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L’équipe al lavoro

3 Dic 12

Di FRANCESCO BOLLORINO

 

Introduzione

Presso il Ser.T. di Modena è in corso, dal febbraio 2001, una ricerca triennale dal titolo: "Valutazione dell'esito dei trattamenti terapeutici". Tale ricerca è articolata in fasi; nella prima di esse (Fase A) sono state monitorate le metodologie oggi utilizzate, nei Ser.T. e nelle Comunità della Provincia di Modena, per il percorso di osservazione e diagnosi (d'ora in poi OD). La Fase B consisterà nella composizione di un gruppo di lavoro che, sulla base dei risultati della Fase A, definirà un protocollo di OD omogeneo e condiviso. Nel corso della Fase C, che inizierà contestualmente alla B, saranno valutati gli esiti dei trattamenti erogati da Ser.T. e Comunità di Modena e provincia, seguendo longitudinalmente gruppi di pazienti omogenei per diagnosi e trattamento, prima e dopo l'implementazione del protocollo di OD.

Questa breve nota è il resoconto dell'esito della Fase A della ricerca. Il report ottenuto a conclusione del monitoraggio della fase di OD, infatti, ha fatto emergere dati di notevole importanza, non solo per quanto riguarda i metodi e le tecniche utilizzati, ma soprattutto per ciò che emerge rispetto alle dinamiche esistenti nelle équipe terapeutiche dei Servizi che sono stati oggetto dell'indagine.

Il percorso di OD si configura, infatti, come un punto nodale del lavoro dell'équipe del Ser.T., in quanto costituisce il momento in cui le diverse professionalità in campo (assistente sociale, medico, educatore, psicologo) si confrontano reciprocamente, in una fase "pre-terapeutica" deputata alla valutazione delle caratteristiche del paziente e, in un secondo momento, alla discussione d'équipe per la definizione del programma terapeutico più adeguato.

Nel Sistema dei Servizi della Provincia di Modena (che comprende l'insieme dei 7 Ser.T. provinciali e delle 3 Comunità convenzionate), la fase di OD è regolata da una prassi condivisa, che prevede il passaggio del paziente dall'operatore di area socio-educativa (assistente sociale o educatore), al medico e infine allo psicologo. Tuttavia, solamente in parte dei Ser.T. della Provincia tale prassi è codificata da un documento scritto che definisca compiti, ruoli, strumenti e obiettivi delle diverse figure professionali per la fase di OD.

Inoltre, il recente accordo tra Ser.T. e Comunità sul cosiddetto "libero accesso" prevede che anche le Comunità possano dotarsi di figure professionali adeguate a prendere in carico i nuovi pazienti direttamente presso la loro sede, senza che sia più necessaria la mediazione del Ser.T.

E' evidente che la situazione attuale, così definita, necessita, per ragioni di omogeneità di trattamento e condivisione degli approcci terapeutico-riabilitativi, della stesura di linee-guida che definiscano il percorso standard e le modalità di OD da adottare sull'utenza presso ogni luogo di cura delle tossicodipendenze.

1. Sviluppo dell'ipotesi

La deliberazione n. 3228 del 1991 della Giunta Regionale dell'Emilia-Romagna stabilisce che "il Ser.T. svolge funzioni di raccolta della domanda, orientamento, sviluppo del primo contatto con i tossicodipendenti e i loro familiari", allo scopo di formulare un programma terapeutico e riabilitativo adeguato. Viene inoltre specificato che "lo svolgimento delle attività dei Ser.T. richiede un apporto multidisciplinare" [RER, 1991].

La Regione Emilia-Romagna ha poi ribadito, al termine del progetto di ricerca nazionale "La Valutazione della Qualità nei Ser.T.", l'importanza della valutazione multidisciplinare dei tossicodipendenti come "fattore di qualità" [RER, 2001].

Presso gli operatori dei Ser.T. e delle Comunità Terapeutiche dell'Emilia-Romagna, quello dell'OD è un tema ben noto [Gardenghi, 1993], che è stato analizzato sotto diversi aspetti: primo fra tutti, quello della sua importanza in quanto fase di "aggancio" con il paziente e costruzione della motivazione al trattamento.

Altri spunti di riflessione sono poi emersi dall'interdisciplinarietà intrinseca alla fase di OD, che presuppone l'intervento integrato di un'équipe multiprofessionale, messa in campo allo scopo di valutare nel modo più adeguato e approfondito le caratteristiche e le esigenze del paziente tossicodipendente. La fase di "presa in carico" del tossicodipendente, in cui si effettua l'OD, ingenera quindi, anche una serie di importanti snodi relativi alle dinamiche interne al lavoro d'équipe, laddove i diversi operatori si trovano di fronte a un compito molto delicato e importante, che necessita di un confronto produttivo in tempi brevi [Lo Russo, 1997].

A rendere ancora più problematica la fase di OD intervengono poi le caratteristiche peculiari dei pazienti tossicodipendenti che si rivolgono ai Servizi, perlopiù tali da far emergere una serie di ambiguità e paradossi relativi alla motivazione, alla compliance e alla terapia stessa [Cancrini, 1991; Frati, 1995].

Lo scopo della Fase A della nostra ricerca, articolato secondo le premesse di cui sopra, era dunque di verificare:

1) L'esistenza di una sequenza codificata di prassi, regolate o meno da protocolli e linee-guida, messe in atto al fine di effettuare una valutazione del paziente che tenga conto della molteplicità di aspetti in cui la tossicodipendenza si manifesta;

2) Se, inoltre, tale sequenza fosse o meno legata a una riflessione interdisciplinare tesa a far sì che le risorse messe in campo dalle varie professionalità dell'équipe terapeutica si dispiegassero nel modo più efficace e meno dispendioso, nella definizione del programma terapeutico più adeguato per il paziente;

3) Se, infine, il percorso multidisciplinare di Osservazione e Diagnosi costituisse o meno nei SerT una realtà consolidata e omogenea, tale da rendere possibile l'offerta di una prestazione sanitaria che non risentisse oltre il ragionevole delle differenze individuali tra gli operatori e della molteplice casistica riscontrabile nel campo della tossicodipendenza.

2. Materiali e metodi

Per verificare lo stato attuale dell'arte in tema di OD, nel Sistema dei Servizi della Provincia di Modena, sono state somministrate interviste semi-strutturate a tutti gli operatori che, presso le varie Strutture, prendono parte al processo di presa in carico del paziente tossicodipendente.

Gli items che componevano ciascuna intervista comprendevano:

a) una descrizione, dal punto di vista dell'operatore intervistato, del percorso di OD così come veniva effettuato presso la sua Struttura;

b) la richiesta di specificare quali criteri l'operatore intervistato adottasse per formulare il programma terapeutico;

c) la segnalazione di eventuali problemi o miglioramenti da adottare per ottimizzare la procedura di OD.

Le interviste, audioregistrate e trascritte, sono poi state oggetto di analisi del contenuto.

3. Risultati

Allo stato attuale delle cose, solamente l'Area Sud provinciale (SerT di Vignola, Sassuolo e Pavullo) possiede un protocollo codificato che definisca compiti, ruoli e sequenze nel percorso di Osservazione e Diagnosi. Bisogna però notare che anche i Servizi delle altre Aree si sono organizzati in modo da prevedere una prassi analoga e, a quanto sembra, piuttosto omogenea e condivisa.

Presso tutti i SerT della Provincia, quindi, il processo di presa in carico chiama in causa le diverse figure professionali nel seguente modo: il primo colloquio con il nuovo utente (accettazione) ha luogo con un operatore dell'area socio-educativa (educatore o assistente sociale); questi fissa l'appuntamento con il medico e, in terza battuta, con lo psicologo. Questa procedura ideale costituisce un fondamento ben condiviso dagli operatori, ma tuttavia spesso si scontra con la realtà delle risorse possedute da ciascun Servizio, cosicché l'applicabilità di tale prassi costituisce un nodo problematico primario. Specialmente nei Servizi dotati di un minor numero di personale, può capitare che le funzioni di accettazione siano svolte dall'operatore in quel momento disponibile, indipendentemente dal suo ruolo professionale.

In ogni caso, la sequenza prevede che la figura dell'operatore sociale si occupi di fornire una prima risposta alla domanda del paziente, eventualmente ridefinendola in base alle effettive possibilità del servizio, e soprattutto di raccogliere informazioni compilando la cartella informatizzata GIAS. L'operatore di accettazione fissa poi l'appuntamento con il medico e con lo psicologo, e continua quasi sempre a vedere periodicamente il paziente lungo il percorso di Osservazione e Diagnosi, così da costituirsi come "operatore di riferimento".

Il medico interviene in seconda battuta e si occupa degli aspetti biologici della tossicodipendenza: fornisce informazioni sanitarie, effettua la visita medica, raccoglie l'anamnesi del paziente e rileva eventuali patologie fisiche concomitanti, giungendo alla formulazione di una diagnosi medico-tossicologica; dal punto di vista farmacologico, interviene sulle eventuali urgenze sanitarie e spesso stabilisce una terapia sintomatica. Può accadere, soprattutto nei SerT ad organico meno numeroso, che il medico sia il primo operatore a vedere il paziente:

Il ruolo dello psicologo è infine quello di formulare, attraverso una serie di colloqui e l'eventuale utilizzo di strumenti psicodiagnostici, una diagnosi psicologica. Il suo ruolo si configura non solo come un intervento su di un'area non ancora esplorata, nel processo di Osservazione e Diagnosi in corso – l'area psichica – ma anche come un approfondimento e un'integrazione del lavoro svolto, in senso anamnestico, dagli operatori che hanno visto in precedenza il paziente.

Rispetto al tema degli obiettivi, molti operatori hanno sottolineato la differenza fondamentale tra obiettivi a lungo e a breve termine, in vista di una processualità operativa che prosegue anche oltre la definizione del programma terapeutico: si delinea così un continuum di interventi che vanno dal semplice "aggancio" del paziente, al rafforzamento della motivazione al cambiamento, al raggiungimento della disponibilità ad accettare un trattamento multiprofessionale.

Quanto agli strumenti utilizzati ai fini dell'Osservazione e Diagnosi, anche su questo tema sono emerse posizioni ben definite ed omogenee in tutti i Servizi. Innanzitutto, vi sono grosse differenze tra le diverse professionalità rispetto agli strumenti diagnostici utilizzati: in effetti, soltanto per quanto riguarda gli psicologi emerge l'utilizzo di strumenti stricto sensu di valutazione. Educatori e assistenti sociali tendono piuttosto a considerare come strumento il colloquio con il paziente o il confronto con i colleghi. Quanto ai medici, gli strumenti utilizzati sono primariamente gli esami di routine e (ma in un solo caso) questionari specifici sull'alcoolismo.

Si potrebbero suddividere le modalità in cui, nel corso della fase di Osservazione e Diagnosi, gli operatori dei vari Servizi conducono i primi incontri del paziente in quattro categorie fondamentali:

1) Un gran numero di operatori si focalizza sulle risorse che il paziente mostra di avere, intendendo con questo termine "le risorse sul piano delle competenze, delle capacità, delle esperienze svolte, le risorse che possono essere rappresentate dal sistema di rete, quindi dalla famiglia, dalla rete amicale e sociale".

2) Altri operatori si occupano, in queste fasi preliminari al trattamento, di raccogliere informazioni precise sulla storia personale del paziente.

3) Alcuni tendono a prendere spunto, innanzitutto, dalla domanda specifica rivolta dall'utente al Servizio. La modalità di utilizzare, come punto di partenza, la richiesta portata dal paziente al Servizio è intesa principalmente a escludere, almeno in un primo momento, gli interventi che non incontrerebbero il consenso del paziente. Si pone allora un problema di mediazione tra l'intervento che, a parere dell'operatore, sarebbe adeguato al caso, e la richiesta presentata dall'utente.

4) Vi sono poi alcuni operatori che focalizzano la propria attenzione sul tipo di relazione che si viene a instaurare col paziente. Questo vale soprattutto per assistenti sociali ed educatori. La relazione con l'operatore viene percepita, per lo più, come la cartina al tornasole della motivazione del paziente, la sua capacità di recepire gli interventi terapeutici in modo adeguato e la consapevolezza dell'entità del lavoro che una terapia per la tossicodipendenza comporta.

Quanto ai criteri specifici per la definizione del programma terapeutico, anche qui non sono emerse sostanziali divergenze nelle prospettive degli operatori, nell'ambito degli interventi di area psicologica (psicoterapia individuale, psicoterapia familiare, colloqui di sostegno, colloqui di consultazione), di area socio-educativa (inserimenti lavorativi e prestazioni socio-economiche), o di area medica (trattamenti metadonici, ricoveri, trattamenti con naltrexone, buprenorfina). E' semmai emersa una netta distinzione tra "alta soglia" (pazienti con molte risorse, adatti alla psicoterapia e a trattamenti farmacologici con agonisti) e "bassa soglia" (pazienti con risorse insufficienti e scarso insight, che difficilmente accedono a interventi di area psicologica e sono i principali candidati al trattamento metadonico).

Molto più significativi dei risultati sin qui descritti, sono invece le rappresentazioni delle diverse aree professionali da parte dei componenti dell'équipe, estrapolate dalle interviste.

La rappresentazione dell'operatore sociale da parte degli operatori del SerT si delinea infatti come una serie di attribuzioni di grande responsabilità e competenza, unita al riconoscimento che il loro compito come "operatori di riferimento" risulta particolarmente gravoso. L'operatore di area socio-educativa, infatti, specialmente nei Servizi più grandi, si trova a far fronte ai nuovi ingressi dovendo gestire in prima persona le delicate fasi dell'accettazione, senza poter contare sull'aiuto a breve termine delle figure dirigenziali (medico e psicologo).

Alquanto diversamente, la rappresentazione del medico da parte dei colleghi è incentrata sul maggior peso decisionale che il medico ha nei confronti del resto dell'équipe. La preminenza della professione medica rispetto alle altre emerge come nodo multiproblematico all'interno dei SerT. Numerose sono infatti le polemiche e i rilievi effettuati dai non-medici su tale questione. I temi che emergono più frequentemente sono i seguenti:

1) L'intervento farmacologico, spesso effettuato già in sede di prima visita, in certi casi viene vissuto come affrettato e tale da interferire con la prosecuzione del processo di Osservazione e Diagnosi, in quanto non coordinato con gli interventi del resto dell'équipe:

2) L'intervento farmacologico immediato, da parte del medico, può costituire, secondo alcuni operatori, una collusione con la richiesta incongrua, da parte del paziente, di ottenere dal Servizio, il più rapidamente possibile, una sostanza che faccia passare la sua sofferenza, vanificando così l'operato delle altre aree professionali, sentite dagli utenti come superflue:

Accanto a queste considerazioni, il medico emerge comunque come una risorsa in molti casi indispensabile, di cui si sente il bisogno quando, per motivi organizzativi, non può intervenire tempestivamente

Da alcuni, la centralità del medico viene infine interpretata come un indebito allargamento di competenze, dall'area medica ad altre aree professionali. Emerge, dalle dichiarazioni di alcuni operatori, il disagio con cui viene accolta la tendenza del medico, nei Servizi per le Tossicodipendenze, a occuparsi di aspetti estranei alla salute fisica del paziente; aspetti che competono, almeno sulla carta, agli operatori di area psico-sociale.

Al contrario, la rappresentazione del medico da parte dei medici stessi è molto unitaria e compatta. Con una sola eccezione, i medici intervistati credono saldamente nella centralità, e nella relativa autonomia, dell'intervento medico-farmacologico in prima battuta, e le ragioni a supporto di ciò spaziano tra l'urgenza sanitaria e le responsabilità medico-legali; preoccupazioni che, in molti casi, fugano ogni dubbio sulla liceità e sulla correttezza di un intervento farmacologico tempestivo.

Nella maggioranza delle interviste effettuate ad altri operatori, lo psicologo (che rappresenta, in genere, il terzo livello dell'Osservazione e Diagnosi, ossia l'ultimo operatore che vede il paziente) emerge per lo più come una figura difficile da raggiungere, in tutti i sensi: sia da parte del paziente, dal momento che molti pazienti disertano il primo appuntamento con lo psicologo, sia da parte degli operatori, che spesso trovano difficile capire il tipo di lavoro che lo psicologo fa col paziente.

Si possono identificare tre argomenti principali:

1) Molti pazienti, dopo l'appuntamento con il medico (che, come abbiamo visto, spesso comprende la prescrizione di una terapia farmacologica), rinunciano a vedere lo psicologo. Presso alcuni Servizi (Carpi e Mirandola), a fronte del fenomeno viene chiamata in causa la carenza di personale; in generale, tuttavia, le ragioni del mancato accesso allo psicologo sono per lo più due:

In primo luogo, il paziente tende a ricercare un tipo di intervento prettamente medico e non sente il bisogno di rivolgersi anche altrove.

In secondo luogo, spesso il paziente nutre timori o riserve rispetto alla figura stessa dello psicologo.

Ci sono poi operatori che ritengono, a spiegazione del fenomeno, che il ruolo dello psicologo sia eccessivamente defilato. Per altri ancora, il ruolo dello psicologo non è essenziale.

2) Viene frequentemente rilevata la necessità che i pazienti che arrivano allo psicologo siano adeguatamente motivati. Collegata al tema della motivazione, c'è poi la proposta, emersa in alcune interviste a psicologi, di differire l'intervento psicologico a una fase più avanzata del percorso del paziente nel SerT, o di riservare tale intervento solo a una parte dei pazienti in carico. In questo modo, l'intervento dello psicologo si configurerebbe come tipicamente di alta soglia:

3) Emerge anche, dalle interviste a operatori non-psicologi, una scarsa conoscenza del lavoro psicologico, che può anche indurre ad attribuire all'intervento dello psicologo una non ben definita ‘complessità', particolarmente adatta a meglio comprendere i pazienti più problematici.

4) C'è chi sostiene poi l'opportunità di un intervento dello psicologo in sede di accettazione (primo colloquio), "ribaltando" le procedure attualmente in uso e rendendo il colloquio con lo psicologo un passaggio obbligato per la presa in carico da parte del Servizio. A parere di chi avanza questa proposta, ciò potrebbe anche migliorare la percezione dello psicologo da parte dei pazienti.

4. Conclusioni

Come abbiamo potuto vedere, nei Servizi per le Tossicodipendenze della Provincia di Modena esiste, in effetti, una prassi comune e condivisa, tale per cui ogni operatore possiede, per esperienza e formazione individuale, la nozione che il lavoro d'équipe è necessario, e che è parimenti necessaria una fase "pre-terapeutica" di presa in carico in cui il Servizio si prende il tempo di valutare attentamente la situazione del paziente per poi definire un programma dettagliato d'intervento. Come si è potuto notare dalle stesse parole degli operatori, si tratta di una serie di conoscenze alquanto consolidate, che tutti si sforzano di attuare.

Tuttavia, sono emerse alcune importanti discrepanze rispetto alla messa in pratica di tali nozioni e direttive. In realtà, solo una minoranza di utenti compiono l'intero percorso di Osservazione e Diagnosi senza interferenze, problemi e interruzioni.

L'integrazione dei "punti di vista" delle diverse professionalità appare ancora quanto mai difettosa, tanto che nella maggior parte dei casi si può parlare al massimo di multi- e non di inter-disciplinarietà, dal momento che spesso si comprende poco il significato e la reale portata del lavoro altrui. Nello stesso tempo, emergono vissuti in cui gli operatori si sentono da un lato "scavalcati" dall'eccessivo decisionismo di alcune figure, oppure "invasi" dall'operato di un'altra figura che fa cose che paiono di loro competenza. L'esigenza di lavorare in équipe intorno a un'entità nosografica così sfumata come la tossicodipendenza sembra, in un certo senso, fare emergere un problema di identità professionale tra operatori.

In particolare gli psicologi sembrano in difficoltà nel rendere comprensibile il loro ruolo e modo di operare agli altri membri dell'équipe, e tendono quindi a mettersi sullo sfondo. E' significativo che l'analisi della relazione, strumento tipicamente psicologico e psicoterapeutico, non venga citato dagli psicologi ma dagli operatori di area socio-educativa come uno dei criteri su cui basare aspetti diagnostici in vista del trattamento. Anche qui, come in precedenza, sembra che l'area in cui le competenze di assistenti sociali, educatori e psicologi, in certa misura, si sovrappongono, sia stata in qualche modo abbandonata dagli psicologi, come se non fosse più sentita una parte importante del loro bagaglio professionale. Questo potrebbe testimoniare della progressiva riduzione dell'identità professionale degli psicologi nei SerT, e spiegherebbe il loro "defilarsi" (come è stato rilevato in alcune interviste) all'interno dell'équipe.

Posti ai primi due livelli del percorso, medico e assistente sociale/educatore sembrano forse lavorare in modo più integrato, rispetto alle risorse personali e sociali di cui dispone il paziente. La loro valutazione risulta utile nel definire un intervento farmacologico o qualora vi siano dei bisogni primari da soddisfare. In questo senso, il lavoro di Osservazione e Diagnosi viene svolto in maniera abbastanza approfondita, salvo poi non essere sfruttato appieno.

Dal canto suo, il medico sembra essere diventato il perno su cui ruota l'intervento terapeutico e il processo decisionale nel suo complesso. Posizione, questa, che presenta rischi e svantaggi: in particolare, quello di appiattire il lavoro di équipe su di un'ottica limitata a una professionalità sola, e per di più propensa, per formazione accademica, a rispondere più all'esigenza immediata del paziente che non all'esigenza dell'équipe del Servizio di concertare l'intervento. Sono molti gli operatori non-medici, come si è visto, che lamentano l'eccessiva rapidità dell'intervento farmacologico da parte del medico.

Gli operatori medici e socio-educativi tendono a sentire maggiormente il conflitto sulle scelte terapeutiche da operare, ma in generale la conflittualità all'interno delle équipes viene espressa nelle interviste in modo abbastanza contenuto: benché lo strumento dell'intervista non fosse mirato al rilevamento di questo tipo di dati, questo ci appare comunque come la spia di una difficoltà a parlare in modo aperto delle dinamiche presenti nel gruppo di lavoro, e quindi a non utilizzare questi elementi nella valutazione complessiva del paziente.

In generale, la scelta di un trattamento rispetto a un altro viene fatta per lo più dal singolo operatore, e poco o punto messa in discussione dagli altri componenti dell'équipe in modo aperto. A volte, la scelta della direzione in cui andare, indipendentemente da quale essa sia, viene accettata da tutti in modo poco critico, come se essa intervenisse a rompere una situazione di stallo poco tollerabile, e fosse accolta con sollievo. Così, spesso si delinea uno scenario decisionale in cui il programma terapeutico non è che la risultante di una giustapposizione di interventi, una mera sommatoria nella quale ogni operatore, se trova spazio, offre un contributo che il più delle volte è legato al qui-ed-ora.

Non sembrano essere poi utilizzati dei criteri particolarmente sofisticati, per stabilire quali trattamenti indicare: ad esempio, la diagnosi psichiatrica e psicologica non viene citata come uno dei fattori di cui tener conto nell'impostazione di un eventuale trattamento farmacologico o di un inserimento lavorativo, dal momento che spesso è assente il feedback tra il terzo livello di Osservazione e Diagnosi (lo psicologo) e il secondo o il primo (medico ed operatore socio-educativo).

In conclusione, le difficoltà, ben note in letteratura, del lavorare in équipe multiprofessionale, si sono manifestate in questa ricerca con grande evidenza, sia rispetto alle ansie del singolo operatore, sia rispetto alle dinamiche delle équipes, nelle quali i punti di vista operativi e teorici delle singole professioni sembrano, in certi casi, delineare una sorta di conflitto tra weltanschauungen sostanzialmente diverse.

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