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IL DISTURBO DELL’IDENTITA’ DI GENERE

22 Dic 12

Di FRANCESCO BOLLORINO

di Paola Magioncalda e Linda Vassallo

 

L’identità di genere è uno dei fattori psicosessuali che insieme con l’identità sessuale, l’orientamento sessuale ed il comportamento sessuale, vanno a costituire, nel contesto generale della personalità, la sessualità dell’individuo.

L’identità di genere è la sensazione soggettiva e profondamente radicata che ognuno ha di essere uomo o di essere donna e che generalmente corrisponde al sesso biologico della persona.

Il Disturbo dell’Identità di Genere è caratterizzato, così come illustrano gli items del DSM-IV-TR, da due criteri principali, componenti che devono essere entrambe presenti per fare diagnosi:

Criterio A

Deve essere evidente una intensa e persistente identificazione col sesso opposto, che è il desiderio di essere, o l’insistenza sul fatto di essere, del sesso opposto.

L’identificazione con l’altro sesso non deve essere solo un desiderio per qualche presunto vantaggio culturale derivante dall’appartenenza al sesso opposto.

Criterio B

Deve esserci prova di un persistente malessere riguardo alla propria assegnazione sessuale, oppure un senso di estraneità riguardo al ruolo di genere del proprio sesso.

La diagnosi non va fatta se il soggetto ha una concomitante condizione fisica intersessuale (per es., sindrome parziale di insensibilità agli androgeni o iperplasia surrenale congenita).

Inoltre, per fare diagnosi, deve esservi prova di un disagio significativo sul piano clinico, oppure di compromissione dell’area sociale, lavorativa, o di altre aree importanti del funzionamento.

Il Disturbo dell’Identità di Genere esordisce nella prima infanzia, verso i 3-4 anni di età.

Le caratteristiche cliniche e i sintomi del disturbo sono molto tipici e particolari.

I maschi rivelano un eccessivo interesse per giochi ed attività tradizionalmente femminili e preferiscono giocare e trascorrere il tempo con amiche femmine. Vogliono indossare abiti da donna e possono rappresentare gonne e i capelli lunghi con asciugamani, grembiuli e sciarpe. Il loro modo di fare e la loro gestualità è molto femminile e affermano che quando cresceranno diventeranno una donna. Possono rifiutarsi di andare a scuola perché spesso sono oggetto di derisioni da parte dei coetanei e perché provano disagio a dover indossare abiti maschili e non femminili come vorrebbero.

Le bambine preferiscono avere amici maschi e dimostrano grande interesse in sport e giochi tipicamente maschili rifiutando invece di giocare con le bambole o ad altri "giochi da femmine". Possono rifiutarsi di urinare in posizione seduta e affermano che da grandi non avranno le mammelle e non verranno loro le mestruazioni, ma, al contrario, diventeranno uomini e avranno il pene.

Il forte desiderio di appartenere al sesso opposto a quello biologico, di vivere ed essere trattati come membri di tale sesso, ed il persistente disagio e senso di estraneità nei confronti del proprio corpo, persistono e si fanno più consapevoli in adolescenza e nell’età adulta.

Questi soggetti soffrono molto per la loro condizione e desiderano fortemente acquisire le caratteristiche anatomiche del sesso a cui sentono di appartenere. Affermano di essere nati nel corpo sbagliato, di sentirsi in esso intrappolati e provano un profondo disgusto per i propri organi genitali.

Attraverso l’abbigliamento, il trucco, l’uso di ormoni e il ricorso ad operazioni chirurgiche, questi soggetti cercano di adattare il loro sesso biologico al loro sesso psicologico. Pertanto, si rivolgono al medico per intraprendere terapie endocrine o per sottoporsi ad interventi chirurgici, non perché preoccupati dalla loro mente; non ritengono, infatti, di aver nessuna problematica di ordine psichiatrico, sostengono che il vero problema sia l’essere nati in un corpo sbagliato che necessita di essere modificato e reso adeguato alla loro vera identità di genere.

 

Nei soggetti adolescenti e adulti si possono riscontrare quattro tipi di orientamento sessuale.

Il paziente può provare attrazione per soggetti del suo stesso sesso biologico e questa è la situazione più frequente e che viene considerata maggiormente in accordo con le caratteristiche del disturbo.

L’attrazione può essere rivolta nei confronti di soggetti di sesso biologico opposto a quello del paziente, a soggetti di entrambi i sessi oppure può non esservi nessuna attrazione sessuale ne’ per i maschi ne’ per le femmine. In quest’ultimo caso il paziente ha spesso alterazioni gravi del comportamento e della personalità, tende ad isolarsi e la prognosi del disturbo è peggiore.

 

Il Disturbo dell’Identità di Genere può associarsi ad altre patologie psichiatriche.

Frequente è la comorbilità con Disturbi dell’Umore o Disturbi d’Ansia, e si può riscontrare in alcuni pazienti un Disturbo di Personalità, spesso di tipo Borderline.

 

Proprio perché i soggetti con Disturbo dell’Identità di Genere si sottopongono a terapie mediche e chirurgiche irreversibili è fondamentale un’accurata diagnosi differenziale al fine di distinguere questa patologia da condizioni che possono mimarne in qualche modo le caratteristiche ma che con tale disturbo non hanno nulla a che fare.

Prima di tutto il Disturbo dell’Identità di Genere deve essere distinto da un semplice anticonformismo nei confronti del comportamento stereotipato del ruolo sessuale sulla base del grado e della pervasività dei desideri, degli interessi e delle attività proprie del sesso opposto.

Questo disturbo non va poi confuso con il Feticismo di Travestimento. I travestiti non rifiutano il loro sesso biologico, indossano abiti del sesso opposto al solo scopo di procurarsi eccitazione sessuale; i transessuali si travestono perché sentono di appartenere al sesso opposto. Il desiderio sessuale, al contrario del travestito, nei soggetti affetti da Disturbo dell’Identità di Genere è un aspetto secondario e poco presente.

Raramente nella Schizofrenia vi possono essere deliri di appartenenza al sesso opposto.

 

Non esistono studi epidemiologici recenti e veramente completi che forniscano dati sulla prevalenza del Disturbo dell’Identità di Genere. Le stime più attendibili si basano su ricerche effettuate soprattutto in Europa sui pazienti che richiedono l’intervento medico e chirurgico, e dalle quali emerge che circa 1 maschio adulto su 30.000 e 1 femmina adulta su 100.000 soffrono del disturbo.

E’ molto probabile che il fenomeno sia sottostimato.

 

L’eziologia del Disturbo dell’Identità di Genere è ancora incerta e le molte teorie in merito mettono in luce la sua multifattorialità.

 

Le ipotesi di tipo biologico indagano da un lato aspetti genetici del problema e dall’altro aspetti endocrini.

 

Ricerche fatte su gemelli e su fratelli hanno evidenziato una certa concordanza per quanto riguarda l’orientamento sessuale, e vi sono studi che ipotizzano la presenza di geni sui cromosomi X ed Y che potrebbero contribuire a definire la sessualità del soggetto, ma non esistono evidenze certe che portino a considerare il Disturbo dell’Identità di Genere come geneticamente determinato.

 

Durante lo sviluppo intrauterino, perché avvenga una corretta differenziazione sessuale del feto attraverso la formazione di genitali maschili oppure femminili in accordo con il corredo genetico, è necessaria la presenza degli ormoni sessuali ed in particolare del testosterone che, se presente, è responsabile dello sviluppo in senso maschile del feto, se è assente, ne consente quello femminile.

Alcuni studi hanno evidenziato che il testosterone ha effetto anche sulle cellule dell’encefalo contribuendo alla "mascolinizzazione" di particolari aree cerebrali come l’ipotalamo.

Molte sono le ipotesi eziologiche del Disturbo dell’Identità di Genere che riguardano un alterato assetto ormonale durante lo sviluppo interino, anche se il ruolo degli effetti che il testosterone potrebbe avere sullo sviluppo dei comportamenti che caratterizzano la patologia è ancora molto controverso.

 

Comunque, è opinione comune che la probabile eziologia del disturbo sia da ricercarsi più che in alterazioni ormonali prenatali, in esperienze ed eventi di vita postnatali.

 

Di fondamentale importanza appaiono, quindi, nello sviluppo del disturbo, i fattori ambientali e psicosociali che agiscono e influenzano il soggetto soprattutto nei primissimi anni di vita quando l’interazione tra il temperamento del bambino ed i comportamenti dei genitori è fondamentale per lo sviluppo dell’identità di genere del soggetto.

 

Freud sosteneva che all’origine di un’identità di genere disturbata vi fosse la presenza di conflitti, sia derivanti da episodi e comportamenti realmente presenti nella famiglia sia da fantasie del bambino, sperimentati nell’ambito del complesso di Edipo; qualsiasi cosa, cioè, che possa interferire con l’innamoramento che il bambino ha per il genitore di sesso opposto al suo e con l’identificazione che nutre per il genitore dello stesso sesso, ostacola un corretto sviluppo di un’identità di genere conforme al suo sesso biologico.

 

Da questo presupposto si sono sviluppate tutte una serie di teorie psicoanalitiche che identificano per il soggetto di sesso maschile, che si sente di appartenere al genere femminile (soggetto male-to-female), un rapporto spesso simbiotico con una madre iperprotettiva, intrappolante, quasi ostile, e una figura paterna passiva, distante o addirittura assente; e per il soggetto di sesso biologico femminile, che si sente di appartenere al genere maschile (soggetto female-to-male), ipotizzano una madre anaffettiva, rifiutante, fredda e che disprezza la femminilità della figlia, che non consente la necessaria identificazione favorendo invece l’ammirazione per una figura maschile idealizzata.

 

Molte ricerche hanno riscontrato nella pratica clinica situazioni familiari che ricordano molto da vicino questi modelli di rapporto madre-padre-figlio/a proposti.

Spesso nell’infanzia di questi soggetti vi sono storie di abbandono da parte di uno dei due genitori (generalmente di quello del medesimo sesso biologico del soggetto), di rifiuto ed abusi.

La morte o la malattia della madre (spesso lunghi episodi depressivi gravi) possono contribuire ad uno sviluppo di un’identità di genere alterata.

La figura del padre, fondamentale per una bambina come modello del futuro oggetto d’amore e per il bambino come figura identificativa, se è assente, soprattutto per un figlio maschio, può contribuire allo sviluppo di un rapporto molto stretto, quasi patologico tra il bambino e la madre.

 

Dal punto di vista terapeutico, inutili e fallimentari si sono dimostrati i tentativi psicoterapici del passato di forzare il paziente a ritrovare l’identità di genere sintonica a quella biologica. La tendenza odierna è quindi quella di considerare come trattamento più corretto per questo disturbo l’adeguamento al sesso desiderato.

 

L’iter di adeguamento si compone di diverse tappe che portano il soggetto alla progressiva trasformazione del corpo attraverso terapie mediche-endocrine e chirurgiche.

 

Le terapie ormonali prevedono la somministrazione di estrogeni e di antiandrogeni per i

soggetti di sesso maschile e di testosterone per quelli di sesso femminile.

Gli estrogeni sono responsabili dell’aumento di volume delle mammelle, dell’atrofia testicolare, della diminuzione della libido, della capacità erettile e della presenza di peli dal corpo e della diminuzione dell’aggressività, della modificata distribuzione del grasso corporeo e della riduzione della massa magra.

Il testosterone modifica il tono della voce, rendendolo più basso, rende ipertrofico il clitoride, talvolta aumenta la libido e l’aggressività, contribuisce ad una maggiore crescita di peli sul corpo e della barba, interrompe i cicli mestruali e riduce il grasso sottocutaneo aumentando la massa muscolare.

Gli effetti collaterali di queste terapie ormonale possono essere importanti soprattutto a livello ematico e a livello del fegato, è pertanto importante effettuare continui esami di controllo.

 

Con la chirurgia si possono modificare i caratteri sessuali secondari ed il corpo rendendolo più simile al sesso desiderato.

Per esempio i soggetti male-to-female si sottopongono alla depilazione con elettrolisi o laser terapia per eliminare definitivamente barba e peli, alla mammoplastica, al rimodellamento della cartilagine laringea, all’addominoplastica, alla rinoplastica e alla riduzione della mandibola.

I soggetti female-to-male, invece, si sottopongono ad interventi chirurgici di mastectomia e di isterectomia con annessiectomia, al rimodellamento dell’areola mammaria e del torace e alla riabilitazione vocale per modificare la voce in senso maschile.

 

L’iter di adeguamento culmina con la chirurgia di riassegnazione sessuale, un’operazione chirurgica con cui i genitali esterni del paziente vengono resi simili a quelli del sesso desiderato.

 

Per un soggetto nato anatomicamente maschio, l’intervento consiste nella rimozione dei testicoli e del pene e nel creare una neovagina con gradi e piccole labbra e con un neoclitoride dotato di sensibilità originato da una piccola porzione di glande che viene mantenuta assieme con il fascio vascolo-nervoso del pene.

I risultati di questa chirurgia sono oggi piuttosto soddisfacenti ed i progressi fatti per perfezionare l’operazione rispetto ai primi interventi risalenti agli anni ‘50 sono stati enormi.

 

La chirurgica per riassegnare il soggetto femmina al sesso maschile non sono altrettanto positivi.

L’intervento consiste nella creazione di un penoide grazie all’utilizzo di un lembo di cute dell’addome o dell’avambraccio, ma i risultati sono ancora piuttosto scadenti.

 

Le richieste di riassegnazione sessuale female-to-male sono molto meno numerose di quelle male-to-female, in parte per l’effettiva minor prevalenza del disturbo nei soggetti di sesso femminile ed in parte forse proprio per la cattiva qualità dei risultati dei tale operazione.

 

Può essere importante per tutta la durata dell’iter di adeguamento, e anche per il dopo riassegnazione, un supporto di tipo psicologico.

Sono i pazienti stessi a riferire l’utilità di un aiuto di questo tipo in momenti così delicati e difficili.

 

In ogni caso, prima di potersi sottoporre all’intervento di riassegnazione sessuale, sono obbligatori tempi di osservazione molto lunghi ed il soggetto deve sottoporsi ad una serie di colloqui psichiatrici per valutare l’effettiva natura del disturbo e se la soluzione chirurgica possa essere la più indicata.

 

In Italia tutto questo è reso possibile ed è regolamentato dalla legge 14 aprile 1982, n. 164, che reca le "Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso", successivamente modificata dall’art.10, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.

 

Comunque, numerosi follow-up e riscontri catamnestici in seguito alla chirurgia di riassegnazione sessuale hanno evidenziato risultati molto positivi circa il grado di benessere dei pazienti e la buona riuscita del trattamento; pertanto il Disturbo dell’Identità di Genere sembra trovare una conferma nell’adeguatezza terapeutica del trattamento di riassegnazione, una terapia rispettosa ed in grado di decifrare la sofferenza del paziente e il suo autentico dramma personale, al di là del binomio onnipotenza-impotenza, spesso pericoloso nella pratica clinica.

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