In questo articolo verranno brevemente commentati alcuni risultati di ricerche sperimentali recenti ed ancora in corso su alcuni aspetti neurochimici della funzione normale e patologica del sistema nervoso centrale(SNC).
Si tratta evidentemente di un approccio totalmente riduzionista e non potrebbe essere altrimenti nell'affrontare problematiche di questo tipo, anche da parte di chi è ben consapevole della complessità del SNC e della sua sostanziale intrattabilità mediante un'analisi completamente determinista. Vedremo infatti che la particolare via metabolica considerata è caratterizzata da una tipica retro-azione, ovvero una circolarità che impedisce di definire con certezza cause ed effetti di una sua alterazione.
Il lavoro sperimentale cui verrà fatto riferimento è di tipo essenzialmente biochimico e riguarda un livello neuromolecolare che, come è noto, si può collegare ad un livello comportamentale solo con una certa arbitrarietà, poiché una scatola nera(black box) si interpone ancora tra i due livelli e noi ignoriamo ancora totalmente come tale collegamento possa essere attuato.
Le molecole prese in esame in questo studio sono quelle di enzimi presenti nel SNC e di farmaci come le fenotiazine, componenti importanti dell'arsenale terapeutico usato da tutti gli psichiatri per il trattamento delle patologie mentali. Le fenotiazine sono state introdotte in terapia fin dagli anni 50 quando si è visto che esse potenziavano gli effetti degli anestetici generali, degli ipnotici e degli analgesici. Le indicazioni relative all'uso di queste molecole si sono estese dalla medicina generale alla psichiatria sulla base delle loro proprietà ganglioplegiche, simpaticolitiche, anticonvulsivanti e soprattutto anti-psicotiche. Il principale metabolita delle fenotiazine e probabilmente la forma attiva delle molecole È un prodotto che si forma per perossidazione.
Enzimi con attività perossidasica, cioè capaci di ossidare opportuni accettori a spese dell'acqua ossigenata, sono presenti nel tessuto nervoso vascolarizzato, soprattutto sotto forma di mieloperossidasi originata da leucociti neutrofili. Quest'enzima aumenta in particolare dopo danno ischemico in aree cerebrali in cui È abbondante la produzione di radicali tossici dell'ossigeno(Wilson et al.,1995).Recentemente, la presenza di una mieloperossidasi apparentemente specifica del tessuto nervoso È stata dimostrata nel cervello umano, ma nessuna indicazione È stata fornita sulla sua importanza fisiopatologica, a parte il fatto che essa catalizza l'ossidazione dell'apoproteina E e che questo potrebbe essere ricollegato alla patogenesi della malattia di Alzheimer(Jolivalt et al.,1996).
L'attività perossidasica cerebrale sembra inoltre avere un ruolo importante nella terapia neurolettica con fenotiazine e nella patogenesi del morbo di Parkinson.
Si È infatti dimostrato(Galzigna et al.,1996) che una tipica fenotiazina come la prometazina, in presenza di acqua ossigenata e di ossigeno, viene ossidata a prometazina solfossido, con formazione di una specie radicalica intermedia messa in evidenza mediante ESR(electron spin resonance).L'enzima usato in questo studio È stata una perossidasi purificata commerciale e lo scopo del lavoro È stata soprattutto la delucidazione del meccanismo cinetico della reazione, con tutte le sue tappe intermedie. Il prodotto finale, cioè la prometazina solfossido, è stata inoltre sintetizzata per via chimica in assenza di enzimi e si È visto che le sue proprietà neurolettiche(i.e. il prolungamento del sonno da barbiturici nel ratto) non differivano da quelle della prometazina di partenza e che anch'essa era capace di dare origine all'intermedio radicalico se incubata in vitro in presenza dell'enzima. In un lavoro immediatamente successivo(Galzigna et al.,1997) si È visto che la prometazina solfossido poteva fungere da co-ossidante in una reazione catalizzata da perossidasi purificata in cui la prometazina agiva da accettore, con un meccanismo analogo a quello caratteristico delle ossidasi miste microsomiali. Anche in questo caso È stato chiarito il meccanismo chimico-cinetico del processo, che avviene con consumo di ossigeno e formazione dell'intermedio radicalico identico a quello della reazione precedente e documentabile mediante ESR. La formazione del cosiddetto complesso I tra enzima e substrato di prometazina solfossido è stata dimostrata in base all'effetto batocromo, cioè allo spostamento verso il rosso della banda di Soret caratteristica dello spettro dell'enzima,
L'importanza clinica della solfossidazione della prometazina È ricollegabile agli effetti antiossidanti e fotosensibilizzanti di questa fenotiazina, mentre l'effetto della prometazina e del suo solfossido sono stati confrontati valutando la perossidazione del neurotrasmettitore centrale dopamina catalizzata dalla perossidasi. Quest'attività enzimatica ha notevoli implicazioni per quanto riguarda la neurotossicità della dopamina stessa e per gli squilibri dopaminergici caratteristici del morbo di Parkinson. Si sa infatti che la trasformazione ossidativa della dopamina nel composto neurotossico dopaminocromo catalizzata dalla perossidasi in presenza di un opportuno ossidante e la successiva polimerizzazione del dopaminocromo a melanina si identificano con il processo della cosiddetta neuromelanogenesi(Smythies,1996).La diminuzione della melanina contenuta nella substantia nigra del cerebello medio è un reperto autoptico comune nel morbo di Parkinson, mentre un'aumentata melanogenesi è comunemente osservabile nei pazienti schizofrenici sottoposti a terapia fenotiazinica(Lovstad,1980).
La neuromelanina, per lungo tempo considerata come un prodotto di scarto del metabolismo delle catecolammine, è stata recentemente riconsiderata per il suo possibile ruolo protettivo legato alla capacità di chelare metalli tossici, specie il ferro. Alla neuromelanina sono infatti state riconosciute proprietà antiossidanti, poiché essa è in grado di ridurre il ferro(III) a ferro(II),ma anche pro-ossidanti qualora vi sia un eccesso di ferro libero. Nel morbo di Parkinson vi È una predominante alterazione delle cellule pigmentate della pars compacta della substantia nigra e in particolare di quelle con elevato contenuto di ferro e abbassamento delle difese contro lo stress ossidativo. La neuromelanina umana È scarsa nell'età infantile, ma aumenta progressivamente fino ai 60-70 anni dopo i quali l'aumento si arresta probabilmente perché si ha una distruzione delle cellule pigmentate. Dal punto di vista evolutivo, si sa che i mammiferi inferiori sono quasi completamente privi di neuromelanina, mentre la specie umana È quella che mostra i livelli più elevati. Precursore riconosciuto della melanina È il dopaminocromo(o il noradrenocromo) che deriva a sua volta da chinoni tossici prodotti per ciclizzazione ossidativa di dopamina(o noradrenalina) catalizzata da perossidasi. La tossicità dei chinoni dipende dalla loro capacità di legarsi e di danneggiare acidi nucleici e proteine. Un'eccessiva produzione di aminocromi o una diminuita capacità protettiva da parte delle neuromelanine nel tratto nigro-striatale si può ricollegare al morbo di Parkinson, mentre difetti analoghi nel tratto mesolimbico possono essere messi in relazione con un'eventuale patogenesi organica della schizofrenia(Akil e Lewis,1995) o almeno con la genesi di foci neurotossici che potrebbero costituire delle concause di questa sindrome. Osservazioni relative a diminuzioni di neuromelanina sono state riportate nella cosiddetta sindrome di Rett(autismo e alterazioni extrapiramidali nella donna) e in casi di catatonia fatale in cui a bassi livelli di neuromelanina nella substantia nigra corrispondono alti livelli nel locus ceruleus.
La via metabolica che porta alla biosintesi di neuromelanina ha come principale componente il sistema dopamina/acqua ossigenata che, assieme allo ione superossido, condiziona un redox cycling responsabile della formazione dell'intermedio dopaminocromo, come è stato dimostrato più in generale per l'adrenocromo che È un suo analogo strutturale(Bindoli et al.,1990).I livelli di superossido e acqua ossigenata sono però regolati dalla quantità di neuromelanina presente che influenza per retro-azione la formazione del dopaminocromo stesso(Galzigna et al.,"in pubblicazione").Non sappiamo perciò, arrivati a questo punto, se la diminuzione di melanina si possa considerare causa o effetto osservabile nelle patologie citate.
I risultati ottenuti nei recenti studi e le osservazioni in corso presso l'Università di Padova e l'Università di California, San Diego(Smythies e Galzigna,1998) permettono comunque di razionalizzare molte osservazioni cliniche relative ad alterazioni della neuromelanogenesi nel corso di neuropatologie o durante trattamenti neurofarmacologici, sottolineando il ruolo cruciale che in esse hanno le attività perossidasiche cerebrali.
0 commenti