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Modelli psicoterapici nel trattamento dell’anziano. L’apporto della psicanalisi di G. Ballauri

3 Dic 12

Di FRANCESCO BOLLORINO

 

Ho accolto con gran piacere e interesse l’invito della dott.sa Vecchiato a presenziare a questa tavola rotonda per due motivi sostanziali:

-il primo perché ho lavorato subito dopo la laurea e per cinque anni come medico in un Istituto per anziani di Genova -l’Emanuele Brignole – che i genovesi conoscono con il triste nome di Albergo dei Poveri;

-in secondo luogo perché la Società Italiana di Psicoterapia Medica già nel lontano1982 organizzò un Convegno a Firenze sulla psicoterapia dell’anziano.

Questi due motivi; quindi, sono le premesse ma anche la piattaforma per svolgere alcune mie considerazioni, oggi, sulla psicoterapia dell’anziano.

Dalla mia esperienza all’Istituto Brignole e privata vorrei innanzi tutto raccontarvi alcune vignette cliniche:

I) – un giorno fui avvertito da un’infermiera del reparto dove lavoravo, che conosceva il mio interesse per la psicoanalisi, che una degente intratteneva spesso il personale con racconti sul padre, sulla relazione molto intima con lui, tale da sembrarne a 80 anni, ancora, innamorata.Per cui decisi di rendermi disponibile all’ascolto, cercando di soffermarmi con lei in un modo il più garbato possibile per alcuni colloqui.

Mi raccontò delle passeggiate con il padre sulle alture di Genova negli anni precedenti la prima guerra mondiale, i viaggi turistici con lui in alcune città del nord dell’Italia senza la madre, perché spesso ammalata, di come il loro affetto era così intenso da tenersi di solito per mano e di come si scambiavano carezze e baci, naturalmente sulle guance.Mi pareva che la paziente, che non presentava deficit cerebrali, in quei racconti si esprimesse con accenti euforici quasi maniacali, perciò la percepivo lontana dalla sensazione, che per me era molto intensa, di tristezza nel pensare ad una donna, che aveva sacrificato tutta la vita per l’amore verso il padre.Non si era sposata e non era riuscita a trovare una condizione di vita autonoma per realizzare se stessa, tanto da finire dopo varie traversie all’età di 65 anni degente dell’Istituto.

II) – un’’altra infermiera mi fece notare che una paziente si era innamorata di me, paraplegica non autosufficiente e affetta da lieve demenza.Mi era stato riferito che le ricordavo un ufficiale di cavalleria che aveva amato, ma che era morto durante la prima guerra mondiale.Decisi allora come avevo fatto con l’altra paziente semplicemente di ascoltarla, di sedermi accanto al suo letto nei momenti in cui non ero impegnato con le visite mediche.

III) Una paziente di 70 anni mi chiede la psicoterapia, perché caduta in uno stato depressivo dopo la morte della madre 95enne e per il fatto che il figlio è andato a vivere da solo in periferia, rifiutandosi di stabilirsi nell’appartamento, che lei gli ha comprato e allestito sullo stesso piano della sua abitazione nella prospettiva del futuro matrimonio.

Donna intraprendente, ha svolto una florida attività di commercio riuscendo a guadagnare molto più del marito, semplice impiegato.

Nelle sedute mi parla comunemente della madre, che considerava come una bambina la sua piccina, tanto bisognosa di lei come il figlio e il marito di 12 anni più giovane.

I suoi bambini che ha cercato di tenere sempre uniti vicino a lei.

In una seduta dopo racconti monotoni e ripetitivi sulla mamma mi parla di un nipote, con una vita drammatica alle spalle che era morto per overdose.

Si apre così la possibilità, attraverso la storia sul nipote, di avvicinare la paziente al problema della sua dipendenza infantile nei confronti della madre e alle proiezioni di questa sui parenti stretti e su di me.

La psicoterapia, poi, è proseguita con grande discrezione e attenzione ai riferimenti transferali della paziente, che spesso minacciava di abbandonarla per dedicarsi a cure termali, molto più efficaci-secondo lei- per le persone anziane.

IV) -un’altra paziente venne da me, perché soffriva d’ansia, si sentiva molto sola, dopo che la figlia si era trasferita con la famiglia a Milano.

Nelle sedute emergeva, frequentemente, il racconto dei traumi psicologici e organici subiti durante un bombardamento in una cittadina della riviera di ponente e collegava, nelle associazioni, questi traumi a quelli subiti con il marito, deceduto alcuni anni prima, per i loro frequenti litigi, dovuti al motivo che lei rifiutava di solito i rapporti sessuali, da cui non aveva tratto mai soddisfazione.

Non fu possibile, evidentemente , affrontare la conflittualità inerente ai "traumi" sessuali della paziente, ma fu possibile aiutarla a contenere l’ansia mettendola a confronto con l ’ irrealistica paura ,che la figlia l’avrebbe abbandonata per sempre senza mai più venire a trovarla.

Vediamo, adesso, nei casi presentati ,pur in situazioni molto diverse, alcune problematiche inerenti all’anziano che la psicoterapia deve tenere conto e che furono mostrate con molta chiarezza dal prof. Rossi nella presentazione degli atti del Convegno dell’82:

1)- possibilità di estendere la psicoterapia all’anziano , perché la cultura di oggi tende a riservare più spazi , là dove una volta poteva essere considerato spento come nella vita sessuale ;

2)- spesso i disturbi dell’anziano prendono spunti da motivi psicogeni e non involutivi e per nulla organici ;

3)- la depressione come patologia più frequente per l’inevitabile confronto con la perdita d’oggetto, problema generale del vecchio che ha di fronte la morte , anche se sarebbe ingenuo ridurre questo problema a dimensioni di tecnica psicoterapeutica .

Nel caso della terza paziente , che dimostrava almeno dieci anni di meno della sua effettiva età, l’aspetto della morte era molto lontano dai miei sentimenti controtransferali e le problematiche sembravano cosi vicine a quelle della conflittualità adolescenziale di fronte all’ autonomia dai legami parentali;

4)- problemi controtransferali in cui pur con l’abolizione dei pregiudizi nei confronti dell’anziano , può persistere la difficoltà, da parte dello psicoterapeuta, nell’ affrontare il fatto che eros e thanatos convivono cosi vicini . Credo che questo aspetto possa spiegare la mia ottusità nell’accorgermi delle richieste delle due pazienti ,ricoverate all ’ Istituto Brignole ;

5)- psicoterapia dell’anziano come banco di prova dell’identità dello psicoterapeuta. Se lo psicoterapeuta sia in grado , in altre parole , di considerare il primum non nocere ,e se può abbandonare il suo narcisismo onnipotente non terapeutico e se ha imparato a diventare uno che cura in tutte le situazioni ,anche quando il premio è più modesto.

Ed è proprio a seguito di queste considerazioni del prof. Rossi , che penso possa esservi utile riferivi dell’iniziativa , che intrapresi dopo l’esperienza con le due pazienti sopra menzionate all’Istituto Brignole .

In accordo con l’équipe di fisioterapisti e assistenti sociali che lavoravano stabilmente nell’Istituto decisi di tentare con la loro collaborazione la riabilitazione di un gruppo di degenti, alcune delle quali affette da pseudo – demenza .

Decidemmo di presentare brevemente i film , che erano programmati settimanalmente nel cinema dell’Istituto, per proseguire dopo la proiezione con un dibattito. Volevamo cercare di stimolare le pazienti, affette da pseudo-demenza a recuperare il loro immaginario, attraverso la possibilità di riappropriarsi di emozioni ed affetti ormai sopiti, che la visione del film poteva aver risvegliato in loro; a permettere a tutte le pazienti, anche a quelle , in cui non erano presenti sintomi di demenza o pseudo, di comunicare e contestualizzare nel presente, attraverso incontri di gruppo ,le esperienze ritrovate o quelle bloccate e fissate nel passato. Le pazienti seguivano contemporaneamente un’attività ergo-ludo terapica, effettuata dalle fisioterapiste e dalle assistenti sociali.

A questo punto potrei considerare concluso il mio intervento , ma sono spinto a continuare, perché la sfida nella psicoterapia o nell’analisi dell’anziano ci propone il grande tema della conquista del senso , della pensabilità delle emozioni, nelle dinamiche transfert-controtransfert, che incontriamo tout court con tutti i pazienti, indipendentemente dall’età, durante lo svolgersi del processo psicoterapeutico .

Partirò in queste mie considerazioni dal film DER LETZE MANN di Murnau ,che il prof. Petrella presentò sempre al Convegno sull’anziano del 1982, per concludere definitivamente proprio con le tematiche sull’anziano che il film di Murnau solleva .

Il film narra la storia di un portiere d’albergo di Berlino , che perde il diritto di portare la bella livrea gallonata, che gli dava prestigio e potere in famiglia e tra gli abitanti del quartiere ,perché invecchiato e non più all’altezza degli oneri che tale divisa implicava.

Petrella nell’analisi del film richiama il problema di una crisi nell’età senile dovuta alla destituzione sociale e quindi all’immancabile depressione dell’anziano che la subisce.

Possiamo considerare che la depressione-prendendo spunto dal discorso iniziato da Putrella- sia dovuta il più delle volte alla mancanza di senso che l’anziano può dare alla propria vita nel ricapitolarla dal tempo passato al presente; se, infatti, l’auto- stima dipende esclusivamente dalla livrea, dall’apparenza e dalla sola dimensione sociale o dall’esoscheletro per usare un’espressione di Bion, non rimane che l’attesa di un futuro verso la conclusione della vita di sconforto e cordoglio.

Allora come si può rispondere alla domanda che prepotente si affaccia tra le sequenze del film :dove nasce la possibilità di dare un senso , un significato alla nostra vita, che permetta di conciliarci con l’inevitabilità della caducità, della precarietà e infine della morte?

Freud , nei suoi saggi nati dalla riflessione sul dramma della guerra e in particolare quello sulla "Caducità " , si pone proprio il problema del senso da dare alla vita di fronte all’ostacolo più forte e doloroso che inevitabilmente si incontra nella dimensione ontologica dell’uomo : la perdita della bellezza dell’oggetto , la sua precarietà .

E mentre il poeta che nel saggio rappresenta il suo interlocutore è preso nella caducità delle cose , nel loro precipitare , nel loro inabissarsi , nella transitorietà fino alla negazione del loro valore. Freud ,al contrario ,sembra riproporre la certezza della bellezza della natura e dell’umanità :"torneremo egli dice- a costruire tutto ciò che la guerra ha distrutto forse su un fondamento più duraturo e solido di prima anzi in rapporto alla durata della nostra vita questo si può dire un eterno ritorno ."

" E anche- continua- la distruzione possibile delle opere d’arte, anche l’avvento di una nuova razza umana che non ne comprenderà più il senso o addirittura di un’era geologica in cui ogni forma di vita sulla terra sarà scomparsa, non possono cancellare il fatto che il valore di tutta quella bellezza e perfezione è determinato dal suo significato per la nostra sensibilità viva, non ha bisogno di sopravviverle e per questo è indipendente dalla durata temporale assoluta."

Allora la morte rappresenta quella morte che dobbiamo preparare per praticare la vita.

Di fronte al perire delle cose, al loro precipitare nella precarietà possiamo rifiutare la precarietà stessa, opponendole la nostra illusoria fede nell’eternità di tutto ciò che ci circonda oppure scendere al lutto e alla melanconia e affermare che tutto è morte, che tutto è come la morte irrapresentabile

La terza via che Freud cerca di proporre è quella del riconoscimento della precarietà , della caducità , della fragilità dei nostri aspetti psichici culturali e sociali. Ma ciò significa affermare anche che morte e vita non si oppongono semplicemente, ma si compongono e si articolano in un tempo diverso che è necessario ancora costruire.

Quel tempo è un tempo ritrovato (come sottolinea Rella nel suo commento a Costruzioni in analisi) che costituisce una diversa dimensione temporale per il soggetto e produce un’altra memoria, un diverso orizzonte in cui si iscrivono gli eventi del passato e del presente E’qui in questo contesto che vediamo come le considerazioni sulla caducità assumono valenza non solo di discorso generale quasi filosofico, ma di tecnica di psicoterapia analitica . Il ricordo puro e semplice non è mai cura non ha nessun effetto nel soggetto La conoscenza si fa trasformazione delle condizioni del soggetto quando essa diventa esperienza o sapere o possibilità di momento di pensiero che travalica nel hic et nunc della relazione le condizioni storiche o cicliche del tempo .

Anche la morte allora viene a far parte ad articolarsi nel tempo costruito in cui si intessono come in un ricamo nell’ordito del presente i fili del passato disegnando la loro figura , leggibile, riconoscibile, interpretabile e pensabile.

Ed è proprio sulla linea delle considerazione esposte , che possiamo pensare al lavoro meno nobile ,ma adeguato ai limiti delle nostre possibilità d’intervento come quello nelle istituzioni o nella psicoterapia privata oppure al lavoro sofisticato di un’analisi, come quella effettuata con successo dalla Seagal (rimando al suo lavoro) su un signore di 70anni che riuscì a superare la sua paura della morte ricordando e contestualizzando nella relazione dell’hic et nunc presente le sue angosce infantili legate ad una profonda rabbia distruttiva.

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