disturbo a sé, isolato e principale come sintomo ma può anche trovarsi associato ad altri disturbi della sfera emotiva ed anche a disturbi della personalità. E’ il caso dell’autolesionismo, molto diffuso nelle persone che soffrono di un Disturbo del comportamento alimentare, in cui Dalle Grave4.1 riscontra la costante del tratto ossessivo, inteso come perfezionismo, soprattutto nelle pazienti anoressiche; d’altra parte l’autolesionismo su base compulsiva viene maggiormente associato alla bulimia.

Una tendenza al controllo ossessivo si ravvisa anche nelle persone che soffrono di attacchi di panico e fobie.

Una presenza indicativa di ossessioni e rituali, soprattutto di lavaggio, si ritrovano in persone che hanno subito un abuso, nei bambini chiaramente sono particolarmente indicativi di una violazione del corporeo associata a sensazioni non definite di sporco o contatto non gradito; la correlazione è forte e sostenuta da studi condotti dall’A.B.A.4.2 (il rapporto fra bulimia-compulsioni-abuso/incesto) ma anche da Telefono Azzurro4.3.

Significativo, a tale proposito, un caso clinico riportato da Giorgio Nardone4.4, psicoterapeuta ad indirizzo breve strategico all’interno del più ampio quadro dell’orientamento comportamentale, che resoconta di un ragazzo, vittima di un abuso omosessuale, aduso a fare uso di alcool per disinfettare la bocca.

Rientra nel quadro del D.O.C. anche la tricotillomania che si caratterizza con lo strappo coatto di capelli e ciglia sino alla completa eliminazione delle sopracciglia o a alla formazione di zone di alopecia.

Il disturbo di dimorfismo corporeo, si caratterizza a detta di Dèttore anche all’interno dell’D.O.C. se le ossessioni e i rituali si concentrano attorno al corpo e si configura come incapacità da parte del soggetto a riconoscere come propria la propria immagine corporea; anche ad accettarla, da cui deriva una serie di pensieri e rituali atti a ristabilire un equilibrio cinestesico che la persona rincorre dolorosamente.

Altra situazione è quella della personalità ossessiva, descritta dalla diagnostica e differenziata dal disturbo ossessivo compulsivo per l’assenza di consapevolezza nei confronti delle bizzarie dei gesti attuati e della instrusività dei pensieri che non causano vergogna o imbarazzo e non inducono a nascondersi; il soggetto che soffre di disturbo di personalità ossessiva tende ad imporre a chi lo circonda i suoi rituali e non ritiene di avere bisogno di cure.

 

 

 

 

Implicazione cognitive nella formazione dello stile di pensiero che sottende al sintomo



Alla luce dei più recenti studi sui processi cognitivi, si può dire, che il D.O.C. , secondo un’ottica poco organicista, sia anche frutto di una serie di "errori cognitivi" che vedono una errata elaborazione dell’informazione e relativa difficoltà ad organizzarla con le altre di cui il soggetto dispone; uno stile cognitivo di tipo personalizzante che tende ad attribuirsi la causa dei fatti anche esterni al soggetto, nonché il ricorso a modalità cognitive più euristiche che tendenti all’algoritmo, inteso come soluzione logica del problema. 
D’altra parte va sottolineato che oggi si parla di cervello emotivo, la cui sede sarebbe individuata da David Servan4.5 nel cervello limbico , la parte più antica rispetto alla corteccia , in quanto ad evoluzione , del cervello umano e deputata all’attivazione di comportamenti più istintivi, primitivi e quindi prevalentemente orientati allo schema attacco-fuga.
La persona che soffre di D.O.C. inoltre sembra optare per una serie di strategie e di espedienti di propria invenzioni con le quali aggirare il problema piuttosto che risolverlo.(4)
Si inserisce bene in questa prospettiva il contributo offerto dai teorici dell’elaborazione dell’informazione, da Garner (1962) a Neisser (1976) e dell’approccio connessionista a cui fa riferimento Anderson, in uno studio del 1987 orientato ad individuare un punto di contatto tra i due approcci. La lettura della realtà passa quindi attraverso modalità cognitive di elaborazione dell’informazione e di connessioni che vengono elaborate e quindi "lette" sulla base di una integrazione fra il dato così come si presenta e tracce mnestiche che vengono attivate dal dato stesso e direzionano l’attenzione verso uno stimolo piuttosto che un altro e verso la significazione di questo stimolo.Ciò spiegherebbe quindi perché le persone reagiscono in maniera diversa a stimoli uguali e perché alcuni vivrebbero come "pericolose" situazioni che per altri sono vissute come normali o di routine.
Prendendo spunti dagli studi di Alba e Kasher (1983) sulle funzioni della memoria è utile ricordare che le persone selezionano gli stimoli, attenzionandoli, sulla base di una ricerca di coerenza con i dati in proprio possesso, quindi sarebbero le conoscenze pregresse a guidare l’attenzione verso l’individuazione e la selezione di stimoli.E’ quindi possibile intuire o ipotizzare come persone concentrate sulla paura dello sporco o di un altro elemento fobico siano attentissime a cogliere attorno a sé stimoli relativi a tale area e organizzare di conseguenza il loro comportamento in direzione regolativa e adattiva , pur tenendo presente che si tratta di un adattamento e riequilibrazione verso un dato che ha valore per il soggetto ma non ha un valore universale di conoscenza.
Il processo di categorizzazione della realtà in categorie concettuali via via più astratte e generalizzanti proposto dalla Rosh ( 1978) corrisponde ad un’esigenza di economia cognitiva per cui è possibile raggruppare più eventi in categorie concettuali sulla base delle loro somiglianze così da potere considerare eventi diversi come facenti parte della stessa categoria concettuale e potervi accedere velocemente per una ri-catalogazione di nuovi eventi che si presentano alla persona. Le persone quindi organizzano i concetti, secondo la Rosh all’interno di un sistema caratterizzato da dimensioni verticali e orizzontali, dove la dimensione verticale si riferisce all’estensione di un concetto ( da mobile a sedia a sedia da cucina, per esempio) e quella orizzontale distingue fra concetti dotati della stessa estensione ( cane e gatto sono concetti con lo stesso livello di generalità poiché si riferiscono a tutti i cani e tutti gatti a prescindere da razza, colore, dimensioni).
Gli studi della Rosh hanno portato ad individuare una maggiore tendenza, da parte delle persone, a sviluppare concetti base, all’interno della dimensione verticale. Il concetto "uva" è un concetto base rispetto al concetto sovraordinato "Frutta" e rispetto al concetto "uva regina" di tipo subordinato.Da ciò la Rosh ricavò il dato che le persone tendono ad avere maggiori informazioni relativamente ai concetti base, così come nei bambini si osserva un apprendimento più accurato relativamente ai concetti base che non a quelli sovraordinati, ne deriva una tendenza nei bambini a cognitivizzare a partire dal particolare, dal dato concreto ed empirico.
Relativamente allo studio sul D.O.C. si potrebbe azzardare che le persone che ne soffrono tendono ad essere più selettive nei confronti di particolari significati, ad esempio il concetto"sporco" e selezionare gli stimoli relativi a questa area con più facilità a scapito però del loro stato di salute. E’ chiaro quindi che l’organizzazione cognitiva del soggetto influisce sulla sua modalità di accesso agli stimoli e relativa elaborazione.
Anche il Costruttivismo ci viene in aiuto a partire dal presupposto che la realtà non esiste come dato oggettivabile ma perché qualcuno la pensa, la categorizza e lo fa sulla base dei propri dati già in possesso. 
Di qui un relativismo che ha spostato l’attenzione sui processi conoscitivi, ritenuti fondamentali per il modo in cui soggetto entra nella vita e nel mondo, sia in rapporto a se stesso che agli altri e la fiducia che il cambiamento del punto di vista possa generare nuove percezioni e ordinamenti della realtà.E’ comprensibile come molti studiosi dei processi cognitivi abbiano spostato l’attenzione sulle personali modalità di approccio alla realtà a partire dal dato empirico che ad uno stesso evento le persone rispondono in modi diversi, anche diametralmente opposti.
Se quindi è possibile individuare percorsi cognitivi, funzioni e strategie cognitive riassumendoli in quadri teorici di riferimento è da tenere presente , e da non sottovalutare, che non si dovrebbe generalizzare il funzionamento di questi principi, in assoluto, come universalmente valido per il genere umano.
Le differenze quindi, tenute nella debita considerazione, conferiscono ragione e valore a chi fa del processo conoscitivo un evento complesso in cui elementi filogenetici si frappongono e integrano con elementi individuali, propri del soggetto, originando una serie di combinazione rappresentative della complessa natura umana.
Da un punto di vista pedagogico sarebbe impossibile ridurre lo sviluppo della conoscenza entro i limiti di un solo quadro teorico, mentre più fecondo appare l’approccio che riesce a cogliere spunti utili e integrarli per una lettura che si fa di volta in volta sulla base delle diverse situazioni che si incontrano.

 
 


Il ruolo della memoria

 

 

Anche gli studi sulla memoria aiutano a comprendere la formazione di uno stato cognitivo come quello della "paura della paura".

La memoria riconosce stimoli provenienti dall’esterno e li associa ad altri mediante la rievocazione di eventi o dati simili, questo secondo la posizione di Bransford e Johnson (1972) che partivano dalla domanda sulla selezione delle informazioni come guidata dalla ricezione o dalla rievocazione. I due studiosi hanno cercato di dimostrare come la rievocazione sia subordinata alla significatività del dato ricevuto che quindi può essere ignorato se non significativo per il soggetto e come la rievocazione attivata dallo stimolo influisca sulla lettura dello stesso.Alba e Hasher (1983) intervengono a sottolineare che il processo di rievocazione è ancora subordinato alle inferenze che il soggetto opera sul dato e che ha anche bisogno di essere integrato con il resto di conoscenze che il soggetto possiede con il rischio, nel caso dello studio sul D.O.C., che il soggetto assimili il nuovo stimolo a significati ricavati dalla sua storia personale.Questa potrebbe essere una strada per imparare a pensare come "pauroso" ciò che non lo è e che da altri viene letto in maniera diversa .

I teorici della Gestalt hanno certamente contribuito a questo ambito di studio con la precisazione di una organizzazione della conoscenza all’interno di una Gestalt, di una forma o contesto che "significa" il dato relativamente allo stesso e che non può essere considerato come isolato.

Qualche anno dopo Goffman (1974) sviluppando gli studi di Bateson parla di frames , ovvero schemi entro i quali i fatti assumono significati diversi. Di qui la possibilità di inquadrare la realtà attraverso i frames con diversi significati di attribuzione (framed) e di reinquadrarla (re-framed). Goffman ha descritto alcune di queste modalità come la simulazione della rappresentazione cinematografica in cui la contestualità del valore attribuito ai fatti è molto evidente.

Interessante a questo punto dell’analisi l’approccio di Tulving che in uno studio del 1985 parla di memoria episodica e di memoria semantica, attribuendo alla prima il valore di una memoria di fatti e alla seconda il valore di una memoria di significati; segue la memoria procedurale che è una memoria di sequenze atta a conseguire uno scopo. I tre tipi di memoria richiamano stati di coscienza diversi, poiché la memoria procedurale non necessita di consapevolezza ( l’andare in bici ad esempio implica il recupero di conoscenze operative eseguite automaticamente) e quindi si dice che è anoetica; la memoria episodica , che dipende da quella semantica, implica uno stato di coscienza relativa a se stessi in quello che si sta facendo, quindi è autonoetica; la memoria semantica è noetica nel senso che si è consapevoli di sé e di quello che si sta facendo ma anche di fatti e persone che non sono nella situazione. Tulving vincola fortemente tra loro queste tre forme di memoria gerarchizzandole poiché la memoria semantica fa da "madre" alle altre due forme di memoria.

A questo punto sembra possibile ipotizzare, sulla base di questa distinzione, come una persona affetta da D.O.C. possa vivere una sovrapposizione di queste tre forme di memoria e vedere un ricorso eccessivo alla memoria semantica anche in situazioni i cui, per economia di vita, il cervello farebbe ricorso solo alla memoria procedurale. Gesti abituali quindi appartengono alla memoria procedurale ma vengono prepotentemente investiti da messaggi inviati dalla memoria episodica e da quella semantica, che colora di significati gesti che la maggior parte di persone svolge automaticamente e senza prestare loro alcuna attenzione, e che quindi da automatici diventano rituali, poiché nella reiterazione la persona spera di trovare sicurezza all’ansia creata dal dubbio.La differenza infatti tra gesto automatico e rituale sta nella assenza di consapevolezza per il primo e presenza di consapevolezza-vigile per il secondo.Ecco i dubbi relativi all’essersi lavati,all’avere dimenticato la porta di casa aperta, all’avere controllato gli interruttori del gas, all’avere detto qualcosa che non si doveva dire.
Altri studiosi propendono per l’individuazione di una forte componente semantica nell’opera di recupero delle informazioni, anche utilizzate per leggere nuovi stimoli; si ricorda più facilmente ciò che ha un significato, ciò che trova collegamenti nella storia personale del soggetto e sempre sulla base del significato si individua più facilmente uno stimolo che ha un significato , un valore nella storia della persona piuttosto che uno stimolo neutro.

Neisser quindi sostiene che le informazioni che sono oggetto di attenzione sono frutto di una selezione attiva da parte del soggetto, con una forte presenza sul campo delle aspettative che guidano i processi cognitivi condizionandoli, direzionandoli.Altri studiosi, prima di lui, propendevano per una valutazione dell’attenzione come selettiva o dicotica (Cherry 1953) per cui le persone sono capaci di prestare attenzioni a fonti di stimoli diverse; Neisser contestava però questo approccio poiché a suo parere non spiegava le situazioni non di laboratorio a cui si rifaceva lo studio di Cherry. Nella vita reale, secondo Neisser le persone conoscono ciò a cui prestano attenzione e non viceversa.

E l’attenzione viene prestata sulla base delle aspettative. E’ evidente che l’approccio ecologico di Neisser fa riferimento alla complessa interdipendenza tra le funzioni della personalità; la dimensione cognitiva, emotiva, affettiva, etica, relazionale si incrociano a scambiarsi informazioni e percorsi che rendono l’idea di meccanismi complessi, ancora da studiare e da comprendere.(5)

 

2.Diagnosi differenziale con altri disturbi della letto-scrittura e di calcolo e dello sviluppo

 

E’ molto importante, per l’insegnante, segnalare all’attenzione del pedagogista della scuola alunni che presentano comportamenti difficilmente leggibili entro i parametri della "normale" produzione scolastica dell’alunno.E’ il caso di alunni che mostrano una particolare lentezza nell’esecuzione dei compiti, pur svolgendoli in maniera corretta e avendo mostrato un’immediata comprensione dello stesso. Prima di avviarsi verso la ricerca di un disturbo specifico dell’apprendimento è opportuno considerare anche la possibilità di disturbi non direttamente legati all’apprendimento ma allo sviluppo.in questa prospettiva diventa preziosa l’osservazione, condotta in maniera sistematica da uno o più docenti e supportata da scambi e confronti fra gli stessi. Gli stessi criteri diagnostici del D.S.M. IV possono facilitare la creazione di una piccola scheda di riferimento nella quale annotare la presenza del comportamento e la sua frequenza.

La correttezza dei compiti assegnati, rispetto al tempo impiegato per lo svolgimento, può far pensare alla probabilità che il bambino, occupi molto del tempo di cui dispone, a ruminare su parole, pensieri intrusivi, sulla ripetizione di parole, sulla continua correzione di grafemi o intere parole.Anche la difficoltà di comprensione, non costante ma sporadica, e soprattutto legata a situazione di tensione, può far pensare che il bambino sia impegnato in ruminazioni mentali, mentre si assiste ad una sua vivacità intellettiva in situazioni di gioco o in cui è particolarmente rilassato.Il bambino che soffre di D.O.C. mostra comportamenti che possono essere confusi con altri pertinenti ad altri disturbi.

La difficoltà a stabilire un contatto oculare, ad esempio, può essere causata dalla concentrazione, silenziosa del bambino, su un pensiero o comportamento ossessivo.Ci sono bambini che manifestano compulsioni evidenti, e non le nascondono; altri che compiono gesti che possono passare inosservati se l’osservazione non è costante o che hanno già imparato a nascondere perché ripresi bruscamente da un adulto.

Tutte le situazioni in cui il rendimento scolastico è altalenante, in cui non si riesce a definire un Disturbo dell’Apprendimento con sufficiente sicurezza possono far pensare di dovere indagare su altri versanti evitando di fermarsi a diagnosi scontate e frequenti nel panorama evolutivo. L’esclusione di disturbi specifici della letto-scrittura e del calcolo va affidata ad un’osservazione costante e attenta dell’alunno finalizzata all’individuazione di rituali nella lettura o nella scrittura e che portano a prestazioni non soddisfacenti; il bambino legge mentalmente la parola un certo numero di volte, ripete formulette fra una sillaba e l’altra, deve seguire un certo orientamento nello scrivere, le lettere devono avere certe caratteristiche, il tratto è marcato o troppo leggero, la grafia discontinua nella forma, nell’orientamento, ricca di particolari o a zig zag ( a causa della tensione muscolare del braccio, dell’avambraccio o della mano); la stessa prensione della penna può essere condizionata dal disturbo ossessivo-compulsivo. D’altra parte può essere utile rilevare la capacità di riconoscere parole omofone, di trascriverle correttamente così come l’intonazione corretta degli accenti; la lettura o trascrizione di non-parole, le prove sulla memoria fonologica, sulla consapevolezza fonetica e altre analisi consentono di individuare o escludere un disturbo della lettura o della scrittura, che sono costanti e caratterizzano le produzioni scritte del bambino con disturbi di letto-scrittura.

E’ certamente una situazione che richiede un periodo di osservazione lungo, non si può azzardare un sospetto di D.O.C. escludendo disturbi specifici dell’apprendimento se non dopo un certo tempo che ha confermato la correttezza di lavori presentati e prodotti in situazioni di tranquillità,anche a casa purchè senza aiuto, e lavori prodotti in situazione di tensione. L’assenza di tratti tipici, nella lettura e nella oralità di tratti dislessici e nella scrittura di tracce di disgrafia, disortografia, nonché nelle operazioni di calcolo di discalculia, può indurre a propendere per la ricerca di altre cause, dopo che le varie prove funzionali sono state somministrate nei tempi e nelle modalità previste.

Tuttavia la lettura può presentare difficoltà che simulano una situazione di disagio cognitivo nel leggere, indotta quasi certamente, dalla concentrazione su altri pensieri o gesti con un evidente riflesso sulla velocità di lettura, sulla capacità predittiva e sulla comprensione. Anche la competenza strumentale deve essere indagata opportunamente al fine di valutare l’ambito di indagine nella sua complessità e nel coinvolgimento del piano operativo e cognitivo. Le abilità di calcolo, seppure padroneggiate possono essere messe a dura prova dall’intrusività dei pensieri con un costante disturbo della memoria a cui il bambino attinge per riconoscere i numeri, i simboli delle operazioni e per mantenere costante il flusso delle operazioni mentali necessarie al calcolo e alla numerazione e alla logica.4.6 Le attività di calcolo matematico richiedono infatti funzioni e processi diversi non necessariamente correlati tra loro. La capacità di eseguire delle operazioni ad esempio non trova riscontro nel recupero di fatti numerici nella M.L.T. per cui un bambino può essere costretto ogni volta a rifare tutto il percorso di una tabellina senza riuscire a recuperare automaticamente il dato; ci sono poi difficoltà relative al riconoscimento bidirezionale della cifra-parola o della parola-cifra e dei segni operatori.E’ bene ricordare che queste difficoltà sono le stesse che un bambino , impegnato in ruminazioni o rituali, può incontrare pur non presentando le disfunzioni funzionali o neurobiologiche che causano il disturbo specifico.

Per affinità viene qui citata anche la sindrome di Gilles de La Tourette. La sindrome trova in J.M.G.Itard ,nel XIX secolo, uno dei primi studiosi, anche se, a causa dei pochi casi riscontrati, questi potè solo annotare degli appunti, ai quali ebbe accesso Charcot che, a sua volta, affidò a Gilles de la Tourette4.7 che ebbe il merito di sistematizzare le osservazioni e di delineare una teoria e una procedura d’approccio alla malattia.

La sindrome, di cui la differenziazione con il D.O.C. è ancora oggetto di discussioni fra esperti di orientamenti diversi,comporta la presenza di tic involontari soprattutto a livello motorio, infatti alcuni studiosi tendono a considerarla come un’esarcebazione , sul piano motorio, del D.O.C; tali tic o e emissioni di suoni fino a parole complete, può rendere più difficile il lavoro del bambino a scuola, nelle varie prestazioni, soprattutto strumentali, che gli vengono richieste.

Difficilmente la sindrome risponde al trattamento psicoterapeutico e alla rieducazione, mentre risponde bene all’uso di farmaci specifici, poichè su tale patologia gli studiosi propendono per l’accettazione di una sicura eziologia organica con modificazioni permanenti delle strutture e funzioni cerebrali; nel D.O.C. il coinvolgimento della corteccia orbitale e del glucosio, dimostra una modificazione temporanea di strutture e funzioni cerebrali che ritornano alla normalità sia in seguito all’assunzione di farmaci specifici che in seguito a psicoterapia comportamentale, come dimostrato dagli studi di Schwartz dell’UCLA .(3)

L’eziologia organica del D.O.C. è ancora oggetto di numerosi studi, si tende comunque a ritenere che sia un disturbo su base organica ed ereditaria, ma anche l’ereditarietà è oggetto di studi relativamente alla possibilità di un apprendimento del D.O.C. da modello fin da bambini piuttosto che di una sua presenza nel codice genetico. Il disturbo definito D.D.A.I. potrebbe sostituire e coprire una diagnosi di D.O.C. e quindi proporre trattamenti non adatti.Se per certi versi il bambino con D.D.A.I. ha dei comportamenti paralleli al bambino con D.O.C. occorre precisare che quando il bambino non è soggetto ai comandi impartiti dal D.O.C. si comporta in maniera adeguata al contesto in cui si trova; se l’attività lo interessa, la sintomatologia, se ancora non cronicizzata a livelli drammatici, regredisce quasi subito lasciando il bambino libero di giocare e divertirsi o lavorare.

Le crisi di D.O.C. hanno la tendenza a concentrarsi in momenti di stress; possono mostrare all’osservatore , una persona estremamente concentrata ed impegnata, anche se è difficile comprender su cosa, oppure una persona che si muove febbrilmente, girando su se stessa, ritornando sui suoi passi, entrando ed uscendo da una stanza, con la costante che il comportamento viene ripetuto un certo numero di volte e il disinteresse per ciò che accade attorno è notevole.Se si cerca di fermare la persona molto sicuramente avrà una reazione di rabbia e un’espressione di frustrazione, perché è stata interrotta nel rituale e dovrà riprenderlo da capo con fatica e dolore.

Difficile quindi trovare qualcosa di motivante, se non autoindotto, per una persona che sta vivendo una crisi di ossessioni/compulsioni. Placata la crisi con l’esecuzione del rituale, comportamentale o mentale, il bambino torna disponibile alle attività, contrariamente al bambino con D.D.A.I. in cui la difficoltà più forte è data dalla necessità di catturare la sua attenzione e di contenere l’agitazione psicomotoria che appare non direzionata ad uno scopo. L’alternanza di momenti di agitazione a pause di silenzio e atteggiamento assorto può indurre la riflessione circa la necessità di differenziare il quadro clinico del bambino.

 

3. Le implicazioni negative sullo sviluppo cognitivo :sull'apprendimento della lettura , della scrittura e delle abilità di calcolo

 

Che il cervello umano non possa pensare due pensieri contemporaneamente è una consapevolezza che chi soffre di D.O.C. ha acquisito sulla propria esperienza , attraverso interventi rieducativi che insegnano al cervello a pensare alla realtà e non ai pensieri indotti dal D.O.C. Un bambino impegnato a pensare i pensieri ossessivi e attuare le compulsioni è un alunno che perde buona parte delle attività di classe, anche se fisicamente presente.

"Le ossessioni paralizzanti si estesero alle ore di scuola,, e i peggiori sintomi li ebbe negli anni del college. Morris sentiva continuamente il bisogno di cancellare le parole, cosicché alla fine, non riusciva a tenere il passo quando doveva prendere gli appunti. Se poi l’ossessione di cancellare gli veniva durante un test o un esame scritto, finiva sempre per lasciare il lavoro a metà"(7) Nelle forme serie di D.O.C. il bambino non riesce a seguire la maestra e i compagni, nelle conversazioni e nei compiti ; le sue produzioni scritte sono sicuramente incomplete, con continue correzioni, cancellature.La cura della forma prevale sul contenuto per cui gli elaborati scritti possono essere strutturalmente corretti ma non autonomi, non indicativi di un’autonoma attività mentale, c’è una tendenza a rimanere aderenti al testo, per paura di sbagliare, o perché cambiare le parole crea ansia.Le abilità di calcolo vengono seriamente compromesse per le stesse ragioni, con un notevole dispendio di energie da parte del bambino che è costretto a cercare di mantenere i dati in memoria nonostante le ondate di pensieri intrusivi.

Nei casi più gravi si assiste al mutismo da parte del bambino; mutismo legato all’impegno nella ruminazione mentale; l’ansia che scaturirebbe dall’interrompere la ruminazione è tale che il bambino preferisce tacere.(8)

Ritardi nell’apprendimento, discontinuità nel rendimento sono quindi le cause più comuni e facilmente osservabili. E’ chiaro che l’assenza di un intervento volto ad aiutare il bambino a gestire pensieri ed azioni coatte crea, negli anni, un divario con il gruppo coetanei sempre più evidente.Anche l’esposizione orale risulta rallentata, faticosa, incerta. Un atteggiamento di particolare concentrazione e sforzo può essere indicativo della tensione interna che l’alunno sta vivendo e non di una semplice ansia da interrogazione.

L’alunno affetto da D.O.C. può quindi apparire in ritardo cognitivo rispetto ai compagni. Somministrargli test cognitivi ha poco significato in questo caso, l’ansia gli impedirebbe una corretta esecuzione e il punteggio maturato farebbe subito propendere per l’apertura di una pratica di handicap psico-fisico verso un presunto ritardo cognitivo.La maturazione cognitiva dell’alunno affetto da D.O.C. non viene danneggiata dal disturbo anche se all’osservatore può sembrare il contrario. I resoconti di persone che sono riuscite a gestire il D.O.C. dimostrano come abbiano avuto difficoltà a parlare di sé ma come fossero presenti cognitivamente ai fatti.

E’ possibile un rallentamento laddove il sintomo occupi troppo tempo nella vita del bambino, ma è recuperabilissimo non appena il bambino ritrova il suo tempo.

Occorre anche precisare che le persone affette da D.O.C. presentano una prevalenza del pensiero egocentrico e pratico sulla base del quale danno priorità e certezza ai pensieri coatti e alle azioni compulsive alla cui esecuzione viene delegata una funzione di salvezza verso vari tipi di accidenti.La maturazione della persona e il relativo spostamento cognitivo su di un piano astratto, logico-formale aiuta la persona nei dialoghi interiori ristrutturanti proposti dalla scuola cognitivo-comportamentale, uno dei riferimenti per la cura del D.O.C.

E’ quindi importante procedere ad un’osservazione sistematica ed attenta dell’alunno in situazioni diverse in modo da potere individuare delle costanti e potere supportare o meno l’idea di partenza. Le scale di livello dovranno essere usate con una certa regolarità prima di potere considerarne attendibili i dati forniti.Esami funzionali devono essere somministrati in situazioni diverse, ( di lavoro, di gioco, secondo la personale intuizione in un momento che sembra propizio) e essere confrontate con il rendimento complessivo del bambino in situazioni diversa ma sulla stessa funzione e su tutte le funzioni della personalità così da avere un quadro completo e da potere effettuare una diagnosi funzionale da cui derivare una prognosi dello sviluppo in maniera tale che il procedere sia sistematico e intenzionale e mai lasciato al caso. Se si individuano quali funzioni vengono limitate o inibite si possono ipotizzare le conseguenze sullo sviluppo.

E’ opportuno che l’osservazione venga eseguita da più di un docente del team in maniera da potere confrontarne le annotazioni e individuare i momenti e gli schemi relazionali che creano maggiore difficoltà all’alunno. Questionari sul D.D.A.I. verranno utilizzati nella misura in cui aiutano a fare chiarezza e ad isolare comportamenti, gesti, schemi che si ripetono.Interessanti e agevoli le schede di osservazione proposte in "Iperattività e autoregolazione cognitiva"8.1, con cui i docenti possono osservare l’alunno e arrivare ad escludere o confermare un problema di attenzione e iperattività o che ,nell’ambito di una situazione problematica come quella creata dal D.O.C. ,fornisce uno strumento per lavorare sull’attenzione.

Il materiale ricavato dall’uso dei questionari o della conversazione clinica8.2 non è oggetto di diagnosi sulla personalità relativamente al disturbo specifico, ma serve al pedagogista e al team docente per organizzare l’intervento di recupero specifico relativamente al bambino come soggetto che si evolve e in questo evolversi necessita di un aiuto particolare, più specifico, sempre educativo ma consapevole di dovere fronteggiare un ostacolo al normale processo di crescita; si crea così un sapere che può essere relazionato anche ai genitori per quello che inerisce al loro ruolo,affinché il lavoro svolto non sia vanificato da interventi familiari-parentali inopportuni.

In questo contesto quindi l’operatore si muove lungo il versante della individuazione di sintomi secondari relativi ai D.A.P.(Disturbi specifici dell’apprendimento), sintomi quindi che nascono non da un disfunzionalità ( su base organica o psicologica-funzionale) di aree funzionali preposte alla lettura e alla scrittura ( nel qual caso si avrebbe una dislessia, una disgrazia o altri disturbi specifici dell’apprendimento) ma sono conseguenza di altro disturbo che interferisce con le normali attività cognitive e prassiche.

 

4.Le implicazioni sullo sviluppo emotivo-relazionale e morale

 

Un bambino che in età scolare è occupato ad eseguire rituali o ha la testa impegnata in ruminazioni perde molto della vita di cui diventa un spettatore passivo. I bambini che riescono ad acquisire consapevolezza della stranezza dei gesti che si sentono costretti ad attuare tenderanno ad isolarsi, a sentirsi diversi, e se ripresi da un adulto, sviluppare anche un forte senso di inadeguatezza o di inferiorità. I bambini che sviluppano il D.O.C. come intrusività di pensieri ossessivi difficilmente prendono parte ai giochi e godono della compagnia.Da ciò consegue che lo sviluppo relazionale viene pesantemente mortificato precludendo la possibilità di stabilire contatti di vario tipo.Lo sviluppo emotivo tenderà a dare maggiore rilievo alla maturazione di emozioni spiacevoli legate al disturbo e all’immagine di sé che il bambino si va costruendo. La fatica indotta dal sintomo e la concentrazione più o meno costante su pensieri ed azioni sequestra l’energia emotiva verso i canali della sofferenza.

La maturazione di un Io morale viene compromessa dal prolungamento della malattia lungo l’età adolescenziale. Il continuo bisogno di nascondersi, di mentire, di inventare scuse per giustificare comportamenti impulsivi induce nel soggetto un grande senso di disistima che per compensazione alleggerisce il senso della moralità verso una progressiva tolleranza nei confronti della menzogna.Questo non significa che chi soffre di D.O.C. sia abitualmente una persona poco affidabile, ma sottolinea la confusione che si crea a livello emotivo, fra stati d’animo tra loro contradditori. Ci si ammala di D.O.C. a causa di un doverismo che proietta verso la ricerca della perfezione; a causa del D.O.C. si impara a mentire e arrivare a giustificare la menzogna per salvare la propria immagine ferita.

La persona affetta da D.O.C. sviluppa un grande senso di solitudine, poiché tende ad isolarsi e a non parlare del disagio per la vergogna che prova. Questa solitudine cercata diviene un’abitudine e preclude la possibilità di rapporti che a vario titolo, incrementano le abilità sociali necessarie per una completa integrazione nella cultura di appartenenza.

Spesso in soggetti che sono cresciuti all’ombra del D.O.C. si ravvisa una povertà emotiva, intesa come carenza del bagaglio esperenziale padroneggiato perché esperito; un impoverimento anche del linguaggi emotivo che ruota malinconicamente attorno ad espressioni categoriche ed assolutistiche, che indicano la rassegnazione e l’adozione di un’ottica di ineluttabile sofferenza.

Emotività e cognizione iniziano ad influenzarsi secondo una circolarità che incanala i pensieri lungo i binari della sofferenza esperita: il senso di disperazione rende il pensiero monotono, spento, concentrato sul problema che richiede una soluzione; l’attenzione diventa estremamente selettiva nei confronti degli stimoli collegati al disturbo ignorando altri stimoli provenienti dalla realtà; la generalizzazione tende a confinarsi verso i pensieri di paura , mentre la tendenza al particolare coglie minimi tracce di possibili pericoli. L’emotività guida l’intelligenza mettendola al servizio di una paura che è vissuta come talmente grande da far passare in secondo piano tutto il resto.E’ chiaro che questi incontri con bambini e adolescenti con problemi di comportamento ossessivo inducono a riflettere sulla formazione degli insegnanti e sulla necessità che si sia una conoscenza dello sviluppo maggiore di quella che l’attuale formazione consente di raggiungere.

Molti insegnanti confondono disagi con capricci, con scarsa intelligenza, con pigrizia. Non ci si deve improvvisare psicologi, l’ educatori e il pedagogista hanno una specifica formazione che si traduce in una competenza spendibile nel campo dell’evoluzione e l’arco della vita, per cui occorrono , oltre a queste , conoscenze che consentano di individuare gli elementi di disturbo che intervengono nella crescita senza che questo diventi una corsa ad ostacoli.

La presenza sporadica di uno psicologo a scuola non risolve i problemi di questa generazione di giovani e bambini che esprimono il disagio di una società immatura a gestire la vita con tutta la sua complessità e le sue difficoltà.

Occorre un intervento sistematico, quotidiano, costante e questo si può ottenerlo solo con una formazione capillare degli insegnanti di ogni ordine e grado e con la presenza di pedagogisti nelle scuole, e non solo uno , che affianchino gli insegnanti e collaborino attivamente alla stesura di progetti educativi, tagliati su misura per tutte quelle situazioni che nell’ottica delle pari opportunità formative, rischiano di rimanere solo belle parole sulla carta, che entusiasmano i giovani che studiano per i concorsi per poi ritrovarsi nelle classi in cui il tempo scolasticamente strutturato ancora e purtroppo la fa da padrone.

In questo la pedagogia, nel suo farsi clinica dello sviluppo e clinica dell’educazione copre il suo ruolo più pertinente e consono allo sviluppo di saperi che analizzando i processi di sviluppo e dell’ educazione informano il terreno della formazione di significati e valori che trascendono il momento scolastico per divenire processualità formativa dalla nascita per tutto l’arco della vita.

Ritengo che un’area funzionale in cui il pedagogista debba muoversi in situazioni come quelle descritte sia quella emotiva e quella relazionale unitamente all’area morale poiché le difficoltà emotive di questi giovani riverberano in questo contesto gli effetti del disagio.

Risulta evidente che l’intelligenza sociale è mortificata da un senso di inadeguatezza e di confusione emotiva che il soggetto vive relativamente all’immagine che si va costruendo si sé, un immagine che , conseguentemente alla maturazione complessiva, che pure avviene, viene associata alla malattia, al sintomo.Le persone affette da D.O.C. intanto che vanno avanti nella vita si scontrano costantemente con la propria difficoltà a viversi serenamente in un contesto di gruppo poiché incominciano ad avvertire la diversità con gli altri, soprattutto se questi gliela fanno notare, anche con modi duri e di scherno.Le abilità sociali quindi diventano un terreno su cui il progetto educativo deve declinare i suoi obiettivi relativamente alla necessità di sviluppare atteggiamenti altruistici e di prosocialità, invalidati dal bisogno di isolamento che il soggetto esperisce e sente come prioritario per difendersi dalla sofferenza del giudizio.

Educazione emotiva quindi che entra in campo come progetto di recupero di emozioni sequestrate dal sintomo e che devono riconquistare il loro spazio legittimo nella vita della persona; educazione alle abilità sociali come capacità a stare in gruppo e relazionarsi con modelli diversi senza subire il potere di figure vissute come superiori o autoritarie; educazione morale come sostegno alla sviluppo di una moralità autonoma, fatta di principi e di valori che rendano contestuale l’agire e la valutazione dei fatti, anche questi sacrificati alla logica della malattia.La persona deve potere trovare terreni in cui potersi "misurare" attraverso una relazionalità sana, varia e ricca, pertinente all’età del soggetto, ai suoi campi e tempi esperenziali affinché la giusta ottica lo aiuti ad intraprendere anche un percorso auto-educativo ed auto-regolativo che dalla consapevolezza del costo del sintomo lo conduca alla libertà della vita goduta e vissuta in tutte le sue offerte.

 

5.Il ruolo del pedagogista

 

Per quanto attiene ai processi di sviluppo e a quelli educativi che sono chiamati in causa in situazioni come quelle descritte, il pedagogista della scuola gestisce quindi il primo approccio all’alunno , su segnalazione del team docente che lo indicherà come bambino problematico e, in sinergia con lo psicologo scolastico o della A.S.L. ,a cui la scuola fa riferimento, indagare questa problematicità sino a comprenderne le componenti e nel caso si sospetti un disturbo ossessivo compulsivo, , convocare i genitori affinché il bambino sia avviato alla procedura terapeutica del caso.La funzione di collante tra la A.S.L. di competenza, la famiglia e la scuola impegna il pedagogista nelle sue competenze tecniche, di esperto dei processi evolutivi e di esperto dei processi educativi.
Poiché la legge 104/92 non prevede l’insegnante di sostegno per disturbi come il D.O.C., a tutt’oggi la malattia non è riconosciuta ai fini di un sostegno effettivo da parte del S.S.N se non per pacchetti di colloqui con lo psicologo della A.S.L., sarà la scuola a prendersi carico di facilitare la vita dell’alunno, attivando una rete di sostegno che vede nel pedagogista il mediatore tra le sinergie in campo, e un suo ruolo specifico relativamente al recupero delle aree funzionali invalidate dal disturbo.

Il contesto scolastico diventa quindi un contesto specifico, non di cura del sintomo,che non gli è pertinente, ma di contenimento del bambino e delle figure che gli ruotano attorno; di diagnosi e di rieducazione di quelle funzioni che il disturbo può avere invalidato nel loro percorso di sviluppo sopprimendone la maturazione e rendendola discontinua e in ritardo rispetto all’età.Il profilo funzionale quindi diventa lo strumento di partenza che evidenzia le aree funzionali che sono state coinvolte dal disturbo e sulle quelli occorre intervenire.La conoscenza dei processi di sviluppo consente di stilare anche un progetto educativo relativamente ai tempi e ai modi del recupero, alle procedure che si intende attivare, alle metodologie a cui si pensa di fare ricorso e ai tempi previsti, nonché ad un progetto a lungo termine che tenga conto del cammino della persona lungo l’arco della vita.

Il pedagogista quindi è in grado di effettuare una "prognosi" o previsione a partire dalla individuazione accurata delle aree di intervento e del tipo di invalidazione che hanno subito.

L’osservazione gli permetterà un’analisi delle varie funzioni dello sviluppo, da quello motorio e sensoriale, a quello linguistico, cognitivo, emotivo, sociale e morale; per fare ciò si preferisce utilizzare contesti di gioco e di normali attività di classe, ma ci si potrà servire anche di materiali strutturati all’occorrenza e di attività pensate in relazione alle aree funzionali da indagare evitando che l’alunno possa rendersi conto di essere sotto esame.

L’area cognitiva può essere indagata in situazioni in cui la classe è impegnata nella risoluzione di giochi come enigmistica per ragazzi, soluzione di rebus, completamento di percorsi-labirinto, completamento di piccoli puzzle, uso videogames, attività al computer,

Queste attività consentiranno al pedagogista di osservare le strategie cognitive a cui fa ricorso l’alunno, se ne usa o se va per prove ed errori o unicamente affidandosi alla casualità; ancora di più, se il disturbo gli consente di applicarsi cognitivamente alla risoluzione di un problema.

Occorre tenere presente che una scarsa autostima, già sviluppata dal bambino, potrebbe indurlo a rinunciare in partenza al gioco, per cui è necessario dedicare molta cura alla preparazione del momento di gioco-analisi affinché l’alunno vi arrivi sereno e rilassato, quindi è opportuno un lavoro a priori sul gruppo classe o aspettare che il bambino si sia inserito nella classe prima di procedere al gioco-esame.

L’area corporea e senso-motoria andrà indagata per quanto attiene a posture assunte e prassie. Alcune persone si costringono ad assumere una certa posizione piuttosto che altre, gravando il peso del corpo su una sola parte della colonna vertebrale con evidente conseguente per lo sviluppo fisico; altre , nel tentativo di non contaminarsi ( paura frequentissima del repertorio del disturbo), usano le braccia al posto delle mani, o tengono le braccia in tensione per non poggiare le mani su superfici che ritengono contaminate.

Anche in questa caso situazioni di gioco permetteranno di indagare l’area senso-motoria; l’ideale è l’ora di educazione motoria, o attività laboratoriali in cui sarà possibile osservare la liberà di movimento dell’alunno, l’uso degli arti superiori, l’uso delle mani in attività con la palla; giochi di costruzioni di pezzi ad incastro possono rassicurare o meno sul mantenimento di una manualità che nell’età scolare è abbastanza sviluppata e coordinata.

Progetti specifici possono inserirsi all’interno del più ampio Progetto Educativo.

Un laboratorio di ceramica, ad esempio può sortire effetti interessanti relativamente allo stato di calma che induce la manipolazione della creta e alla capacità di catturare l’attenzione del bambino distraendolo dai suoi pensieri.

Non è da sottovalutare l’importanza che può avere "sporcarsi le mani" con la creta per un bambino ossessionato dalla paura della contaminazione.

I bambini con questo tipo di ossessione finiscono per rinunciare al gioco a causa dell’ansia che gli crea la possibilità di sporcarsi. In un contesto protetto come quello della scuola, coinvolto dall’attività di gruppo, proiettato verso il risultato, il bambino potrebbe ignorare che le sue mani si stanno sporcando e ritrovarsi a pasticciare felicemente con creta o altro materiale adatto allo scopo.

Occorre tenersi pronti ad una eventuale crisi d’ansia del bambino che si "accorge" di essersi sporcato. In quel caso aiutare il bambino a ripulirsi, evitando commenti o di tentare di sminuire la situazione poiché il bambino è in ansia perché si sente sporco, sarà utile invece ridefinire la situazione con frasi semplici ( già pensate e preparate in modo da non trovarsi sprovvisti) ma dirette del tipo :"Si è vero ci siamo sporcati, ora ci ripuliamo così possiamo fare una pausa e potete fare merenda".

E’ da ricordare che molti bambini imparano l’ossessione della pulizia da genitori a loro volta ossessivi sullo stesso tema.

L’invito a non sporcarsi ripetuto frequentemente durante la giornata, o l’abitudine di lavare da capo a piedi il bambino non appena rientra da scuola, disinfettando anche libri e materiale scolastico possono creare un precedente e fornire le basi per quell’apprendimento da modello così ben descritto da Bandura nei suoi studi di psicologia sociale.

"Probabilmente crescere con un genitore o un fratello che compie i rituali caratteristici dei disturbi ossessivo-compulsivi fa apprendere in una certa misura quei comportamenti. Tuttavia, la maggior parte dei ricercatori, concorda sul fatto che, successivamente, i disturbi ossessivo-compulsivi si manifestano solo se un individuo presenta una predisposizione genetica a essi"(9)

Durante queste attività quindi l’alunno è invitato a cimentarsi in attività che lo avvicinano alle sue fobie e che quindi potrebbero scatenare reazioni di ansia se non di panico o rifiuto categorici; è opportuno che l’insegnante conosca le leggi del rinforzo poiché questo può essere adeguatamente utilizzato al fine di favorire l’esposizione e aiutare il bambino a incontrare un’immagine di sé assertiva e non evitante.Le volte in cui il bambino verrà messo nella condizione di potere trovarsi faccia a faccia con una sua paura o con la necessità di ignorare un rituale devono comprendere una quota di sforzo minima e quindi individuare sottocompiti che possano lentamente avvicinare ad una sequenza comportamentale in cui non siano presenti rituali. L’individuazione dei progressi e dei sottocompiti può derivare da un incontro con lo psicoterapeuta che ha in cura il bambino e che aggiorna il team docenti sull’andamento della psicoterapia.

Ritornando quindi alle disfunzioni che il disturbo può causare si vede che l’area linguistica potrebbe risentire di problemi del linguaggio, di cui esclusa la base organica, può essere quantificata la riduzione prestazionale.

Spesso si tratta di piccole balbuzie, di incespicamenti, di spoonerismi, effetti per lo più di un’ansia molto forte o della mancanza di concentrazione, o dell’intrusione da parte di altri pensieri.

L’area affettiva va indagata in relazione alla possibilità di individuare situazioni e persone, che a scuola inibiscono l’alunno, o creano una recrudescenza del sintomo, quindi l’osservazione procederà durante le normali attività di classe, e durante attività programmate , finalizzate principalmente ad individuare quelle situazioni che rendono sereno l’alunno e lo spingono nella condizione di usare pienamente il proprio potenziale di apprendimento.

L’area socio-morale richiede una particolare cura soprattutto in quelle situazioni in cui il bambino ha imparato a nascondersi perché si vergogna di se stesso.

Situazioni di gioco, a gruppo classe, a coppie, singolarmente permetteranno di evidenziare i momenti di fuga dell’alunno dalle proprie responsabilità per quantificare sino a che punto sia diventato intollerante nei confronti dei propri errori e quindi quanto ha generalizzato negativamente su di sé a causa del sintomo con cui si è identificato.

Stabiliti gli esiti di un’analisi funzionale dettagliata il pedagogista può procedere alla stesura di un progetto educativo che lo vede coinvolto in quanto supervisore dello stesso e impegnato in prima persona per quelle aree su cui intende intervenire con particolari modalità operative; coinvolge il team per tutti gli altri aspetti in considerazione anche dell’importanza che i lavori non siano svolti dall’alunno isolatamente ma con l’intero gruppo classe, come momento di crescita per la classe e per il singolo. Obiettivo della mediazione svolta dal pedagogista è quello di porsi da tramite tra lo psicologo o lo psichiatra che segue il bambino, i genitori e gli insegnanti al fine di stabilire una condotta univoca che aiuti l’alunno nella sua personale battaglia con il sintomo e nel suo percorso di alunno, reso più difficile dalla malattia.Le competenze specifiche quindi, di comunicazione e di gestione dei conflitti, intervengono a smussare una situazione spigolosa e complessa.

La capacità di individuare approcci educativi diversi, strategie di intervento anche inusuali e quindi variabili, conferisce al tempo scolastico una fluidità che altrimenti non potrebbe avere.

Incontri periodici con il team docenti avranno la funzione di monitorare la situazione, di valutare ipotesi con interventi proposti ed attivati, di correggere interventi laddove se ne ravvisi la necessità.

Non è da sottovalutare l’importanza di un sostegno che il pedagogista può offrire all’insegnante, che si trova in una situazione poco agevole e che viene chiamato in causa con tutte le sue risorse professionali ma anche umane.

Se i sintomi del bambino solo tali da creare rallentamenti notevoli nei tempi della classe l’insegnante potrà andare incontro ad un senso di frustrazione derivato dall’impotenza e dal dovere gestire esigenze diverse, quelle della classe e quelle dell’alunno nello specifico.

Il sostegno all’insegnante consisterà nello stabilire una relazione d’aiuto e ascolto che gli consenta di relazionare le sue difficoltà al fine di evitare episodi di burn out e al tempo stesso gli permetta di acquisire la conoscenza di tecniche di contenimento del sintomo. Non è da sottovalutare il riflesso che i comportamenti del bambino possono avere sul docente attivando in questi la paura del contagio del sintomo, per sé o per gli altri alunni, paura frequente in chi vive accanto ad una persona affetta da comportamenti ossessivi.

L’approccio all’alunno quindi richiama in causa quelle stesse procedure a cui si fa ricorso nell’interazione con gli alunni ma che nel caso di un alunno con sintomi compulsivi, dovrebbe essere attivati con una costanza particolare.

Tutte le modalità di approccio all’alunno che gli consentono di sentirsi sereno sono da preferire ad ogni altra modalità, ( rinforzo negativo) che potrebbe apparire più utile alla luce dell’urgenza di avere in classe alunni in sintonia con il tempo scolastico.

A partire da un’informazione sulla malattia, poiché gli insegnanti non sono tenuti a conoscere il D.O.C. ,sino a stabilire i modi con cui intervenire quando l’alunno è in evidente difficoltà e il buon senso indurrebbe ad usare metodi impropri come il richiamo più o meno brusco, le promesse, o ogni altro espediente che la saggezza popolare suggerirebbe.

E’ da tenere presente l’importanza che il docente comprenda che l’alunno è spesso consapevole dell’assurdità del gesto che compie ma non può fare a meno di attuarlo, così come è importante comprendere che i pensieri si insinuano nella sua testa a prescindere dalla sua volontà.

Di qui la necessità che l’approccio al bambino sia alla luce del massimo rispetto e della considerazione della sua sofferenza.

Pur tenendo presente questo l’insegnante può relazionarsi al bambino con assoluta naturalezza, avendo cura di evitare interventi e compiti stressogeni, che potrebbe comportare una recrudescenza del sintomo.

Con il pedagogista possono essere studiati momenti didattici finalizzati ad una maggiore integrazione dell’alunno nella classe; ad un suo coinvolgimento emotivo atto a favorire uno stato di agiatezza e di rilassamento durante le ore scolastiche in maniera tale che gli sia piacevole la permanenza a scuola attraverso la progettazione di momenti dedicati alla manualità e alle attività motorie che sollecitino la maturazione e lo sviluppo di competenze emotive e abilità sociali in un contesto di apprendimento giocoso.

La possibilità di trovare in una classe un bambino con un D.O.C. molto serio è abbastanza remota, per quanto possibile se esiste una letteratura in merito. E’ per questo che al pedagogista si chiede oggi, una conoscenza di disturbi che purtroppo iniziano a popolare il mondo dell’infanzia, sino ad ora ritenuto a torto un’oasi felice.

Probabilmente molti bambini che hanno dovuto, in passato, rinunciare alla carriera scolastica, sono stati vittime di malattie come il D.O.C. o di altri disturbi d’ansia, la cui scarsa conoscenza ha impedito una diagnosi precoce e un corretto trattamento dello stesso.A tutt’oggi ho trovato una sola associazione in Italia, che si occupa dello studio del D.O.C. e fondata nel 2002 quindi recentissima, ma supportata da anni di studio di un gruppo di medici dell’Università di Firenze, diretta da uno dei maggiori studiosi di D.O.C. in Italia, il dottore Davide Dettore. L’A.I.D.O.C. ( Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo) si occupa anche di prevenzione del disturbo attraverso opera di sensibilizzazione della scuola attraverso gli insegnanti chiamati a contribuire all’individuazione precoce di questo disturbo. (5.1)

 

6.La consulenza ai genitori

 

La famiglia del bambino affetto da D.O.C. , come ogni famiglia in cui un figlio è malato, si presenta come un contesto in cui, quasi immancabilmente ,si creano complesse dinamiche relazionali, per cui è opportuno considerare la necessità di pianificare interventi d’aiuto. Spesso l’emozione principale che accomuna questi genitori è la vergogna unita alla paura di avere un figlio non normale. Occorre quindi che i genitori vengano sostenuti affinché possano, a loro volta sostenere il bambino e imparino a seguire, senza scoraggiarsi e perdere la speranza, le indicazioni comportamentali suggerite dallo specialista che ha in cura il figlio.

Assistere una persona malata di D.O.C. comporta una grande fatica e la tendenza a lasciar la cura e intraprendere pellegrinaggi terapeutici è molto diffusa con il risultato di ritardare la guarigione del figlio.

E’ importante che i genitori si sentano incoraggiati e sostenuti nei loro sforzi di co-terapeuti e che comprendano fino in fondo quanto sia necessario un certo tempo affinché si abbia una remissione significativa del sintomo.

Il sostegno alla famiglia, che si concretizzerà con colloqui stabiliti con entrambi o singolarmente e a scadenze più o meno fisse, si orienta verso la creazione di una relazione di counseling in cui la mediazione della conflittualità in campo diventa il motivo centrale del lavoro del pedagogista.

I genitori hanno bisogno di sapere come seguire il bambino durante lo svolgimento dei compiti a casa; quali tecniche utilizzare per sollecitare la sua attenzione; quali modalità comunicative evitare e quali preferire; quando intervenire e quando tacere; come imporre un No autorevole alle richieste del bambino di eseguire per lui un rituale o di permettergli di eseguirlo.

Nel rapporto con i docenti potrebbero nascere conflittualità relative alle aspettative che i familiari sviluppano verso la scuola e la speranza che la frequenza scolastica possa far sparire il sintomo.

Di fronte a situazioni in cui le aspettative dei genitori diventano motivo di frustrazione è necessaria una comunicazione quanto più chiara possibile sulle reali possibilità di intervento da parte della scuola sul problema.

Gli insegnanti possono essere affiancati dal pedagogista nei colloqui con la famiglia ove sarà necessario contenere la tendenza a delegare che a volte si ravvisa in situazioni in cui il peso porta a cercare vie di fughe.

Un contenimento particolare va rivolto all’ansia dei genitori che potrebbero richiedere incontri frequenti, anche quotidiani con gli insegnanti, con cui tenderebbero a condividere il peso della situazione, nella speranza che le ore trascorse a scuola siano terapeutiche per il figlio.
I genitori devono sapere che la scuola non è un contesto di cura e che non si può delegare alla scuola alcuna funzione terapeutica né sviluppare aspettative in merito.

La chiarezza dei ruoli fin dall’inizio permetterà al pedagogista di svolgere il proprio lavoro in maniera serena e coerente senza dovere ricorrere continuamente ad aggiustamenti, revisioni, cambiamenti di rotta che farebbero pensare ad una incertezza progettuale.
I colloqui quindi saranno orientati a sostenere il genitore nell’’attesa che l’insieme degli approcci psico-educazionali dia il suo risultato, evitando che il genitore si concentri unicamente sulla scomparsa dei sintomi più evidenti e a suo parere più bizzarri e perdita di vista la crescita globale del figlio.

La guarigione non va ridotta e confusa con la semplice eliminazione di compulsioni, oggettivamente osservabili, o con l’assunzione di un atteggiamento scolastico: ai fini di una guarigione vera e profonda è necessario che il genitore comprenda come vada curato e gestito ogni singolo aspetto della vita del figlio/a investito dal sintomo.

Ogni progresso in un ambito influenzerà positivamente gli altri ambiti e tutti insieme creeranno una memoria del progresso che funziona da autorinforzo per il piccolo paziente.

Occorre insistere su una cultura del tempo e dell’attesa, della piccola semina in vista di un grande raccolto affinché il genitore si impegni in piccoli compiti, che possono essere assegnati per il tempo a casa, e che a giudizio del pedagogista, possono avere efficacia e aiutare il bambino a restituire alla normalità spazi sequestrati dal sintomo.

I genitori possono stabilire, in accordo con il pedagogista, degli incontri centrati sul tema della comunicazione e della gestione dei conflitti.

Finché non sarà certa l’eziologia organica del disturbo e vediamo che il sintomo risponde al trattamento psico-educazionale è ragionevole insistere su questa strada.

In una famiglia in cui uno dei componenti ha sviluppato un sintomo manca un equilibrio, questa è una teoria accolta da molta psicologia, soprattutto di stampo analitico; i genitori possono quindi imparare a ri-creare e mantenere l’equilibrio anche attraverso una comunicazione efficace, capace di trasmettere il messaggio che si vuole veicolare, senza doppi significati o significati nascosti, che possono essere inferiti secondo le personali insicurezze o fasi della vita.

Anche la gestione dei conflitti merita una cura particolare nella coppia ; è dimostrato che lo stress è la principale causa di recidiva del sintomo e per un bambino assistere a discussioni familiari di una certa portata verbale o fisica è stressante. Gli incontri quindi saranno centrati sull’acquisizione di tecniche di comunicazione e di gestione dei conflitti che forniranno ai genitori strumenti con i quali migliorare la qualità della propria relazione di coppia e aiutare il proprio figlio/a.

Dal sito francese dell’A.F.T.O.C. , associazione per lo studio del D.O.C. trovo una sezione dedicata ai genitori di bambini con disturbo ossessivo compulsivo.

Ritengo interessante tradurre e riportare di seguito una serie di suggerimenti rivolti ai genitori:"Se il ruolo di genitore è difficile, lo è ancora di più se il bambino sodare di D.O.C..In effetti, che fare se vostro figlio preme il tubo del dentifricio per tirare proprio la parte centrale o si lava le mani fino ad avere la pelle a vivo o rimane sveglio fino alle due del mattino per effettuare i suoi rituali serali o vi domanda di ripetere, 10, 20 volte le stesse parole, che dice lui, lo rassicurano?

La risposta non è semplice. I parenti vi diranno qualche volta:"Non cedere,tu ti lasci manipolare, fa dei capricci".E’ certo che se gli direte:"Adesso è finito, tu smettila o io tu punisco" e è efficace non stiamo parlando più di D.O.C..
il problema per ciò che concerne questa malattia è che il vostro bambino non può fare ameno di questi rituali e che i vostri interventi sembrano destinati al condizionamento, da cui uno scoraggiamento da una parte e dell’altra.Tuttavia una delle chiavi del trattamento è l’esteriorizzazione del D.O.C., e farne il nemico comune contro cui il bambino e i genitori combattono insieme.E’ necessario guardare a questa idea e al suo significato:quando i genitori si scoraggiano si scoraggia anche il bambino.Per aiutare il loro bambino i genitori devono tirare la testa fuori dalla sabbia.

Spesso i genitori si sentono manipolati dai loro bambini, ma è necessario guardare al bisogno che porta il vostro bambino a chiedervi di aiutarlo nei rituali, poiché egli immagina che sia il solo modo per sottrarsi alla sofferenza del rituale.riconoscete la sua sofferenza e i suoi sforzi, ma non fare ciò che voi vi sentite capaci di fare.

Un esempio: se il vostro bambino vi chiede di dargli un terzo paio di calze, perché le prime due gli sembrano contaminate cercate di seguire i suggerimenti seguenti:

 

  1. Riconoscete la sua sofferenza:"io so che è molto doloroso per te

 

  1. E’ì il D.O.C. che ti fa pensare questo

 

  1. Dimostrate i limiti del vostro aiuto:"Se io ti do un altro paio di calze aiuto la malattia non te

 

  1. Proponete un’alternativa:Vediamo di trovare un modo diverso per uscirne.
  1.  

Non dimenticate che qualche volta voi dovete cedere.In effetti l’elasticità è un fattore molto importante.E’ necessario cercare di stabilire quando lasciare libero il corso del D.O.C. o quando sentire che il vostro bambino può combatterlo.

Prima di un avvenimento stressante( un esame a scuola, una gara sportiva), voi potete stabilire un compromesso, per esempio ,destinare dieci minuti al rituale ma non di più.Di fronte ad una ricaduta non bisogna credere che tutti progressi sono perduti.Ciò succede spesso.e’ inutile colpevolizzarsi o colpevolizzare il bambino.

E’ meglio pensare al domani e ricordarsi che dei fattori( stress, stanchezza)possono portare a delle ricadute.E’ necessario prevederle per non lasciarsi sorprendere e far comprendere al bambino che voi comprendete e sostenete il suo disappunto ma che la guarigione non è sempre lineare, ma spesso fa dei passi avanti e uno indietro.

Vedere un bambino che lotta con il D.O.C. può suscitare dei sentimenti di collera, vergogna o colpevolezza.Può essere che vi ricordi che anche voi avete combattuto il D.O.C. o che vi ricordi la sofferenza della vostra infanzia o che desideriate un figlio "normale" e desiderate che la malattia sparisca. Allora come fare per evitare che la vostra sofferenza si unisca a quella di vostro figlio?

Prendete le distanze, uscite, dedicatevi del tempo, andate dai vostri amici, praticate le attività che amate, non abbandonate il lavoro.Tutto questo è legittimo e vi ritornerà poiché vi renderà più forti e sereni nell’aiuto che darete a vostro figlio .

D’altra parte vostro figlio deve comprendere che voi avere il diritto di vivere, di commettere i vostri errori; non colpevolizzatevi, sarà meglio per lui.

Aiutate il vostro bambino a lavorare sulla sua malattia, a farsene carico, ma non cercate di prevenirla, non sovrapponetevi a lui.E’ necessario che il bambino sia autonomo, più si prenderà in carico se stesso, maggiori saranno i risultati.Per quanto riguarda la terapia comportamentale stabilite una serie di esercizi progressivi per ogni giorno, discutetene con lui, felicitatevi se riesce e non giudicate se non riesce.

Tre regole quindi:

 

  1. Essere flessibili senza tuttavia lasciare fare troppo al sintomo

 

  1. Intervenire il meno possibile lasciare prendere il carico al bambino la sua terapia, nei limiti ragionevoli
  2. 
Saperlo ascoltare e dimostrare che voi comprendete la sua sofferenza anche se non l’assistete sempre(6.1)

 

 

7. L'importanza del trattamento e della diagnosi precoce

 

Quanto scritto induce ad una riflessione sull’importanza di una diagnosi precoce e del relativo trattamento poiché la malattia risponde alle terapie tanto quanto sono immediate e pertinenti.La scarsa informazione e soprattutto la tendenza a percepire come felice l’età dell’infanzia tende, spesso, a far sottovalutare comportamenti che esprimono già un disagio e che se è bene evitare di etichettare subito come patologici, richiedono però un’attenzione e una cura che non può sacrificata alla moda del bambino felice che i mass media tendono a sostenere.

I bambini di oggi possono anche avere tutto, soprattutto beni materiali ma questo non li rende felici perché quello che manca al bambino di oggi è un’attenzione soprattutto emotiva.

La carenza di cure emotive fa si che le competenze necessarie a vivere consapevolmente la propria emotività siano ignorate o ricevano sollecitazioni minime, inadatte a favorire un repertorio emozionale capace di porre il bambino nella condizione di fruire a pieno della vita, nei suoi aspetti piacevoli e spiacevoli.

La carenza di cure emotive impedisce il maturare di un rapporto intrapsichico per cui il soggetto possa passare da un identità di sé su base corporea, tipica dei primi anni di vita, ad una coscienza di sé in quanto soggetto che sente e pensa.

Si tende, anche da parte degli insegnanti, a confondere l’intelligenza con prestazioni anche non scolastiche che portano a ritenere il bambino intelligente o anche molto intelligente, soprattutto relativamente all’uso del computer o delle consolle da video games che i bambini di oggi usano con enorme dimestichezza.Questa è anche intelligenza ma un tipo di intelligenza accanto alla quale sono necessarie altre intelligenze. Si tende a considerare emotivamente maturo un bambino perché sa esprimere sentimenti piacevoli, di affetto, di amicizia, di simpatia ignorando che la maturità emotiva implica anche la capacità di elaborare ed esprimere emozioni spiacevoli. Si tende quindi a generalizzare sia sull’intelligenza, ignorandone la molteplicità di aspetti e manifestazioni, sia sull’emotività riducendo l’importanza di una buona parte di emozioni che vengono regolarmente bandite e corrette al fine di ottenere comportamenti socialmente ritenuti accettabili.

Si tende ad ignorare che intelligenza è l’insieme di competenze cognitive, sottese a diverse funzioni, che si integrano fra loro e si incrociano con altre competenze, afferenti da altri canali, e profondamente influenzate, in una circolarità ininterrotta dalle competenze emotive; a loro volta queste vanno lette come la capacità di accostarsi alla vita, nei suoi aspetti piacevoli e spiacevoli, attrezzati di canali in cui far defluire energia positiva o stati di inerzia.

Il concetto di emotività non va indistintamente correlato a quello di azione: ci sono casi in cui la competenza emotiva si esprime nella non azione, nel "tenere dentro" un’emozione senza doverla necessariamente esprimere, condividere, manifestare.

Competenza emotiva significa creare e mantenere uno spazio interno di consapevolezza intrapsichica e interpersonale in cui le proprie emozioni possano prendere forma, colore e dimensione.

I bambini quindi, quando non possono esprimere i propri sentimenti, quando non possono prenderne coscienza e quando li vivono in maniera confusa si trovano in quella situazione in cui i canali espressivi si frappongono tra loro e la relazione mente-soma da luogo ad ibridi che sono il frutto di una mancata canalizzazione di un fenomeno verso il suo canale di pertinenza.

L’approccio olistico tende a dare questa interpretazione del sintomo; uno scambio di informazioni tra mente e corpo che fa esprimere dal corpo quello che non si riesce a canalizzare lungo i percorsi della mente; al contrario può anche succedere che l’emotività esprima un disagio corporeo così come possono farlo anche i pensieri nel loro progressivo staticizzarsi, ingrigirsi.

La diagnosi quindi può essere tanto più precoce quanto più si tiene in dovuta considerazione l’atteggiamento dei bambini; quanto più l’osservazione si fa attenta e mantiene il punto di vista dell’altro; quanto più valuta il mondo a partire dai bisogni evolutivi e non da quelli formativi-educativi.

La crescita è un processo in parte spontaneo, in parte indotto e guidato. Nel rispetto della sua quota di spontaneità sta l’osservazione capace di cogliere un sintomo, agli albori o strutturato, e di procedere ad interventi di compensazione.E’ altresì importante osservare i contesti familiari, quando possibile e individuare precocemente quelle dinamiche familiari e quei comportamenti parentali che possono porsi come contesto di apprendimento di comportamenti ossessivi per semplice imitazione del modello o perché il bambino è costretto ad accontentare richieste di un parente affetto da D.O.C.

E’ difficile trovare un bambino con un D.O.C. già strutturato a scuola, sia perché l’età di ingresso nella scuola dell’obbligo si è enormemente abbassata, sia perché il sintomo ha bisogno di tempo per strutturarsi e soprattutto ha bisogno del supporto del concetto di tempo.

Il bambino piccolo , quando non ha ancora sviluppato e padroneggiato la temporalità tende a vivere ogni giornata come un fatto a sé, non ha una memoria storica di sé e dei fatti e questo gli permette di non sviluppare l’ansia anticipatoria, quella che nell’adulto crea la fonte a cui il sintomo si abbevera di fresca acqua.

La sofferenza esperita durante i primi attacchi di D.O.C. crea nell’adulto la dolorosa attesa che finisca presto; d’altra parte, durante la giornata, o la sera, la memoria non può fare a meno di chiedere angosciosa se quella strana esperienza avrà modo di riproporsi ancora e davanti al terrore che si scatena all’idea di rivivere quei momenti nasce un’ansia che impegna in promesse a se stessi di riuscire a contrastare l’evento.

Si crea così il prima e il dopo l’attacco, l’attesa e la speranza, la promessa e il fallimento/riuscita dei propositi. E’ nata la paura della paura.

Nel bambino, a causa dell’incompleto sviluppo della temporalità, difficilmente si struttura tale dinamica di qui la possibilità che le forme di D.O.C. che si possono incontrare siano poco esarcebate.

Lo diventeranno però se ignorate e lasciate a se stesse, intanto che il bambino cresce, matura ai vari livelli e riesce a comprendere che qualcosa di diverso gli accade rispetto ai compagni, ai fratellini o sorelline.

Le stesse ragioni che richiedono una diagnosi precoce portano a chiedere trattamenti adeguati quanto prima possibile, da richiedere con la stessa urgenza e serietà con cui si ricorrerebbe ad un controllo medico se il bambino mostrasse problemi fisici.La diagnosi precoce e l’immediatezza di un trattamento adeguato accorciano enormemente i tempi della guarigione e impediscono, in modo particolare che il disturbo si cronicizzi. La letteratura raccolta nei vari testi a tema dimostra come il disturbo abbia un’alta percentuale di recidiva soprattutto in momenti di stress.
La tendenza a recidivare va anche attribuita all’apprendimento delle condotte comportamentali indotte dal sintomo, che paradossalmente si "fissano" a causa della ripetizione e quindi diventano veri e propri automatismi su cui la persona, spesso solo in psicoterapia, riesce a divenire consapevole.

Spesso si é consci dei comportamenti o dei pensieri più vistosi e disturbanti e si finisce per ignorare una moltitudine di piccoli gesti o pensieri che automaticamente sostengono la tendenza a reiterare.

Accanto alla psicoterapia quindi, che lavora sulla rimozione della cause psicologiche del sintomo e che insegna tecniche cognitive e comportamentali correttive, si inserisce il lavoro del pedagogista per il recupero di quelle funzioni che sono state disturbate o deviate dal sintomo e il cui ripristino o incremento evolutivo permetta, al bambino di recuperare il divario con i coetanei, nei vari ambiti della vita .

L’obiettivo a lungo termine è quello di svolgere un lavoro che rafforzi la persona rendendola consapevole dei personali modi di re-agire agli eventi e di fornirle strumenti di autogestione con i quali individuare ,sul nascere, comportamenti o pensieri che potrebbero far pensare ad una recidiva e richiedere un immediato ulteriore aiuto perché la qualità della vita non subisca dolorose ricadute verso una sofferenza già esperita.

Dal sito di Isola della speranza, dal manuale on line sul D.O.C. "L’assedio della mente" curato da Pierluigi Cabras, Ferdidando Galassi e Daniele Pieralli, del Careggi di Firenze ( C.C.T.C., Centro Terapie Cognitive Comportamentali, Unità Operativa di Psichiatria del Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche Università di Firenze coordinato dal Dr. Ferdinando Galassi,) ricavo quanto segue a sostegno dell’importanza di una diagnosi precoce, di un trattamento adeguato e di una valutazione, in termini numerici, della diffusione della patologia in Italia considerato che anche grazie all’opera divulgativa svolta dal sito al Careggi i dati di ci esso dispone sono relativi ad affluenze non solo "di persona" ma anche on line.

"La prevalenza nell'intera durata della vita è pari al 2-3%. Questo significa che in Italia ci sono più di un milione di persone che soffrono di Disturbo Ossessivo-Compulsivo e più di diecimila in una città come Firenze.

Un farmaco deve essere preso per molto tempo prima di essere cambiato perché inefficace; la risposta farmacologica, infatti, può farsi aspettare anche 2-3 mesi.

Il farmaco può essere assunto fino ad 1 anno di tempo per evitare ricadute anche se ogni singolo caso è diverso dagli altri e la valutazione dovrà essere fatta con il proprio medico specialista. Interventi Cognitivo-Comportamentali come quelli di esposizione e prevenzione della risposta sono efficaci nel caso di comportamenti di evitamento per paure ossessive con conseguenti rituali compulsivi (ad esempio la paura dello sporco e di essere contaminati con i conseguenti lavaggi ripetuti).

La persona impara ad esporsi alla situazione che teme e a fronteggiare il disagio; si allena gradualmente a entrare in contatto con il pensiero 
e con il comportamento e con le proprie paure e impara che i pericoli previsti non sono mai così come vengono immaginati prima dell'esposizione. L'intervento Cognitivo è diretto al modo personale di vedere il mondo e alle convinzioni irrazionali che ne derivano. Le caratteristiche di personalità che provengono dalle esperienze familiari  
e relazionali possono facilitare lo scompenso ossessivo.

L'obbiettivo è favorire un cambiamento di caratteristiche di personalità e, quindi, anche un miglioramento dei sintomi che duri nel tempo".(7.1)

A conforto dell’importanza che attribuisco alla diagnosi precoce e al trattamento, senza volere accendere allarmismo inutili, riporto dati ricavati da un sito americano, uno dei più autorevoli fra i tanti poiché collegato al N.I.M.H, ente federale di ricerca in campo medico, e che sottolinea, ancora una volta, che la poca letteratura relativa al D.O.C. non è conseguenza di una sua sporadicità come patologia, ma è una conseguenza della gravità della patologia, nel suo essere invalidante e isolante per chi la vive, che si nasconde piuttosto che chiedere aiuto. Questo dovrebbe sollecitare una profonda riflessione sulla responsabilità di una società che ha bandito il dolore, identificandolo e confondendolo con la pazzia in quanto è impreparata a farsene carico lasciando sole queste persone.

"Per molti anni, i professionisti del settore medico-sanitario mentali hanno pensato a OCD come malattia rara perché soltanto una piccola minoranza dei loro pazienti ha avuta la malattia.

Il disordine è andato spesso non riconosciuto perché molti di quelli afflitti con OCD, negli sforzi di mantenere i loro pensieri e i ripetuti gesti di comportamento segreti, non sono riusciti a cercare il trattamento.

Ciò ha condotto a sottovalutazione del numero di gente con la malattia. Tuttavia, un'indagine eseguita nell'inizio degli anni 80 dall'istituto nazionale di salute mentale (NIMH) — l'ente federale che sostiene la ricerca in tutta la nazione sul cervello, sulle malattie mentali e sulla salute mentale — ha fornito una conoscenza nuova fornita circa la prevalenza di OCD.

L'indagine di NIMH ha indicato che OCD interessa più di 2 per cento della popolazione, ciò significa che OCD è più comune di altre malattie mentali severe come la schizofrenia, il disordine bipolare, o il disordine di panico. OCD colpisce la gente di tutti i gruppi etnici.

I maschi e le femmine sono influenzati ugualmente. I costi sociali ed economici di OCD sono stati valutati a $8,4 miliardi nel 1990 (DuPont ed altri, 1994).

Anche se i sintomi di OCD cominciano tipicamente durante gli anni dell’adolescenza e/o l'età adulta iniziale, la ricerca recente indica che alcuni bambini sviluppano la malattia alle età più giovani, persino durante gli anni prescolari. Gli studi indicano che almeno un terzo dei casi di OCD in adulti ha cominciato nell'infanzia. Soffrire di OCD durante le fasi iniziali di sviluppo del bambino può causare problemi severi per il bambino. È importante che il bambino riceve la valutazione ed il trattamento da un clinico informato per impedire al bambino di mancare le occasioni importanti a causa di questo disordine.(7.2)

Un contributo arriva anche da un centro di studio e raccolta di dati come il San Raffele di Milano, da tenere in considerazione relativamente ad un monitoraggio della situazione in Italia, anche se i dati sono aggiornati al 2001." Per disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo si intende il disturbo ossessivo compulsivo (DOC) e tutti quelle patologie affini al DOC per sintomatologia e risposta ai trattamenti (Sindrome di Tourette, Gioco d'Azzardo Patologico, ecc).Negli ultimi 20 anni la prevalenza del DOC nella popolazione generale è stata rivalutata.

Se fino agli anni '80 si considerava che il disturbo fosse presente nello 0.5% della popolazione le stime successive hanno riscontrato indici oscillanti tra 2-4%.

La causa di tale differenza non è da ricercarsi tanto in un effettivo incremento della frequenza del disturbo negli anni ma quanto in una maggiore conoscenza di questa patologia che ha quindi permesso di valutare una reale stima della frequenza del disturbo e una diagnosi più precoce.

Negli ultimi anni sono stati fatti importanti progressi nella ricerca dell'eziologia e del trattamento dei disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo permettendo di raggiungere risultati significativi nella cura di questi disturbi considerati in passato praticamente incurabili.

Diventa quindi importante mettere a disposizione non solo degli "addetti al lavoro" ma anche della popolazione generale tutte le informazioni necessarie per permettere a ciascuno di riconoscere come sintomi quelle piccole stranezze del proprio comportamento che sono sempre state considerate "normali" perchè presenti magari dall'infanzia e alle quali si è cercato con fatica di adattarsi nel corso della propria esistenza."(7.3)

 

8. La prevenzione

 

Nello specifico del tema affrontato la pedagogia, come scienza dei processi evolutivi e dei processi educativi, trova un suo statuto epistemico proporzionalmente alla capacità di agire competenze specifiche, pertinenti e direzionate allo scopo.

Partendo dal presupposto che l’educazione facilita il naturale processo di maturazione integrandolo in un percorso evolutivo autogestito ed eterogestito, la pedagogia si inserisce come la scienza dei progetti evolutivi e in tale veste diventa scienza della prevenzione. Scienza della prevenzione poiché la finalità dell’educazione è quella di facilitare e sostenere lo sviluppo della persona nel significato più completo che questo termine può assumere e quindi relativamente a tutte le funzioni della personalità.

Più in generale la pedagogia oggi si pone obiettivi che non sono più in sintonia con una scienza dell’educazione che vede nella stessa una trasmissione di saperi ma le riconosce uno status formativo di competenze ed abilità relative agli aspetti funzionali della persona.

Lo sviluppo delle funzioni quindi concorre alla formazione di una personalità integrata nei vari aspetti :biologico, psichico ed operativo e in tale veste assume il compito di guidare il soggetto alla scoperta delle proprie potenzialità operative, cognitive, affettive ed emotive, relazionali, che si intrecciano tra loro in complesse e sempre più sofisticate interazioni e sinergie ove un piano richiama l’altro in una circolarità di reciproche influenze che rende merito alla complessità della persona.

Nel perseguire il suo duplice obiettivo, che è quello di favorire l’integrazione in un contesto culturalmente definito e condiviso, in un tempo e in uno spazio, di una personalità soggettivata, indivualizzata quindi in rapporto alla sua specifica peculiarità di singolo, la pedagogia oggi pone la basi di un obiettivo che supera e sublima l’obiettivo dell’educazione in quello dell’autoeducazione.

Educazione quindi come sostegno alla maturazione, per tutto l’arco della vita, di ogni soggetto relativamente a tutto quello che è e che può essere, sia in rapporto a se stesso che in rapporto al contesto con cui interagisce;

autoeducazione come sollecitazione alla individuazione e relativa fruizione di capacità adattive e riequilibranti nei confronti degli stimoli che si ricevono dall’esterno ma anche dall’interno del soggetto.
La persona capace di autoeducarsi è quindi soggetto consapevole di sé al massimo del livello di consapevolezza; è persona che assume uno stile di vita flessibile e aperto al cambiamento;

  1.  
  2. capace di problematizzare ponendosi di fronte alla soluzione piuttosto che al problema;
  3. capace di scegliere perché in grado di discriminare e decifrare una molteplicità di linguaggi presenti nella società odierna;
  4. capace di assumere la responsabilità delle proprie azioni-scelte in quanto attore protagonista della propria vita;
  5. disposto a tollerare la frustrazione derivante dagli inevitabili blocchi che la vita impone;
  6. disposto ad adottare un’ottica di accettazione che consente il "passaggio" se pure doloroso e dispendioso di energie, attraverso le traversie che ogni vita porta con sé;
  7. capace quindi, anche, di gioire e di emozionarsi a livelli sempre più specifici attraverso una vasta gamma esperenziale di sentimenti che consentono di leggere, a più livelli, la valenza emotiva dei fatti fornendone una base plastica per la lettura cognitiva.
  8.  

Nel caso del disturbo di cui ho trattato l’educazione interviene a:

  1.  
  2. sollecitare e sostenere una crescita armonica di tutte le funzioni della personalità alla luce di un recupero e di una valorizzazione di quelle aree funzionali che il disturbo può avere mortificato o invalidato
  3. sollecitare la maturazione di un’abilità di autoregolamentazione che pone il soggetto nella condizione di portare avanti, anche e in parte autonomamente, il processo di guarigione, rendendosi consapevole ed edotto delle cause della malattia e di possibili recidive o ricadute,
  4.  

capace quindi di organizzare la propria vita nel rispetto di quelle parti del sé che possano essere bersaglio di un disturbo come il D.O.C.

Il tale ottica la prevenzione si estende anche all’età adulta, per coloro che si trovano a vivere il D.O.C. ormai adulti e per coloro che mostrano stili di vita capaci di suscitare stati di stress e quindi di malattia o disagio psicofisico.

Lo stile di vita attualmente più diffuso, improntato ad una corsa euforica al guadagno e al successo è indice di un impoverimento della personalità che ha accantonato la cura di sé e della dimensione interiore per riversare tutto il proprio interesse all’esterno, attribuendo ad oggetti il senso di benessere .

La ricerca di esperienze di contatto con la natura e una cultura che torna alla natura e ai suoi ritmi esprimono l’insoddisfazione per uno stile di vita che ha ampiamente dimostrato la sua incompatibilità con i tempi umani, che sono diversi da quelli della produzione e delle leggi di mercato.

Questa forzatura che l’uomo ha operato su di sé, sui propri ritmi e sui propri spazi sta rivelando la sua pericolosità con l’aumentare vertiginoso di disturbi che investono la sfera emotiva ma che, per la circolarità delle funzioni umane, attiene anche alla dimensione cognitiva.

La capacità di lettura della realtà risulta deviata da pseudo-valori che si sono imposti in questi ultimi anni e le emozioni elicitate da queste letture non sempre trovano uno spazio interiore che le accoglie e dia risonanza emotiva.

La tendenza a privilegiare emozioni piacevoli ha creato un deficit di competenze nell’uomo del terzo millennio, riducendo di un buona percentuale le sue potenzialità esperenziali, confinando il dolore nella patologia, delegandolo alle molecole chimiche della felicità; ghettizzando gli ammalati di dolore.

La paura per le emozioni spiacevoli, che anche molti studiosi definiscono "negative" ,ha portato ad oggettivare come "negativo" e quindi pericoloso ciò che per secoli ha fatto parte del repertorio umano , in termini di esperienze del singolo e della collettività .

Forse a questo ha contribuito l’orrore delle ultime guerre e passando in rassegna la storia si evince come a partire dal dopoguerra si sia dato il via alla costruzione di un modello di vita incentrato sulla felicità ad ogni costo, delegata all’esterno se non accesa dall’interno.

Non credo più che ci siano emozioni "negative", credo che ci siano emozioni piacevoli ed emozioni spiacevoli ma non ci sono emozioni da preferire e altre da scartare. Tanta letteratura nel campo dei sentimenti insegna che le persone spesso strutturano il sintomo in conseguenza dell’incapacità o impossibilità di elaborare emozioni spiacevoli, ma anche emozioni piacevoli possono indurre stati di ansia.

Allora il problema non è la piacevolezza o meno dell’emozione ma l’atto dell’emozionarsi a cui la gente non sembra più capace di accostarsi.

Modelli di uomini e donne iperattivi e superproduttivi ha indotto a mettere in secondo piano la capacità di emozionarsi, etichettando come sdolcinate emozioni come la tenerezza, il bisogno di affetto, il bisogno di gesti affettivi; dall’altra parte si sono etichettate come deboli le persone che soffrono per qualcosa che le ha ferite, rese sole o abbandonate.

Penso che vada recuperata questa facoltà umana e curata fino a riportarla alla sua accezione più piena di funzione emotiva e affettiva, a partire dall’infanzia e per tutto la vita.

Le persone vivono e la vita è fatta di momenti diversi; occorre imparare a sapere stare di fronte ad ogni situazione e trovare un significato, che sia anche l’accettazione quando non si può fare altro, purché si dia spazio a stati emotivi pertinenti al fatto e al momento.

Non è un caso che nella scuola si parli ora, e non più a livello di esperienze sporadiche di progetti, ma come parte del curricolo, di Educazione all’affettività.

Occorre però che l’educazione all’affettività, ancora una volta non si riduca ad una serie di giochi per far ridere i bambini ; è necessario uno studio che riprenda le linee evolutive della funzione emotiva, che ne sottolinei la stadialità, che ne individui i percorsi nella complessa interrelazione con il corporeo e con il cognitivo; che individui gli elementi di censura o invalidazione di una sana affettività; che faccia prognosi educative a partire da diagnosi educative ed evolutive per la riconferma di una scienza dell’affettività. Il metodo clinico in pedagogia risponde alla capacità del clinico che individua e correla fatti e dati; avvenimenti e fatti; persone e situazioni e questa capacità di individuare e correlare consente di trovare cause e percorsi preferenziali di stati di sofferenza in cui il clinico non interviene per etichettare ma per ascoltare e guardare con sguardo clinico7.4; per costruire una storia della disagio così come si presenta e una storia del disagio vissuto dalla persona.

La pedagogia, nella sua configurazione di clinica dello sviluppo e dell’educazione fornisce oggi strumenti di studio e di analisi che consentono di recuperare le fasi dello sviluppo e della maturazione nella complessità delle funzioni e strutture chiamate in causa, e che è anche capace di individuare nuove funzioni e nuove dimensioni come prodotto di una naturale processualità del genere umano, intesa come evoluzione.

Si può parlare di prevenzione perché attraverso l’educazione si garantisce la formazione di soggetti integrati e integrabili.

Che l’uomo sia capace anche di auto-educazione è confermato dal proliferare di una cultura dell’auto-aiuto che promuove l’apprendimento e lo studio di tecniche di pensiero e di gestione della corporeità orientate al benessere e al rilassamento nonché alla riconciliazione fra soma e psiche e al potenziamento dell’espressività sin a partire dall’infanzia con l’attivazione, anche nelle scuole, di progetti che prevedono la manipolazione e la creazione , la drammatizzazione, percorsi di musico-terapia , danza-terapia, con lo studio di tecniche di rilassamento come il Training Autogeno o il Rilassamento Muscolare Progressivo .

Nei gruppi di auto-aiuto si fa un grande uso di libri di auto-aiuto scritti da specialisti del settore e che propongono programmi da gestire da soli, con i quali potere lavorare sul sintomo. L’efficacia di questi testi, documentata da chi li ha utilizzati seguendo il programma proposto e applicandolo, conferma la fiducia nelle grandi capacità dell’uomo di auto-regolarsi e auto-educarsi. Non tutti riescono a trarre giovamento dall’uso di questi libri e ciò non è imputabile alla minore o maggiore gravità del D.O.C., di cui le varie persone soffrono, ma agli strumenti con cui le diverse persone si accostano al testo di auto-aiuto.

Quanto più la persona è progredita sul piano cognitivo ed emotivo, etico e relazionale, tanto più riesce ad applicare i programmi di aiuto poiché riesce ad assumere, rispetto a se stesso/a un ruolo di supervisore, in una condizione di auto-osservazione che implica un lavoro precedente di grande introspezione e di studio di sé e degli altri.

L’esperienza a contatto con persone che soffrono di D.O.C. mi ha portata ad individuare , nel sintomo, un responsabilità da parte dei processi di apprendimento, poiché la malattia un po’ arriva un po’ si impara.

La persona lasciata a se stessa costruisce lentamente il suo monumento sintomatologico poiché i meccanismi di auto-rinforzo la portano a reiterare i comportamenti nella speranza di ridurre l’ansia. Cognizione ed emotività sono quindi in campo e concorrono a sostenere un disturbo gravissimo, in termini di sofferenza e costi, per il singolo e per la società.

Pur riconoscendo le implicazioni biologiche insite nel disturbo , le storie di persone conosciute o lette dimostra come il trattamento sia utile e efficace, capace di far conquistare periodi di lunghe remissioni e reale benessere.

 

 

 

 

 

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