Come ogni anno nella splendida e tranquilla cornice di Lavarone si è tenuto dal 7 al 10 luglio 2006 il convegno su "L’esperienza della bellezza" organizzato dal Centro Studi "Gradiva", i Comuni degli Altipiani Trentini e la SPI.
Se si volesse trovare un concetto sintetico con cui riassumere l’argomento, verrebbe da scegliere una frase citata, nell’ultimo giorno, dalla prof.ssa Rossana Buono docente a Roma di Storia dell’Arte contemporanea: "Oggi l’arte non può più proporre un sogno fittizio". Frase che rappresenta bene il nostro disorientamento, tra sogno della veglia e realtà troppo nuove per essere ben digerite dalla funzione alpha.
I relatori si sono chiesti cosa fosse la bellezza, privilegiando, il settore delle arti figurative (fra l’altro chiamate a lungo "Belle arti"…) e lasciando in ombra per esempio musica e architettura. Ma questo non può essere considerato un difetto perché essi ci hanno offerto cultura e un sapere generosamente proposto con lievità, delicatezza, bellezza.
Parafrasando una citazione del prof. Adone Brandalise, possiamo affermare che così come accade in un museo in cui "bisogna osservare le opere non con un atteggiamento contemplativo, ma in velocità per cogliere il folgorare del loro accadere, quasi con la coda dell’occhio" così direi è stato il nostro atteggiamento nei confronti di quanto ci veniva esposto, non solo con le parole ma anche con splendide immagini di opere d’arte di tutti i tempi, proiettate nella sala, che lasciavano in noi emozioni intense, da ripensare a lungo.
La consueta apertura con la presentazione di un libro ha visto Simona Argentieri e Manuela Trinci divertirsi in un dialogo vivace, competente e coinvolgente, che ha attratto l’attenzione e conquistata la simpatia del numeroso pubblico. Stavolta si trattava del bel libro di Silvia Vegetti Finzi "Quando i genitori si dividono. I sentimenti dei figli". Un testo in buona misura composto da lettere di figli di separati che cercano di vivere, riparando il dolore, partendo dal dolore per nuove conquiste, o attribuendo ai genitori più responsabilità del dovuto.
Nel dopocena si è svolta la serata con Caterina Virdis Limentani, docente sia di storia dell’arte, sia di storia e tecnologia della moda, su "La bellezza pericolosa". Abbiamo seguito diverse immagini, dai mitici Narciso ed Eco, Psiche Amore, Apollo e Dafne, Marte e Venere, fino alle figure emblematiche dei nostri giorni.
La Virdis ci ha guidati nell’analisi di questioni quanto mai intriganti, quali "perché la bellezza conduce al male" rifiutando di seguire l’amore, o perché lo sguardo (di Psyché) tenda a vedere ciò che non deve vedere, perché la bellezza è stata intesa come male per l’anima, ma anche ad interrogarci sulla fragilità della bellezza, sulla bellezza come male per gli altri e infine sulla bellezza fatale e su quella artificiale, così di moda, che tende ad appiattire, a distruggere le diversità per omologarsi ad un concetto di bello deciso al computer dai designer di moda.
Al mattino di sabato i lavori sono stati aperti dalla dott.ssa Graziella Magherini, psicoanalista, e dal già citato prof. Adone Brandalise che, ben coordinati da Fausto Petrella, ci hanno guidato, la prima ad analizzare "Il perturbante estetico. Dalla sindrome di Stendhal verso un modello di fruizione estetica" e il secondo su "L’eternità che non resta. Bellezza e impermanenza".
La Magherini con eleganza e competenza ci ha illustrato il modello di fruizione artistica che intreccia quattro diverse variabili: l’esperienza estetica primaria tra la madre e il bambino, cioè il perdersi nell’incontro con la bellezza, il perturbante insito in ogni opera d’arte, prodotto dall’incontro tra l’inconscio dell’artista e quello del fruitore dell’opera, che percepisce una dispercezione, il "fatto scelto" (che a sua volta Bion sceglie da Poincaré), e infine, i contenuti e la forma dell’opera d’arte, variamente connessi agli aspetti inconsci dell’autore, nonché all’argomento rappresentato.
Nelle opere d’arte può operare un perturbante che fa emergere parti arcaiche non pensate, conservate come aree scisse. Splendida l’analisi del Narciso del Caravaggio (o forse di un suo allievo) e dei casi clinici descritti dalla Magherini.
Adone Brandalise, docente di teoria della letteratura, ci ha sedotto con il topos della rosa la cui fioritura coincide con lo spettacolo del suo declinare. Bisogna accettare che la rosa sfiorisca, ma resta il profumo della sua acqua. Nel suo intervento ha mostrato la caducità della bellezza e come l’arte abbia tentato di assicurare a ciò che è caduco, una sorta di immortalità, specificando che una componente della bellezza sia proprio il suo passare, non il non esserci più, ma l’andare oltre al proprio permanere come oggetto, per risolversi come cosa tra le cose la cui bellezza è il proprio accadimento. L’arte ci propone il paradosso dell’eternità esperita come impermanenza, come un puro non durare, al di là di ogni piccolissima durata. Se la si insegue, la bellezza passa, ma non è facile da afferrare.
"Il posto del sublime è sotto"! Ha esordito così, nel pomeriggio, lo psicoanalista Alberto Schön nel suo intervento su "La bellezza in che senso? L’arte contemporanea e l’ostilità". Lo spazio del bello per Schön si determina per mezzo di quattro vettori: la direzione, i significati, il fatto che susciti emozioni e i sensi che lo percepiscono. A volte qualcosa ci sembra bello perché è antropomorfo oppure perché c’è un’identità di pensiero tra l’esecutore e il fruitore.
Schön si e ci chiede se ci accada con l’arte contemporanea di rimanere disorientati, di sperimentare una sindrome di Stendhal attenuata, o piuttosto come accade a lui, di sentirsi traditi e irritati da certe attuali forme espressive. Qual è il significato dell’ostilità che frequentemente nasce di fronte ad un’opera contemporanea. Cosa provoca gli eccessi di certa arte dei nostri giorni? Come eventualmente l’ideologia costringe ad itinerari obbligati che riducono la creatività? Certo l’irritazione è insieme un meccanismo difensivo e un segnale dell’efficacia del messaggio. L’arte del nostro tempo ci rappresenta come siamo: troppo narcisisti, omologati e inclini all’indifferenziazione. Queste e altre provocazioni hanno stimolato una vivace discussione sui contenuti e forme dell’arte contemporanea.
A questo intervento è seguito un commento di Simona Argentieri, psicoanalista, che ha guidato la discussione, in cui ha affermato come le opere d’arte contemporanea disorganizzino senza fornire la possibilità di una ri-organizzazione ed è questo forse ad irritare, ma anche a risvegliare, a livello conscio, un perturbante che pur provenendo da livelli psicotici, lascia però l’inconscio in secondo piano.
Karl-Siegbert Rehberg, professore di teoria sociologica all’Università di Dresda e docente dell’Università di Trento, ha considerato il ruolo dell’arte nelle teorie di Freud, contributo cruciale, a livello sociologico, per la valorizzazione dell’arte stessa, raffrontando la sua opera a quella di Gehlen, sociologo dell’arte e di Plessner, antropologo.
Il vero artista sa rappresentare, a volte anticipando il futuro, gli aspetti più importanti del tempo presente. In un linguaggio meno sociologico potremmo dire che un bravo artista è colui che emerge nel gruppo, facendosi carico, attraverso le sue opere, del disagio della civiltà. Oggi l’arte astratta è coerente espressione della società postindustriale e postborghese.
Peraltro il poter discutere della poca competenza, ma anche della critica di Freud alle opere d’arte a lui coeve è stato in certo qual modo rassicurante e liberatorio per il pubblico, vista la competenza artistica che i relatori fino a quel momento, ma anche il giorno seguente, hanno saputo offrirci.
Domenica mattina infine Filippo Ferro, psicoanalista ma anche storico dell’arte con il "Sublime e perturbante: dialettica della coscienza e della bellezza" ci ha sedotto ed intrigato con un percorso che dava senso alla crisi della bellezza armoniosa, evidenziando come in essa sia nascosto un perturbante che se emerge può portare a forti emozioni e perfino al panico.
Bellissima la carrellata di opere proiettate sullo schermo che sono spaziate da Ingres a Carracci, da Anth a Turner, da Freidrich, a Böchlin.
Infine la prof.ssa Rossana Buono ha concluso i lavori con la splendida e coinvolgente relazione su "La bellezza non abita più qui. Dalle belle arti alla Trash Art" che ha chiarito come l’arte contemporanea non senta più i dover piacere attraverso le opere. Dall’avvento della fotografia e successive tecnologie grazie alle quali si costruiscono industrialmente opere con dettagli più precisi, si può concedere al brutto una rivincita, peraltro rifacendosi al buon vecchio Eraclito che affermava come "il più bell’ordinamento del mondo non è altro che un cumulo di rifiuti ammonticchiati in un angolo"! Oggi gli artisti badano meno al prodotto e più all’idea la cui comprensione è meno popolare e più elitaria.
Assume oggi dunque valore la dissonanza, la deformità e il caos, fino a certi estremi della Body Art o del Kitch, rappresentante ufficiale del cattivo gusto.
L’arte dunque scende da un piedistallo ed entra nel quotidiano con sfide, provocazioni, dissenso e conflitto. Un’Arte che si fa denuncia delle contraddizioni.
Le cose dette dalla Buono sono quelle che di più hanno suscitato la nostra attenzione, in quanto psicoanalisti e psicoterapeuti. La carrellata di immagini di esempi estremi, post-human, al limite della psicosi e della perversione, è stata una stimolazione sensoriale di difficile digestione, che però ha alimentato una viva discussione e molti dei discorsi che ci hanno accompagnato nel viaggio di ritorno.
L’arte contemporanea dunque non teme (anche se a volte sembra cercare) un allontanamento dalla bellezza, come capacità di sentire emozioni e di trasformarle per comunicarle, costringendoci a vivere nella sensorialità pura, dove i sogni appunto perdono il loro carattere fittizio per divenire fin troppo reali.
L’anno prossimo ci incontriamo il 13 — 15 luglio intorno al tema "Natura e artifizio", come sempre senza raccolta di punti ECM.
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