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Nota introduttiva all’articolo di Franco Fasolo

10 Ott 12

Di anna.grazia@fastwebnet.it

Un primo contributo sulla psicoterapia nei servizi ci viene proposto dal dottor Franco Fasolo, psichiatra e primario del Dipartimento Salute Mentale di Cittadella (Padova).

Come egli stesso ricorda in questa testimonianza, le radici della sua formazione risalgono all'insegnamento del professor Ferdinando Barison, di Padova, che è stato per molti colleghi un maestro e un personaggio di spicco della psichiatria italiana, animato com'era da una particolare sensibilità che lo portava ad incontrare il malato mentale in una dimensione fenomenologica, che come sappiamo non era molto diffusa nella psichiatria italiana in quel periodo.

Come testimonia anche Giovanni Gozzetti, negli anni in cui dirigeva l'Ospedale Psichiatrico di Padova, Barison passava molte ore a dialogare con i pazienti, soffermandosi sull'osservazione di tratti che illuminassero la dimensione psichica del malato, prescrivendo ai collaboratori la descrizione accurata del colloquio clinico, l'attenzione per i fatti della vita quotidiana, il ritratto vivo che emergeva dall'incontro con il malato. Lo psichiatra, sottolineava Barison, vive ai confini di ciò che si conosce e quindi ogni psichiatra vede al di là di quei confini qualcosa che lo affascina. (Barison F., 1988)

Questa cultura fenomenologica non si esauriva però, a Padova, nell'incontro a due – nello studio medico – tra il malato lungodegente e lo psichiatra, ma si concretizzava altresì nell'impulso ad organizzare una ricca vita sociale dei malati nelle comunità di reparto. Già dalla fine degli anni sessanta nell'ospedale psichiatrico di Padova iniziava infatti una vivace sperimentazione dell'utilizzo sia dei piccoli gruppi, a scopo terapeutico, sia di quelli grandi, ad impronta assembleare. Fasolo stesso ha continuato, sul piano della formazione personale e della pratica clinica, ad utilizzare la tecnica gruppoanalitica, legata alla matrice fenomenologica e teoricamente congruente con gli sviluppi della psichiatria sociale e di comunità. Grazie all'impegno di Giovanni Gozzetti, insieme con Eliodoro Novello e Sergio Fava, Franco Fasolo è stato uno dei soci fondatori della ASVEGRA (Associazione Veneta per la ricerca e la formazione in Psicoterapia Analitica di Gruppo): questa associazione ha lavorato per molti anni promuovendo nel Veneto – per gli operatori dei servizi psichiatrici – numerose esperienze di formazione, sia a livello del lavoro con i gruppi sia stimolando la riflessione sul contesto e sui progetti dell'istituzione psichiatrica. In questa attività – occorre ricordarlo – ha avuto molta importanza l'azione di guida e di stimolo promossa da Salomon Resnik, psicoanalista e psichiatra, che risiede a Parigi ma da diversi anni è anche molto attivo nel Veneto.

Nello stesso tempo l'attività di questa associazione, fortemente impegnata nel servizio pubblico, ha fornito un contributo significativo per lo sviluppo della Confederazione delle Organizzazioni italiane per la ricerca Analitica sui Gruppi (COIRAG). In particolare Franco Fasolo, nel periodo in cui è stato presidente della COIRAG, ha dato un notevole impulso per la nascita della rivista "Gruppi nella clinica, nelle istituzioni, nella società". Attualmente l'ASVEGRA, sia grazie all'importanza della psicoterapia di gruppo per la psichiatria comunitaria aziendalizzata, sia grazie al contributo dell'ultima generazione di Soci, costituita dai colleghi specializzati presso la scuola di psicoterapia della COIRAG, è entrata in una fase interessante di confronto con altre esperienze e di sviluppo della gruppoanalisi.

Nel libro "Psichiatria di territorio Almanacco 99", Franco Fasolo illustra la mission della psichiatria territoriale, che deve essere sempre più impegnata a "ridurre la somatizzazione promuovendo la mentalizzazione". Lo scopo è di ridurre ciò che di patologico è ascrivibile al soma del paziente, restituendo una dimensione di umanità e di senso alla sofferenza mentale, che diversamente sarebbe classificabile o curabile solo all'interno di un paradigma rigidamente neurobiologico. Ci sembra importante sottolineare questo passaggio perché la psichiatria, più di altre discipline, rischia di essere snaturata se prevarrà l'organicismo tecnologico, a scapito della dimensione antropologica che permette di comprendere la sofferenza dell'Altro.

Sempre sullo stesso tema Piero Piccione, allievo di Bruno Callieri, nel suo recente manuale "L'etica nella pratica psichiatrica", sottolinea come si rimanga sconcertati nell'ascoltare l'interrogativo imbarazzante che circola negli ambienti accademici "circa la possibilità o liceità di omettere dal percorso formativo medico e psichiatrico lo studio e la conoscenza della fenomenologia, della psicopatologia, della psicologia analitica a favore dello studio di più concreti metabolismi e recettori."

Occuparsi della dimensione antropologica ed esistenziale di un paziente potrebbe paradossalmente andare quindi contro un principio etico astratto, assunto strumentalmente da certa psichiatria, che pone in primo piano non più la dimensione umana nel suo complesso, ma l'intreccio di sinapsi, recettori e neuromediatori del cervello.

Abbiamo tutti quotidianamente sotto gli occhi il danno che ha già prodotto in medicina generale l'assunto del corpo-macchina: se a questa domanda verrà data una risposta positiva da parte degli psichiatri, allora bisognerà chiedersi quale vero progresso potrà realizzarsi nel campo della salute mentale per l'intera collettività, e su quale orientamento filosofico sarà basata la psichiatria nel futuro se abbraccerà un arido riduzionismo neurobiologico per superare la sua attuale crisi.

Alla luce di quanto denuncia Piccione, comprendiamo meglio cosa intende comunicarci Fasolo quando afferma che la psichiatria non deve solo occuparsi dell'aspetto somatico delle menti, bensì attivare i processi di mentalizzazione: che la psichiatria si occupi della dimensione mentale a molti sembrerà scontato: ma non sarà così se il focus di questa disciplina convergerà sempre più sullo studio del controllo farmacologico del comportamento umano.

"Mentalizzare" significa quindi spostare l'attenzione sulla dimensione del mondo interno del paziente (e del suo ambiente familiare e sociale) che appare, nell'ottica gruppoanalitica, frutto di una matrice relazionale affettiva, passata e presente.

La cura non è quindi soltanto prescrizione medica, ma è anche opera di costruzione e ricostruzione di vecchi e nuovi legami sociali e affettivi, che per il paziente psichiatrico – magari cronicizzato – spesso sembrano essere inesorabilmente compromessi e recisi. La psichiatria assolve quindi pienamente al suo compito di prendersi cura del malato, solo quando riesce a diventare a pieno titolopsichiatria di comunità. Il gruppo curante dovrebbe orientarsi sul modello della medicina del territorio – che ha il suo perno principale nel medico generalista – e sulla pratica di comunità, che permette di riscoprire il lavoro in rete di tutti i soggetti che a vario titolo sono coinvolti nei processi legati alla condizione di base che favorisce la salute mentale.

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