Dalla stagione 1975/76 regista stabile, Marco Sciaccaluga è oggi il condirettore del Teatro di Genova, per il quale realizza i seguenti spettacoli: Equus di Peter Shaffer, Il complice di Dùrrenmatt, Le intellettuali di Molière, Fremendo, fra le lacrime sul punto di morire! da Cechov, La bocca del lupo da Remigio Zena, Lupi e peeore di Aleksandr Ostrovskij, E lei per con quistar si sottomette di Oliver Goldsmith, I due gemelli rivali di George Farquhar, La brocca rotta di Heinrich von Kleist, Il padre di August Strindberg, Rosmersholm di llenrik Ibsen, L'onesto Jago di Corrado Augias, Borges, autoritratto del mondo di Carlo Repetti da Borges,L'alcalde di Zalamea di Calderòn de la Barca, Retrò di Aleksandr Galin, Suzanna Andler di Marguerite Duras, il dittico goldoniano La putta
Buon giorno a tutti, ringrazio il prof. Rossi che mi ha fatto l'onore di invitarmi a quest'incontro che affronto con estrema passione ed anche con una certa emozione.
Incominciamo subito con una confessione. Io faccio il regista teatrale ormai da molti anni, quand'ero giovane ho a lungo oscillato fra il teatro e la professione di medico, come era mio padre, con l'idea di prendere una specializzazione in psichiatria, come la vostra. Quindi mi fa particolarmente piacere confrontarmi, in questa sede, con voi e mi dispiace di non avere anch'io un camice, anche se senz'altro un altro tipo di camice "metaforico" lo indosso. Certamente esistono stretti legami fra il lavoro del teatro e la psicologia in senso lato, più specificatamente la psichiatria e persino con la neurologia. Mi piacerebbe affrontare molti argomenti in questa sede, ma in una mattinata è impossibile, quindi direi di partire dalla contingenza, cioè da questo spettacolo che ho messo in scena e che, appunto, affronta qualcosa che presumibilmente è molto centrale nella vostra vita di studiosi e medici, questo spettacolo mette in scena una perizia psichiatrica avvenuta nel 1924 della quale si occupò il primario di quest'ospedale che si chiamava …Ernst Shultz che ebbe il compito di periziare un serial killer Fritz che fra il 1918 e il 1924 uccise, processualmente dimostrato, 27 giovinetti di età compresa fra 11 e i 22 anni, non dimostrato processualmente, ma assai presumibilmente, molti di più perchè nel fiume Laine, che attraversa Hannover, dove lui nascondeva parte dei cadaveri che sezionava furono trovati almeno 37 femori destri. Abbastanza impressionante è osservare come questi assassinii si siano poi alla fine concentrati soprattutto fra il 1923 e il 1924, con una totale assenza di crimini fra il 1918 e il 1923, e negli ultimi mesi prima dell'arresto le vittime cadevano 4 o 5 al mese. Fu un grande scandalo per quel tempo, il processo fu strumentalizzato molto violentemente anche dalle parti politiche, in particolar modo dal partito comunista che ebbe una grande tendenza, anche comprensibilmente, a trasformare la colpevolezza di un individuo in una colpevolezza di tipo collettivo, di tipo sociale. Se foste particolarmente interessati a questo caso e non lo aveste già fatto, consiglio caldamente la lettura di un libro, naturalmente discutibile nell'impianto ideologico, ma profondamente interessante, che è un libro di T Lessing che seguì il processo e fu anch'egli al centro di un grosso scandalo e fu allontanato dall'aula del tribunale, perché gli articoli che andava pubblicando contenevano tutta una serie di osservazioni e di critiche al modo di procedere in cui si approffittava di quell'occasione criminale per affrontare un ragionamento più vasto sulla società del tempo che consisteva in un impressionante minestrone di corruzione, povertà, disoccupazione, dove certamente il serial killer trovò un ambiente dove recidere i suoi fiori.
E' interessante sapere che il testo teatrale è interamente basato sui documenti stenografici della perizia, cioè tutte le parole che i personaggi pronunciano sono parole che sono state realmente pronunciate da quelle due persone, anche se da un verbale di almeno 2000 pagine è chiaro che il copione teatrale ha fatto una serie di scelte, qui c'è in generale una questione abbastanza interessante che riguarda forse più il terreno dell'estetica o comunque della struttura drammaturgica che il problema della scienza medica. Indubbiamente nel momento in cui io prendo dalla realtà alcune porzioni di essa, faccio delle scelte di tipo interpretativo e all'interno di questa struttura drammatica vige con totale evidenza uno dei più interessanti paradossi che esistono nel rapporto fra arte e realtà, ben sintetizzato da una frase del grande Aristotele nella Poetica, quando analizzando la tragedia di Medea se ne esce fuori con questa straordinaria sintesi intellettuale di un problema enorme che definisce appunto il rapporto fra l'arte, in questo caso l'arte drammatica, e la realtà.Ciò di cui l'arte si occupa Aristotele dice: "Meglio una cosa verosimile e non vera di una cosa vera e non verosimile". Questo vuol dire che in un palcoscenico, il luogo convenzionale dove si osserva la realtà attraverso gli occhiali dell'arte, non è sufficiente che una cosa sia vera per sembrare vera, non è sufficiente che una cosa tratta dalla realtà, doviziosamente documentata nel momento in cui viene rappresentata in uno spazio convenzionale, che è quello dell'arte, continui a sembrare vera, potrebbe essere invece vero il contrario che una parte di realtà portata nel territorio dell'arte diventi inverosimile, allora dice Aristotele per parlare della verità nello spazio convenzionale dell'arte la prima regola è trovare la verosimiglianza. Questo testo è molto interessante da questo punto di vista, perché prendere delle porzioni di realtà di una perizia psichiatrica e trasferirle nello spazio convenzionale dell'arte significa immediatamente porsi il problema della verosimiglianza, gli spettatori che verranno a teatro non saranno sufficientemente accontentati dal fatto di sapere di vedere qualcosa che è veramente accaduto, nel momento in cui vedono questo avvenimento devono credere che sia veramente accaduto e per credere che sia veramente accaduto devono trovarlo verosimile. Questo è un problema centrale per il mio lavoro, ma forse leggermente marginale rispetto a quello che immagino voi siate interessati ad affrontare più approfonditamente. Intorno a questo testo ci sono alcune questioni fondamentali che possono essere divise in due; questo medico, come ben sottolineava il prof. Speziale Bagliacca in un'intervista sulla lettura del testo, questo medico sembra un medico inadeguato, diciamo che io nell'affrontare questa rappresentazione sono partito da un punto di vista analogo e da un punto di vista analogo sono partiti anche gli attori, ma come è possibile che questo medico sia così schematico, così meccanico, che il suo dialogare si connoti in modo così banale, gli chiede un sacco di cose anche ossessivamente, all'inizio sembra quasi che gli faccia un'interrogazione di geografia… mio figlio di 11 anni che alla fine, dopo un po' di dibattito interno, ho ritenuto potesse vedere una prova dello spettacolo, si è completamente identificato nell'assassino che all'inizio viene così ossessivamente interrogato con domande di geografia e sospetto che si sia anche identificato successivamente quando l'argomento passa dalla geografia a questioni più crude come il sezionamento dei cadaveri, la loro eliminazione… L'inadeguatezza apparente di questo psichiatra è stato uno dei punti di partenza più interessanti per il nostro lavoro, ci siamo seriamente domandati se andava rappresentato come un imbecille o come invece un individuo che a partire da uno stato di inadeguatezza entra in una profonda crisi, non solo professionale, e abbiamo cercato di dare credito alla voce interna che ci suggeriva di andare verso quest'ultima direzione. Rispetto a ciò credo che sia interessante comprendere il paradosso che collega le strade del teatro alla strade della psicologia. Il prof. Shultz si trova davanti ad un mistero, a qualcosa di sconvolgente un uomo che uccideva, presumibilmente in un raptus di tipo sessuale, dei giovinetti mordendoli alla gola ed immediatamente dopo passava, prima tre giorni, poi quando ha imparato bene a fare il lavoro, qualche cosa di meno, a sezionarli con una perizia degna di un macellaio, eliminando alcune parti e le ossa nel fiume e, non dimostrato processualmente, ma molto presumibilmente vendendo le loro carni al mercato nero in un epoca in cui la carne scarseggiava e se è vero, come raccontava mio padre, che durante la guerra si mangiavano molti gatti contrabbandati per conigli, è molto probabile che molti cittadini di Hannover comperando la carne al mercato nero abbiano mangiato carne umana. E' stato anche, ma nel processo la cosa è stata subito sopita perché sembrava pericoloso andare oltre, accusato di cannibalismo, ma la cosa non è mai stata dimostrata, poiché la polizia aveva commesso un errore, dopo il primo omicidio del 1918 arrivarono due signori che avevano comperato della carne da lui e dissero che aveva un odore strano, ma il commissario minimizzando disse che sicuramente si trattava di carne di maiale, mentre sarebbe bastata una perizia microscopica. Insomma questo specialissimo individuo davanti a questo medico è un mistero, un'anima inconoscibile, come davanti ad un'anima inconoscibile io ho immagino che si trovi chiunque di voi, non soltanto davanti alla perizia psichiatrica di un serial killer, ma anche di fronte, e qui mi scuserete per la mia imprecisione linguistica, anche davanti ad uno psicotico, ad un nevrotico, ad uno schizofrenico, ad un paranoico, od anche ad un potenziale nevrotico come me, od anche diciamo a qualunque essere umano che per l'altro è un mistero; naturalmente voi vi occupate di questo mistero e il vostro paradosso è che questo mistero sia un mistero qualche volta inconoscibile se non codificabile, razionalizzabile, lo stesso atteggiamento è quello di un interprete nei confronti di un personaggio, il personaggio teatrale per un regista o per un attore è un mistero da conoscere, sondare, scoprire e crede anche in qualche modo, se questa non vi dovesse sembrare una bestemmia, esattamente un po' come nell'attività psichiatrica e psicoterapeutica, un mistero su cui prendere delle decisioni, su cui esercitare un'attività di interpretazione, e non c'è nulla che ci dice questa è la verità, ci sono tanti indizi o prove per poter arrivare a dire questa è probabilmente la verità oppure questa è la mia interpretazione. Lavorando in teatro ci si rende sempre più conto di quanto, se mi si passa il paragone, un approccio classico di tipo freudiano nei confronti di un personaggio, sia utile, ma spesso estremamente rischioso, nel senso che spesso si corre il rischio di attribuire ai personaggi dimensioni interiori estremamente discutibili alla prova dei fatti. Più concreto è osservare i personaggi attraverso i loro comportamenti, cercare di scoprire alla fine non quali sono le motivazioni dei loro comportamenti, ma cercare di analizzarli nei loro comportamenti, cerco di spiegarmi con un esempio, e ripeto non vuole essere minimamente un'invasione del vostro campo, ma il più grande teorico ed anche pratico del lavoro dell'attore rimane ancora oggi il grande Stanivslansky, che fu un grande attore, un grande regista, un grande pedagogo, primo regista dei drammi di Chechov, una figura mitica nel teatro, il quale ci ha lasciato testimonianza di un lavoro sull'attore di straordinaria attenzione, io scherzosamente distinguo il periodo freudiano ed il periodo di Palo Alto di Stanford. facendo riferimento alla scuola californiana, che io so e credo sia ormai superato.
Ricordando la scuola di Palo Alto, che io credo sia stata abbondantemente superata dal punto di vista psicoterapeutico, anche se non mi interessa nel mio campo, vi e' tutta la parte di Staninlaski, dove vi e' l'immedesimazione con il personaggio ed, esattamente come ogni essere umano che durante l'analisi cerca di svelarsi a se' e non di nascondersi a se', Stawninlaski penso' degli esercizi sulla recitazione che io chiamo, scherzosamente californiani, ovvero che partono dal paradosso che l'anima sia in conoscibile: una scatola nera e cio' che possiamo analizzare sono esclusivamente i comportamenti relazionali che legano gli uni agli altri…Se ricordo bene uno dei paradossi della scuola di Palo Alto era che non esisteva un individuo schizofrenico ma una famiglia che aveva una struttura relazionale schizofrenica all'interno della quale l'individuo malato era quello piu' debole e da qui il proposito di interagire sulle strutture relazionali; nel lavoro teatrale utilizzare questo modo e' utilissimo alla "guarigione" degli attori e alla loro capacita'di realizzarsi indagando i comportamenti umani ed il gioco delle relazioni tra il se' ed il patner di scena e tra il se' ed il pubblico.
Il gioco di relazioni che e' fondamentale nel recitare e' stato utilizzato nello studio che legava lo psichiatra al mostro di Hannover.
Per quanto concerne la morale, che chiama in campo il metterci di fronte alle due maniere in cui si puo' osservare la realta': in chiave tragica od in chiave comica, ed e' un peccato che il secondo libro della poetica di Aristotele sia andato perduto; certamente la tragedia si produce nel momento in cui l'uomo produce una sospensione del giudizio.
Uno dei complimenti che mi ha fatto piu' piacere mi e' stato fatto da un collega polacco che, dopo avergli fatto leggere il testo che avevo intenzione di mettere in scena, mi disse che lui non se la sarebbe sentita e dopo che e' venuto a vedere lo spettacolo mi ha dato ragione sul fatto che anche un essere come quello avesse il diritto non solo di ottenere amore ma anche di chiederlo.
La tragedia ci dice che non possiamo fare nulla per comprendere la vita ma che dobbiamo fare ogni sforzo per comprenderla ugualmente ed e' necessario fare una serie infinita di scelte sia nelle cose banali sia non ed, alla fine, non possiamo fare, in realta' delle scelte, o come insegna la tragedia, giudicare.
Questione fondamentale e' che lo psichiatra e' stato interpellato dal tribunale per decidere sulla capacita' di intendere e di volere della persona, garantendo all'infermo di mente cio' che deve essere garantito ad un infermo stesso, e ricordando che in quel caso il massimo della pena era la morte, questo medico, che aveva avuto un forte condizionamento a giudicare la persona come capace di intendere e volere, ed e' cosa non distante dai nostri giorni, di fatto diviene il giudice ed e' per questo che all'inizio e' cosi' prudente, meccanico, burocratico: ha probabilmente paura, come Ponzio Pilato vorrebbe lavarsene le mani, forse non ha tutti gli strumenti per giudicare ma, visto che negli anni ‘20 la scienza psichiatrica non era proprio all'inizio, certe sue schematicita' possono essere state legate alla sua prudenza, alla sua paura; questo e' cio' che abbiamo tentato, nella rappresentazione, di attribuirgli perche' per chi fa il mio lavoro cio' che e' interessante e' tentare di capire la realta' anche se bisogna sempre sostituire alla realta' delle interpretazioni.
Abbiamo immaginato che nel procedere del colloquio lo psichiatra, che per noi e' il vero protagonista del testo, si sia trovato di fronte da un essere che lo interessa emotivamente, e va verso un possibile incontro, una possibile unione che, ad un certo punto, si ferma non dopo non avergli proposto l'infermita' di mente in modo esplicito, proponendogli di salvarlo mandandolo in manicomio.
Di fronte a questa prospettiva il mostro, con aggressivita' infantile, dichiara che per lui e' molto peggio il manicomio confronto alla pena di morte; anche qui ci sono una serie di ragioni come il suo narcisismo di essere ricordato per esempio con un monumento, tra parentesi e' riuscito in questo suo intento entrando in una dimensione mitica anche nelle ninnananne dei bambini tedeschi dei nostri giorni ("Basta non avere fretta Harman viene anche da te con la sua bella accetta").
Harmann decide o, meglio, chiede di morire ed il medico deve prendere questa difficoltosa decisione: lui e' il protagonista perche' e' il personaggio a cui accadono delle cose, che deve prendere una decisione e questa decisione, qualunque sia, e' tragica.
Il medico che e' quindi come una garanzia, di fatto, diventa il giudice, e la questione non e' per niente risolta perche' vi e' in gioco la vita di una persona.
Il mio massimo ispiratore per Harmann e' stato il mio secondo genito: guardando e studiando i suoi comportamenti ho trovato la chiave per rappresentare questo essere dissociato i cui gesti sembrano richiamare quelli di tante persone diverse.
Visto che alcuni mi hanno detto che Harmann sembrava proprio uno dei loro pazienti, altre invece che non vi assomigliava per nulla, lasciatemi concludere con una provocazione nei vostri confronti: "Forse anche nella scienza psichiatrica vi sono delle differenze interpretative." Per tornare alla questione centrale del mio lavoro, noi in teatro abbiamo davanti un unico punto di partenza, l'unica forma di verità sono le parole che dicono i personaggi, non abbiamo altro. I personaggi non sono delle persone, sono solo nelle parole che dicono e nelle azioni che fanno. La prima cosa che devo sapere quando ho davanti queste parole è che io ho una porzione molto ristretta della loro verità.Quando si incontrano degli esseri umani il 30% di quello che si dicono è affidato al linguaggio verbale, il 70% al linguaggio analogico. Oltre le parole che vengono pronunciate vi è il modo in cui vengono pronunciate, il ritmo, i silenzi etc. tutto ciò modifica il valore di ciò che le parole stanno tentando di dire.
Un interprete conosce le parole ma il resto è un mistero che deve scoprire ed al quale non può arbitrariamente attribuire la sua visone del mondo ma deve cercare di capire quello che c'è scritto. Una volta per esempio mi trovai ad incontro ecumenico sulla Genesi. In questo incontro vi era un Rabbino, un Protestante, un sacerdote Cristiano ed un laico Mussulmano. La cosa che mi impressionò è che queste quattro persone davanti al libro della genesi avevano l'atteggiamento dei ricercatori della verità. Il loro atteggiamento non era di attribuire a questo libro la loro visione del mondo ma di capire quello che c'era scritto. I quattro ricercatori arrivarono a conclusioni completamente diverse. Un regista teatrale ed un attore sono esattamente in queste in queste condizione, cercare di capire la verità che c'è scritta nel testo senza attribuirgli la propria verità. Naturalmente questo è un paradosso infatti se prendo tre registi straordinari che stimo immensamente e li metto davanti allo stesso testo, io so che il loro atteggiamento morale di partenza è lo stesso, cercare di capire la verità, ma so bene che alla fine vedrò tre spettacoli completamente diversi.
Quando devo scoprire la verità di un testo teatrale il mio atteggiamento morale deve immediatamente tradursi su quali sono gli strumenti, "le torce"che mi fanno risalire al mausoleo nascosto. Gli strumenti sono le parole, chi le dice, a chi vengono dette ed il perché sono dette. Uso volentieri l'esempio del Prof. Speziale-Bagliacca di konerin a cui, i pregiudizi seppur di uno straordinario regista come Strer, sono attribuite vocazioni violente. Ma se io osservo le parole di Konerin, osservo le parole di una figlia che ama suo padre. Figlia che diventerà una creatura violenta e distruttrice.
Ricordo un libro di Peter Brook a proposito di Konerin. Spiega quanto sia rischioso osservare la tragedia attraverso gli occhi del pregiudizio e quanto il personaggio di Konerin e di Regan siano stati trasformati da personaggi complessi a diavoli del teatro medioevale. Durante un conferenza all'Elir chiese ad una signora di leggere la battuta di Konerin quando dice di voler bene al padre. Lei cercò di mettere tutta la malignità per cercare di far capire che in realtà non gli voleva bene. Brook scrive che per fortuna in quel momento arrivò una ritardataria e le chiese di leggere la battuta. La signora immediatamente leggendo le venne da sorridere.
È chiaro che attribuisco alla realtà un mio parere su di essa, ma nello stesso tempo il mio imperativo morale è quello di non farlo. Molto spesso capita in teatro durante le prove di arrivare ad una battuta contraddittoria rispetto al punto di partenza, di trovare un muro. Il ricercatore in malafede finisce lì la ricerca, il ricercatore violento tira giù il muro, quello in buona fede torna indietro.
A proposito della scelta dei personaggi dice Brook che indovinare il Cast è il 50% di una regia. Puoi avere l'attore più straordinario ma se il ruolo non gli è adatto, non gli parla, non si riesce ad arrivare a qualcosa di profondo nell'interpretazione.
Quando un regista sceglie gli attori non conosce molto profondamente il testo. Un regista conosce il testo dopo molti mesi di studio ma soprattutto dopo il lavoro sulla scena. Io conosco il testo e l'attore soltanto quando incomincio con lui "la mia terapia" . Quindi è difficile trovare il giusto attore senza conoscere profondamente il testo, occorre una specie di intuizione. È importante che gli attori abbiano una amicizia professionale cioè abbiano delle regole di gioco comune. Bisogna anche entrare in dinamiche più personali. Credo, come diceva Maura al Palazzo Ducale, che si può sentire fascinazione solo per ciò che c'è dentro di noi. Lo stesso meccanismo lega gli attori alle proprie parti. Un attore non può fare ciò che non ha dentro di sé; durante la recita non si maschera ma si rivela, utilizza parti di sé. Non voglio dire che per recitare Almover bisogna essere dei mostri o per fare la parte di Amleto bisogna essere dei depressi cronici ma deve esserci una segreta scatoletta interna in cui queste emozioni esistono. Il problema è di trovarla, rivelarla ed in questo senso il rapporto tra regista ed attore è "terapeutico".
L'attore all'inizio è malato, paralizzato, ha una rete di convenzioni sociali, morali e di pregiudizi che lo bloccano. Pian piano grazie al lavoro del regista emergono quelle parti di sé che servono al personaggio e "guarisce nel personaggio". Per esempio Mesciulan è un attore che ha una forte dimensione di astrazione, di filosofia con una grande difficoltà di rapporto con se stesso. Mi sembrava che in lui ci fosse una competenza istintiva verso un certo ruolo. Cioè passando attraverso un'esperienza intellettuale potesse raggiungere o svelare un'emozione da essa profusa.
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