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Abstract da poster 61 a poster 90

21 Nov 12

Di

 

p61. Valutazione delle strategie terapeutiche adottate in un campione di soggetti con disturbo bipolare in terapia con sali di litio e altri stabilizzanti

I. Pergentini, M. Corsi, C. Viaggi, A. Caramelli, L. Musetti,

G.U. Corsini, L. Dell’Osso

Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologia, Sezione di Farmacologia, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Pisa

introduzione: il disturbo bipolare (DB) spesso necessita di una polifarmacologia. Valproato, carbamazepina e lamotrigina so-no stabilizzanti usati frequentemente in aggiunta ai sali di litio. Studi dimostrano un’azione sinergica di litio e valproato sull’inibizione della GSK3B, pertanto si ritiene importante focalizzarsi maggiormente su tale combinazione terapeutica. Materiali e metodi: 114 pazienti con DB, 54 donne età media 42 anni e 60 uomini età media 33 anni, in terapia con sali di litio, seguiti presso il DH della clinica Psichiatrica. Litiemie effettuate tramite lo Spettrometro ad Assorbimento Atomico, A Analist 200, Dipartimento di Neuroscienze. Osservazione delle combinazioni terapeutiche con stabilizzanti. risultati: 21,9% solo litio, dose media 582 mg/die, litiemia media 0,44 mEq/l; 43% litio più valproato, dose media litio 609 mg/die, litiemia media 0,47 mEq/l; 22,8% litio più gabapentin, dose media litio 508 mg/die, litiemia media 0,40 mEq/l; 7,8% litio più carbamazepina, dose media litio 700 mg/die, litiemia media 0,52 mEq/l; 1,7% litio più lamotrigina, dose media litio 525 mg/die, litiemia media 0,42 mEq/l; 2,6% litio più due stabilizzanti, dose media litio 600 mg/die, litiemia media 0,50 mEq/l. conclusioni: le combinazioni terapeutiche nel DB permettono di sfruttare gli effetti benefici di una polifarmacologia e ridurre la dose minima efficace dei sali di litio minimizzandone gli ef-

fetti collaterali. Pertanto i dati raccolti costituiscono il punto di partenza per migliorare le strategie terapeutiche nel DB.

p62. Effectiveness degli antipsicotici nel trattamento di pazienti con disturbi dello spettro schizofrenico: risultati di uno studio osservazionale

F. Pinna, G. Mellino, S.M. Pintore, L. Puddu, C. Bandecchi,

P. Milia, E. Sarritzu, R. Maccioni, V. Perra, M. Tusconi,

L. Deriu, B. Carpiniello

Clinica Psichiatrica, Università di Cagliari

introduzione: l’introduzione degli antipsicotici “di nuova generazione” ha aperto un dibattito relativo al profilo di efficacia degli antipsicotici atipici rispetto a quelli tradizionali. I dati dei RCT non sono riusciti a offrire risposte esaustive in tal senso. Recentemente sono stati avviati alcuni trial “pragmatici” che hanno valutato l’effectiveness mediante parametri di esito concreti, quali la misurazione della “durata in trattamento” con un determinato farmaco (il tempo intercorrente fra l’inizio e l’interruzione per qualsiasi motivo) e la comparazione dei “tassi di interruzione” del farmaco rispetto agli altri in un determinato periodo di follow-up. Il nostro studio ha l’obiettivo di valutare: i tassi di interruzione per qualsiasi causa dei farmaci antipsicotici nell’arco di 12 mesi, nell’ambito di una coorte non selezionata di pazienti affetti da disturbi dello spettro schizofrenico; le cause di interruzione nei vari antipsicotici; il tempo intercorso fra l’inizio del trattamento e il momento dell’interruzione, prendendo in considerazione il dato retrospettivo alla data di inizio del trattamento rispetto al periodo indice. Materiali e metodi: la ricerca è stata condotta su un campione costituito da 300 pazienti, 173 maschi e 127 femmine, afferenti a un CSM Universitario, affetti da disturbi dello spettro schizofrenico, di età media pari a 47,02 ± 14,265 anni, con un’età di esordio delle problematiche psicopatologiche pari a 26,5 ± 12,51 anni nei maschi, 32,34 ± 14,66 anni nelle femmine, e una durata di malattia pari a 18,72 ± 111,16 anni nei maschi, 18,24 ± 13,162 anni nelle femmine. risultati: il 12% del campione totale ha assunto durante i 12 mesi indice antipsicotici tipici, il 70,3% era in trattamento con antipsicotici atipici, e il 17,7% assumeva in associazione antipsicotici tipici e atipici, senza differenze significative di genere. Tra gli antipsicotici tradizionali per via orale i più utilizzati sono stati i butirrofenoni, mentre tra gli atipici l’olanzapina, seguita dal risperidone. Nel periodo indice considerato, l’interruzione del trattamento si è verificata in circa il 24% dei casi e il farmaco con più basso tasso di interruzione è risultato essere la clozapina (7%). Tra le cause relative all’interruzione della terapia antipsicotica prevale la scarsa tollerabilità per effetti collaterali (36,8% dei casi), seguita dalla scarsa aderenza (25,3%) e dalla scarsa efficacia (17,2%). La clozapina è risultato l’antipsicotico con la durata totale di trattamento più prolungata.conclusioni: i risultati del nostro studio tendono a confermare ulteriormente i dati di letteratura più recenti secondo i quali l’effectiveness degli antipsicotici atipici sembrerebbe essere maggiore rispetto a quella dei farmaci antipsicotici “tradizionali”, verosimilmente in virtù di una loro maggiore tollerabilità e gradimento soggettivo da parte dei pazienti.

p63. Vittimizzazione e disturbi mentali: risultati di uno studio caso-controllo

S. Pirarba, D. Aru, L. Lai, F. Pinna, S. Lai, S. Piras, P. Milia,

E. Sarritzu, M. Taberlet, R. Maccioni, B. Carpiniello

Clinica Psichiatrica, Università di Cagliari

introduzione: la letteratura concernente la vittimizzazione e la perpetrazione di violenza tra le persone con gravi disturbi men-tali rispecchia la comune percezione di pericolosità del malato di mente grave, con un numero di studi di perpetrazione di violenza di gran lunga superiore a quelli di vittimizzazione. Inoltre la maggior parte delle indagini relative alla vittimizzazione vengono svolte nei pazienti con gravi disturbi psichiatrici, soprattutto la schizofrenia, con un numero relativamente esiguo di indagini nell’ambito di altri disturbi di asse I. Lo scopo dello studio è stato di valutare la prevalenza di vittimizzazione in un campione di pazienti affetti da disturbo psicotico e da disturbo d’ansia, afferenti alla Clinica Psichiatrica Universitaria di Cagliari, messo a confronto con un campione di convenienza di pari numerosità di soggetti appaiati per sesso, età, stato civile e titolo di studio. Materiali e metodi: la ricerca è stata condotta su un campione complessivo di 101 pazienti, 50 affetti da disturbo psicotico (34 maschi e 16 femmine) e 51 da disturbo d’ansia (17 maschi e 34 femmine), messo a confronto con un campione di convenienza di soggetti appaiati per sesso, età, titolo di studio e stato civile. La raccolta dei dati è stata effettuata mediante la somministrazione di un questionario non ancora validato, appositamente formulato per gli scopi del presente studio. La scala positiva della PANSS è stata somministrata ai pazienti psicotici al fine di escludere dallo studio i pazienti con una significativa sintomatologia psicotica in atto. La somministrazione della MINI-PLUS ha consentito di escludere una patologia psichiatrica nei 101 soggetti costituenti il gruppo di controllo. risultati: analizzando le risposte alle 14 domande del questionario sono emerse differenze significative tra i due gruppi, soggetti affetti da disturbo mentale e campione di controllo non patologico, nel ricorso alle forze dell’ordine, aggressioni verbali, utilizzo di Internet per uso personale o per lavoro, aver ricevuto telefonate capaci di creare disagio o fastidio, aver subito aggressioni fisiche e stalking negli ultimi 12 mesi. Ugualmente significative le differenze tra il sottogruppo di soggetti affetti da disturbo dello spettro ansioso e i rispettivi controlli, nei quesiti relativi alle minacce, al ricorso alle forze dell’ordine, alle aggressioni verbali, all’utilizzo di Internet per uso personale o per lavoro e all’aver ricevuto telefonate capaci di creare disagio o fastidio negli ultimi 12 mesi. Non sono invece emerse differenze significative tra il sottogruppo di soggetti affetti da disturbo psicotico e i rispettivi controlli. conclusioni: i risultati del nostro studio concordano, nel complesso, con i dati della letteratura nel mettere in evidenza come i soggetti affetti da disturbo mentale siano maggiormente predisposti a subire violenza rispetto alla popolazione generale. I tassi maggiori di vittimizzazione sono stati registrati negli ansiosi rispetto al campione degli psicotici.

p64. intervento integrato per la prevenzione dei rischi metabolici in soggetti in trattamento con antipsicotici

V. Platto, S. Bignotti, A. Paroli, G.B. Tura, R. Pioli

IRCCS Centro S. Giovanni di Dio, Fatebenefratelli, Brescia

Lo studio osservazionale proposto si prefigge di intervenire su soggetti al primo trattamento con antipsicotici di seconda generazione (SGA) o con alterazioni metaboliche secondarie ad un trattamento già in corso, e valutare l’efficacia in termini preventivi, rispetto allo sviluppo di dismetabolismi ed aumento ponderale, di un programma integrato (clinico, psicoeducativo e comportamentale), a partire da un’osservazione ed intervento attuato in regime di degenza e secondo un successivo programma di follow-up.

  • Inclusione di 100 soggetti affetti da disturbi psicotici in trattamento secondo le caratteristiche sopra descritte.

     

  • Valutazione clinica plurifattoriale.

     

  • Psicoeducazione.

     

  • Programma comportamentale.

     

  • Fase di follow-up. Alla valutazione iniziale l’età media dei soggetti è di 46,61 anni; il peso è di 93 kg con un BMI di 33,4; la media della circonferenza addominale è di 113 cm. Il 65,2% dei pazienti è obeso, il 20,3% è sovrappeso, e il 14,5% è normopeso. Al momento della dimissione i pazienti presentino una media del peso pari a 93 kg con un BMI di 32,8; la media della circonferenza addominale è 110,41. Il 60,3% dei pazienti è obeso, il 25% è sovrappeso e il 14,7% normopeso. Pertanto si evidenzia un decremento del BMI nel periodo di degenza. Una valutazione iniziale dei follow-up eseguiti depone invece per una scarsa adesione ai controlli programmati e in via di verifica, con numeri al momento insufficienti per una rielaborazione statistica delle variabili indagate.

     

p65. trattamento sanitario obbligatorio: uno studio osservazionale in due spdc del dsM di Varese

N. Poloni, M. Piccinelli, E. Bolla, P. Bortolaso, A. Buzzi,

F. Aletti, S. Vender

Università dell’Insubria di Varese

introduzione: in numerosi paesi europei si sta verificando un progressivo incremento dei tassi di ricovero in regime di obbligatorietà (Salize & Dressing, 2004; Van Der Post et al., 2004). Klinkenberg (1996) ha ipotizzato che i principali fattori che aumentano il rischio che si realizzi un ricovero obbligatorio siano:

  • connessi con la vulnerabilità del paziente (caratteristiche socio-demografiche, gruppo etnico, abuso di sostanze, ecc.);

     

  • connessi con la rete di supporto sociale (situazione domestica, contatti coi famigliari e conoscenti, ecc.);

     

  • connessi con l’accessibilità ai servizi sanitari (ai servizi di salute mentale, in particolare);

     

  • connessi con l’adesione ai trattamenti proposti, specialmen

     

te quelli farmacologici. Materiali e metodi: sono stati raccolti i dati relativi ai pazienti in TSO accolti, nell’arco di un anno, in due SPDC, quello di Varese (area cittadina ad elevato livello di urbanizzazione) e quello di Cittiglio (area a basso livello di urbanizzazione) allo scopo di definire una serie di fattori rilevanti ai fini di incorrere

in un Trattamento Sanitario Obbligatorio. In particolare abbiamo posto la nostra attenzione:

  • sull’andamento temporale dei ricoveri (durata, durata del TSO, eventuale contenzione fisica);

     

  • su fattori caratterizzanti il paziente, quali caratteristiche psicopatologiche, contesto sociale, trattamento in atto prima del ricovero;

     

  • sui trattamenti praticati in corso di svolgimento del Trattamento sanitario Obbligatorio;

     

    • sulle condizioni cliniche e sulla continuità di cure o meno a

       

    • distanza di 1 e 3 mesi dalla dimissione ospedaliera. risultati e conclusioni: il Trattamento Sanitario Obbligatorio rappresenta un’importante area di criticità nella gestione del paziente psichiatrico. Tramite questo lavoro ci proponiamo di ottenere indicazioni relative a:
  • i trattamenti in fase acuta e la terapia di mantenimento;

     

  • la prevalenza di abuso di sostanze e alcol;

     

  • la durata dei ricoveri;

     

  • la capacità del DSM di avviare percorsi di cura in grado di prevenire eventuali ricadute.

     

bibliografia

Klinkenberg WD, Calsyn RJ. Predictors of receipt of aftercare and recidivism among persons with severe mental illness. Psychiatr Serv 1996;47:487-96.

Salize HJ, Dressing H. Epidemiology of involuntary placement of mentally

ill people across the European Union. Br J Psychiatry 2004;184:163-8. van der Post L, Schoevers R, Koppelmans V, et al. The Amsterdam Studies of Acute Psychiatry I (ASAP-I); A prospective cohort study of determinants of coercitive vs. voluntary treatment interventions in a metropolitan area. BMC Psychiatry 2008;8:35.

p66. riconoscimento delle espressioni facciali delle emozioni e sintomi di depersonalizzazione in un campione di pazienti con disturbo bipolare

M. Preve*, M. Mula**, A. Cardini*, L. Lari*, L. Di Paolo*, C. Gesi*,

M. Muti*, M. Abelli*, S. Calugi*, G.B. Cassano*, S. Pini*

*

Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologie, Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa; ** Dipartimento di Neurologia, Università del Piemonte Orientale A. Avogadro, Novara

introduzione: lo scopo del nostro studio è quello di determinare, in un campione di pazienti con diagnosi di disturbo bipolare, l’associazione tra sintomi di depersonalizzazione e riconoscimento delle espressioni facciali delle emozioni. Materiali e metodi:95 pazienti bipolari (tipo I e tipo II) in fase di eutimia (confermata dalla YMRS e HDRS) sono stati valutati con: SCID-P, SCI-DER (per la valutazione lifetime dei sintomi di depersonalizzazione). Tutti i soggetti sono stati valutati con un test di riconoscimento delle espressioni facciali delle emozioni utilizzando le tavole sviluppate da Ekman e Friesen. risultati: attraverso un’analisi di regressione abbiamo evidenziato che, nei pazienti con diagnosi di disturbo bipolare, il punteggio DER-TOT è inversamente associato al riconoscimento dell’emozione sorpresa (p = 0,008; B = -2,826). conclusioni: nei pazienti con disturbo bipolare, la presenza di sintomi di depersonalizzazione sembra associarsi a un selettivo deficit nel riconoscimento dell’espressione facciale dell’emozione sorpresa. Ulteriori studi sono necessari per meglio comprendere questa associazione.

bibliografia

Cassano GB, et al. J Affect Disord 2008.

Mula M, et al. J Affect Disord 2008.

Mula M, et al. Compr Psychiatry 2010.

p67. lo spettro dell’umore e sintomi di depersonalizzazione in un gruppo di pazienti bipolari ed unipolari

M. Preve*, M. Mula**, A. Cardini*, L. Lari*, L. Di Paolo*,

C. Gesi *, M. Muti*, M. Abelli*, S. Calugi*, S. Pini*, G.B. Cassano*

*

Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologie, Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa; ** Dipartimento di Neurologia, Università del Piemonte Orientale A. Avogadro, Novara

introduzione: la prevalenza e i correlati clinici dei sintomi dissociativi in generale, e della depersonalizzazione in particolare, nei pazienti con disturbi dell’umore hanno ricevuto una limitata considerazione nella letteratura 1. Lo scopo del nostro studio è quello di valutare l’associazione tra sintomi di depersonalizzazione e dimensioni dell’umore in un campione di pazienti bipolari ed unipolari. Materiali e metodi: 185 pazienti (95 pazienti bipolari e 90 unipolari) in fase di eutimia sono stati valutati con: SCID-P per la diagnosi di asse I, HDRS, YMRS, MOOD-SR versione lifetime 2 e SCI-DER. risultati: attraverso una analisi di regressione abbiamo evidenziato che, nei pazienti unipolari, la presenza di sintomi di depersonalizzazione si associa significativamente con le seguenti dimensioni dell’umore: ritardo psicomotorio (p = 0,031; B = 2,197), irritabilità mista (p = 0,035; B = 2,137) e estroversione sociale (p = 0,028; B = -2,229). conclusioni: nei pazienti con diagnosi di depressione unipolare, la presenza di sintomi di depersonalizzazione deve essere attentamente valutata, identificando specifici endofenotipi clinici 3.

bibliografia

1 Mula M, et al. J Affect Disord 2008.

Cassano GB, et al. J Affect Disord 2008.

Mula M, et al. Compr Psychiatry 2010.

p68. la valutazione degli stati mentali a rischio: la versione italiana della Comprehensive Assessment of At Risk Mental States (caarMs)

A. Raballo1 2 3, E. Semrov1, Y. Bonner1, M. Bender Simmons4

Dipartimento di Salute Mentale, AUSL di Reggio Emilia, Italia; Department of Psychiatry, Psychiatric Center Hvidovre, University of Copenhagen, Denmark; 3Danish National Research Foundation: Center for Subjectivity Research, University of Copenhagen, Copenhagen, Denmark; Orygen Youth Health Research Centre, Centre for Youth Mental Health, University of Melbourne, Australia

introduzione: il concetto di stati mentali a rischio (At Risk Mental States, ARMS) rappresenta uno dei più stimolanti work in progress della psichiatria di oggi non solo per le importanti implicazioni in senso traslazionale, ma anche per la esplicita riconcettualizzazione dei precursori clinici dell’esordio psicotico. La valutazione degli ARMS costituisce infatti il primo passaggio per la stadiazione del rischio psicopatologico e presuppone l’adozione di adeguati strumenti di assessment (Yung et al., 2005; Raballo e Larøi, 2009; McGorry, 2010). Materiali e metodi: revisione critica della letteratura, collaborazione internazionale, focus group intra-dipartimentale: la Comprehensive Assessment of At Risk Mental States (CAARMS) è stata tradotta ed adattata in italiano sotto la supervisione degli Autori (A. Yung, L. Phillips, M.B. Simmons, J. Ward, K. Thompson, P. French, P. McGorry) nell’ambito del programma dipartimentale per lo sviluppo di percorsi clinico-terapeutici integrati sull’esordio psicotico. risultati:knowledge transfer, acquisizione di uno strumento per la valutazione della sintomatologia sottosoglia e l’identificazione deiPersonal Assessment and Crisis Evaluation (PACE) criteria per il rischio di transizione psicotica. conclusioni: la CAARMS offre una fruibile sintesi operativa per l´ esplorazione delle psicopatologia dei prodromi psicotici, la stadiazione del rischio e l’implementazione di percorsi clinicoassistenziali calibrati sugli stati mentali a rischio.

bibliografia

McGorry PD. Risk syndromes, clinical staging and DSM V: new diagnostic infrastructure for early intervention in psychiatry. Schizophr Res 2010;120:49-53.

Raballo A, Laroi F. Clinical staging: a new scenario for the treatment of

psychosis. Lancet 2009;374:365-7.
Yung AR, Yuen HP, McGorry PD, et al. Mapping the onset of psychosis
the Comprehensive Assessment of At-Risk Mental States. Aust N Z J 
Psychiatry 2005;39:964-71.

p69. consumo di cannabis e pattern psicopatologico di pazienti al primo episodio psicotico: confronto tra due campioni

  • M.V.
  • Rumeo*, A. Mulè***, V. Alabastro*, A. Bruno*,
  • V.
  • Di Giorgio*, L. Ferraro*, R. Grassìa*, G. Grillo*,
  • C.
  • La Cascia*, M. La Placa*, V. Marcianò*, C. Mistretta*,
  • A.
  • Paparelli**, M. Pomar*, C. Sartorio*, L. Sideli* **, A. Trotta*,
  • B.
  • Wiffen**, M. Di Forti**, D. La Barbera*

*

Sezione di Psichiatria, Dipartimento di Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze Cliniche, Università di Palermo (BioNec); **Institute of Psychiatry, King’s College, London; *** A.O.U.P. Paolo Giaccone, Palermo

introduzione: alcuni studi in letteratura supportano l’associazione tra consumo di cannabis, età di esordio ed espressività psicopatologica nei pazienti al primo episodio psicotico (Orlandi, 2001). Questo lavoro si propone di analizzare la gravità della sintomatologia psicotica in relazione al consumo di cannabis, confrontando due campioni di pazienti all’esordio psicotico (FEP) reclutati a Palermo e a Londra. Materiali e metodi: il campione siciliano è costituito da 69 pazienti (M = 68,9%), di età compresa tra 18 e 65 anni, affetti da psicosi al primo episodio. Abbiamo raccolto i dati utilizzando i seguenti strumenti: Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS), Social Data Schedule, Cannabis Experience Questionnaire (CEQ). I dati sono stati confrontati con un sottogruppo di 96 pazienti affetti da psicosi all’esordio e residenti a Londra, reclutati nell’ambito dello studio GAP condotto all’Institute of Psychiatry del King’s College. risultati: da un’analisi preliminare emerge che il consumo di cannabis è maggiore nel campione di pazienti psicotici di Londra e che il tipo di cannabis utilizzato influenza l’espressività sintomatologica che è diversa nei due campioni. Verranno presentati i risultati aggiornati rispetto ad un campione più ampio, costituito dai soggetti che verranno reclutati sino al gennaio 2011. Discussione: il consumo e il tipo di cannabis influenzano il pattern psicopatologico dei soggetti affetti da psicosi all’esordio nei due campioni a confronto.

bibliografia

Leucht S, Kane JM, Kissling W, et al. What does the PANSS mean? Schizophr Res 2005;79:231-8.

Orlandi V, Bersani G. Cannabis and schizophrenia: relationships with onset, clinical course and psychopathology. Giorn Ital Psicopat 2001;7.

p70. durata di psicosi non trattata e consumo di cannabis in un campione di pazienti al primo episodio psicotico

  • M.V.
  • Rumeo*, A. Mulè***, V. Alabastro*, A. Bruno*,
  • V.
  • Di Giorgio*, L. Ferraro*, R. Grassìa*, G. Grillo*,
  • C.
  • La Cascia*, M. La Placa*, V. Marcianò*, C. Mistretta*,
  • M.
  • Pomar*, C. Sartorio*, L. Sideli* **, A. Trotta*, M. Di Forti**,
  • D.
  • La Barbera*

*

Sezione di Psichiatria, Dipartimento di Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze Cliniche, Università di Palermo (BioNec); **Institute of Psychiatry, King’s College, London; *** A.O.U.P. Paolo Giaccone, Palermo

introduzione: la durata di psicosi non trattata (DUP) nei pazienti affetti da psicosi all’esordio rappresenta un fattore predittivo dell’outcome e del decorso del disturbo (Perkins, 2005). La relazione tra consumo di cannabis e DUP è ancora controversa. In questo lavoro viene analizzato il rapporto tra DUP ed età di esordio, consumo di cannabis, funzionamento cognitivo, livello di istruzione e stato di occupazione in un gruppo di pazienti affetti da psicosi all’esordio reclutati nell’ambito dello studio SGAP (Sicilian Genetic and Psychosis) svolto in collaborazione con l’Institute of Psychiatry, King’s College of London. Materiali e metodi:sono stati reclutati 74 pazienti di età compresa tra 18 e 65 anni ai quali è stata somministrata una batteria di test composta da: Nottingham Onset Schedule (NOS-DUP), Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS), Social Data Schedule, Cannabis Experience Questionnaire (CEQ), WAIS-R. risultati: il campione, ancora in fase di reclutamento, è costituito da 74 pazienti (M = 68,9%), età media 26,39 (DS = 9,36). La durata media di psicosi non trattata è di 40,4 settimane, il 39,5%, dei pazienti ha fatto uso di cannabis nel periodo immediatamente precedente il ricovero. Nel nostro campione i pazienti che fanno uso di cannabis hanno una DUP più breve (p = 0,023) e afferiscono ai servizi di salute mentale in età più precoce (p = 0,064) rispetto ai non consumatori. Inoltre vi è

una correlazione inversa tra DUP e QI (p = 0,05). Non sono al momento emerse correlazioni significative tra DUP e severità dei sintomi, valutati attraverso la PANSS. conclusioni: i nostri risultati, in linea con i dati di letteratura, supportano l’associazione tra consumo di cannabis ed esordio precoce dei sintomi psicotici. Inoltre il consumo di cannabis si associa ad una minore durata della DUP ma quest’ultimo dato sembra meritevole di ulteriori indagini.

bibliografia

Perkins DO, Gu H, Boteva K, et al. Relationship between duration of untreated psychosis and outcome in first-episode schizophrenia: a critical review and meta-analysis. Am J Psychiatry 2005;162:1785-804.

Fiorillo A, Giacco D, Luciano M, et al. Effect of cannabis misuse on duration of untreated psychosis and pathways to care of patients with schizophrenia. Eur Psychiatry 2010;25(Suppl 1):1607.

Wade D, Harrigan S, McGorry PD, et al. Impact of severity of substance use disorder on symptomatic and functional outcome in young individuals with first-episode psychosis. J Clin Psychiatry 2007;68:767-74.

p71. alterazione dei parametri metabolici in pazienti ospedalizzati in trattamento con farmaci antipsicotici

I. Santini, S. D’Onofrio, G. Di Emidio, R. Pollice,

A. De Paolis, D. Ussorio, R. Roncone

Scuola di Specializzazione in Psichiatria, Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Scienza della Salute, Università dell’Aquila

introduzione: il termine “sindrome metabolica” descrive un insieme di fattori di rischio metabolici che aumentano la possibilità di sviluppare malattie cardiache, ictus e diabete. L’incremento ponderale provoca un aumento del rischio di diabete mellito, malattie cardiovascolari e respiratorie. Recenti studi hanno posto l’attenzione sull’utilizzo dei farmaci antipsicotici di nuova generazione e il rischio di sindrome metabolica associato ai diversi tipi di antipsicotici. Gli effetti metabolici appaiono essere le reazioni più comunemente osservate con gli antipsicotici. L’impiego sia degli antipsicotici di prima sia di seconda generazione è stato associato a guadagno di peso e a un aumentato rischio di diabete. Materiali e metodi: scopo del presente studio è quello di valutare i parametri coinvolti nell’insorgenza della sindrome metabolica in un gruppo di soggetti ricoverati in SPUDC, in trattamento con farmaci antipsicotici. Il campione è costituito da 270 soggetti ricoverati nell’SPUDC di L’Aquila da gennaio 2006 a luglio 2010. Sono stati valutati i parametri metabolici e la terapia farmacologica assunta di 131 soggetti di sesso maschile e 139 di sesso femminile. risultati: tra i 131 uomini 33 presentano una circonferenza vita > 102 cm, nelle donne facenti parte del campione 54 presentano una circonferenza vita > 88 cm. Solo 5 soggetti maschi e 8 donne presentavano un valore di glicemia a digiuno > 110 mg/dl. Nel campione 15 soggetti presentavano un valore di colesterolemia > 250 mg/dl (3 di desso maschile e 12 di sesso femminile). In 31 soggetti maschi e in 26 femmine è stato riscontrato un valore di trigliceridemia > 150 mg/dl. Solo 7 dei pazienti valutati presentavano una sindrome metabolica. È stata riscontrata una correlazione, statisticamente significativa, tra l’aumento dei parametri metabolici e l’utilizzo di farmaci antipsicotici di seconda generazione, in particolare olanzapina (p < 0,005) e risperidone (p < 0,005).

conclusioni: l’obiettivo primario del management clinico della sindrome metabolica è ridurre il rischio di malattia aterosclerotica clinica. Quindi gli interventi di prima linea sono finalizzati a ridurre i principali fattori di rischio: riduzione della pressione arteriosa, aumento della sensibilità insulinica, riduzione dei livelli di trigliceridi e colesterolo LDL. Poiché ciascun parametro metabolico riveste un ruolo fondamentale nell’incremento del rischio di malattie cardio-vascolari e respiratorie, ictus e diabete mellito, ogni volta che ci siamo trovati di fronte ad un alterazione di uno di essi è stato preso un provvedimento terapeutico (trattamento farmacologico con ipoglicemizzanti o antipertensivi, una dieta ipoglicidica o ipocalorica). Per raggiungere tali obiettivi l’intervento di prima linea è certamente il cambiamento dello stile di vita, inteso principalmente come perdita di peso nei soggetti obesi o in sovrappeso, aumento dell’attività fisica e controllo della dieta aterogenica. La terapia farmacologica è riservata ai casi in cui il cambiamento dello stile di vita non risulta sufficiente ed è rivolta a controllare le condizioni associate alla sindrome metabolica quali ipertensione, dislipidemie, iperglicemia.

bibliografia

Newcomer JW. Metabolic consideration in the use of antipsychotic medications: a review of recent evidence. J Clin Psychiatry 2007;68(Suppl 1):20-7.

Psychiatric Services 2009.
Pramyothin P, Khaodhiar L. Metabolic syndrome with atypical antipsy
chotics. Curr Opin Endocrinol Diab Obes 2010;17:460-6.

p72. Valutazione bio-psico-socio-spirituale in pazienti ricoverati con patologie mentali gravi

I. Santini, I. De Lauretis, D. Di Nicola, F. Serra, R. Pollice,

R. Roncone

Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università dell’Aquila

introduzione: il modello bio-psico-sociale è una strategia di approccio alla persona che pone l’individuo ammalato al centro di un ampio sistema influenzato da molteplici variabili. Sulla base della costante importanza della religione e della spiritualità nella salute, alcuni Autori hanno proposto che il modello bio-psico-sociale dovesse essere ampliato per includere la dimensione spirituale/religiosa. scopi: valutazione bio-psico-socio-spirituale nell’approccio a pazienti affetti da patologie psichiatriche gravi e l’impatto che la dimensione spirituale/religiosa ha sulla salute e sulla percezione soggettiva del benessere. Materiali e metodi:sono stati inclusi nello studio 80 pazienti, 38 maschi e 42 femmine, con età media di 46,8 (ds ± 14,6), ricoverati consecutivamente presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura a Direzione Universitaria dell’Ospedale S. Salvatore dell’Aquila da gennaio a luglio 2010. Di questi il 35,4% (29 soggetti) ha avuto diagnosi di disturbo depressivo maggiore, il 39,2% (31 soggetti) di disturbo schizofrenico, e il 25,3% (20 soggetti) di disturbo bipolare dell’umore, secondo i criteri del DSM-IV-R (APA, 1994). Per ciascun soggetto sono stati raccolti dati demografici ed effettuata una valutazione psicopatologica tramite PANSS e CGI-S. La componente bio-psico-socio-spirituale è stata valutata per mezzo della Biopsychosociospiritual Inventory (Bio-PSSI), strumento sviluppato da Katerndahl nel 2007, che prende in considerazione gli aspetti fisici, psicologici, sociali, spirituali e la relativa compromissione funzionale, mentre il benessere percepito soggettivamente tramite il GHQ12 e l’SWN. risultati: il punteggio medio ottenuto alla Bio-PSSI è stato di 104,70 ± 35,7 (range 0-205, dove a punteggio più alto corrisponde maggior malessere). Valutando i valori ottenuti in relazione al sesso, si riscontra un punteggio totale più elevato nelle donne rispetto agli uomini (113,56 vs. 93,50; p < 0,005). Considerando i valori della scala Bio-PSSI in relazione all’età, si osserva un punteggio medio maggiore nei soggetti con età superiore a 50 anni, sebbene differenze statisticamente significative siano presenti solo nella sottoscala dei sintomi psicologici (p = 0,004), in quella dei contatti sociali (p = 0,005) ed in quella della spiritualità (p = 0,003). Sono state evidenziate differenze statisticamente significative anche nel punteggio totale della Bio-PSSI differenziato per categoria diagnostica: il valore più alto si riscontra nei pazienti con disturbo depressivo (p < 0,005), seguiti progressivamente da quelli con disturbo bipolare dell’umore e disturbo schizofrenico. I punteggi medi al GHQ-12 e all’SWN sono stati rispettivamente di 19,74 ± 5,8 e 77,3 ± 18,5. È stata riscontrata una correlazione inversa, statisticamente significativa, tra i punteggi ottenuti alla scala Bio-PSSI e quelli ottenuti all’SWN, e una correlazione diretta, statisticamente significativa, con il GHQ-12. conclusioni: il nostro lavoro è il primo studio che permette di misurare contemporaneamente, attraverso uno specifico strumento, aspetti fisici, psicologici, sociali e spirituali nelle malattie mentali gravi. L’impiego della scala Biopsychosociospiritual Inventory (Bio-PSSI) permette infatti una valutazione olistica del paziente, andando a considerare anche la componente spirituale. Tale dimensione spesso trascurata dai clinici potrebbe spiegare come alcuni persone, nonostante la severità del quadro psicopatologico, percepiscano un miglior benessere soggettivo.

bibliografia

Freeman J. Toward a definition of holism. Br J Gen Pract 2005,55:154-5.

Galanter M. Spirituality in psychiatry: a biopsychosocial perspective. Psychiatry 2010;73:145-57.

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Onarecker CD, Sterling BC. Addressing your patients’ spiritual needs. Fam Pract Manag 1995;44-49.

p73. spiritualità e well-being: valutazione biopsicosociale e spirituale in pazienti ricoverati per patologie mentali gravi

I. Santini, I. De Lauretis, F. Serra, R. Pollice., R. Roncone

Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Scienze della Salute, Università dell’Aquila

introduzione: numerosi studi hanno messo in evidenza che, in ambito psichiatrico, le componenti spirituale e religiosa rappresentano un aspetto di vita importante e che spesso esiste una correlazione positiva tra spiritualità/religiosità e buona salute mentale. La religione e la spiritualità possono infatti essere risorse preziose per fronteggiare gli ostacoli di vita, compresi quelli derivanti dalla malattia. scopi: obiettivo del nostro studio è stato quello di indagare la sfera bio-psico-socio-spirituale verificando se alti livelli di spiritualità risultino associati con un maggior benessere percepito soggettivamente dal paziente. Materiali e metodi:sono stati inclusi nello studio 80 pazienti, 38 maschi e 42 femmine, con età media di 46,8 (ds ± 14,6), ricoverati presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura a Direzione Universitaria di L’Aquila da gennaio a luglio 2010. Di questi il 35,4% ha avuto diagnosi di disturbo depressivo maggiore, il 39,2% di disturbo schizofrenico, e il 25,3% di disturbo bipolare dell’umore, secondo i criteri del DSM-IV-R (APA, 1994). Per ciascun soggetto sono stati raccolti dati demografici ed effettuata una valutazione psicopatologica tramite PANSS e CGI-S. La componente spirituale è stata valutata per mezzo della Biopsychosociospiritual Inventory (Bio-PSSI), strumento sviluppato da Katerndahl nel 2007, che prende in considerazione gli aspetti fisici, psicologici, sociali, spirituali e la relativa compromissione funzionale, mentre il benessere percepito soggettivamente tramite il GHQ-12 e l’SWN. risultati: il punteggio medio ottenuto alla scala Bio-psico-socio-spirituale è stato di 104,70 (± 35,7 con range tra 0 e 205, dove un punteggio più alto corrisponde ad una maggiore presenza di sintomi o una maggiore compromissione funzionale), mentre il punteggio medio nella sottoscala della spiritualità è stato di 18,35 (± 7,7 con range tra 0 e 35). In tale sottoscala si riscontra un punteggio più elevato, statisticamente significativo, nelle donne (p = 0,002), così come nei soggetti con età superiore ai 50 anni (p = 0,003). Per quanto riguarda le diverse categorie diagnostiche, il maggior punteggio (equivalente ad una minor componente spirituale) si ha nei pazienti con diagnosi di depressione (p = 0,004), seguiti da quelli con disturbo bipolare dell’umore, ed infine da disturbo schizofrenico. Il punteggio medio ottenuto al GHQ-12 è stato di 19,74 (ds ± 5,8; cut-off = 15), corrispondente ad un livello medio di stress percepito, mentre il punteggio medio ottenuto all’SWN è stato di 77,3 ± 18,5 (range tra 0 e 120), che denota un discreto benessere psico-fisico percepito soggettivamente. I punteggi ottenuti alla sottoscala spirituale della Bio-PSSI risultano correlati inversamente con quelli ottenuti all’SWN (pearson = -0, 574; p < 0,05), e direttamente con il quello ottenuto al GHQ-12 (pearson = 0,528; p = 0,01), evidenziando come esista una relazione tra spiritualità e livelli di stress e benessere percepiti. conclusioni: dal nostro studio emerge che i soggetti con maggior componente spirituale riferiscono un maggior benessere individuale. Questo dato trova conferma in diversi studi che hanno misurato la qualità della vita in relazione a spiritualità e religiosità, che dimostrano come una forte componente spirituale sia associata con un miglior benessere psicologico, come la spiritualità e la preghiera abbiano effetti positivi sulle risposte psicologiche e fisiche in patologie a lungo temine e come alti livelli di coinvolgimento religioso si associno ad una migliore salute mentale.

bibliografia

Galanter M. Spirituality in psychiatry: a biopsychosocial perspective.

Psychiatry 2010;73:145-57. Greenfield EA, Vaillant GE, Marks NF. Do formal religious participation and spiritual perceptions have independent linkages with diverse dimensions of psychological well-being? J Health Soc Behav 2009;50:196

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2008;50:233-7.

p74. percorsi di cura, durata di psicosi non trattata e presa in carico nel csM distretto 3 – asl br: decorsi ed esiti

A. Saponaro, D. Suma

Dipartimento di Salute Mentale, ASL, Brescia

introduzione: i disturbi psicotici spesso giungono al trattamento in ritardo, rispetto al loro esordio. I dati internazionali forniscono una stima media della DUP – Duration of Untreated Psychosis – di due anni. Con il crescere della DUP aumenta il rischio di suicidio, di cronicizzazione dei sintomi, di disabilità e handicap psicosociale, con il conseguente aumento dei costi diretti e indiretti correlati alla patologia. Materiali e metodi: analisi dei percorsi di cura, calcolo della DUP e descrizione degli interventi effettuati sul nostro campione; correlazione con dati di decorso ed esito. risultati: la maggiore DUP, nel nostro campione, è correlata a esiti peggiori sul piano del funzionamento psicosociale, a più frequenti ricoveri in SPDC e a maggior frequenza di comportamenti parasuicidari e/o suicidari. I determinanti principali nel ritardo di accesso alle cure sono l’inefficacia dello screening a livello della medicina di base, e lo stigma associato all’ambiente psichiatrico. conclusioni: la riduzione della DUP può determinare effetti positivi sulla clinica e sugli esiti dei disturbi psicotici, con minore impegno delle risorse sanitarie. La strategia con il miglior rapporto costo/efficacia è il training dei medici di medicina generale allo screening precoce e all’invio tempestivo ai servizi psichiatrici.

p75. schizofrenia non cronicizzata e riabilitazione equestre: l’esperienza del dsM roMa f ed i risultati preliminari del progetto pindaro-fise

S. Seripa, S. Cerino

Azienda ASL RMF, Dipartimento di Salute Mentale, Federazione Italiana Sport Equestri (FISE), Dipartimento di Riabilitazione Equestre, Roma

Il tradizionale paradigma clinico che prevede l’articolazione delle progettualità riabilitative nella schizofrenia in rapporto ai temi della cronicità è stato stravolto in questi ultimi anni dalla identificazione dell’importanza di interventi precoci, non solo e non tanto psicofarmacologici, mirati alle disfunzionalità cognitive. L’approfondimento della varia e multidimensionale natura della disfunzione cognitiva negli schizofrenici agli esordi o comunque nei primi anni di malattia (attenzione, memoria, meta cognizione, cognizione sociale, pensiero parallelo, etc.) ha aperto la strada a diversi ed articolati task riabilitativi. Questi, seppur efficaci, generalmente tendono ad un decadimento nel tempo dei risultati una volta sospesi gli interventi. Uno dei fattori più importanti nella stabilizzazione dei risultati sembrerebbe essere la capacità di tali task di poter essere inseriti in

frame-work naturalistici, e quindi più correlati alla vita quotidiana del paziente. L’esperienza della RMF nel trattamento di soggetti affetti da schizofrenia ai primi anni di malattia attraverso la Riabilitazione Equestre ha evidenziato risultati lusinghieri in termini di riduzione della disabilità, annullamento degli indici di ricovero, entrata in remissione dei pazienti. Da questi risultati, l’interesse ed il supporto della FISE hanno consentito di definire un modello formalizzato di intervento, attualmente adottato da una serie di Centri in Italia, per un attuale numero di pazienti arruolati pari a 35. L’intervento, che si avvale di équipe multidisciplinari integrate tra Centri Equestri FISE-CRE e Dipartimenti di Salute Mentale, prevede una selezione scrupolosa dei pazienti, sia in termini di criteri di inclusione che di esclusione, con particolare attenzione alla scelta di soggetti che abbiano notevole gravità in termini di disfunzionalità sociale e cognitiva (ma non ritardo mentale) e con alto grado di utilizzazione dei servizi: ricoveri, urgenze, etc.. Particolarmente importante è la uniforme preparazione e formazione del personale dei CRE, comprendente le figure di Tecnico ed Ausiliario di RE con formazione FISE e la formalizzazione di un preciso metodo di lavoro sul paziente, che integra grooming e governo alla mano, lavoro a terra ed in sella. Le valutazioni di efficacia sono affidate ad una batteria di test comprendenti strumenti di valutazione psicopatologica generale (BPRS), indice di remissione (PANSS ad 8 item), valutazione meta cognitive e di alcuni costrutti psichici specifici (TAS, MQ, TCQ), funzionamento e qualità di vita (SF-36, VGF). Tale batteria viene somministrata al tempo 0 e dopo il termine del percorso riabilitativo: circa 10-12 mesi per un totale di circa 40 incontri. È prevista una valutazione inter-media (T1/2) per i soli BPRS, PANSS e VGF. I pazienti verranno suddivisi in due sottogruppi: provenienza territoriale e residenziale (CT, Case Famiglia, etc.). Previste anche valutazioni specifiche sul cavallo, in termini di stato fisico, comportamentale sia a riposo che a lavoro finalizzate alla misura dell’impatto sul loro benessere indotto dalle attività di RE.

p76. aggiunta di allopurinolo nel trattamento della fase maniacale del disturbo maniacale (risultati preliminari)

N. Serroni*, L. Serroni*, D. Campanella*, D. De Berardis*,

L. Olivieri*, A. D’Agostino*, A. Serroni*, T. Acciavatti* *** ,

A. Carano**, F.S. Moschetta*, M. Di Giannantonio***

Dipartimento di Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “G. Mazzini”, Azienda Sanitaria Locale, Teramo; ** Dipartimento Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “C.G. Mazzoni”, Ascoli Piceno; ***Dipartimento di Neuroscienze e Imaging, Cattedra di Psichiatria, Università “G. D’Annunzio”, Chieti

Lo scopo dello studio è stato quello di valutare l’eventuale efficacia dell’aggiunta di allopurinolo alla terapia di base in pazienti affetti da disturbo bipolare I (BD-I) durante la fase di mania acuta. con valori elevati di uricemia. Abbiamo innanzitutto revisionato le cartelle cliniche di 150 pazienti consecutive con BD-I (58 in fase maniacale acuta, 48 in eutimia e 44 in fase depressiva) e per valutare i livelli plasmatici di uricemia. I dati di 40 controlli sani sono stati utilizzati come gruppo di controllo. Sono state impiegate per la valutazione le seguenti scale: Young Mania Rating Scale (YMRS), Bech-Rafaelsen Manic Rating Scale (BRMRS) e Hamilton Rating Scale for Depression (HAM-D). I livelli di acido urico sono risultati più elevati in 37 pazienti in fase maniacale acuta rispetto alle altri fasi della malattia e ai controlli sani. I livelli di acido urico correlavano positivamente con i punteggi alla BRMRS e alla YMRS. Abbiamo quindi suddiviso i pazienti affetti da disturbo bipolare (BD-I) fase maniacale in 2 gruppi: il primo con pazienti che presentavano innalzamento dei valori di uricemia (37), il secondo con pazienti con uricemia nei parametri della norma (21). A tutti i pazienti con iperuricemia era stato somministrato allopurinolo al dosaggio di 300 mg/die. I dati rilevati hanno evidenziato un miglioramento delle condizioni psichiche e soprattutto dell’aggressività nei pazienti con iperuricemia ai quali era stato aggiunto allopurinolo alla terapia di base con un netto miglioramento dei punteggi alla BRMRS e alla YMRS, anche se confrontati al gruppo di pazienti BD-I fase maniacale con valori normali di uricemia. I dati osservati sembrano confermare l’ipotesi che lega la neurobiologia dei comportamenti aggressivi ad un’alterazione del sistema delle purine che determini una ridotta attività dell’adenosina e sebbene al momento non siano a disposizione farmaci che aumentino direttamente la funzione adenosinica, composti capaci di aumentarla indirettamente come l’allopurinolo anche alla luce nella nostra esperienza e di altri AA. risultati promettenti nel trattamento dell’aggressività e della fase maniacale del disturbo bipolare.

bibliografia

De Berardis D, Campanella D, Serroni AN, et al. Valutazione dei livelli plasmatici di antiossidanti durante differenti fasi di malattia in pazienti con disturbo bipolare. Giorn Ital Psicopat 2009;14:194.

Lara DR, Belmonte-de-Abreu P, Souza DO. Allopurinol for refractory aggression and self-inflicted behavior. J Psychopharmacol 2000;14:81-3.

p77. Valutazione dei comportamenti aggressivi in pazienti ricoverati in spdc con modalità d’emergenza

N. Serroni*, L. Serroni*, D. Campanella*, D. De Berardis*,

L. Olivieri*, A. D’Agostino*, A. Serroni*, T. Acciavatti* *** ,

A. Carano**, L. Mancini**, G. Mariani**, F.S. Moschetta*,

M. Di Giannantonio***

Dipartimento di Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “G. Mazzini”, Azienda Sanitaria Locale, Teramo; ** Dipartimento Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “C.G. Mazzoni”, Ascoli Piceno; ***Dipartimento di Neuroscienze e Imaging, Cattedra di Psichiatria, Università “G. D’Annunzio”, Chieti

L’attività dei Servizi Psichiatrici di diagnosi e Cura (SPDC) rappresenta un punto fondamentale del lavoro clinico con i pazienti psichiatrici. È il luogo dove viene spesso gestita l’acuzie e in cui vengono formulati nuovi progetti terapeutici e farmacologici. In questa valutazione è stata prestata particolare attenzione alla valutazione dei comportamenti aggressivi, eventi non infrequenti sia nelle persone sane che nelle persone con problemi psichiatrici e che spesso rappresentano un problema grave nell’ambito di un servizio deputato alla gestione delle urgenze. Materiali e metodi: sono stati arruolati 51 pazienti consecutivi, 27 di sesso maschile, 24 di sesso femminile, di età media pari a 43,8 ± 16,0 che si sono presentati all’osservazione dello specialista dell’SPDC dell’Ospedale Civile di Teramo. A tutti i pazienti all’ingresso (baseline) e alla dimissione (endpoint) so-no state somministrate le seguenti scale psicometriche: la Brief Psychiatric Rating Scale (BPRS) e la Modified Overt Aggression Scale (MOAS) che registra la comparsa di episodi di aggressività e la loro gravità. risultati: alla BPRS è stata riscontrata tra baseline e endpoint una diminuzione significativa su quasi tutte le sottoscale In particolare il punteggio totale è passato da 73,0 ± 14,2 (baseline) a 46,9 ± 12,0 (endpoint) (Tab. I, p. 33). Non sono state rilevate variazioni statisticamente significative nelle sottoscale: grandiosità, allucinazioni, manierismo. Per quanto riguarda, invece la MOAS è stato riscontrato che tutti i pazienti, dal baseline all’endpoint, hanno avuto un punteggio pari a zero alla visita finale, ciò sta a dimostrare che il ricovero in SPDC riduce notevolmente l’aggressività. Anche il trattamento farmacologico, somministrato durante il ricovero in SPDC, ha migliorato la compliance del paziente. I risultati della regressione lineare multipla hanno evidenziato, che per quanto riguarda le variabili demografiche, sono indici predittivi di maggiore aggressività al baseline l’appartenenza al sesso femminile, il diploma di scuola media inferiore, l’uso di alcol, il fumo, il ricovero non volontario (TSO), la diagnosi di disturbo bipolare e di schizofrenia. Per quanto riguarda invece, le scale di valutazione, è stato evidenziato come le sottoscale della BPRS (ostilità, elevazione del tono dell’umore, sospettosità, pensiero insolito, bizzarria, mancanza di cooperazione) sono associate ad una maggiore aggressività.

p78. iperuricemia e fase maniacale del disturbo bipolare

N. Serroni*, L. Serroni*, D. Campanella*, D. De Berardis*,

L. Olivieri*, A. D’Agostino*, A. Serroni*, A.M. Pizzorno,

T. Acciavatti* ***, V. Marasco*, A. Carano**, L. Mancini**,

G. Mariani**, F.S. Moschetta*, G. Di Iorio***,

M. Di Giannantonio***

Dipartimento di Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “G. Mazzini”, Azienda Sanitaria Locale, Teramo; ** Dipartimento Salute Mentale, Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura, Ospedale Civile “C.G. Mazzoni”, Ascoli Piceno; ***Dipartimento di Neuroscienze e Imaging, Cattedra di Psichiatria, Università “G. D’Annunzio”, Chieti

Lo scopo del presente studio è stato quello di valutare il ruolo dell’acido urico in pazienti affetti da disturbo bipolare I (BD-I) durante la fase di mania acuta. Le cartelle cliniche di 150 pazienti consecutive con BD-I (58 in fase maniacale acuta, 48 in eutimia e 44 in fase depressiva) sono state revisionate per valutare i livelli plasmatici di uricemia. I dati di 40 controlli sani sono stati utilizzati come gruppo di controllo. Sono state impiegate per la valutazione le seguenti scale: Young Mania Rating Scale (YMRS), Bech-Rafaelsen Manic Rating Scale (BRMRS) e Hamilton Rating Scale for Depression (HAM-D). I livelli di acido urico sono risultati più elevati in fase maniacale acuta rispetto alle altri fasi della malattia e ai controlli sani. I livelli di acido urico, inoltre, correlavano positivamente con i punteggi alla BRMRS e alla YMRS. L’ipotesi più valida sembra essere quella che lega la neurobiologia dei comportamenti aggressivi ad un’alterazione del sistema delle purine che determini una ridotta attività dell’adenosina. che può aumentare i livelli di ansia e il comportamento aggressivo come pure può indurre instabilità dell’umore e infatti in modelli preclinici, agonisti dei recettori dell’adenosina hanno mostrato effetti antipsicotici, ansiolitici e antiaggressivi. Sebbene al momento non siano a disposizione farmaci che aumentino direttamente la funzione adenosinica, composti capaci di aumentarla indirettamente come l’allopurinolo hanno mostrato nella nostra esperienza risultati promettenti nel trattamento dell’aggressività e della fase maniacale del disturbo bipolare.

tabella i.

Confronto baseline-endpoint per il campione totale e per sesso (media ± deviazione standard).

  baseline     endpoint    
  totale M (n 27 52,9%) f (n 24 47,1%) totale M (n 27 52,9%) f (n 24 47,1%)
BPRS Totale Somatiche Ansia Depressione Suicidio Colpa Ostilità Elevazione umore Grandiosità Sospettosità Allucinazioni Pensiero insolito Bizzarria Trascuratezza Disorientamento Disorganizzazione App. affettivo Isolamento Rallentamento Tensione Mancanza compera. Eccitamento Distraibilità Iperattività Manierismo 73,0 ± 14,2 72,1 ± 13,9 73,4 ± 14,3 3,9 ± 1,8 3,7 ± 1,7 4,0 ± 1,8 4,7 ± 1,6 4,3 ± 1,8 5,1 ± 1,3 4,6 ± 1,9 4,3 ± 1,9 5,0 ± 1,8 3,3 ± 2,2 2,6 ± 1,9 4,0 ± 2,4 3,6 ± 1,8 3,2 ± 1,8 4,0 ± 1,9 3,5 ± 2,0 3,4 ± 1,8 3,7 ± 2,1 2,3 ± 1,9 2,3 ± 2,0 2,3 ± 1,9 1,9 ± 1,5 1,9 ± 1,6 1,8 ± 1,3 3,7 ± 1,9 3,8 ± 1,8 4,0 ± 2,1 1,9 ± 1,7 1,7 ± 1,6 2,2 ± 1,9 3,1 ± 1,9 3,9 ± 1,9 2,4 ± 1,8 2,3 ± 1,5 2,2 ± 1,5 2,2 ± 1,4 2,8 ± 1,5 2,6 ± 1,6 3,0 ± 1,4 2,5 ± 1,7 2,4 ± 1,4 2,7 ± 2,0 3,0 ± 1,6 3,1 ± 1,4 2,8 ± 1,7 3,2 ± 1,5 3,3 ± 1,5 3,1 ± 1,6 3,5 ± 1,6 3,6 ± 1,4 3,3 ± 1,9 2,9 ± 1,8 2,6 ± 1,8 2,9 ± 1,8 4,0 ± 1,8 3,8 ± 1,5 4,1 ± 2,1 3,5 ± 1,9 3,4 ± 2,0 3,6 ± 1,8 2,4 ± 2,0 2,5 ± 2,1 2,2 ± 2,0 2,5 ± 1,6 2,4 ± 1,3 2,6 ± 1,9 2,9 ± 2,0 2,9 ± 2,1 2,8 ± 2,0 1,8 ± 1,3 2,0 ± 1,4 1,5 ± 1,1 46,9 ± 12,0* 46,1 ± 10,6* 47,8 ± 13,6* 2,7 ± 1,1* 2,5 ± 1,1* 2,9 ± 1,1* 3,0 ± 1,1* 2,7 ± 1,1* 3,3 ± 1,1* 2,8 ± 1,2* 2,7 ± 1,3* 2,8 ± 1,0* 1,5 ± 1,0* 1,5 ± 1,0* 1,5 ± 1,0* 2,3 ± 1,3* 2,1 ± 0,9** 2,4 ± 1,6* 2,1 ± 1,5* 1,7 ± 1,1* 2,6 ± 1,8* 1,4 ± 0,8* 1,3 ± 0,8* 1,4 ± 0,8* 1,4 ± 0,9 1,3 ± 0,7 1,4 ± 1,1 1,9 ± 1,0* 1,9 ± 1,0* 2,0 ± 1,0* 1,4 ± 0,9 1,3 ± 0,7 1,4 ± 1,1 2,1 ± 1,1** 2,3 ± 1,1** 1,9 ± 1,0*** 1,5 ± 0,8** 1,5 ± 0,8** 1,6 ± 0,9*** 1,6 ± 0,8* 1,6 ± 0,8* 1,5 ± 0,7* 1,5 ± 0,7* 1,5 ± 0,7* 1,5 ± 0,8* 2,1 ± 0,9* 2,2 ± 0,9* 2,0 ± 1,0* 2,1 ± 1,0* 2,3 ± 1,0* 1,9 ± 1,0* 2,3 ± 1,2* 2,4 ± 1,1* 2,3 ± 1,3* 2,0 ± 1,2*** 2,0 ± 1,1*** 2,0 ± 1,3*** 2,6 ± 1,3* 2,4 ± 1,1* 2,9 ± 1,5* 2,2 ± 1,3** 2,1 ± 1,3** 2,2 ± 1,3** 1,6 ± 1,2* 1,6 ± 1,1* 1,7 ± 1,3* 1,9 ± 1,1** 1,7 ± 0,7* 2,0 ± 1,4* 1,7 ± 1,1** 1,8 ± 1,1** 1,6 ± 1,1* 1,4 ± 0,9 1,6 ± 1,1 1,1 ± 0,3

p < 0,001 vs. Baseline; ** p < 0,01; *** p < 0,05 vs. baseline.

 

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*

Sezione di Psichiatria, Dipartimento di Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze Cliniche, Università di Palermo; ** Institute of Psychiatry, King’s College, London *** A.O.U.P. Paolo Giaccone, Palermo

introduzione: numerosi studi hanno evidenziato l’associazione tra traumi infantili e psicosi (Morgan & Fisher, 2007). Sebbene inizialmente fosse enfatizzato il ruolo dell’abuso sessuale, recentemente l’associazione con l’abuso fisico è stata riportata come più forte (Fisher et al., 2010; Rubino et al., 2009). Scopi dello studio sono valutare la prevalenza di eventi avversi infantili in un campione di soggetti al primo episodio psicotico e la sua relazione con la psicopatologia e le funzioni cognitive. Materiali e metodi: sono stati reclutati 74 soggetti al primo episodio psicotico (51 m, 23 f; em = 26,39, ds = 9,36). Sono state somministrate le seguenti interviste e test: CECA-Q (Bifulco et al., 2005) per la valutazione retrospettiva degli eventi avversi infantili; PANSS (Kay et al., 1987) per la valutazione della sintomatologia psicotica; WAIS-R (Wechsler, 1981) per la valutazione delle funzioni cognitive.risultati: I risultati preliminari mostrano un’associazione tra la presenza di gravi eventi avversi infantili e la sottoscala di psicopatologia generale della PANSS (p < 0,05). È stata osservata, inoltre, un’associazione tra l’abuso fisico compiuto dalla madre prima dei 12 anni e punteggi superiori alla sottoscala dei sintomi positivi della PANSS (p < 0,05). Nessuna associazione è stata trovata tra la sintomatologia psicotica e l’abuso fisico compiuto dal padre o l’abuso sessuale. Nessuna associazione è stata trovata tra il funzionamento cognitivo e la gravità o la numerosità degli eventi avversi infantili. conclusioni: i risultati preliminari dello studio appaiono in linea con le indicazioni della letteratura. È necessario, tuttavia, ampliare la numerosità del campione per ottenere risultati più consistenti.

bibliografia

Fisher HL, Jones PB, Fearon P, et al. The varying impact of type, tim
ing and frequency of exposure to childhood adversity on its associatio
with adult psychotic disorder. Psychol Med 2010;24:1-12.

Morgan C, Fisher H. Enviromental factors in schizophrenia: childhoo

trauma. A critical review. Schizophr Bull 2007;33:3-10.
Rubino IA, Frank E, Croce Nanni R, et al. A comparative study of axis 
antecedents before age 18 of unipolar depression, bipolar disorder an
schizophrenia. Psychopathology 2009;42:325-32.

p80. eventi di vita stressanti in un campione di pazienti affetti da psicosi all’esordio: prevalenza, sintomatologia ed età d’esordio

L. Sideli* **, V. Alabastro*, A. Bruno*, M. Di Forti**,

V. Di Giorgio*, L. Ferraro*, R. Grassia*, G. Grillo*,

C. La Cascia*, M. La Placa*, V. Marcianò*, C. Mistretta*,

A. Mulè***, M. Pomar*, M.V. Rumeo*, C. Sartorio*,

A. Trotta*, D. La Barbera*

*

Sezione di Psichiatria, Dipartimento di Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze Cliniche, Università di Palermo;

** ***

Institute of Psychiatry, King’s College London; A.O.U.P. Paolo Giaccone, Palermo

introduzione: un consistente numero di studi suggerisce un’elevata prevalenza di eventi traumatici nella storia di soggetti con disturbi psicotici (Shevlin et al., 2008). Più che l’impatto di un singolo evento di vita stressante, l’esposizione cumulativa ad esperienze traumatiche sembra incrementare il rischio di psicosi (van Winkel et al., 2008). Scopo dello studio è valutare la prevalenza di tali eventi in soggetti al primo episodio psicotico a confronto con controlli sani e la possibile correlazione con la sintomatologia psicotica e l’età di esordio.

Materiali e metodi: in atto sono stati reclutati 74 soggetti al primo episodio psicotico (51 m, 23 f; em = 26,39, ds = 9,36) e 27 controlli sani (18 m, 9 f; em = 25,93, ds = 7,65). Sono state somministrate le seguenti interviste: CECA-Q (Bifulco et al., 2005) per la valutazione retrospettiva degli eventi avversi infantili; List of Threatening Experiences (Brugha et al., 1985) per la valutazione degli eventi di vita stressanti durante il corso di vita e la PANSS (Kay et al., 1987) per la valutazione della sintomatologia psicotica.risultati e conclusioni: i risultati preliminari mostrano una maggiore prevalenza nel gruppo dei primi episodi psicotici di almeno un evento di vita stressante nell’arco della vita (p < 0,001). È stato osservato che i pazienti tendono ad esperire un numero superiore di eventi traumatici rispetto ai controlli (p < 0,05); particolarmente frequenti sono infortuni e aggressioni, bullismo, violenza domestica e sul lavoro, abuso sessuale. Tra i pazienti che sono stati vittima di nessuno, uno o più eventi stressanti non sono state rintracciate differenze significative né nell’età d’esordio né nella sintomatologia psicotica.

bibliografia

Shevlin M, Houston JE, Dorahy MJ, et al. Cumulative traumas and psychosis: an analysis of the national comorbidity survey and the British Psychiatric Morbidity Survey. Schizophr Bull 2008;34:193-9.

van Winkel R, Stefanis NC, Myin-Germeys I. Psychosocial stress and psychosis. A review of the neurobiological mechanisms and the evidence for gene-stress interaction. Schizophr Bull 2008;34:1095-105.

p81. la qualità di vita nella schizofrenia stabile: il contributo della disorganizzazione

M. Sigaudo, N. Birindelli, M. Graffino, C. Montemagni,

M. Scalese, S. Zappia, P. Rocca

Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Università di Torino

I fattori che influenzano la qualità di vita nella schizofrenia non sono ancora del tutto conosciuti, in particolare la relazione tra la dimensione sintomatologica disorganizzazione e la qualità di vita risulta essere poco studiata. Il nostro studio si propone di indagare il contributo della disorganizzazione sulla qualità di vita in un campione di pazienti schizofrenici ambulatoriali in fase stabile di malattia. Materiali e metodi: sono stati arruolati 276 pazienti ambulatoriali consecutivi, con schizofrenia in fase stabile (DSM IV-TR), afferenti presso Clinica Psichiatrica Universitaria, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino e Dipartimento di Salute Mentale Interaziendale ASL 1-Molinette di Torino. La sintomatologia è stata valutata mediante la Positive and Negative Syndrome Scale (PANSS), la qualità di vita tramite la Quality of Life Scale (QLS), una scale che include quattro domini: relazioni interpersonali (IRSN), ruolo occupazionale (IRF), fondamenti intrapsichici (IF) e oggetti e attività comuni (COA). Nella nostra analisi abbiamo deciso di utilizzare il modello a cinque fattori basato sugli items della PANSS proposto da van der Gaag et al. nel 2006. Questo modello individua 5 fattori: sintomi positivi, sintomi negativi, disorganizzazione, eccitamento e stress emotivo. Abbiamo effettuato regressioni lineari univariate preliminari al fine di esplorare la relazione tra disorganizzazione e QLS (punteggio totale e singoli domini). Poi, abbiamo condotto regressioni lineari multiple con lo scopo di considerare sintomi positivi, sintomi negativi, eccitamento e stress emotivo come possibili fattori contribuenti. risultati: le regressioni lineari univariate hanno mostrato come esista un’associazione significativa tra disorganizzazione e qualità di vita sia nel punteggio totale della QLS che nei punteggi delle quattro sottoscale (IRSN, IRF, IF, COA). Quando abbiamo testato gli effetti della disorganizzazione su QLS attraverso regressioni multiple, abbiamo riscontrato che gli effetti della disorganizzazione sul punteggio totale della QLS (df = 1,275; standardized β = -0,23; p = 0,00), su IRF (df = 1,275; standardized β = -0,42; p < 0,001) e su IF (df = 1,275; standardized β = -0,21; p = 0,00) erano significativi. conclusioni: i nostri risultati suggeriscono che la disorganizzazione influenza la qualità di vita dei pazienti con schizofrenia in fase stabile, predicendo una qualità di vita più bassa. La disorganizzazione influenza in particolare due domini della qualità di vita: ruolo occupazionale (IRF) e fondamenti intrapsichici (IF).

bibliografia

van der Gaag M, Cuijpers A, Hoffman T, et al. The five-factor model of the Positive and Negative Syndrome Scale I: confirmatory factor analysis fails to confirm 25 published five-factor solutions. Schizophr Res 2006;85:273-9.

p82. risperidone a rilascio prolungato e performances cognitive

A. Strati, A.F. Buchignani, D. D’Epiro, M. Falcone, G. Lupi,

A. Filippo

Dipartimento Salute Mentale A.S.P. Cosenza, SPDC P.O “Beato Angelo”, Acri (CS)

introduzione: lo scopo dello studio realizzato in SPDC è stato quello di monitorare, nel tempo, l’efficacia di un antipsicotico atipico nella sua formulazione a lunga durata d’azione sul cluster sintomatologico di 3 pazienti con diagnosi di patologia psicotica.Materiali e metodi: sono riportati 3 casi clinici di pazienti, 2 di sesso femminile (età rispettivamente 59 aa e 54 aa) di cui una con comorbilità organica, ed uno di sesso maschile età 38 aa. Tutti e tre i pazienti manifestavano scarsa aderenza al trattamento farmacologico. Dosaggio risperidone R.P. 25 mg in un caso e due 37,5 mg. CGIs, PANSS, QLS, DAI-30, BACS, SA, le scale di valutazione psicopatologiche somministrate. conclusioni: la valutazione del medio e lungo termine confer-ma una remissione dei sintomi psicotici ed affettivi ed un miglioramento delle performances cognitive. Buona tollerabilità ed efficacia del risperdal R.P.

bibliografia

Ereshefsky L, Lacombe S. Pharmacological profileof risperidone. Can J

Psiychiatry 1993;38(Suppl):S80-8.
Marder SR, Meibach RC. Risperidone in the treatment of schizophrenia
Am J Geriatr Psychiatry 1994;151:825-35.

p83. esiti di un programma riabilitativo basato sull’attività sportiva in soggetti schizofrenici

G. Tirone, C. Bertossi, F. Bertossi, A. Pizzolato

Dipartimento di Salute Mentale, ASS 4 “Medio Friuli”

introduzione: esistono diversi riscontri in letteratura, rispetto agli effetti benefici a vari livelli della riabilitazione psichiatrica di pazienti psicotici basata sulla pratica sportiva. obiettivi: indagare se, e in quale misura, l’inserimento in un programma riabilitativo basato sull’attività sportiva possa influire sul percorso di Salute, di soggetti affetti da schizofrenia. Materiali e metodi: lo studio è descrittivo, di tipo caso-controllo, condotto su 40 pazienti (20 casi e 20 controlli) seguiti dai CSM di Trieste, con raccolta dati relativa al 2006-2007. I criteri di inclusione del campione sono: sesso maschile; età tra i 19 e i 48 anni; diagnosi ICD-10, F20-29 (diagnosi prevalente, 80%), F30-39 (5%), F60-69 (15%); per i casi, inserimento

– nell’anno precedente la raccolta dei dati – in un percorso riabilitativo sportivo (calcio maschile). Sono state rilevate variabili socio-anagrafiche (condizione professionale e situazione abitativa), e variabili cliniche (terapia e sua compliance; numero e durata dei ricoveri; numero di pazienti ricoverati; principali interventi terapeutici). risultati: nel gruppo dei casi si ha un’evoluzione in senso positivo di tutti i parametri nell’arco temporale considerato: migliorano le condizioni professionali ed abitative e l’adesione al trattamento farmacologico; si riducono il numero e la durata dei ricoveri, e il numero dei ricoverati; diminuiscono le prestazioni terapeutiche nei singoli ambiti e globalmente (Test of Equal or Given Proportions: differenza in senso statistico tra gli interventi nei casi ed il totale degli interventi nel campione nei due anni, p = 0,001762). conclusioni: i riscontri possono essere letti nella prospettiva di un miglioramento delle condizioni psicopatologiche, dell’acquisizione di maggiori consapevolezza e capacità di autogestione del disturbo, di una migliore qualità del rapporto tra soggetto e Servizio, di un progresso nel “funzionamento sociale” della persona, di una riduzione del carico familiare soggettivo ed oggettivo, di una minore complessità di gestione – anche in termini di costi diretti e indiretti – da parte dei diversi attori coinvolti nel percorso di cura.

bibliografia

Längle G, Siemssen G, Hornberger S. Role of sports in treatment and re

habilitation of schizophrenic patients. Rehabilitation 2000;39:276-82; Saraceno B. La fine dell’intrattenimento. Manuale di riabilitazione psichiatrica. Milano: Etaslibri 1995.

WHO. Psychosocial Rehabilitation. A Consensus Statement. Geneva: WHO 1996.

p84. analisi delle dimensioni psicopatologiche negli esordi psicotici finalizzata alla prevenzione secondaria

L. Todini, A. Luciani, M. Majorana, L. Orso

SPDC, Policlinico “Umberto I”, Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Roma

introduzione: identificare i sintomi più rilevanti nell’esordio psicotico risulta importante sia nella prevenzione, che nell’intervento terapeutico precoce 1 3 .

obiettivi: confrontare le dimensioni psicopatologiche nei pazienti con esordio di disturbi dello spettro psicotico rispetto ai pazienti non in fase d’esordio, attraverso la scala dimensionale S.VA.RA.D. Materiali e metodi: un campione di 20 pazienti ricoverati pres-so l’SPDC del Policlinico Umberto I con esordio di un disturbo psicotico, è stato confrontato con un gruppo di controllo costituito da 40 pazienti giunti in corso di riacutizzazione psicotica e visitati nello stesso Policlinico. Entrambi i gruppi sono stati valutati mediante S.VA.RA.D. 2. Per ogni item della S.VA.RA.D. sono state calcolate le percentuali di manifestazione differenziate per livello di gravità (assente = 0; moderata = 1-2; elevata = 3-4). risultati: nel gruppo degli esordi gli item “apprensione/timore”, “tristezza/demoralizzazione”, si presentano con gravità elevata in una percentuale maggiore rispetto al gruppo di controllo (come illustrato nei grafici). conclusioni: considerare quanto, nel corso di un esordio psicotico, possano concomitare con gli altri sintomi, la demoralizzazione a l’apprensione, può risultare fondamentale nell’adottare tecniche che favoriscano un’alleanza terapeutica, propedeutica alla continuità di intervento ed essenziale nel prevenire i drop-out.

bibliografia

1 Parnas J. Clinical detection of schizophrenia-prone individuals. Br J Psychiatry 2005;187(Suppl):S111-2

2 Pancheri P, Biondi M, Gaetano P, et al. Costruzione della “SVARAD”, una scala per la valutazione rapida dimensionale. Rivista di Psichiatria 1999;34:72-83.

3 Marshall M, Rathbone J. Early Intervention for psychosis. Cochrane Database Syst Rev 2006 Oct 18;(4):CD004718.

p85. depressione e sindrome negativa nella psicopatologia della schizofrenia

A. Trappoli, S. Porcelli, R. Bonafede, E.M. Savoia,

A. Drago, A. Serretti, D. De Ronchi

Istituto di Psichiatria “P. Ottonello”, Università di Bologna

introduzione: considerevoli evidenze in letteratura sottolineano l’importanza dei sintomi depressivi (SD) nell’ambito della psicopatologia schizofrenica. Inoltre, la presenza degli stessi è spesso associata a peggior outcome, riduzione del funzionamento globale, ricadute e suicidio 1. Spesso tuttavia i SD possono essere considerati solo come aspetti di una sindrome negativa (SN) con conseguenze anche per ciò che concerne la scelta di una eventuale terapia farmacologica. obiettivi: gli Autori hanno voluto osservare la correlazione esistente fra SD e SN al momento del ricovero in un SPDC. Sono stati reclutati 35 pazienti con diagnosi DSMIV di schizofrenia ai quali sono state somministrate PANSS (Positive and Negative Syndrome Scale) e HAMD (Hamilton Depression Rating Scale), quest’ultima scomposta nei gruppi sintomatologici Core, Activity, Psychic anxiety, Somatic anxiety e Delusion 2. L’analisi è stata eseguita con STATISTICA Soft. risultati: fra i valori totali di PANSS e HAMD è risultata solo una debole correlazione, così come fra quest’ultima e i sintomi negativi (SNeg) PANSS. Nessuna correlazione fra items Core e SNeg che sono risultati tuttavia significativamente correlati agli items Delusion.

discussione: è interessante notare come i SNeg non siano correlati con gli items Core della HAMD, che descrivono la dimensione più puramente cognitiva della depressione, ma siano invece significativamente correlati con gli items Delusion (ipocondria, senso di colpa e sintomi paranoidei), gli aspetti depressivi che per natura più possono avvicinarsi ad una esperienza di tipo psicotico.

bibliografia

1 Siris SG. Depression in schizophrenia: perspective in the era of “Atypical” antipsychotic agents. Am J Psychiatry 2000;157:1379

89. Serretti A, Lattuada E, Zanardi R, et al. Patterns of symptom improve

ment during antidepressant treatment of delusional depression. Psychiatry Res 2000;94:185-90.

p86. Variabili cliniche, caratteristiche neuropsicologiche, funzionamento psicosociale e rischio psicopatologico in pazienti al first episode: outcome di un intervento di problem solving

L. Verni, V. Bianchini, R. Roncone, R. Pollice, R. Ortenzi,

D. Ussorio

Scuola di Specializzazione in Psichiatria, Dipartimento di Scienze della Salute, Università dell’Aquila

introduzione: scopo dello studio è stato quello di valutare le caratteristiche cliniche, funzionali e neuropsicologiche in un campione di soggetti all’esordio di un disturbo psicotico o in condizione di Stato Mentale a Rischio. I soggetti appartenenti al campione in esame sono stati sottoposti a trattamento integrato, farmacologico e psicoterapico secondo interventi standardizzati.Materiali e metodi: sono stati valutati 26 soggetti (14 maschi e 12 femmine) afferenti consecutivamente presso il Servizio di Monitoraggio e Intervento precoce per la Lotta agli Esordi della sofferenza mentale e psicologica nei giovani (SMILE) dell’Aquila, da settembre 2009 a febbraio 2010, con esordio psicotico nell’80,6% (n = 21) e con stato mentale a rischio nel 19,4% (n = 5) dei casi. Tutti i soggetti appartenenti alla popolazione in esame sono stati sottoposti ad un intervento riabilitativo di Problem Solving Training, al termine del quale sono stati utilizzati i seguenti strumenti di valutazione: scheda di valutazione dei dati anamnestici; valutazione neuropsicologica; FPS; PAS; SOS; PANSS; CGI-S. risultati: sono stati effettuati follow-up a cadenza semestrale, valutando la risposta clinica della popolazione in studio e verificando la presenza di eventuali correlazioni fra le variabili cliniche e funzionali rilevate al termine dell’osservazione con gli indicatori prognostici e con i trattamenti psicoterapici effettuati. Il campione totale è stato suddiviso in due gruppi in base alla presenza o meno di un peggiore funzionamento premorboso: G1 formato da 15 soggetti e G2 di 11 soggetti. I due gruppi non differivano significativamente in relazione alle caratteristiche socio-demografiche e per trattamenti farmacologici effettuati. Rispetto al G2, nel G1, sono state evidenziate differenze statisticamente significative con punteggi medi più elevati agli items relativi alla dimensione negativa della PANSS. Il G1, inoltre, mostrava una maggiore durata di DUP, un punteggio medio significativamente peggiore alla CGI-s e alla FPS, nonché pre

stazioni peggiori nelle valutazioni neurocognitive, anche al termine di interventi psicoterapici standardizzati. conclusioni: i risultati del nostro studio sono supportati dai dati della letteratura, che evidenziano differenze nella presentazione clinica ed una maggior gravità del disturbo all’esordio psicotico in soggetti che mostrano un peggiore funzionamento premorboso, con specifici ‘sintomi base’ quali alterazione di attenzione, ideazione, percezione, linguaggio, motilità e più bassa scolarità.

bibliografia

Correll CU, Hauser M, Auther AM, et al. Research in people with psy
chosis risk syndrome: a review of the current evidence and future direc
tions. J Child Psychol Psychiatry 2010;51:390-431.

Hafner H, Maurer K. Early Detection of Schizophrenia: current evidenc

and future perspectives. World Psychiatry 200;5:130-8.
Schultze-Lutter F, Ruhrmann S, Berning J, et al. Basic Symptoms an
Ultrahigh Risk criteria: symptom development in the initial prodroma
state. Schizophr Bull 2010;36:182-91.

p87. Valutazione dei precursori neuro-psicocomportamentali in pazienti al first episode di disturbo bipolare dell’umore

L. Verni, V. Bianchini, N. Giordani Paesani, R. Roncone*,

R. Pollice*

Scuola di Specializzazione in Psichiatria, Dipartimento di Scienze della Salute, Università dell’Aquila

introduzione: scopo del nostro studio è quello di analizzare, con strumenti standardizzati, il funzionamento premorboso di un gruppo di pazienti al primo episodio di disturbo bipolare (DSM-IV; APA, 1994) per esaminare la natura ed il tempo di comparsa di eventuali disturbi neuro-psico-comportamentali, verificando se esista o meno una correlazione tra la presenza di anomalie comportamentali nell’infanzia e nell’adolescenza con la sintomatologia e la gravità clinica del disturbo in età adulta. Materiali e metodi: da maggio 2006 ad aprile 2010 sono stati valutati 83 soggetti (38 maschi e 45 femmine), afferenti consecutivamente presso l’ambulatorio S.M.I.L.E. di L’Aquila, al primo episodio di un disturbo bipolare dell’umore. Come gruppo di controllo sono stati valutati 30 soggetti sani, reclutati tra i collaterali di ogni paziente. Sono stati utilizzati i seguenti strumenti di valutazione clinica standardizzata: Brief Psychiatric Rating Scale-24 items (BPRS) (Morosini e Casacchia, 1994) e la Clinical Global Impression. Infine, alla madre di ciascun paziente è stata somministrata la versione modificata da Baum & Walker (1995) della Achenbach Child Behavior Check List for age 0-18 (CBCL/0-18; Achembach, 1991) risultati: il campione totale aveva un punteggio medio alla BPRS 24 items pari a 56,2 (ds ± 4,1) ed alla CGI Severity pari a 4,2 (ds ± 1,2). Il confronto tra i pazienti ed i collaterali per ciascuna delle sei dimensioni di anomalie comportamentali indagate dalla CBCL (isolamento sociale, comportamento ansiosodepressivo, problemi sociali, labilità attentiva, comportamento antisociale, disturbi del pensiero) ha evidenziato differenze in tutti i punteggi medi della scala con un progressivo peggioramento nelle 5 fasce d’età. Abbiamo rilevato correlazioni statisticamente significative tra le sei dimensioni indagate nelle 5 fasce d’età ed il punteggio medio della BPRS e della CGI- Severity. conclusioni: in linea con le più recenti ricerche, i risultati del nostro studio evidenziano differenze nella presentazione clinica ed una maggior gravità del disturbo all’esordio dei soggetti che presentano un peggiore funzionamento premorboso.

bibliografia

Achenbach T. Childhood Behaviour Checklist. Burlington, VT: Univer

sity of Vermont, Department of Psychiatry 1991. Reef J, Diamantopoulou S, van Meurs I, et al. Child to adult continuities of psychopathology: a 24-year follow-up. Acta Psychiatr Scand 2009;120:230-8.

p88. strategie di coping e qualità di vita in pazienti con schizofrenia in fase stabile

S. Zappia, B. Crivelli, C. Mingrone, C. Montemagni,

L. Sandei, P. Rocca

Dipartimento di Neuroscienze, Sezione di Psichiatria, Università di Torino

introduzione: il coping può essere definito come l’insieme delle strategie cognitive e comportamentali che ciascun individuo mette in atto per far fronte a specifici eventi potenzialmente stressanti per il soggetto. Numerosi studi hanno proposto il coping come un determinante critico degli esiti funzionali nei soggetti affetti da schizofrenia e hanno dimostrato che buone capacità di adattamento tramite strategie efficaci, quali il coping task-oriented, si associano ad una migliore qualità di vita e migliori performance sociali e lavorative. Materiali e metodi: obiettivo del presente studio è indagare la relazione tra gli stili di coping e la qualità di vita sia oggettiva che soggettiva in pazienti ambulatoriali con diagnosi di schizofrenia stabile. Abbiamo condotto una valutazione trasversale su 51 soggetti ambulatoriali reclutati presso la Clinica Psichiatrica Universitaria, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino, e il Dipartimento di Salute Mentale Interaziendale

A.S.L. 1 – Molinette di Torino, con diagnosi di schizofrenia sulla base della SCID per il DSM-IV, in fase stabile di malattia. Ai pazienti sono stati somministrate scale di valutazione della gravità della sintomatologia (CGI, PANSS), del funzionamento socio-lavorativo (GAF, PSP), della qualità di vita oggettiva (QLS) e soggettiva (SF-36). In particolare, di quest’ultima sono stati considerati i punteggi parziali relativi a otto domini di salute: attività fisica, limitazioni di ruolo dovute alla salute fisica e limitazioni di ruolo dovute allo stato emotivo, dolore fisico, percezione dello stato di salute generale, vitalità, attività sociali, salute mentale e una singola domanda sul cambiamento nello stato di salute. Le strategie di coping sono state valutate tramite il CISS, che identifica tre stili di coping prevalenti: task-, emotion- e avoidance-oriented. Abbiamo condotto un’analisi di regressione lineare univariata al fine di valutare il contributo dei diversi stili di coping alla qualità di vita dei pazienti. risultati: i risultati preliminari suggerirebbero che, in linea con i risultati presenti in letteratura, l’utilizzo di uno stile di coping task-oriented sarebbe un fattore contribuente ad una migliore qualità di vita soggettiva, in particolare relativamente al dominio “salute mentale”. Al contrario, maggiore è il punteggio alla sotto-scala del coping emotion-oriented, peggiore sarebbe la qualità di vita percepita nella quasi totalità dei domini di salute.

bibliografia

Phillips L, Francey S, Edwards J, et al. Strategies used by psychotic individuals to cope with life stress and symptoms of illness: a systematic review. Anxiety Stress Coping. 2009;22:371-410.

Ritsner M, Gibel A, Ratner Y. Determinants of changes in perceived quality of life in the course of schizophrenia. Qual Life Res 2006;15:515

26.

Yanos P, Moos R. Determinants of functioning and well-being among individuals with schizophrenia: an integrated model. Clin Psychol Rev 2007;27:58-77.

p89. Utilizzo dell’sWN nella pratica clinica come indice predittivo di outcome

P. Zeppegno, P. Prosperini, M. Colombo, O. Allera, S. Gili,

A. Lombardi, E. Torre

SC Psichiatria AOU Maggiore della Carità UPO A Avogadro-Novara

scopi: verificare l’utilizzo dell’SWN nella fase acuta della malattia psichiatrica come indicatore di outcome clinico.

Materiali e metodi: i pazienti sono stati divisi in 4 gruppi in base alla diagnosi (schizofrenia, disturbi dell’umore, disturbi di personalità, reazione acuta allo stress) a loro volta suddivisi in 3 sottogruppi in base alla durata della degenza (T1< 7 gg, T2 = 7-14 gg, T3 > 14 gg). Gli indicatori di benessere soggettivo (sottoscale SWN)e l’indice di gravità di malattia (CGI-S) sono stati valutati al momento sia del ricovero che della dimissione. risultati: alla dimissione si evidenzia una differenza statisticamente significativa tra i gruppi diagnostici nelle sottoscale dell’SWN ad eccezione dell’integrazione sociale e total score a parità di CGI-S. Gli schizofrenici e i disturbi di personalità presentano un miglioramento soggettivo al T2 mentre il gruppo disturbi dell’umore al T3; le reazioni acute allo stress hanno un miglioramento al T1 uguale al T2. La CGI mostra un miglioramento significativo indipendentemente dalla durata dell’osservazione. conclusioni: i dati preliminari attualmente analizzati confer-mano che l’SWN rappresenta un indice predittivo di outcome clinico e di remissione e che affiancato alla valutazione clinica dello specialista può definire programmi terapeutici più mirati.

gioVedì 17 febbraio 2011 – ore 13,50-15,50

Sala: PoSter SeSSion

Secondo GruPPo

disturbi di personalità – doppia diagnosi e abuso di sostanze 
– studi su soggetti sani – disturbi dell’adolescenza e dell’infanzia – 
psichiatria forense e aspetti Medico legali correlati alla psichiatria – 
Management sanitario – ricerche su animali – psicoterapia

p90. l’attività sportiva nella riabilitazione di pazienti con disabilità intellettiva

S. Adamo, S. Palmieri, A.L. Floris, G. Mellino, M.G. Carta

Centro di Psichiatria di Consultazione e Psicosomatica, Azienda Ospedaliero Universitaria di Cagliari

introduzione: la disabilità intellettiva (ID) compromette l’adattamento sociale limitando il funzionamento globale dell’individuo. Le attività sportive possono essere utilizzate in riabilitazione per migliorare l’adattamento sociale e la qualità della vita (Carta et al., 2008). In questo studio si è voluto valutare se l’attività sportiva sia in grado di incidere sul miglioramento della qualità della vita in soggetti con deficit intellettivo medio-grave.Materiali e metodi: disegno: studio naturalistico osservazionale della durata di dodici mesi in individui inseriti in un programma sportivo con differenti opzioni (calcio, pallavolo, atletica, nuoto); campione: 56 soggetti (m. 53, età media 28 ± 9); strumenti WAIS, AIRP versione italiana (Carta et al., 2001). risultati: lo studio ha messo in evidenza un miglioramento del funzionamento globale nell’83,9% dei soggetti (p < 0,001). I miglioramenti hanno riguardato le seguenti aree: affettivo-relazionale (72,22%, p < 0,001); autonomia (16,67%, p < 0,05); abilità prassico-motorie (11,11%, NS). Non sono emerse differenze fra i sottogruppi impegnati in attività individuali e di gruppoconclusioni: i risultati suggeriscono che l’attività sportiva ha contribuito a migliorare e la qualità della vita della maggioranza degli individui con disabilità intellettiva coinvolti nella ricerca.

bibliografia

Carta MG, Hardoy MC, Dessì I, et al. Adjunctive gabapentin in patients with intellectual disability and bipolar spectrum disorders. J Intellect Disabil Res 2001;45:139-45.

Carta MG, Hardoy MC, Pilu A, et al. Improving physical quality of life with group physical activity in the adjunctive treatment of major depressive disorder. Clin Pract Epidemiol Ment Health 2008;4:1.

 

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