Verdone (Achille De Bellis) e Muccino (Orfeo Rinalduzzi) sono i protagonisti di questo film incontro-scontro tra generazioni diverse. Generazioni che si scontrano nella finzione, dove interpretano rispettivamente un uomo affermato ed un giovane "sbandatello" di ventitre anni figlio abbandonato da un padre che non lo ha voluto, ma che si incontrano nella stesura della sceneggiatura, costruita sulla caratteristica saggia "melancomicità" di Verdone sulla vita e cio’ che veramente conta su cui si inserisce la spontaneità giovane di Muccino, il cui "chiodo fisso" e’ sempre l’incomunicabilita’ con i genitori, l’assenza di obiettivi e la mancanza di regole.
Lo scontro non riguarda, pero’, solo due generazioni diverse, ma anche due classi sociali, quella del "tutto" e quella del "nulla". Orfeo appartiene alla seconda, e’ cresciuto senza padre (non lo ha mai conosciuto) e con una madre che troppo spesso diventa una figlia, pochi agi e sempre un lavoro cui pensare che aiuti a far quadrare il bilancio… tante resposabilita’ su cui cresce la rabbia della solitudine e dell’abbandono che lo rendono aggressivo verso il mondo e gli fanno vivere la vita come un gioco d’azzardo. Ha legati al collo con uno spago due dadi da gioco… dentro di se li tira con violenza contro il bordo del tavolo verde del suo animo… mai una volta che escano i numeri fortunati per se o per sua madre… no! Una volta sì, una volta e’ capitato… quando ha incontrato Cecilia… ma anche in quel caso non è stato facile!
Achille sembra appartenere, invece, alla classe del "tutto": splendida casa, ottimo lavoro (carriera lampo nella catena alberghiera di sua moglie e suo cognato!), famiglia perfetta. Il tutto, pero’, si sgretola facilmente quando l’ "uragano Orfeo" svela le menzogne che sostenevano la facciata dell’ idilliaco mondo di Achille, sotto le cui impalcature si e’ svelato il niente.
Così il film si rivela uno scontro tra un piccolo borghese pavido e un po’ vigliacco e uno sbandatello disordinato, aggressivo e un po’ incosciente. Si scontrano anche il mondo della finzione, della menzogna e dell’apparenza ed il mondo di cio’ che conta davvero, di cio’ che davvero e’ la vita, degli affetti e dei sentimenti, il tutto durante un viaggio consapevolmente alla ricerca di Cecilia, inconsapevolmente alla ricerca di loro stessi, delle proprie radici e della propria famiglia, non costruita solamente sul legame di sangue, ma sulle affinita’ degli affetti personali.
Cio’ che ha portato allo scontro e’ stata la decisione di Achille di licenziare la madre di Orfeo sospettata d’aver rubato un computer portatile dalla valigia di un facoltoso cliente. Ella nega il reato, lo nega anche al figlio (egli mai metterebbe in dubbio la parola dell’amata mamma) che si precipita impulsivamente dal direttore per giurargli vendetta: "Io ti voglio rovinare, Achille, io ti voglio umiliare". Da quel momento Achille diventa per lui il padre mai avuto, il padre che lo ha abbandonato all’ insicurezza dei primi passi da solo ed all’incertezza/certezza di non poter mai essere amato da nessuno, diventa il capro espiatorio delle proprio sofferenze ed insoddisfazioni, diventa colui punito il quale forse potra’ ritrovare la serenita’, l’amore di una mamma che mai ha contenuto le sue paure e forse anche le redini della sua vita che sente sfuggirgli tra le dita di un’esistenza qualunque, priva di ambizioni, ma sempre ricca di chiacchiere inconcludenti e lavoretti precari.
zMa Orfeo, proprio quando meno se l’aspetta, trova l’amore di una giovane ragazza, Cecilia (Ana Caterina Morariu) , figlia di Achille, che apparentemente sembra avere tutto, ma che in realta’ non e’ mai riuscita ad avere cio’ che piu’ voleva: le attenzioni di un padre fisicamente presente, ma che nonostante il suo buon cuore non riesce a sorpassare il confine della superficialita’, troppo preso dal lavoro per accorgersi delle doti di sua figlia. Vaga cosi’ nel proprio animo scrivendo poesie e ricercando qualcuno che la ami da ricambiare, trovando solo un cantante inglese anagraficamente troppo grande per lei, in realta’ vuoto e "troppo fatto" per poterla vedere per cio’ che e’ e per cio’ che vale.
Dopo aver scoperto, alla festa del venticinquesimo anniversario di matrimonio dei genitori, che il padre tradisce la madre con la zia e credendo che Orfeo l’abbia solamente usata per veder soddisfatto il proprio desiderio di vendetta, Cecilia decide di partire. La sua e’ in realta' una fuga per allontanarsi da questo mondo adulto senza regole e senza moralita’, che in maniera sbrigativa si ferma all’insegnamento dell’apparenza e della superficilita’, ma che altrettanto facilmente crea un vuoto sempre piu’ profondo nello cuore degli adolescenti. Questi ultimi chiedono regole che come punti fermi li aiutino ad orientarsi in quel mare di sensazioni, emozioni e cambiamenti che li caratterizza, cercano genitori che credano come loro in valori ed in ideali, ma troppo spesso non ricevono risposte a queste necessita’.
Orfeo vive quasi addormentato tra le braccia dell’idealizzaione materna, cieco di fronte alla fragilita’ ed alle debolezze di una madre che non riesce a riconoscere malata perche’ accecato dall’amore che nutre nei suoi confronti. Sara’, pero’, presto costretto ad aprire gli occhi: la madre lo lascia, quasi lo abbandona (anche lei…), per partire con il suo amante, in balia delle emozioni e dell’eccitazione. Non paga le bollette, fallisce nei propri progetti senza prenderne consapevolezza… un giorno, dopo mesi di randagismo, torna a casa pronta solo a rotolarsi nel letto col suo amante… Finalmente Orfeo la vede nella sua interezza, animalesca e malata, non piu’ infallibile come un tempo, ma umana, capace di sbagliare ed anche di rubare. Questo momento rappresenta per lui una vittoria, una conquista: acquista la capacita’ di vedere e di entrare in contatto con la realta’, sente per la prima volta di essere un’entita’ separata da quella materna e di avere delle possibilita’… deve solo correre a prenderle.
Inizia cosi’ il viaggio di Achille ed Orfeo, da Roma a Sabaudia, dal Lago di Como fino ad Istanbul, alla ricerca di qualcosa che entrambi hanno a cuore fornendo una morale tanto provvidenziale, quanto all’insegna del luogo comune: bisogna perdere tutto per imparare ad amare le cose importanti; un viaggio che lascia trasparire l’essenza della diversita’ delle generazioni con gag e battute alternate a malinconia, attraverso il quale Verdone sicuramente ha voluto omaggiare il grande Alberto Sordi che ventiquattro anni fa lo aveva accompagnato nel famoso "In viaggio con Papa’".
Forse nella seconda parte il film perde ritmo e vivacita’, lasciando intravedere complessivamente anche un’eccessiva voglia di fare – strafare delregista che a volte rende le cose poco credibili: il padre ritrovato al commissariato, la mamma sessantottina, il cantante rock che arriva dall’Inghilterra… gli incastri, cosi’, non sempre risultano riusciti.
L’attore Carlo Verdone, invece, come di consueto, impersonifica brillantemente il proprio personaggio, fornendo un’interpretazione ricca di sfumature mimiche, tanto familiari che a volte sai gia’ "che faccia fara’" di fronte ad una determinata situazione, molto delicata e calibrata anche nella goffaggine, che non lascia mai spazio a leziosita’ inutili. Mentre Silvio Muccino travolge gli spettatori con una recitazione che sembra spontanea, adattandosi all’incoscienza del proprio personaggio perfettamente, con, dalla sua parte, sicuramente la giovane eta’.
Il film termina con la classica happy end buonista che ricompone gli equilibri familiari, facendo riferimento a quella famiglia non assegnata dal destino, ma alla vera famiglia che il film vuole indicare, quella famiglia che e’ "dove la trovi", dove riesci a riporre i sentimenti e dove ti senti accudito in un ambiente d’affetti profondi, dove non e’ padre chi ti abbandona o chi finge di interessarsi alla tua vita imponendoti degli schemi, ma colui che ti guida verso un cammino di crescita sbagliando a sua volta, ma con l’ingenuita’ dell’amore paterno e la buona fede. E dove e’ figlio chi sa perdonare i limiti del padre.
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