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Seconda giornata – Sabato 7 maggio

28 Nov 12

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III Sessione "Il gruppo di lavoro"

Si apre la seconda giornata del convegno FENASCOP, che vede anche oggi una numerosa affluenza di partecipanti. 
Introduce la sessione del mattino il Prof. L. Ferrannini, Direttore del DSM dell'ASL genovese, che richiama l'attenzione sull'importanza del lavoro di gruppo in particolar modo in ambito istituzionale.
Il Dott. A. M. Ferro, Direttore del DSM dell'ASL savonese, riporta l'esperienza della provincia di Savona di grande integrazione fra assistenza psichiatrica pubblica e privata. E' sua opinione che la dimensione dell'operare psichiatrico debba svolgersi "in gruppo" e "con i gruppi di pazienti", in un lavoro di gruppi con gruppi. Con pazienti gravi la cura dev'essere intersoggettiva e riflessiva; il gruppo e' un luogo privilgeiato ove analizzare le dinamiche intersoggettive. Ci vogliono luoghi fisici di gruppo (C.D., C.T.) che riducano l'angoscia, grazie al nascere di sentimenti di appartenenza e condivisione. Il mondo interno dello psicotico e' fatto di parti del se' che vengono proiettate sulle persone a lui piu' vicine emotivamente ed e' li' che deve nascere l'intervento atto a ridare al paziente coordinate temporo-spaziali condivisibili.
In questo senso, la formazione al lavoro nei e con i gruppi e' molto utile ed indispensabile anche per lo psichiatra biologista: senza i suddetti strumenti un'equipe non e' in grado di gestire una struttura e di dare assistenza.Il responsabile dell'equipe dev'essere in grado di accorgersi quando nel gruppo insorgono difese schizoidi e paranoidi o se si arrocca su assunti di base che portano ad una distruttivita', e riportarlo da una condizione di "psuedoequipe" ad una dimensione in movimento "di gruppo di lavoro".
Il gruppo dovrebbe diventare, secondo Claudio Neri, una "Comunita' di fratelli", in cui esistono gli individui nella reciprocita' delle relazioni e cio' permette di sviluppare conoscenze di tipo K (Bion). All'interno del gruppo dei pazienti si sviluppa un "Io collettivo", che deve rafforzare "l'Io curante"; se cio' avviene e' possibile la costruzione di racconti insieme e della narrazione fra curanti e curati.
Conclude fornendo due spunti di riflessione. Il primo e' quello dei "campi invisibili", ossia l'insieme di cose non dette e di dinamiche, in ambito istituzionale, che colloca nel campo del preconscio. Il secondo e' quello del "tanatoforo", cioe' del portatore e sorgente della distruttivita', non solo psicologica ma anche fisica, all'interno di un gruppo, che non e' solo identificabile nel paziente ma puo' riguardare anche la figura dell'operatore.
La Dott.ssa M. E. Morsucci, Dirigente psichiatra del DSM dell'Asl di Mondovi'-Ceva, porta la sua personale esperienza di lavoro.
Gli aspetti positivi sono dovuti ad una stretta continuita' degli spazi, infatti nell'ambito di uno stesso edificio si collocano una C.T., un C.D. ed un CSM. Tale vicinanza consente un dinamico interscambio di comunicazione sui pazienti ed una migliore fruibilita' dei servizi da parte degli utenti. Altro punto di forza e' la multidisciplinarieta' e il diverso orientamento teorico dei medici che compongono l'equipe. Inizialmente si e' partiti da una pseudoequipe che faticosamente si e' trasformata in un gruppo di lavoro molto vivace e ancora conflittuale, che talvolta attraversa delle difficolta'. Sarebbero necessari degli spazi per pensare, a volte confusi con quello della riunione d'equipe. Anche in campo istituzionale sarebbe importante una vera supervisione, che non sia un evento a se stante ma una pratica consolidata, ove vi sia un apporto esterno evitando di ridursi ad un'autosupervisione.
La Dott.ssa Antonello inizia il proprio intervento sottolineando l'importanza all'interno di un gruppo di lavoro della definizione dei diversi ruoli degli operatori. Definizione che risente delle contingenze più o meno favorevoli che possono influenzare il gruppo rendendolo incapace di mettere a frutto la comunicazione. Comunque eventi di crisi e delyusioni per il gruppo sono l'unica vero motore della crescita. Passando alle sue esperienze lavorative, la relatrice descrive l'attività di un gruppo teatro da lei seguito, all'interno del quale lo stabilirsi di nuovi modelli relazionali tra i pazienti – attori è stato occasione di crescita per i partecipanti. Da qui infatti è nato un gruppo di auto aiuto che basa la sua efficacia sulla capacità dei partecipanti di cogliere le proprie problematiche nell'osservazione di quelle altrui in un processo dinamico e slegato da logiche istituzionali.
Segue l'intervento del Prof. G. Giusto che affronta il tema della sessione dal punto di vista manageriale, analizzando le caratteristiche della leadership di un gruppo di lavoro di successo. Per fare questo propone una metafora calcistica, citando le sfortune dell'Inter che rappresenta il fallimento di un gruppo di persone non supportato da un legame solido e una leadership condivisa.
Compito di colui che amministra più comunità è innanzitutto ottimizzare le risorse umane, cioè valorizzare le capacità del singolo operatore in funzione di una maggiore efficienza di tutto il gruppo. Altro punto importante è la selezione del personale che deve tenere conto, oltre che della professionalità degli operatori, anche della loro motivazione, dell'anima che alimenta la creatività del gruppo. In un'ottica manageriale, come ogni attività lavorativa, anche quella del gruppo è finalizzata alla realizzazione di un prodotto. In questo caso il prodotto è la salute mentale intesa, non solo come remissione dei sintomi, ma soprattutto come miglioramento della qualità di vita e recupero di una speranza che, secondo Petrella, è l'elemento fondamentale della riabilitazione psichiatrica. Il relatore conclude sottolineando che target di questo genere costituiscano una mission che può suscitare un senso di onnipotenza nell'operatore. Solo il dato di realtà può impedire allo psichiatra di esserne sedotto e di commettere errori che si ripercuotono su tutto il gruppo di lavoro.
Prende poi la parola il Dott.C.Mencacci che focalizza l'attenzione in primo luogo sulla trasformazione dei gruppi di lavoro. Fermo restando l'obiettivo finale di restituire il paziente alla sua vita, la creazione di gruppi di auto-aiuto ha permesso un nuovo avvicinamento del paziente non solo alle istituzioni, ma soprattutto ai propri spazi di creatività. Successivamente il relatore espone le principali qualità di un direttore di dipartimento. Queste possono essere riassunte in capacità tecniche, tra cui ha particolare rilievo il problem solving, capacità comunicative, tra cui saper ascoltare e gestire i conflitti, e capacità concettuali. Queste competenze sono alla base della negoziazione, collante fondamentale di un gruppo, che permette di gestire gli eventuali conflitti tra gli operatori, raggiungendo se possibile un accordo e comunque perseguendo un miglioramento nel rapporto tra le parti.
(a cura di E. L. Fiscella, S. Guida, W. Natta, F. Tombesi)

IV Sessione "L'intervento farmacologico e la riabilitazione psico-sociale: integrazioni e sinergie"

Il primo intervento è quello del Prof. Ferrannini che introduce l'argomento del ruolo del farmaco nella terapia di comunità con alcuni riferimenti al processo di riabilitazione del paziente psichiatrico e ai fattori che possono rendere più difficile questo processo. Tra questi rivestono una particolare importanza e possono essere oggetto d'azione della terapia farmacologia: una scarsa stabilizzazione del paziente, recidive frequenti della sintomatologia, disturbi del comportamento (soprattutto aggressività e impulsività), compromissione delle funzioni cognitive, scarsa aderenza al trattamento. Con particolare riferimento alla terapia farmacologia della schizofrenia il relatore passa successivamente in rassegna i diversi obiettivi che un corretto uso dei farmaci può consentire di raggiungere. Gli antipsicotici atipici risultano essere efficaci ad esempio sulle funzioni cognitive i deficit delle quali sono maggiormente correlati con un elevato grado di disabilità sociale. Questi stessi farmaci mostrano anche un buon effetto nel controllo dei disturbi del comportamento e dei sintomi depressivi. 
Anche per quanto riguarda l'aderenza al trattamento fondamentale in qualunque terapia a lungo termine gli antipsicotici atipici si sono dimostrati efficaci grazie al loro ridotto numero di effetti collaterali. Il relatore conclude l'intervento citando Feyerabend secondo cui la vera scienza è in grado non di produrre risultati fini a se stessi ma subordinati ai bisogni del cittadino e della comunità.
Il relatore, Dott. G. Schiavi Dirigente medico della Casa di Cura Villa Ridente, espone uno studio comparativo fra Quetiapina ed Aloperidolo in pazienti affetti da schizofrenia, eseguito nell'ambito di una rete di 10 strutture comunitarie, 7 delle quali del circuito Redancia. Il campione era costituito da 40 pazienti divisi in due gruppi di trattamento: Quetipina versus Aloperidolo in monoterapia antipsicotica. Il metodo usato prevedeva l'utilizzo: degli assi di Spivak modificati, ossia della valutazione di diversi parametri relativi alla cura del se', all'abitazione, all'attivita' ricreativo-sociale ed alla famiglia, cui si attribuiva un punteggio da 0 a 5; della BPRS; della scala autovalutativa "Drug Attitude Inventory" con risposte tipo Vero o Falso.
I risultati sono ancora parziali, in quanto non sono stati eleborati i dati relativi a tutti i pazienti ma solo di 6 in trattamento con Aloperidolo e 12 con Quetiapina.
Per quanto concerne i pazienti in terapia con Quetiapina, sull'asse di Spivak si e' registrato un miglioramento complessivo del 13% fra T6-T9, mentre per la BPRS non vi sono risultati significativi.
Nei pazienti trattati con Aloperidolo, si e' notato un miglioramento dei parametri di Spivak specie per l'asse ricreativo-sociale, mentre alla BPRS si sono incrementate le capacita' cognitive.
Il relatore sottolinea l'impossibilita' di cogliere dal presente lavoro dati statisticamente significativi, vuoi per l'esiguita' dei dati, vuoi per la necessita'di metodi di valutazione piu' appropriati e specifici per la schizofrenia, della quale la BPRS fornisce solo un'immagine complessiva.
Conclude sottolineando come il trattamento farmacologico debba divenire un patrimonio comune e parte integrante della terapia anche all'interno della Comunita' Terapeutica.
(a cura di E.L. Fiscella, S. Guida, W. Natta, F. Tombesi)

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