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PROTEZIONE DEI MALATI DI MENTE IN SPAGNA

6 Ott 12

Di arturocasoni

In questa relazione tratteremo del procedimento da seguire nei casi in cui l'individuo deve soffrire una restrizione della propria personalità civile a causa di un determinato tipo di infermità che può limitarla, o che può limitare la propria capacità di autogoverno. Il procedimento si deve fondare sulla esistenza di diritti fondamentali della persona, la cui restrizione per mezzo del procedimento di interdizione (inabilitizaione) ha come ragione d'essere quella di permettere una migliore protezione di questi diritti, dato che non si possono lasciare autonomi coloro che o non hanno la capacità d'intendere e di volere, o l'hanno molto limitata.

 

1.- Impostazione costituzionale.-

Il diritto moderno fonda la protezione della persona sul riconoscimento e sulla conseguente protezione dei suoi diritti fondamentali. Nell'ambito europeo, tali diritti si trovano riuniti nel "Trattato europeo dei Diritti umani", riconosciuto dalla Spagna e, perciò, pienamente vigente nell'ambito giuridico spagnolo. Nel territorio spagnolo la Costituzione del 1978 garantisce a tutti i cittadini il rispetto dei loro diritti fondamentali, fra i quali si trova il diritto secondo il quale nessuno può essere privato della propria libertà, tranne nei casi e nelle forme previste dalle leggi (art. 17.1 CE). Questa disposizione si deve considerare nel campo dell'impostazione costituzionale della garanzia degli infermi mentali. Appaiono due tipi di diritti derivati dalla disposizione generale contenuta nell'art. 17. CE:

1º). Il diritto fondamentale alla libertà e il conseguente diritto fondamentale alla sicurezza. Il testo costituzionale che riguarda questi diritti non si riferisce esclusivamente al fermo illegale delle persone a causa delle loro idee, o a causa di delitti che non hanno commesso, deve ampliarsi anche ad altri tipi di fermo, come quelli che sono conseguenza diretta dell'esistenza di un determinato tipo di malattia mentale o di anomalia psichica, che obbliga ad un internamento non volontario. Pertanto, nel diritto fondamentale alla libertà deve considerarsi necessariamente incluso ogni tipo di perdita dell'indipendenza della persona, qualunque sia la causa che l'abbia provocata ed ogni qualvolta tale perdita sia contraria o estranea alla decisione volontaria di chi la soffre.

2º) Il riferimento concreto al diritto alla salute nei cosiddetti Diritti Sociali, che si trovano riuniti nel capitolo terzo del libro primo della Costituzione spagnola e che lì vengono definiti come principi rettori della politica sociale ed economica, propria di uno stato sociale e democratico di diritto. In altre parole, tali diritti non possono essere reclamati direttamente, perche non formano parte del nucleo dei diritti fondamentali, bensì devono configurare la legislazione posteriore alla costituzione e costituire il contesto entro cui devono prendersi le decisioni giudiziarie che si presentano in tribunale.

In questi diritti sociali devono includersi i tre riferimenti ai diritti strettamenti collegati con la salute: nell'art. 43.1 CE si dichiara che: "si risconosce il diritto alla protezione della salute", protezione che è di competenza dei poteri pubblici attraverso le misure preventive e le prestazioni sociali. Nell'art. 49 CE ci si riferisce espressamente ai menomati fisici, sensoriali e psichici e si stabilisce quanto segue:

"I poteri pubblici attueranno una politica di previdenza, trattamento, riabilitazione ed integrazione degli handicappati…ai quali si presterà l'attenzione specializzata che necessitano e li proteggeranno soprattuto affinchè usufruiscano dei diritti che questo Titolo conferisce a tutti i cittadini"; infine, l'art. 41 CE prevede la necessità di stabilire un sistema di previdenza sociale per tutti i cittadini.

Questa linea costituzionale ha trovato il suo sviluppo in leggi diverse e, per quanto qui ci interessa, in relazione, inoltre, con la protezione dei diritti fondamentali di coloro che qui denominiamo infermi mentali, bisogna tener presente le seguenti leggi:

-Ley General de Sanidad (Legge Generale di Sanità). 14/1986, del 25 aprile.

-Ley 13/1983, del 24 ottobre, che riformò il codice civile in tutto ciò che si riferisce alla protezione degli incapaci, per mezzo di formule di diritto privato, come, per esempio, la tutela e la patria potestà prorogata.

-Nell'ambito catalano la ley 9/1998, del 15 luglio, "código de familia". Questa legge si applicherà a tutte quelle persone menomate che usufruiscono della condizione di catalano.

Da tutto ciò bisogna trarre, in primo luogo, un'importante conclusione, data l'interazione esistente fra la Costituzione e le leggi ordinarie: le misure legali da prendere per proteggere quelle persone che per le loro condizioni psichiche non sono capaci di aver cura di sè stessi, devono avere come fine e, allo stesso tempo, come limite il rispetto ai diritti fondamentali del malato e la capacità di proteggere e sviluppare la sua personalità, così come viene stabilito nell'art. 10 CE. Solo in tal modo si può armonizzare il complesso costituito dalla necessaria garanzia di sicurezza dei diritti fondamentali che appartengono a chiunque, indipendentemente dal suo stato di salute fisica e mentale e dalle necessarie misure di protezione, a cusa della sua infermità.

In questa relazione si tratteranno due argomenti relazionati con il tipo ed il contenuto delle misure di protezione: l'interdizione come forma di protezione e l'internamento di infermi mentali.

 

2.- L'Interdizione come misura di protezione.

Quando l'ordinamento giuridico deve prendere decisioni in torno a chi è capace di decidere sulla sua propria persona e sui suoi propri beni, senza nessun tipo d'interferenza, fa uso di due parametri oggettivi: l'età e la capacità mentale.

Perciò il sistema di protezione di diritto privato che viene elaborato si fonderà sull'assenza o presenza di questi due elementi.

-Rispetto all'età, si fa distinzione fra maggioranza e minoranza di età. Prima dei diciotto anni, momento fissato per determinare l'inizio di quel periodo della vita nel quale non si ha bisogno di nessuno per agire nel mondo del diritto in modo valido, la persona non può realizzare atti giuridicamente efficaci da sola, tranne quelli riconosciuti espressamente nell'ordinamento giuridico. Ha bisoogno di un sistema di protezione che sarà la patria potestà, se vivono i propri genitori e questi sono capaci, o la tutela, se non ha genitori o, pur avendoli, gli stessi non sono capaci di decidere per i propri figli.

-La capacità mentale costituisce l'altra regola: dalla maggioranza d'età in poi la persona è capace, può agire in modo efficace da sola. Può, però, accadere che la persona sia colpita da una anomalia fisica o psiquica, ma soprattuto psiquica, che le impedisce ciò che la legge chiama il governo di sè stessa. Pertanto, qualora sia presente un ostacolo che impedisce alla persona di autogovernarsi (art. 200 Cc.), può procedersi alla così definita interdizione, la cui finalità è duplice: -da una parte, limita la capacità piena che la persona avrebbe nel caso non fosse sottoposta a questo procedimento di protezione; in quanto si arriva all'interdizione, la persona non potrà più agire da sola per tutto ciò che concerne la restrizione della sua capacità, sarà invece il suo tutore ad agire per lei, oppure il proprio inabilitato insieme, però, al proprio curatore.

Dall'altra parte, e come conseguenza della soppressione totale o parziale della capacità, la persona è sottoposta alla cura e protezione di altri: i genitori, il tutore o il curatore.

Per concludere, quando il procedimento protettore della minoranza d'età, che impedisce alla persona di agire con piena efficacia giuridica nel mondo del diritto a causa della propria età, termina, può cominciare l'altro procedimento protettore, l'interdizione, se l'individuo maggiore d'età è colpito da qualche malattia che gli impedisce di autogovernarsi.

 

2.1. Concetto.

L'interdizione sarà, quindi, uno stato civile della

persona, cioè una situazione permanente che implica l'impossibilità di agire efficacemente dal punto di vista giuridico. L'interdizione ha le seguenti caratteristiche:

1) È uno stato civile della persona.

2) Deve essere dichiarata per mezzo di una sentenza giudiziale (art. 199 Cc.), dato che elimina, sia totalmente, sia parzialmente, la libertà di azione della persona e incide sui suoi diritti fondamentali.

3) Deve fondarsi su una delle cause previste legalmente.

4) Ha come effetto l'essere sottoposti ad un sistema di vigilanza, che può essere uno dei seguenti:

-La patria potestà prorogata, quando l'incapace ha genitori che possono essercitare la patria potestà.

-La tutela, quando non esistono genitori.

-La curatela, quando non si dichiara l'incapacità totale, ma solo si limitano gli atti che la persona sottoposta a questo sistema di vigilanza può realizzare da sola.

Il moderno sistema di protezione di incapaci, a partire dalla riforma realizzata nel Codice civile nel 1983, non contempla un regime uniforme di interdizione con la conseguente uniformità dei sistemi di tutela.

L'art. 210 Cc. stabilisce un sistema di gradualità dell'interdizione, quando prevede che la sentenza, nella quale tale interdizione viene dichiarata, "determinerà l'estensione e i limiti", in modo che il grado d'incapacità della persona che si vuole interdire permetterà di stabilire un sistema di protezione adeguato ed adattato per ogni caso.

E così si può dire che, d'accordo con quanto viene stabilito nel Codice civile, non si è né assolutamente capaci, né assolutamente incapaci, bensí si può essere capaci per alcune cose e non capaci per altre, per le quali si determinerà un sistema di protezione. Oppure, se il grado d'incapacità è totale, così dovrà essere dichiarato e dovrà essere ordinato un sistema di sorveglianza che non permetta all'incapace di agire in nessun caso. Perciò il grado d'interdizione dichiarato dal giudice dipenderà dal grado d'incapacità fisica o psiquica della persona dichiarata incapace.

Di conseguenza, può dirsi che l'infermità mentale è causa d'interdizione, la provoca; però il grado d'incapacità dichiarato legalmente dipenderà dalla perdita reale di competenza provocata dalla malattia.

 

2.2. Cause d'interdizione.

L'art. 200 C.c. contiene una formula flessibile che si allontana dalle rigide forme dell'anteriore codice, dove le cause erano definite e limitate nel numero. L'art. 200 Cc. stabilisce che: "sono cause d'interdizione le infermità o deficienze persistenti di carattere fisico o psiquico che impediscono alla persona di governare se stessi". Questa flessibilità permette che si dichiari incapace chi è veramente limitato nella sua capacità a causa di una malattia, nonostante tale flessibilità sia stata criticata perchè potrebbe dar luogo a rischi, nel caso fosse oggetto di una interpretazione molto ampia.

Tuttavia la stessa definizione contiene due elementi che limitano l'apparente ampiezza dell'enunciato, dato che le malattie che possono provocare alterazioni della personalità devono avere due requisiti, affinchè possano essere cause d'interdizione: quello di essere persistenti e quello d'impedire che la persona possa autogovernarsi. Se mancasse uno solo di questi due requisiti, come per esempio nelle malattie occasionali, non ci sarebbe nessuna ragione per dichiarare l'interdizione e il giudice, di conseguenza, la denegherebbe.

Il testo dell'art. 200 Cc. ci obbliga ad uno studio più minuzioso dei requisiti che una infermità deve avere perchè possa essere motivo d'interdizione.

Primo. Persistenza. Le caratteristiche della malattia devono condurre alla conclusione che si tratta di una infermità che si prolunga nel tempo, oppure che è irreversibile e definitiva. Si decreterà l'interdizione come misura stabile, né temporale né intermittente. Tutto ciò, però, né contempla le caratteristiche del procedimento d'interdizione, né il suo concetto come sistema protettore della persona rispetto alla propria inoperosità.

Secondo. L'infermità deve impedire la capacità naturale di autogoverno, in modo che la persona non possa agire responsabilmente per difendere i propri interessi. Perció si afferma che l'infermità non provoca di per sè l'interdizione, se ad essa non si unisce un'alterazione nella capacità di agire responsabilmente. E sono, precisamente, le conseguenze derivate dall'infermità quelle che costituiscono l'elemento che provocherà l'interdizione.

 

2.3. Coloro che possono essere interdetti.

Qualunque persona, nella situazione che abbiamo appena descritta, può essere interdetta per mezzo di un procedimento giudiziale che vedremo fra breve. In linea di massima: i maggiorenni -maggiori di diciotto anni- e gli emancipati colpiti da una infermità che impedisce loro di autogovernarsi. Però possono essere interdetti anche i minorenni, quando si prevede che continueranno a patire la stessa malattia da grandi, per evitare che si trovino privi di assistenza nel periodo che va dal compimento dei diciotto anni fino alla sentenza d'interdizione, periodo durante il quale potrebbero agire legalmente, anche se, in realtà, la stessa malattia glielo impedirebbe. Per questo si esige che si preveda che la causa che provoca l'interdizione persista nel momento in cui si arriva alla maggioranza d'età. L'interdizione in questa circostanza da luogo alla proroga della patria potestà che dovrebbe cessare con la maggioranza d'età (arts. 171 Cc e 160 Cf).

 

2.4. Procedimento d'interdizione.

Come si è già detto, con lo scopo di proteggere chi si trova in tali circostanze dagli eventuali abusi da parte dei familiari o di altre persone, il procedimento per il quale una persona passa dallo stato civile di capace -che è il normale- a quello di incapace è sempre giudiziale. Questo procedimento può iniziarlo il coniuge, i discendenti e, in mancanza di questi, gli ascendenti ed i fratelli del presunto incapace (art. 202 Cc); lo può sollecitare anche il Pubblico Ministero, quando non ci sono parenti, oppure questi non lo hanno sollecitato, dato che è obbligo delle autorità e dei funzionari pubblici communicare al Pubblico Ministero l'esistenza di una possibile causa d'interdizione che interessi alcune persone (art. 203 Cc.); infine, chiunque può communicare al Pubblico Ministero l'esistenza di fatti suscettibili di provocare un'interdizione (art. 204 Cc.).

Come già si è detto, il processo attraverso il quale si procede ad un'interdizione è sempre giudiziale, per mezzo del giudizio "declarativo ordinario de mayor cuantía" -cioè, il processo normale dichiarativo di una importanza, determinata, in origine, dall'ammontare economico-, il quale permette la difesa dell'incapace dalle pretese d'interdizione e che può concludere con un ricorso di cassazione al Tribunale Supremo. Richiede l'intervento del Pubblico Ministero con il fine di difendere il presunto incapace. Il giudice deve esaminare il presunto incapace (art. 208 Cc.), ascolterà i parenti più stretti e potrà chiedere le perizie mediche che riterrà opportune, così come qualsiasi altro tipo di prova che reputi necessaria, oltre ad esaminare quelle prove che eventualmente si presenteranno a richiesta delle parti.

La sentenza d'interdizione non ha mai carattere definitivo, perchè può essere modificata a seconda dell'evoluzione dell'infermità che ha provocato la stessa, sia nel senso di mitigare le conseguenze previste nella prima sentenza, sia nel senso di ampliarle, qualora lo stato dell'incapace si aggravi.

 

2.5.- Effetti dell'interdizione.

Come abbiamo detto prima, la sentenza d'interdizione determinerà gli effetti che la decisione del giudice dovrà avere riguardo alle possibilità di azione giuridica efficace della persona interdetta; non esistono effetti generali, bensì effetti che vengono stabiliti a seconda dei casi, cioè, a seconda del grado d'incapacità della persona da interdire. Questo è valido sia per quanto concerne la rappresentazione dell'incapace, sia per quanto concerne il suo ambito d'azione valida: quanto minore è il suo discernimento, tanto maggiore sarà la rappresentazione che giudiziariamente si concede al tutore e minore sarà la possibilità d'azione di colui che viene tutelato. Orbene, per chiarire ulteriormente tutto ciò, diremo che, indipendentemente dal grado d'incapacità, la sentenza d'interdizione avrà come effetto la legittimazione di un terzo, la cui missione sará quella di sostituire in tutto o in quasi tutto l'incapace, agendo per lui e rappresentandolo: questo sarà il caso del tutore o dei genitori nei casi di patria potestà prorogata. Oppure sarà legittimato per completare la capacità dell'altro, dell'incapace, agendo di comune accordo con costui nei casi stabiliti dalla sentenza: è il caso del curatore.

1.- Il tutore. Il tutore è il rappresentante legale dell'incapace, lo sostituisce in tutto ciò che quello non può compiere da solo, essendo stato così dichiarato nella sentenza d'interdizione. Il tutore può essere designato dai genitori o dai giudici, può essere una persona fisica o una persona giuridica; in questo caso la legge esige che non esista nessun fine lucrativo e che abbia la principale funzione di dedicarsi alla protezione di minori e di incapaci (art. 242 Cc e 207 Cf). Può esistere più di un solo tutore, sia perchè le sue funzioni sono state dissociate, attribuendosi ad uno la tutela della persona dell'incapace ed all'altro la tutela dei beni, sia perchè è stata prevista un'azione comune (art. 237 e 237 bis Cc e 198-199 Cf.).

L'incarico di tutore implica l'esercizio di una funzione in beneficio del tutelato. È permessa l'esenzione dal suo esercizio per quei motivi che sono previsti dalla legge e la rimozione, sia nel caso di non esercizio della funzione, sia nel caso di un esercizio deviato dalle proprie funzioni, in tali casi si può procedere a nominare un nuovo tutore.

Come regola generale e senza entrare nella descrizione completa di tutte le facoltà e dell'ambito di azione del tutore, bisogna indicare che questi deve aver cura della persona e dei beni del tutelato (art. 269 Cc e 207 e 213 Cf). Per quanto riguarda la persona, il tutore deve alimentarla, promuovere il conseguimento o il ricupero della sua capacità ed informare il giudice ogni anno della situazione dell'incapace. Il tutore agisce normalmente per proprio conto, però per determinati atti la legge esige l'autorizzazione giudiziale (art. 271 Cc. e 212 Cf). Gli atti in questione sono:

-Internare il tutelato in centri di salute mentale o di educazione o formazione speciale.

-Alienare beni immobili o beni di valore straordinario.

-Rinunciare a diritti che appartengono al tutelato.

-Ed altri di tipo economico che sono descritti negli articoli 271 e 272 Cc. e 212 Cf.

Le facoltà che possiedono i genitori nei casi di patria potestà prorogata si equiparano a quelle del tutore.

Resta al'incapace alcuni aspetti personali: matrimonio (art 56.2 Cc.), testamento (art. 665 Cc.), riconoscimento del figlio non matrimoniale (arts121 Cc e 96.3 Cf), que possono realizare quando vi sia capacità d'intendere e de volere. La stessa norma si applica a l'essercizio dei diritti della personalità (arts. 267 Cc. e 209.2 Cf).

Recentemente la legge catalana 11/1996, del 29 luglio, ha introdotto ciò che si denomina "autotutela" e che consiste nella possibilità di nominare un proprio tutore da parte di chi prevede che potrà essere dichiarato incapace in un momento determinato. Ciò viene applicato nei casi di persone anziane le quali, prevedendo che nel futuro potranno essere colpite da una malattia che toglierà loro completamente la capacità di agire e sarà causa di un procedimento d'interdizione, manifestano le loro preferenze rispetto ad uno o più possibili tutori. Il Codice di famiglia della Cataloga ha mantenuta questa regola nel'art. 172.

2. Il curatore. Quando ci si trova dinanzi ad una situazione d'incapacità, nella quale il giudice crede opportuno limitare l'ambito d'azione di una persona colpita da una determinata malattia, però non sopprimere totalmente la sua capacità, si può limitare la possibilità d'azione solo in certi casi. Il soggetto che si trova in questa situazione è incapace anche se non per tutti gli atti della vita giuridica e, di conseguenza, non ha un tutore che agisce come suo rappresentante legale. L'azione giuridicamente valida la realizza il proprio interessato accompagnato, però, da un curatore per tutti quegli atti stabiliti dal giudice. Tutto ciò lo protegge dalle proprie eventuali azioni incontrollate. Si afferma, quindi, che agisce con un complemento della sua capacità, che proviene dal curatore. L'art. 287 Cc. stabilisce che: "procede la curatela anche per quelle persone che la sentenza d'inabilitazione o, nel suo caso, la risoluzione giudiziale che la modifica, pongono sotto questa forma di protezione, considerato il grado di discernimento" (Vid. art. 237 Cf). Questa è una conseguenza della flessibilità della sentenza d'interdizione, d'accordo con quanto stabilito nell'art. 210 Cc., già citato. In ogni caso, la nomina di un curatore richiede una sentenza, perchè anch'essa provoca una limitazione della libertà d'azione dell'incapace. Ai curatori si applicano le stesse norme che ai tutori in relazione con la nomina, esenzione per esercitare l'incarico e rimozione (art. 291 Cc e 238 CF). Possono agire, completando la capacità del soggetto dichiarato incapace, soltanto in quei casi in cui la sentenza esige la loro azione. Da ciò si deduce che il grado di libertà del sottomesso a curatela è maggiore di quello sottomesso a tutela. Anche quí si tratta di un incapace, però gli effetti sono molto più limitati e ristretti a ció che viene stabilito nella sentenza. L'inabilitazione ha effetto dal momento in cui la sentenza passa in giudicato. La sentenza deve iscriversi nel Registro Civile (art. 214 Cc.) e può iscriversi preventivamente anche nel Registro della Proprietà (art. 2.4 Legge ipotecaria) e nel Registro Mercantile (art. 87.4 e 92 del Registro Mercantile).

 

3.- L'Internamento del presunto incapace.

3.1. Concetto.

Fra la piena capacità e l'interdizione la persona può trovarsi in situazioni intermedie nelle quali esiste un'incapacità reale per infermità che impedisce l'autogoverno a cui si riferisce la legge, senza che sia stata già dichiarata l'incapacità. Ciò può accadere sia perchè si è colpiti da una malattia che provoca incapacità non permanenti, sia perchè, nonostante si tratti di incapacità definitive, non è stata emessa una sentenza che crea questo stato civile e che nomini il corrispondente tutore. Fino al mille novecento ottantatre tale situazione era regolata dal Decreto del 3 Luglio del 1931; oggigiorno, l'articolo 211 Cc., modificato dalla Legge Organica 1/1996, del 15 gennaio, stabilisce quanto segue:

"L'internamento, motivato da distubo psiquico, di una persona che non sta in condizione di deciderlo da sè, anche se è sottomessa alla patria potestà, necessita di autorizzazione giudiziale. Questa precederà l'internamento, tranne che, per ragioni di urgenza, si rendesse necessaria l'adozione immediata della misura, la quale si comunicherà al giudice e in ogni caso entro le ventiquattro ore. L'internamento di minori si farà sempre in centri di salute mentale adeguati alla loro età, previa perizia dei servizi di assistenza ai minori".

Si tratta di una questione delicata, sia nel caso in cui l'internato è un minore, sia nel caso in cui l'internato è un maggiore di età. E questo perchè, come si è detto all'inizio di questa relazione, in questa questione sono implicati diritti fondamentali degli individui e, in concreto, il diritto alla libertà, che si vede limitato, se non eliminato, da un internamento non volontario. Per questa ragione il Tribunale Costituzionale si è dovuto pronunciare nella Sentenza 104/1990, del quattro giugno per risolvere il caso seguente:

Il Signor Vereterra fu dichiarato incapace nel mille novecentoquarantadue, perchè soffriva di schizzofrenia di tipo catatonico, considerata incurabile e irreversibile, secondo le opinioni mediche; uno dei membri del Consiglio di Famiglia nominato si mostrò in disaccordo con la gestione del tutore il quale, dietro richiesta di quello, fu allontanato dall'incarico; inoltre il citato membro chiese che fosse cambiato il centro d'internamento dell'incapace, cosa che non ottenne, perchè il giudice ritenne che il centro medico dove l'incapace era internato soddisfaceva le necessità di costui. Il citato membro del Consiglio di Famiglia sollecitò un procedimento di habeas corpus perchè considerava che c'era stata una lesione del diritto di libertà dell'incapace, dato che era stato internato senza autorizzazione giudiziale. Il ricorso al Tribunale Costituzionale contro le anteriori decisioni giudiziali si concluse con la denegazione della petizione del ricorrente nei seguenti termini: "l'esigenza attuale di una autorizzazione giudiziale dell'internamento delle persone a causa della salute non significa che tutti gli internamenti anteriori, autorizzati governativamente, possano considerarsi irregolari o illegittimi, con indipendenza dall'efficienza dei controlli giudiziali periodici legalmente previsti e della possibilità della revisione giudiziale di questi internamenti in funzione della salute mentale di queste persone. Per tal motivo, non può essere messa in discussione, in questo momento, l'incostituzionalità dell'internamento, che non si può prolungare lecitamente se non nella misura in cui persista una situazione di perturbamento mentale reale con un carattere e con delle dimensioni che lo giustifichino….Il controllo giudiziale previsto per l'internamento si deve intendere che comprende anche le decisioni sulla modifica o sulla sospensione dell'internamento, attraverso le vie previste nella "Ley de Enjuiciamiento Civil" (=Legge di procedura civile"), con il possibile intervento del procedimento dell'habeas corpus soltanto nella misura in cui quelle vie ordinarie giudiziarie non si siano mostrate idonee per proteggere la libertà…

La sentenza denegatoria del Tribunale Costituzionale si fonda sul riconoscimento che l'internamento, messo in discusione dal ricorrente, non era irregolare e che perciò non si poteva esigere, in base ad una presunta irregolarità, l'immediata libertà dell'internato. Il giudice ha verificato che esisteva un'autorizzazione espressa, fondata a sua volta sulla situazione reale di un perturbamento mentale persistente che impedisce all'internato una vita libera in società. Si tratta di fondamenti sufficienti e corretti dal punto di vista costituzionale, la qual cosa esclude che gli atti e la procedura impugnati abbiano violato il diritto alla libertà dell'art. 17.1 CE e, in relazione con tutto questo, l'habeas corpus riconosciuto nell'art. 17.4 CE".

Questa sentenza, emessa a seguito di un ricorso al Tribunale Costituzionale per esigere "amparo", cioè protezione, stabilisce i limiti del diritto alla libertà in questo caso, esigendo, come lo fa l'art. 211 Cc., un controllo giudiziale, il quale ebbe luogo realmente nel caso a cui ci stiamo riferendo, anche se l'internamento era stato decretato d'accordo con il procedimento vigente nel momento in cui si realizzò, nel 1942.

Tutto ciò ci porta ad analizzare, anche se brevemente, i requisiti richiesti nell'articolo 211 Cc. per la validità di un internamento che possa rispettare il diritto fondamentale alla libertà. Per centrare la questione si deve, prima di tutto, limitare l'ambito di competenza dell'art. 211 Cc. che si applicherà nei seguenti casi e con le seguenti limitazioni:

1º Si tratta d'internamenti forzosi, cioé senza la volontà dell'internato e, addirittura, contro la sua volontà.

2º Si escludono dall'ambito di applicazione dell'art. 211 Cc. gli internamenti forzosi conseguenza di un delitto commesso dall'internato; tali casi sono contemplati dal Codice Penale e dalla Legge di Procedura Penale (Ley de Enjuiciamiento Criminal). L'art. 211 Cc. si limita all'ambito strettamente civile.

3º L'internamento deve essere causato da una infermità che richiede un trattamento in ospedale. Sono qui esclusi i trattamenti assistenziali.

4º Per l'operatività delle autorizzazioni previste nell'art. 211 Cc. si richiede che il centro dove si internerà l'incapace dovrà avere caratteristiche che implichino la restrizione della sua libertà. Normalmente si tratterà di centri psichiatrici o di educazione speciale.

5º La necessità di autorizzazione giudiziale è independente dal fatto che l'incapace internato sia stato interdetto o meno. Non tutti gli interdetti sono infermi che hanno bisogno dell'internamento e, dall'altra parte, nessuna disposizione legale esige che, prima di procedere all'internamento, sarà necessaria l'interdizione giudiziale. Inoltre, come è ben noto, esistono malattie ocasionali che richiedono internamento e che mai daranno luogo all'interdizione. In ogni modo, ed affinchè si eviti una eventuale lesione dei diritti fondamentali della persona, se l'infermità esige un internamento continuato, è consigliabile procedere all'interdizione e alla conseguente nomina di un tutore: un'internamento continuato senza costituzione di tutela potrebbe dar luogo ad una totale mancanza di protezione.

 

3.2. Procedimento.

Partendo dalla base che l'autorizzazione giudiziale dell'art. 211 Cc. esige un'assenza della volontà dell'internato e che, pertanto, ci troviamo di fronte ad un internamento forzoso per la cui garanzia si esige l'autorizzazione giudiziale, bisogna dedurre che nella legge si parte da due possibili procedimenti: l'ordinario, nel quale l'autorizzazione giudiziale è una conseguenza di una petizione fatta prima dell'internamento, e l'urgente, nel quale l'autorizzazione giudiziale è posteriore all'entrata nel centro d'internamento.

1.- Procedimento ordinario. L'articolo 211 Cc. stabilisce che l'autorizzazione giudiziale per l'internamento "sarà anteriore". L'autorizzazione può essere richiesta da chiunque, purchè lo comunichi al Pubblico Ministero. Il giudice deve esaminare personalmente il soggetto da internare; deve anche sollecitare l'opinione di un medico designato dallo stesso giudice. Dopo di ciò, il giudice ha due possibilità: o autorizzare l'internmaneto o denegarlo. Se sistematizziamo quello che l'art. 211, 2 e 3 C.C. permette al giudice, possiamo dire che il giudicie ha tre possibilità:

-Autorizzare l'internamento richiesto e comunicare al Pubblico Ministero i fatti che danno luogo allo stesso, affinchè quest'ultimo analizzi le possibilità di iniziare le pratiche per l'interdizione dell'internato.

-Denegare l'internamento perchè non esiste concorso di cause per esso, però dare inizio alle pratiche necessarie per l'interdizione, comunicando tutto ció al Pubblico Ministero.

-Autorizzare l'internamento, però non pronunciarsi sull'interdizione.

2.- Procedimento urgente. In questi casi si procede all'internamento senza autorizzazione giudiziale e, in un secondo tempo, si comunica il fatto al giudice. La legge esige che tale comunicazione abbia luogo "quanto prima" ed "in ogni caso nel limite delle ventiquattro ore". Le ragioni di urgenza devono essere tenute in conto da chi realizza l'internamento: familiari, il medico, funzionari pubblici, etc. In tale caso il giudice deve procedere anche all'esame dell'internato, con lo stesso procedimento di prima e con le stesse conseguenze che già sono state spiegate. L'unica differenza consiste nel fatto che qui l'autorizzazione sarà posteriore, potendo il giudice decretare che l'internamento continui o cessi. Una volta deciso l'internamento, il giudice deve ottenere informazione circa la necessità di protrarlo; il giudice può agire di ufficio, in qualunque momento in cui lo reputi opportuno. In ogni caso, l'art. 211.3 Cc. gli esige che informi ogni sei mesi e che, a seconda delle informazioni, decida se si mantiene o meno l'internamento. Tuttavia, qualunque sia il procedimento seguito, l'internamento cessa con l'uscita dell'infermo dal centro dove è stato internato, uscita che anch'essa deve essere comunicata al giudice.

 

*Traduzione di Anna M. Pagnota

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