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Una risposta a M.Galzigna

28 Ott 12

Di Albertina-Seta, Gianfranco-Vendrame

Abbiamo letto con grande piacere l'articolo di M.Galzigna suPOL.it, che a nostro avviso ha il merito di rilanciare, o forse di proporre"ex novo" alla psichiatria italiana, un dibattito sulle origini 
della psicoanalisi che sembrerebbe rimasto in ombra in ambitonazionale ed europeo.

Tale dibattito infatti parrebbe giunto alle cronache italianee del vecchio continente solo come eco di un più generale processodi revisione che negli ultimi anni avrebbe avuto come protagonisti sopratutto studiosi americani. La vicenda Masson, per moltiaspetti emblematica, esplosa sui media nei primi anni ottanta, valga comeil rimando più noto. Inoltre, come si sa, alle considerazioni in un certo senso ingenue di questo autore e più o meno nello stessoperiodo corrispondeva il lavorio di altri, che dava 
luogo ad un'ampia produzione scientifica di carattere epistemologico,tecnico etc, e che negli anni novanta faceva esplodere la questione. "Freudè morto" intitolava una copertina del "Time International", del29/11/93, all'interno del quale veniva riportata una rassegna dei principalicontributi a quella che veniva presentata come una radicale revisione delfreudismo.

Ricordiamo questi aspetti di attualità per meglio far risaltareil merito che ha ai nostri occhi la comunicazione di Galzigna, non solodi riaprire la questione, ma di farlo proponendo un ben diverso livellodi rigore storico ed epistemologico rispetto agli esempi citati. E questoa partire dalla datazione proposta come inizio di un processo di criticaal freudismo , ai primi anni sessanta, e dal fatto di rintracciarne i pionieri in personaggi di notevole statura e tutti europei.

Nell'intento di fornire un contributo a tale opera diricostruzione,ovvero di rispondere a quello che appare come un invito a ristabilireuna versione corretta della storia, vorremmo innanzitutto ricordare alcune vicende della psicoanalisi italiana che a nostroavviso non poco hanno contribuito ad una messa in discussione del cosiddetto"mito delle origini"della psicoanalisi, ovvero della vicenda Anna O, Breuer,Freud. In secondo luogo vorremmo sinteticamente evidenziare quelli checi appaiono come due rischi abbastanza concreti in cui il dibattito potrebbescivolare.

A proposito del primo punto, non possiamo che rimandarealla lettura del volume di L.A.Armando "Storia della psicoanalisi in Italiadal 1971 al 1996", volume appena uscito dalle Nuove Edizioni Romane comeristampa aggiornata della precedente "Storia della psicoanalisi inItalia dal 1971 al 1989", uscita nell'aprile del 1989. A questa indicazioneessenziale si potrebbero aggiungere ulteriori riferimenti a studi piùspecificamente relativi alla questione del "mito delle origini", ma questi , puntualmente indicati all'interno dello stesso volume citato,che ha il merito tra l'altro di fornire una minuziosa bibliografia, sonoa nostro avviso da inquadrare nella più ampia vicenda che la "Storia" propone. 
Data questa precisazione, che ci appare doverosa e forseutile al difficile tentativo di ricostruire la vicenda di una critica alfreudismo condotta sul piano storico, proviamo ad entrare nel merito diquelli che, dal nostro punto di vista di psichiatri, ci appaiono i rischipiù consistenti in cui tale tentativo potrebbe imbattersi. Ne indicheremmoalmeno due.

Il primo potrebbe riguardare per così dire un difetto diradicalità, che potrebbe rischiare di mancare un possibile nessotra la mistificazione dei risultati dell'applicazione del freudismo alla clinica ed il tentativo di coprire eventuali aporie insite nella stessa teoria.In altre parole, se da una parte si può concordare che unacerta agiografia, "alla Jones" come scrive Galzigna, possa aver contribuitoa nascondere le mancanze e addirittura i fallimenti del freudismo sul pianopratico, dall'altra c'é da notare come spesso la revisione storicapaia eludere il nodo della teoria. Ovvero ci chiediamo e proponiamo aldibattito: è possibile rintracciare un collegamento tra ifallimenti nella cura ed i presupposti teorici della prassi freudiana (e dei suoi derivati)?

Il secondo potrebbe apparire all'opposto come un eccesso di radicalità,ma tale dizione potrebbe essere ingannevole, ci sembra piùcorretto in definitiva parlare di elementi di "distruttività"presentati da alcuni contributi alla critica al freudismo, in specie nordamericani,che arrivano a liquidare la stessa nozione di "inconscio". Proponiamo ilquesito se in tal modo non si tenda a sancire l'impossibilità diuna ricerca sulla realtà psichica, confermando una vecchia ideache la psichiatria debba occuparsi solo di alterazioni del comportamento edella coscienza.

Sperando di avere risposto adeguatamente all'invito di M.Galzignachiudiamo per il momento qui, rinnovando il nostro riconoscimentoai meriti del suo lavoro. Riportiamo in calce alcuni riferimenti bibliografici 

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