A ottantun anni, Mauro Morra se ne andato, senza essersi ricordato di invecchiare: chi lo conosceva non cessava di stupirsi di questo apparente settantenne che continuava a sciare, a fare passeggiate in montagna, a fare lunghe nuotate anche ai limiti della stagione calda.
Per me, che l’ho conosciuto bene, è ricordo di ieri averlo visto, in passeggiata sul Monte di Portofino, dare indicazioni di percorso ai gitanti domenicali, come se fosse stato una guardia forestale o un addetto dell’Agenzia di Soggiorno; è ricordo dello scorso agosto vederlo arrivare a remi sulla spiaggia di Bogliasco, sulla lancetta della Dilettanti Pesca di Quinto. Solo quest’estate mi aveva detto: "sai, questa volta ho fatto remare un po’ anche Milvia. Non è più come l’anno scorso".
Mauro Morra era una persona la cui sete di esperienze era straordinaria, fin da quando, studente di Medicina, aveva dovuto interrompere gli studi perché richiamato alle armi dopo l’otto settembre. Avendo scelto di sfuggire la coscrizione della Repubblica di Salò, si era arruolato nelle Brigate Garibaldi, per combattere in Val d’Ossola. Di quell’esperienza andava molto fiero, ed era solito raccontare, con un orgoglio che traspariva sotto la sua discrezione, di essere riuscito ad impedire l’esecuzione, rappresaglia di altre rappresaglie, di una pattuglia di tedeschi catturati.
Fu quella un’occasione nella quale il suo essere spirito libero, si manifestò con quel rigore e quella determinazione che non lo abbandonarono mai, quando in seguito si trovò tanto spesso in posizioni minoritarie in tutte le battaglie che ebbe a combattere.
Laureatosi a Milano con Carlo Lorenzo Cazzullo, dopo la fine del conflitto, aveva scelto di occuparsi di psichiatria, e l’incontro con Franco Fornari gli fece assaporare il fascino della psicoanalisi. Diventato psicoanalista sotto la guida di Cesare Musatti, fu presto un giovane didatta dell’Istituto Milanese di Psicoanalisi, ma la sua inarrestabile curiosità lo spinse a viaggiare, forse sentendo che quella nuova disciplina, essendo stata confinata troppo a lungo fuori dell’Italia, aveva molto di più da raccontare di quanto l’orizzonte nazionale potesse permettere.
Negli anni sessanta fu a Zurigo, nuovamente in analisi didattica con Raymond de Saussure (figlio di Ferdinand, il celebre padre della Linguistica moderna). Non gli bastava: neanche dieci anni dopo, cominciò a frequentare gli ambienti londinesi della scuola di Melanie Klein, iniziando ben presto una terza analisi didattica con Hanna Segal, una delle più importanti allieve della Klein.
Visse ininterrottamente a Londra tra il 1973 e il 1987, lavorando inizialmente come primario in un Ospedale Psichiatrico per adulti, per poi passare ad occuparsi di psicoanalisi infantile: fu direttore di un centro per bambini autistici, di una Child Guidance Clinic (una specie di consultorio pedopsichiatrico), di Centri per adolescenti gravemente disturbati.
Ma lo spirito errabondo avrebbe avuto ancora una volta la meglio: quando lo incontrai per la prima volta nel 1982, fui colpito dal suo amore per Genova, sua città natale, abbandonata quando era ancora un ragazzo.
Nel 1987, Morra si trasferì a Genova con la famiglia, dove iniziò un’intensa attività clinica. Stava allora nascendo il Centro Psicoanalitico di Genova, che lo vide fra i didatti più apprezzati. Contribuì a formare più generazioni di psicoanalisti genovesi, e fu un punto di riferimento assoluto per i giovani psicoterapeuti infantili che, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, iniziarono a lavorare tanto nei servizi pubblici quanto negli studi privati.
Fra tante attività, Morra non fu mai abbandonato dalla passione politica, prima in Rifondazione Comunista e poi, a seguito della scissione del 1990, come dirigente locale del Partito dei Comunisti Italiani, non rinunciando mai a far vita di sezione, a lavorare nell’organizzazione politica, "compagno di base" tra i compagni di base, con la modestia e l’understatement che lo avevano sempre contraddistinto.
In un’esistenza così piena, scandita da abitudini salubri e poco consumistiche, Morra si divideva tra la professione, l’insegnamento, la politica, i viaggi di studio (e di piacere) all’estero. Non si sarebbe mai negato un’escursione, un bagno anche in spiagge lontane, sempre raggiunte rigorosamente in treno, un concerto sinfonico, di cui lui, figlio di una musicista, era un appassionato ed esperto cultore.
Per chi scrive, Morra è stato un maestro, un collega, un amico intimo di straordinaria generosità, sempre presente e pronto a sostenere nei momenti di difficoltà, sempre discreto e poco loquace, quando le parole non servono. Del suo insegnamento, mi restano soprattutto impressi l’umiltà, il rigore professionale, la straordinaria onestà e lealtà nei confronti del paziente. Da lui ho tentato, non del tutto riuscendoci, di imparare a non dire nulla di più delle parole che servono veramente.
Di una cosa, Morra non voleva sentir parlare: dell’età che non si sentiva addosso. Quando compì ottant’anni, i suoi colleghi del Centro Psicoanalitico Genovese, vollero celebrare l’evento con una giornata di studi dedicata all’Osservazione Psicoanalitica del neonato, un tema che gli era molto caro, per aver frequentato personalmente i seminari di Ester Bick, e per aver supervisionato a lungo gli studenti dei corsi di psicoterapia infantile, per i quali tale tecnica era un fondamentale passaggio formativo. "Bene, -mi confidò, con quell’ironia alla quale ero abituato- mi fa molto piacere: ma non voglio assolutamente che celebrino il mio ottantesimo compleanno. Sono ancora piuttosto giovane".
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