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DEVIANTE E GENIALE. LE RELAZIONI FRA ARTE E FOLLIA NELLA CRIMINOLOGIA LOMBROSIANA

5 Mag 15

Di Pierpaolo Martucci

ABSTRACT

During Nineteenth Century social scientists showed great interest about various forms of art.
In particular, Lombrosian criminology and positivist psychiatry long analyzed the mechanisms of artistic production, assuming a direct link between psycho-physical pathologies and creative talent. The recent development of neuroscience has promoted a new series of studies on the neurological basis of artistic creativity,  helping to partially re-evaluate the contents of certain Lombrosian insights.

 

Nel corso del diciannovesimo secolo gli scienziati sociali dimostrarono grande interesse per le varie forme d’arte In particolare, la criminologia lombrosiana e la psichiatria positivista analizzarono a lungo i meccanismi alla base della produzione artistica, ipotizzando un legame diretto fra patologie psico-fisiche e talento creativo. Il recente sviluppo delle neuroscienze ha dato vita ad una nuova serie di ricerche sulle basi neurologiche della creatività artistica, contribuendo a rivalutare in parte i contenuti di talune intuizioni lombrosiane.

 

 

«E chi alla lettura di queste belle pagine può dubitare, più, che vi sieno casi in cui la pazzia dà agli intelletti volgari un lievito sublime che li solleva dal livello comune?» (Lombroso, Genio e follia, 1864)

 

1. Positivismo e creazione artistica

Probabilmente l’Ottocento è stato il periodo in cui gli scienziati  mostrarono la più marcata attenzione per le espressioni artistiche in ogni loro manifestazione. Come si è osservato: «Il primato della creazione artistica (…) è stato sempre minacciato dalle scienze, ma forse mai in modo così aggressivo come avvenne durante la crescita esplosiva delle scienze dell’uomo nel tardo diciannovesimo secolo, quando l’indagine scientifica si spinse al di là dell’interesse per i meccanismi del corpo e tentò di accedere all’ “anima” postulando fattori innati per spiegare e predire il comportamento» (Dobelbower & College, 2006, p.205).

Ciò fu particolarmente vero per la neonata antropologia criminale lombrosiana, ma anche per l’esordiente psichiatria e per la psicologia, accomunate nell’approccio positivista che riteneva di poter sottoporre al vaglio dell’analisi scientifica e della ricerca sperimentale tutte le attività umane, incluse quelle, come l’arte, che la visione romantica aveva collocato in una sfera spirituale superiore, quasi avulsa dal mondo materiale.

Nel 1859 lo psichiatra francese Jacques Joseph Moreau, detto de Tours, celebre per i suoi pionieristici studi sugli effetti dell’hashish, nell’opera La psychologie morbide dans ses rapports avec la philosophie de l’histoire, ou de l’influence des nevropathies sur le dynamisme intellectuel (La psicologia morbosa nei suoi rapporti con la filosofia della storia, o dell'influenza delle nevropatie sul dinamismo intellettuale)  aveva scritto: «Les dispositions d’esprit qui font qu’un homme se distingue des autres hommes par l’originalité de ses pensées et de ses conceptions, par son excentricité ou l’énergie de ses facultés affectives, par la transcendance de ses facultés intellectuelles, prennent leur souffle ce dans les mémes conditions organiques que les divers troubles moraux dont la folie et l’idiotie (in corsivo nel testo) sont l’expression la plus complète» (Moreau, 1859, p.V).

In Italia, all’incirca negli stessi anni, un altro medico alienista, Cesare Lombroso, futuro fondatore della antropologia criminale, andava sviluppando un interesse che sconfinava in vera fascinazione per l’intreccio che non di rado sembra legare il genio alla follia, alla devianza, all’arte. Appena ventenne i suoi iniziali interessi speculativi riguardavano i sogni e il rapporto fra genio e follia, la cui disamina comparve per la prima volta nel saggio Sulla pazzia di Cardano (1855), dedicato al celebre medico e matematico rinascimentale Girolamo Cardano. Questa linea di indagine rimarrà costantemente presente nel pensiero lombrosiano. La prima edizione del saggio Genio e follia è del 1864  (precedente di ben 12 anni a L’Uomo delinquente)  e troverà pieno compimento nella versione del 1894: L’uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all’estetica.

Nell’introduzione all’edizione del 1864, lo studioso veronese rifletteva, con l’enfasi stilistica allora comune: «È bene una triste missione, la nostra, di dovere, colla forbice dell'analisi, ad uno ad uno, sminuzzare, distruggere, quei delicati e variopinti velami, di cui si abbella e s'illude l'uomo, nella sua boriosa pochezza, e non potere dar in cambio degli idoli più venerati, dei più soavi sogni, che l'agghiacciato sorriso del cinico! Tanto è fatale, anche, la religione del vero! Così il fisiologo non rifugge dal ridurre, a poco a poco, l'amore ad un gioco di stami e di pistilli… ed il pensiero ad un arido movimento delle molecole».

«Persino il genio, quella sola potenza umana, innanzi a cui si possa, senza vergogna, piegare il ginocchio, fu, da non pochi psichiatri, confinato insieme al delitto, fra le forme teratologiche della mente umana, fra le varietà della pazzia» (Lombroso, 1864, p.3).

 

2. Cesare Lombroso e la lettura patologistica del genio

Osservava un saggista coevo del grande criminologo «Qui occorre soltanto notare come Lombroso non solo ha dato ordinamento scientifico ed ha iniziata la riforma nel diritto penale e nella criminologia, ma collo studio positivo applicato alla produzione della genialità, abbia aperto nuovi orizzonti alla critica letteraria e umanizzato quegli idoli, che un pregiudizio atavico poneva, perché geni, all’infuori della natura in un olimpo da operetta. (…) se è ben vero che da Lui questi studi hanno attinto un indirizzo più ordinato e severo, non sorsero per opera del solo impulso personale, ma hanno le loro origini nei principi stessi della psico-patologia e si svilupparono pure presso scuole psichiatriche prima che fiorisse quella italiana» (Antonini, 1900, p.158).

Infatti l’idea di una correlazione fra genialità, creatività artistica e condizioni  psicobiologiche borderline o francamente patologiche aveva già trovato sostenitori immediatamente prima della affermazione della scuola criminologica lombrosiana (1).

Lombroso ribadirà in molti passaggi dei suoi scritti la convinzione di una stretta prossimità fra stati psichici anomali (in particolare una sorta di iperestesia affettiva), genialità e creatività artistica: «Se noi, colla scorta delle autobiografie e della osservazione, indaghiamo più addentro, in che distinguasi l'organizzazione d'un uomo di genio da quella d'un uomo volgare, noi troviamo, che, in grandissima parte, la prima si risolve in una squisita, ed, alle volte, pervertita, sensibilità. Il selvaggio e l'idiota sentono, pochissimo, i dolori fisici; hanno poche passioni, e avvertono soltanto quelle sensazioni, che più direttamente li interessano, per i bisogni dell'esistenza. Quanto più si procede nella scala morale, cresce la sensibilità, che è massima negli elevati ingegni, ed è fonte delle loro sventure come dei loro trionfi» (Lombroso, 1877, p.6).

L’analogia fra genio e pazzia era confermata, a suo parere, da un’imponente mole di dati biografici: «Ed infatti, moltissimi degli uomini d'ingegno ebbero parenti o figliuoli epilettici, idioti o maniaci. (…) Né fu raro il caso, in cui, quelle cause, pur sì frequenti, dell'alienazioni, che sono le malattie ed i traumi del capo, mutarono, invece, in uomo di genio un'esistenza più che volgare. Vico cadde da una scala altissima, nell'infanzia, e n'ebbe fratturato il parietale destro. Gratry, mediocre cantore, da prima, divenne famoso maestro dopo che una trave gli fracassava la testa» (Lombroso, 1877, p.4).

A sostegno della sua tesi, il padre dell’antropologia criminale riportava un lungo elenco di anomalie organiche asseritamente presenti in una serie di grandi personaggi delle scienze e delle arti (2).

Secondo Lombroso  la scoperta scientifica e la creazione poetica sono spesso il frutto di uno stato semicosciente, che consente l’emersione quasi automatica di materiale inconscio, una concezione in fondo non lontana da quella dei suoi contemporanei  simbolisti che celebravano l’artista come veggente: «Goëthe ripeteva, spesso, essere una certa irritazione cerebrale necessaria ai poeti, e molti dei suoi canti essere stati dettati da lui in uno stato simile al sonnambolismo. Klopstock confessò d'aver attinte in sogno molte ispirazioni del suo poema. Voltaire fece, in sogno, una delle cantiche dell'Henriade e Sardini una teoria sul Flageolet e Seckendorf quel bellissimo canto, sulla Fantasia che riflette nell'armonia la sua origine.

Newton e Cardano sciolsero in sogno alcuni problemi di matematica. Il Kubla di Coleridge, la Phantasie di Holde furono composte in sogno. Mozart confessava che le invenzioni musicali gli venivano involontarie, come vengono i sogni. E Hoffmann, ripeteva sovente agli amici: “Per comporre, io mi metto al piano e chiudo gli occhi e copio ciò che mi sento dettare dal di fuori”» (Lombroso, 1877, p.5).

In definitiva, la patologia mentale può amplificare certe capacità –  «coloro che opinano venir meno nei folli la potenza intellettiva, versano in grave errore, mentre, anzi, questa spesso si esalta in essi ed in singolare maniera» – e Lombroso riporta molte osservazioni, tratte dalle sue esperienze manicomiali e peritali, a suffragio di questa tesi. Ad esempio:  «Nella mia clinica di Pavia, già da vari anni, fu accolta una donna del popolo, che impazzita per abuso di venere e di alcool, s'era fitta in capo d'essere una Napoleonide, cui una legione di nemici aveva preso a perseguitare, mettendole il veleno nelle ova, nel pane, nel vino, ecc. Questa monomaniaca, tuttavia, mostrava un maraviglioso genio pel disegno e pel ricamo; tracciava certe sue farfalle così leggiere e così vere, che pareva alitassero, lì, sopra la tela»  (1877, p.22).

In sostanza, per il padre della criminologia moderna il genio, artista o scienziato che sia, è fondamentalmente un deviante, essendo la mediocrità la cifra connotativa della “normalità”, Come giunse ad affermare ne La funzione sociale del delitto (la sua opera più innovativa e provocatoria):  «Il vero uomo normale non è nemmeno colto, non è nemmeno erudito, non fa che lavorare e mangiare»  (Lombroso 1896, p. XIII).

E proprio l’assillante desiderio di fare luce su questo intrigante mistero lo portò ad abbandonare i lavori del XII° Congresso Medico Internazionale di Mosca – cui partecipava come invitato d’onore – per recarsi vicino a Tula (a 164 km a sud di Mosca) presso la tenuta Jàsnaja Poljana, ove giunse inaspettato ospite il 23 agosto 1897, a rendere visita al conte Leone Tolstoj, allora considerato il più grande scrittore vivente. Era intenzione dell’alienista studiare  dal vivo quello che considerava uno dei casi più emblematici di genio e sregolatezza.

Le due celebrità trascorsero insieme la giornata, solo per constatare la grande distanza che li separava in termini di sentimenti e opinioni.

Lombroso, socialista riformista, fu colpito dall’incoerenza del romanziere russo e si chiese come potesse questi conciliare il suo cristianesimo antidogmatico e comunistico con una vita di grande agiatezza in una tenuta immensa,  circondato da  uno stuolo di servitori e oggetto di un vero e proprio culto della personalità (un radical chic, diremmo oggi).

Quanto a Tolstoj, molto irritato dal pessimismo antropologico dello scienziato italiano (3), si limitò ad annotare nel diario del 27 agosto 1897: «E’ venuto qui Lombroso, un vecchietto limitato e ingenuo» (4).

Non si erano affatto piaciuti.

 

3.  La “criminologia intuitiva” nelle arti figurative e narrative

La criminologia positivista si occupò diffusamente degli artisti anche sotto una prospettiva differente, considerandoli come soggetti in grado di raffigurare nelle creazioni letterarie e pittoriche, con straordinaria capacità intuitiva, le categorie della pazzia e del delitto.

Era un tema che appassionava da tempo la psichiatria europea. Il grande neurologo Jean Martin Charcot – il luminare della Salpêtrière sotto cui studiò Freud –  in collaborazione con il suo assistente Paul Richer (5),  dedicò un saggio al Demoniaco nell’arte (1887) e un successivo lavoro ai Deformi e ammalati nell’arte (1889).  In quelle opere gli autori  constatavano che le stigmate fisiche e gli atteggiamenti  caratteristici dei «deformi» e dei «demoniaci nell’arte» riproducevano – come la figura di fanciulla indemoniata che campeggia nella Trasfigurazione di Raffaello – i lineamenti e le pose che lo scienziato moderno rileva e studia nei colpiti da grave isterismo e da istero-epilessia.

Utilizzando i canoni della storia dell’arte, Charcot intendeva confermare retrospettivamente  la continuità nel tempo delle sue scoperte nosologiche. Sembra che lo spunto per studi volti a mostrare come la patologia possa «invadere l’arte» sia stato offerto al neurologo francese da una visita alla chiesa di Santa Maria Formosa, nel corso di un viaggio a Venezia. In quell’occasione Charcot scoprì con sorpresa che una delle immagini grottesche che decoravano la facciata della chiesa rappresentava «alla perfezione» un caso di deformità di cui  lui stesso aveva illustrato alcuni rimarchevoli esempi ai frequentatori delle sue conferenze alla Salpêtrière,  pochi giorni prima (Dobelbower & College, 2006, pp. 209-210).

Un altro psichiatra francese, Edouard Lefort, esponente  della scuola lionese di antropologia criminale fondata dal celebre Alexandre Lacassagne, pubblicò nel 1892 una monografia illustrata intitolata Le type criminel d’apres les savants et les artistes (Il tipo criminale secondo gli scienziati e gli artisti). Passando in rassegna le riproduzioni dei quadri più famosi della scuola italiana, fiamminga, spagnola e francese egli rilevava che nell’iconografia religiosa (storie bibliche, crocefissione, giudizio universale) «i violenti, gli omicidi, i carnefici, i dannati hanno fisionomie ripugnanti o brutali, che riprendono le caratteristiche del tipo criminale: testa grossolana e ottusa –volto asimmetrico – occhi piccoli e grifagni – mascelle enormi e quadrate – fronte bassa e sfuggente – arcate sopracciliari e zigomi sporgenti – orecchie ad ansa o puntute (riproducenti il cosiddetto lobulo di Darwin) – capelli abbondanti e duri, barba scarsa o mancante».

Tanto da affermare che «il tipo criminale intuito da Cesare Lombroso e scientificamente descritto dalla Scuola Antropologica Italiana ha un perfetto riscontro nell’opera artistica di molti secoli» (Lefort, 1892, p.92).  Un altro allievo di Lacassagne, il medico e criminologo Emile Laurent, si dimostrò particolarmente interessato ai potenziali pericoli derivanti dal decadentismo nella cultura e nelle arti. In un suo trattato – La Poésie décadente devant la science psychiatrique (1897) – pretese di identificare connessioni empiriche fra la teoria medica della degenerazione e il movimento estetico decadentista.

Tuttavia l’opera più significativa prodotta su questo tema dall’area lombrosiana rimane forse il libro di Enrico Ferri I delinquenti nell’arte (1896), dove l’illustre autore sottolinea l’approccio immediato ed empatico di scrittori, poeti, pittori al mistero del male: «L’arte precede diritto e filosofia: è nella sua natura intuitiva. Zola dà un volto alla diagnosi e alla prognosi di Morel e di Lombroso. La verità è che il crimine, nei suoi due aspetti – colui che lo compie, colui che lo subisce – è dolore: l’artista, che possiede la sensibilità cosmica di percepire e raccogliere, ne è investito» (Cassinelli, introduzione in Ferri [1896], 1950, p.15).

L’interesse per i rapporti fra arte e patologia avrebbe segnato a lungo i percorsi della scuola criminologica italiana. È emblematico che il fisiologo Mariano Patrizi – successore di Lombroso alla cattedra di Antropologia Criminale all’Università di Torino, dopo la morte di questi avvenuta nel 1909 – si disinteressasse sostanzialmente delle ricerche nell'ambito criminologico tradizionale, per coltivare invece l'applicazione del criterio psico-antropologico alla critica artistica, sulla base di un interesse estetico che aveva già dimostrato di considerare estremamente importante, e che lo aveva indotto nel 1896 a scrivere un saggio sul concittadino Giacomo Leopardi, dominato da una lettura strettamente patogenetica del genio di Recanati. Sulla stessa falsariga, aderendo al gusto divulgativo e letterario tipico di molti esponenti dell'ultimo positivismo italiano,  produsse scritti su «l'udito dei pittori» ed un saggio sul Caravaggio, come esempio di «pittore criminale» (Patrizi, 1916).

 

 

4Eredi di Lombroso? Verso una neuro estetica

 

Trascorsi ormai molti anni, è lecito chiedersi quanto di attuale rimanga di tanti copiosi contributi. Forse molto più di quanto si potesse credere sino a poco tempo fa.

Il recente, straordinario sviluppo delle neuroscienze ha contribuito a rivalutare la portata anticipatoria di alcune intuizioni lombrosiane e, nello specifico, ha ridato vita ad una serie di ricerche sulle basi neurologiche della creatività artistica (ad es. Carson, 2011), condotte con metodologie ben più rigorose rispetto a quelle del XIX secolo, quasi sempre approssimate e fondate su materiale aneddotico di seconda o terza mano. Taluno non ha esitato a parlare di «età dell’oro delle opportunità scientifiche rispetto alla neuroscienza della creatività» (Abraham, 2013, p.15).

Anche in questo caso le indagini sembrano confermare la presenza di fattori neurologici comuni nella genesi creativa e in talune forme di sofferenza psichica.

In proposito mi limito a riportare quanto riassume  un neuro scienziato dell’Università di Graz, Andreas Fink, in merito ai riscontri della letteratura scientifica più recente:

«Sulla base di questi risultati potremmo concludere che i medesimi tratti di personalità e cognitivi possono essere piuttosto simili fra persone creative e persone sofferenti di forme moderate di disturbi mentali (…) Si può ipotizzare che tanto gli individui predisposti alle psicosi che quelli altamente creativi includono nei loro processi mentali molti più stimoli e categorie di quanto non facciano le persone meno creative il che potrebbe essere visto anche come una sorta di interruzione dei meccanismi di filtro, che sono preposti a bloccare gli stimoli irrilevanti per facilitare l’efficienza del processo di elaborazione delle informazioni (…) In accordo con ciò, individui altamente creativi e persone sofferenti di patologie psichiche “appaiono contraddistinti in parte dall’abilità di percepire e descrivere ciò che rimane nascosto alla vista degli altri” (Carson et al., 2003, p.499)»  (Fink, 2013, p.46)

E vale la pena di ricordare che nel 1999 un neurobiologo britannico, Semir Zeki, ha introdotto per la prima volta il termine  neuroestetica, a sostegno della possibilità di sviluppare un campo di conoscenza riferita alle basi biologiche dell'esperienza estetica. Lo studioso ha analizzato il funzionamento delle aree cerebrali in situazioni di creazione e/o di percezione di oggetti artistici ed estetici, come la pittura surrealista o l’arte cinetica (Zeki 1999, 2001).

In definitiva, un secolo dopo Lombroso il legame fra arte e patologia rimane un percorso di studio sempre aperto (6).

 

 

Note                                                        

(1)        Si veda ad esempio il capitolo I precursori nell'arte e della psico-patologia del Genio, in Antonini, 1900.

 

(2)        «Alle anomalie sopracitate, giova aggiungerne parecchie che si devono alle osservazioni recenti di Canestrini, Mantegazza, Vogt, Alborghetti, Turner ed alle mie (…) Dalle indagini degli altri osservatori risulta come avessero la fronte sfuggente Manzoni, Petrarca e Fusinieri; come si notasse la saldatura delle suture in Byron, Foscolo, Ximenes e Donizetti; la submicrocefalia in Rasori, Descartes, Foscolo, Tissot, Tiedemann, Hoffmann, Schuhmann; la sclerosi in Donizzetti [sic] che presentava tra lo sfenoidie e l'apofisi basilare una cresta ossea (…) Dopo tutti questi fatti, non si troverà ardito il sospetto che come il genio è spesso espiato da inferiori in alcune funzioni psichiche, sia anche accompagnato da anomalie nell'organo stesso che è fonte della sua gloria» (Lombroso, 1877, p.114).

 

(3)        Due anni dopo ne avrebbe criticato le teorie nel famoso romanzo Resurrezione (1899).

 

(4)        La vicenda è minuziosamente narrata in Mazzarello, 1998.

 

(5)        Il francese Paul Richer (1849-1933) fu una singolare figura di studioso, che coniugò la professione medica con l’attività artistica di scultore: nel 1896 divenne membro dell’Accademia Nazionale di Medicina e nel 1903 fu chiamato alla cattedra di Anatomia Artistica alla Scuola Nazionale Superiore di Belle Arti di Parigi.

 

(6)        Il testo del presente articolo riprende parzialmente quello della relazione presentata al Convegno di studi “Arte e patologia”, Monastier di Treviso (TV), 18 ottobre 2014.

 

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