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RICORDANZE QUARTA PARTE SDSM Progetto impossibile but “Yes we came”

22 Ott 18

Di Sergio-Mellina
«La verità è che da parte della gerarchia
non si nega il diritto ad una scelta,
si nega il diritto ad una scelta opposta
 a quella che la gerarchia stessa ha compiuto».
(corsivo di Fortebraccio, Dalla parte di lor signori, l'Unità, 25 giugno 1972)
 
 
 
Premessa.
 
 
Il TSO come pomo della discordia in psichiatria. L’unico?
 
Ho aspettato un po’ a dare la mia opinione sul TSO, e sulla tripartizione della psichiatria senza manicomio, ma mentre mi appassionavo alle collaborazioni con Francesco Bollorino sul quarantennale della “180”, andavo adocchiando alcuni dei temi più esplosivi ed urgenti della cronaca psichiatrica più recente. Li accantonavo, codesti temi, per cercare di rifletterci sopra con calma. La mia intenzione, però, era quella di completare prima la lunga rievocazione della mia particolare “occupazione” del territorio scelto tra il Municipio delle Torri, di Roma Capitale. Ma, visto che il complesso Ex-ENAOLI occupa una superficie di terreno di oltre 7 ettari [01], temo che dovrò prendermi un po’ più di spazio per la narrazione manicomio-territorio e la cosa andrà per le lunghe. D’altro canto, la fisicità di un gigantesco rettangolo trapezoidale delimitato da 4 strade a salire da sud a nord: Via Pietro Tomei, la base, Via di Torre Spaccata e Via Rugantino rispettivamente lato destro e sinistro, chiusi in alto dalla Via dei Romanisti, non può essere assolutamente trascurata. Tra l’altro il civico 157 di Torre Spaccata dovrebbe essere l’entrata ufficialmente aperta, mentre il varco precedente, il 155, un tempo per le iniziative sportive locali, ignoro se sia attivo e l’ultimo, il 159, diciamo l’accesso al farmaceutico, dovrebbe essere chiuso.
Ripensandoci bene, adesso, verrebbe da chiedersi se dal mio pensionamento, ad oggi che rievoco codeste ricordanze, siano mutate le proprietà di questo ricco bene immobiliare. Incuria, pigrizia, trascuratezza? Un possedimento così, è difficile che col tempo si sia trasformato in res nullius. Cercherò di vedere se sarà possibile acclarare la o le titolarità, con gli eventuali relativi contenziosi. Quasi sicuramente, avrà vissuto di mors tua vita mea e viceversa, il genere più praticato tra gli enti locali: comunali, ex-provinciali, regionali, oppure  quelli dismessi perché “inutili”, e le associazioni di cittadini. Tenuto anche conto, che i problemi incontrati quarant’anni addietro, si vanno riproponendo man mano che li rievoco, con una similarità impressionante, chiederò un time out, come s’usa nel basket, in codesta lunga narrazione del mio 180×40, allagata da ricordi collaterali, ma irti di quesiti ancora irrisolti.
 
Malgrado la scrupolosità, l’ostinazione, dedicate nel prendere di petto tutte le situazioni più critiche rivelate dal territorio, c’era sempre qualcosa che non tornava. Più cercavo di assolvere i miei compiti nel miglior modo possibile – almeno quelle che supponevo essere le mie funzioni di responsabile del SDSM – senza precisi e collaudati modelli di riferimento, più saltavano fuori, o prima o poi, ostacoli insormontabili. Evidentemente c’era qualcosa d’imprevedibile, o che io ignoravo, che giungeva  a logorare il cammino, facendo fallire il progetto di partenza. [02]
Ecco, proprio il mio grande camminare, avanti e indietro, per questi 7 ettari dell’ex-Enaoli, fin dai primi tempi del mio tentativo di occupazione del territorio di cui ero destinatario come psichiatra senza manicomio, me lo ha fatto tornare alla mente ora. L’area del territorio e quella dell’ospedale sono incongrue, impenetrabili, vasi incomunicanti, per il semplice motivo che il primo pratica un orario continuativo, “con cambio a vista”, il secondo, uno “con chiusura a orario”. H24 versus H12. Due mondi, due aree non omologabili. Ma 7 ettari da camminare, erano un’enormità, mentre per sistemare pazienti da curare, ed eventualmente far dormire, era proibito perché eravamo appena scappati dal manicomio. E qui il “troppo spazio” ha valenza opposta al “troppo angusto”, dunque vanifica ogni intenzione. Tutti sappiamo che il troppo stroppia. «Credo che nessuna disciplina medica – scrive Di Petta in “Cuore di tenebra”, una sua rubrica di Psychiatry on line Italia – abbia fatto, o subìto, percorso dissociativo analogo. E tanto basti a ribadire la peculiarità della psichiatria stessa, o quanto meno la sua non facile omologabilità alle altre discipline mediche».
Allora? Tertium non datur. Ma il principio logico del terzo escluso, già presente nella metafisica aristotelica, era facilmente superabile nella organizzazione amministrativa della psichiatria manageriale brillantemente descritta da Gilberto Di Petta, come vedremo meglio più avanti. Chi dirige e comanda, ben remunerato, probabilmente non ha mai visto un “malato in carne e ossa”, né conosce le sue sofferenze.
Sono andato a riprendere in esame il materiale accantonato e mi sembrerebbe di poter dire che i più gravi e irrisolti dei problemi, siano fondamentalmente due: il TSO e la tripartimentazione della psichiatria come disciplina, come materia da studiare, da insegnare, da applicare, da organizzare, da svolgere quotidianamente per piccole aree. Problemi forse anche irrisolvibili, almeno fino ad ora, giacché dopo 40 anni sono rimasti all’incirca tal quali. Allora, messa tra parentesi la mia vicenda a Torre Spaccata, e come alla fine ne siamo usciti onorevolmente, o senza creare maggior danni, cercherò di argomentare le mie risposte, commentando il contributo di  Giuseppe Bollorino e Gilberto Di Petta. Le loro parole, i loro pensieri, le tematizzazioni, opportunamente commentati, mi aiuteranno a chiarire meglio le mie ricordanze e a tentare qualche suggerimento.
 
 
1. 4 ■ È “Politicamente scorretto” mettere il dito sulle piaghe?
 
Cominciamo col primo problema.  Di Francesco Bollorino, avevo già messo in serbo il suo “editoriale” del 24 aprile, 2017 su POLITICAMENTE SCORRETTO: ma il problema della psichiatria è il TSO?. Personalmente mi son fatto l’idea che la faccenda del TSO sia antica quanto la 180 che l’introdusse. Il fatto che periodicamente riaffiori è fisiologico. Forse anche per ragioni d’incomprensibilità, o d’inopportunità, o d’incompetenza, come tenterò di chiarire.
Tutti e tre, mi ci metto anch’io, essendo dei “clinici”, ovverosia dei medici, non possono non aver fatto una “guardia” o “visitato” un malato o paziente che dir si voglia. E ciò non può non essere avvenuto se non in ambiente ospedaliero, o clinico, se non altro per imparare l’arte o il mestiere come più vi aggrada. Per inciso dirò che ai tempi dell’SPDC del San Giovanni girava un assioma “i Primari non fanno la guardia”, principio alquanto nonnistico. Dico questo perché una visita medica, almeno per come mi è stato insegnato, implica che il soggetto – dopo che ne sia stata raccolta l’anamnesi – sia guardato, toccato, palpato, auscultato, “percosso” col nostro dito medio “a martelletto” sul nostro medio sottostante dell’altra mano; gli sia controllata la lingua, il fotomotore con la “lucciola”, i riflessi col martelletto e via discorrendo fino a completare tutte le operazioni semeiologiche. La visita medica, non può altrimenti intendersi che nei modi sopradetti, sia cha avvenga a domicilio, sia che si svolga in ambulatorio, sia che si effettui in una struttura ospedaliera.
Mi sono dilungato sugli aspetti delle procedure mediche di visitazione dei soggetti “presunti malati” giunti all’osservazione sanitaria, per dire che tanto io quanto i Colleghi Bollorino e Di Petta, hanno avuto grandi probabilità di essere stati medici di  guardia e di averne fatte, di ogni genere e tipo, in ogni istituzione. Loro, per inciso, essendo molto più giovani, forse non hanno fatto quelle manicomiali  ancien régime (teoricamente possibili fino al 13 maggio 1978). Se si, come non detto. Io, molto più vecchio, negli anni cinquanta, per arrotondare, di guardie, ne ho fatte moltissime anche in cliniche private (si veda oltre). Tra l’altro, ho imparato, molte cose utili, convivendo coi pazienti e sempre mai meno di ventiquattrore. Questo anche alla “Neuro” e al “Santa Maria della Pietà” come Assistente di ruolo.
 
 
2. 4 ■ Il TSO e i1 118 psichiatrico
 
A porre la questione in evidenza con decisione, è stato Francesco Bollorino partendo dalla cronaca della primavera dell’anno scorso. «… la stampa ha riportato la notizia che il Partito Radicale ha avviato la raccolta di firme per una proposta di legge d’iniziativa popolare per la modifica dell’istituto del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)». Rammento che l’intervento dei Radicali è un classico, storico. «La legge ha come riferimento [un] paziente tragicamente deceduto – prosegue la nota redazionale di Bollorino – nell’agosto 2009 in un SPDC del Salento in regime di TSO e dopo tre giorni di contenzione a letto. In sostanza i Radicali puntano a limitare l’uso del TSO e a introdurre maggiori controlli nella legittimità del ricorso a tale pratica». Rammentiamo che furono proprio i Radicali a precipitare l’approvazione della 180/78, perché si temeva che l’abolizione tout court dei manicomi senza prevedere nessun tipo di assistenza psichiatrica lasciasse i cittadini privi di diritto alla tutela della salute mentale. In ogni caso, il TSO può anche essere disposto per motivi diversi da quelli psichiatrici, è bene sottolinearlo [03]; così come la psichiatria d’urgenza non si esaurisce nel TSO.
«Non entro nel merito delle proposte alcune davvero singolari – prosegue il direttore di Psychiatry on line Italia – specie se lette come un “ritardo” nell’attuazione del provvedimento tipicamente connesso con l’urgenza, mi limito a porre l’accento come in tutto il mondo istituti come il TSO esistono poiché PURTROPPO la malattia mentale può anche prevedere la non coscienza di malattia e la necessità di un ricovero CONTRO LA VOLONTA’ DEL PAZIENTE».
Non potendo fare un fermo immagine, come nelle proiezioni, per dire che sono in perfetto e totale accordo con Bollorino, lo fermo a questo punto cruciale e lo trasferisco in grassetto affinché risulti più evidente. Ma anche sui passi successivi del suo ragionamento sono in perfetta sintonia con lui., soprattutto su cosa il TSO non sia mai stato, né abbia prodotto.
 
«In oltre trenta anni di pratica psichiatrica svolta anche con regolari turni in Pronto Soccorso quale Psichiatra di Guardia posso dire alcune cose… sul TSO:
«Non è MAI capitato che un TSO sia stato considerato tecnicamente inopportuno e conseguentemente annullato.
«Non è mai capitato che un paziente in TSO sia deceduto a causa di comportamenti medici scorretti.
«Ci sono stati nel tempo alcuni suicidi in reparto sia di pazienti in regime di ricovero volontario sia in regime di TSO per i quali non vi sono state condanne per negligenza dopo le ovvie e giuste indagini della magistratura.
 «I TSO rappresentano una quota molto bassa del numero totale dei ricoveri e spesso la proposta non è stata convalidata perché il paziente ha accettato il ricovero volontario una volta giunto in Ospedale
«Il TSO può rappresentare "una sconfitta" per la psichiatria nella misura in cui può essere il segno di una difficoltà o incapacità di gestione del paziente ma NON E' SEMPRE COSI' e una analisi del problema dovrebbe portare a valutazioni più complesse da declinarsi caso per caso. Le generalizzazioni non fanno bene mai».
Citare la propria esperienza è doveroso e Bollorino lo fa.
«In tutta la mia carriera ricordo solo un episodio in cui la proposta di TSO fatta dal 118 era “sbagliata”: si trattava di una crisi ipoglicemica con confusione mentale non riscontrata a domicilio ma risolta al Pronto Soccorso con un semplice stick e una flebo zuccherata. Detto ciò per chiarezza e onestà intellettuale entriamo nel merito profondo del problema attraverso alcune domande che pongo per aprire … un dibattito serio tra i lettori della rivista».
Mi limito ad una piccola osservazione sull’errore di affidare il TSO al 118, sul quale concordo pienamente con Bollorino. Dico questo perché molti anni fa, intorno ai primi anni Novanta,  mi fu chiesto di partecipare – col mio gruppo di psichiatri in forza al SDSM di Torre Spaccata 157 – ai turni di un pronto soccorso psichiatrico mobile gestito dal “118”. Ricordo ancora la dottoressa Domenica Albanese che mi raccontava, in supervisione, tutti gli interventi effettuati, raccomandarmi di mettere come tassativa la dicitura “118-psichiatrico” per indicare il servizio. In effetti il mio SDSM di Torre Spaccata ha praticato anche questo tipo d’urgenza/emergenza psichiatrica volante, incontrando ogni genere d’imprevisti. Ma quel che più conta, restringendo quasi a zero il margine d’errore. La chiarezza, a mio avviso, si fa avendo ben distinto (apriori, fin dall’invio) il confine tra area medico-chirurgica e area psichiatrica. La collega psichiatra Domenica Albanese che al mio pensionamento, lasciai in servizio al civico 12 di Via della Stazione di Salone, quale responsabile della Comunità Terapeutica intitolata a Mario Gozzano, mi fu di prezioso aiuto in quelle spericolate circostanze. Ciò mi consente di avvalorare la tesi di Bollorino: il “118” per un TSO o è “psichiatrico” o è “sbagliato”, come atto medico.
 
 
3. 4 ■ Come psichiatri … Siamo sicuri che…
 
Tornando al tema lanciato dal direttore della presente Rivista telematica Psychiatry on line Italia, non sono certamente il primo a raccogliere l’invito, ma lo rilancio con le sue stesse parole.
«Siamo sicuri che i problemi dell’assistenza psichiatrica in Italia risiedano tutti nella gestione o nel cambiamento delle norme dei Trattamenti Sanitari Obbligatori?». E ancora. «Siamo sicuri che la contenzione fisica (attuata, ovviamente, con tutte le garanzie del caso rispetto alla salute del malato e per il tempo strettamente necessario) sia “più cattiva” della contenzione chimica?»
No! Assolutamente! Mi sembra di poter rispondere che, non si è mai sicuri di niente, quando si è di guardia psichiatrica. Ogni nuovo paziente è sempre un incontro nuovo, una nuova esperienza, e la decisione da prendere va scelta caso per caso. Ma Bollorino continua, giustamente con la lista delle insicurezze, affiancando e rinforzando, come vedremo più avanti, quelle di Gilberto Di Petta, non solo e non tanto sulle proposte dei “Radicali” di rivedere il TSO.
«Siamo sicuri che la soluzione dei “mali strutturali” dell’Assistenza Psichiatrica in Italia si possano affidare ad articoli di legge o non piuttosto alla loro declinazione corretta nella pratica quotidiana e nella gestione delle risorse? Siamo sicuri che gli abusi e la malasanità si possano risolvere con la legge? O forse è opportuno capire perchè le "buone pratiche" siano così variabili nel tempo e nello spazio? Siamo sicuri che la via della privatizzazione nell’assistenza per mere ragioni di contenimento dei costi garantisca un’uniforme, a livello nazionale, qualità dei servizi? Siamo sicuri che “non esista” il problema clinico e gestionale della naturale evoluzione cronica di una quota parte delle patologie psichiatriche?»
Su questo punto mi permetto di segnalare un libro recente: SALUTE S.P.A. (la sanità svenduta alle assicurazioni). Titolo e sottotitolo già di per sé allarmanti, sono rinforzati dal seguente passo tratto dalla quarta di copertina. «Il futuro che ci attende è quello di una progressiva consunzione del SSN a beneficio di chi, in sua vece, dovrà garantirci la salute». Chi “è de mestiere” come dicono a Roma, nel senso che nel SSN ci ha passato la vita, come chi scrive, sa benissimo, da tempo che, le “Assicurazioni”, non scherzano affatto. Il “premio” è esatto con puntualità cronometrica il “rimborso” è sempre sub judice e comunque si vedrà. [04].
«Basaglia – conclude l’editoriale di Bollorino – da fenomenologo… sapeva che la malattia mentale PURTROPPO ESISTE; aveva scelto … [di] “metterla tra parentesi” sottolineando il peso dell’Istituzione Totale Manicomiale … porsi il problema della Cura è necessario e non si risolve il problema con slogan … ma immergendo le mani come società non solo come operatori nella “merda” avendo il coraggio di farlo, guardando la realtà, ponendosi delle domande, cercando delle risposte».
Si. Credo proprio che uno dei problemi ancora irrisolti, non certo l’unico né il solo, e sui quali s’incarta periodicamente la vita agitata della psichiatria, dipenda proprio dall’esecuzione del TSO, come si è domandato Francesco Bollorino nel suo editoriale del 24 aprile, 2017.
 
 
4. 4 ■ La volontà del paziente non compos sui o presunto tale. Fenomenologia degli accompagnatori.
 
Gilberto Di Petta racconta due esperienze, non propriamente dei TSO ma competenze di una guardia psichiatrica che, solo in parte, sono atti medici. Vale la pena di sottolinearne i punti salienti perché raccontano tutte le incrostazioni che si sono stratificate nella psichiatria senza manicomio. Le responsabilità penali che ricadono sulla guardia psichiatrica post-managerializzazione. Lo sconsolante bilancio di un quarantennio di centottanta, che lo autorizza a parafrasare Louis-Ferdinand Céline (1894-1961) – scrittore anarchico, crudo, diretto, sopravvissuto alle “Ardenne della Grande Guerra”, medico degli ultimi nelle banlieu parigine – con un amaro viaggio al termine della psichiatria. Disciplina di «non facile omologabilità» e, tripartimentata, come dice lui. Io ci aggiungerei anche anfotera di necessità, quando non perfino anfiprotica, posto che sia in grado di donare/ricevere almeno un protone. Passatemi un modo chimico di definire l’intersoggettività.
Gilberto, affonda il bisturi della critica su tematiche strutturali che abbisognerebbero di ragionamenti approfonditi, prese di posizione drastiche, denunce severe, rifiuti decisi. Forse anche un rinnovato entusiasmo. Per questo gli ultimi sognatori della psichiatria clinica che si estingue la fanno rivivere nel racconto. [05].
Anch’io man mano che ricordo e scrivo mi rendo conto che ciò che resta, del nostro saper fare artigiano di una piccola parte della medicina, chiamata psichiatria, è lettura, ascolto, rimembranza, raffigurazione, relazione narrativa, testimonianza. Che è già tantissimo. Comunque, lo sforzo minimo. Per tentare di superare la “mitologia” neuro anatomo-patologica instaurata da Wilhelm Griesinger (1817-1878) la quale, sotto mutate spoglie, ammantate di modernismo, pur sopravvive.  
Quelli raccontati da Gilberto con una prosa avvincente come lui sa usare – altrettanto bene che l’eloquio, pacato, pesato, lucido, meditato – sono semplicemente due guardie psichiatriche dove il TSO non c’entra nulla. Narrazioni di vita ospedaliera emotivamente impegnativa, che gettano luce sugli attori del mondo della sofferenza mentale e di chi la fronteggia. Ne riporto alcuni brani (sbranati selvaggiamente dal testo che consiglio di leggere integralmente), per dare l’idea della differenza che corre tra TSO e Guardia Psichiatrica. La prima è un’osservazione complessa con una decisione presa nel più breve tempo possibile. La seconda è un’osservazione altrettanto complessa, tesa fondamentalmente a difendere dagli assalti ininterrotti di tutti, i fatidici quindici posti letto della centottanta. Una mediazione continua, una trattativa assillante fatta di anamnesi, pratiche semeiotiche, terapie adeguate e valutazione prognostica in corso d’opera. Da non sottovalutare, poi, il fiato sul collo, tuo e del paziente, di numerosi altri protagonisti/attori, non sempre i parenti, ma interessatissimi, per vari motivi, al ricovero del soggetto che hanno accompagnato. Difficile comporre al meglio, anche psichiatrico, ma occorre sempre molto sangue freddo, qualcuno che ascolti, che si sintonizzi con l’altro, gli altri, e che a tutti offra un’opportunità, una via di scampo, sempre che sia legittima.  
 
 
5. 4. ■ Antinoo il cronico lungoassistito delle “strutture intermedie”e la “signora” che l’accompagna.
 
È un racconto amaro quello di Gilberto che parla del mutacico, spaventato Antinoo, e della “signora” che lo ha condotto al DEA, che s’è rivolto all’urgenza psichiatrica.
«Sono rientrato da Parigi stamane. E’ notte. Sono di guardia. Il cicalino del telefono, alle 3.30, mi trova vigile … 118, psicotico cronico del ’77, che “si rifiuta di camminare”. Ospite di una struttura residenziale privata, accompagnato dalla proprietaria-titolare … Allerto gli infermieri… Indossiamo qualcosa e usciamo. Accediamo in PS. Codice verde… La collega mi spiega che vuole effettuare un controllo radiografico della mano … riferita una caduta. Mi accosto al paziente, Antinoo. Ragazzo mingherlino, disteso sulla barella, impaurito. Hanno aspettato in triage … “Cosa vi ha spaventato”? … La signora: “Dottore da ieri sera non cammina più” … è bassina, tra i 60 e i 70, con occhiali grossi, capelli in disordine … [Antinoo] da otto anni sta in questa struttura. Proveniva da un’altra struttura. Mentre inizio la procedura semeiotica, mi interrogo sulle “strutture”. Ma cosa sono queste “strutture”? … negli ultimi tempi, interveniamo su pazienti … provenienti da “strutture”. Antinoo non parla … stabilisco un contatto. Gli sollevo delicatamente prima l’arto inferiore destro, poi il sinistro. Gli chiedo di tenerli sollevati. Mi ascolta. Gli arti si reggono… anche … i… superiori. Valuto il tono. Tocco il paziente, ha il pigiama, ossa con pochi muscoli. Una creatura afasica, con lo sguardo fisso, attonito. Impaurito. La paura mentre lo tocco si scioglie un poco. Gli chiedo di alzare prima la mano destra poi la sinistra. Glielo dico avvicinandomi, con voce calda ma ferma, lo chiamo per nome … esegue i comandi a perfezione. Mi volto alla signora … Antinoo non ha alcuna paralisi … mi risponde che si è impaurita … ha chiamato la psichiatra di riferimento … la stessa ha raccomandato di andare in ospedale … il 118 … non voleva … intervenire …  ha chiamato il responsabile dell’SPDC competente … non ha posti … Infine ha chiamato la guardia medica, che … fatto un sopralluogo, ha allertato il 118».
Il rifiuto generalizzato della cronicità psichiatrica, o lungoassistenza, la sua difficile gestibilità ed il suo lento scivolamento per piani inclinati fino all’ospedalizzazione, un tempo pratica svolta dal manicomio, è la nostra vera sconfitta di questi ultimi quarant’anni di psichiatria riformata. Ci fa rabbia perché alcuni tentativi ci sono stati. Naturalmente tutti i riformatori sapevano, dai tempi di William Tuke [06], che non erano necessari psichiatri per prendersi cura dei folli. Dunque tentativi di cura della patologia mentale cronica utilizzando metodi non psichiatrici erano sempre stati fatti. Purtroppo, non in maniera continuativa, né applicabili ovunque.
Per venire ai nostri giorni, il californiano di Monterey, Loren Mosher (1933-2004), era stato a Londra da Ronald Laing, fin dai tempi dell’antipsichiatria, per vedere personalmente l’esperimento di Kingsley Hall. Tornato in patria aveva dato seguito al progetto Soteria al National Institute of Mental Health (NIMH). Era stato anche in Italia, nel 1978, entusiasta della 180 [07]. Luc Ciompi, si è segnalato con il progetto “Soteria Berna” (1984), salvezza per i lungoassistiti. Di queste strategie di depsichiatrizzazione, di declinicizzazione ne parla diffusamente Gilberto ma con stizza e delusione perché pare che nessuno abbia interesse a perseguirle e incoraggiarle. Mosher si fece molti nemici, nel mondo psichiatrico, dopo che accusò apertamente l’industria farmaceutica di corruzione e perfino di collusione con le associazioni parentali. Diede anche le dimissioni dall’APA in segno di clamoroso dissenso. Non ebbe seguito.
«La mia stizza – continua Gilberto – non è per la signora, che potrebbe essere una mia vicina di casa, una mia zia … è perché sento di stare di fronte ad un paziente giovane, schizofrenico, cronico da anni, dismesso dal nostro sistema sanitario nazionale, se non per la retta, che ormai vive “a casa” della signora». Condivido pienamente la stizza di Gilberto Di Petta. Sottolineo la sua esasperazione per qualcosa che a noi, che abbiamo creduto in questa riforma, ci sembra un’enormità regressiva, un’involuzione «… In questo viaggio al termine della psichiatria c’è anche questo. I nostri pazienti distribuiti a giro, su un territorio anonimo e anomico, gestiti chissà come e chissà da chi. Dopo i primi ricoveri revolving, non li vediamo più. Entrano nella filiera. Abbiamo chiuso i manicomi e abbiamo implementato una filiera di internamenti capillarizzati, diffusi, apparentemente omologati con il territorio, dove questi pazienti svernano la vita, contando le sigarette e i caffé, farmacologizzati soprattutto in merito alla gestione e al controllo del comportamento … Ma che cosa abbiamo fatto? Chi è questa signora con cui io debbo interloquire stanotte? A che titolo questa signora parla con me di questo paziente? Questa signora non si è collegata con l’angoscia di Antinoo (i “cronici” vivono ancora l’angoscia  a dispetto del loro presunto spegnimento del loro sbandierato deterioramento), angoscia psicotica, di frammentazione. E Antinoo si è irrigidito, si è catatonizzato».
Ho già citato Antinoo, questo paziente di Gilberto dal cui sguardo non riusciva a staccarsi. Era proprio trattenuto dal tenace viluppo di quegli occhi, quel “Se tenir par le yeux”, che gli richiama Callieri [08]
«Mi dispiace congedarmi da lui, questa notte. .. A noi degli SPDC queste “strutture” ci considerano … le ultime spiagge. Ci portano chiunque, a qualunque ora, quando i conti non tornano. Qual è il controllo che il territorio esercita su queste “strutture”? E’ un controllo di carte, burocratico, o i pazienti vengono anche visti? I non visti, i desaparecidos, quelli che esistono non esistendo. Che non possono viversi neanche le loro crisi ricorrenti, i loro ricorsi, le pulsazioni della loro malattia psicotica, magari anche sganciati dall’ambiente circostante. Magari crisi senza ragione».
Questa è la prova evidente di come la cronicità o lungoassistenza psichiatrica, finisca per scivolare sotto forma di matericità umana rifiutata, lungo piani inclinati che tendono a confluire verso l’ospedalizzazione. A guardar bene, sullo sfondo, ricompare la lugubre sagoma del manicomio, perché non abbiamo ancora imparato a  fronteggiare le “angosce psicotiche di frammentazione”.
«Mi dispiace, Antinoo – reitera sinceramente addolorato Gilberto – che … io non posso fare più niente … Te ne torni dalla signora … non ti vedrò più. Tutto quello che ho studiato a che mi serve? A te, avrebbe potuto servire? Potrebbe servire a quelli che stanno … con te? Duecento anni di semeiotica, di psicopatologia generale, di fenomenologia, di psicoanalisi e di psichiatria clinica li abbiamo buttati … Si ricorre al medico in fase acuta … La signora è la titolare del caso. Io sono il contatto dell’emergenza. Poi non servo più. Io, per Antinoo, non servo più. Costo troppo? …  quanto è costato, stanotte, il nostro tenerci per lo sguardo? La mano di un medico che ti ha toccato, il silenzio degli infermieri che osservavano. Il passo indietro della signora … Non ho risposte. Scrivo questo blog per condividere solo le mie domande … lo sguardo di Antinoo non lo dimentico. In quello sguardo ci siamo detti molto di noi. Senza parole».
Il finale è tragico «Martedì successivo. In mattinata il primario mi telefona dicendomi che la Direzione Sanitaria dell’Ospedale mi ha convocato, per verbalizzare in merito al caso di Antinoo … dimesso nella notte tra domenica e lunedì, dopo aver fatto ritorno alla struttura, è morto. La tutrice legale ha denunciato l’Ospedale. Salma sequestrata in attesa di autopsia». La conclusione giudiziaria lunga insidiosa e tartufescamente tesa a dimostrare che per l’angoscia psicotica di frammentazione non può essere fatto altro. Tranne la rabbia.
 
 
6. 4. ■ Pablo. La deriva alcolica depressiva.
 
«Notte del primo settembre. Sabato. La pioggia ha sferzato l’asfalto dell’asse mediano, allagando le carreggiate. Sono giunto in reparto guadando il … Mekong. Penso che stanotte il cicalino del telefono tacerà. Quando gli elementi infuriano, l’emergenza psichiatrica tace. Il collega mi dà le consegne e si avvia. La squadra che monta si affaccenda intorno ad un demente, attendendo una pizza che non arriva».
Qui, con pochi tratti, Gilberto schizza un sintetico gouaces del “cambio a vista”.
«Nelle stesse ore un uomo si allontana da casa. Si chiama Pablo ... 57 anni. Scivola via silenzioso, per andare a comprare le sigarette. Lascia moglie e figlio, semiaddormentati … al televisore … compra tre birre grandi, le fa mettere in una busta di plastica … Cammina … verso il mare … assorto in un mondo interno, … coscienza crepuscolare… Arrivato alla battigia… nota una panchina, messa lì da chissà chi … E’ ad un capolinea. Il suo… Si siede di fronte al mare… si concentra sul mare… ».
Gilberto narra come lui sa, con una suspense particolare un mondo esterno che andrà ad impattare una guardia psichiatrica; un mondo chiuso, questo, ma aperto a tutto ciò che fuori non torna. Ci sono tutte le premesse di una salita di adrenalina per il turnante. Il tributo personale di una guardia psichiatrica.
«In reparto sono quasi le 23. Squilla il campanello. Speriamo nelle pizze. Invece è il compagno ubriaco di una donna ricoverata nel pomeriggio, che a tutti i costi vuole riprendersela…. Cerchiamo di spiegargli che … sta dormendo … non possiamo dimetterla … ho chiamato la guardia giurata … entra … dà segno di conoscerlo …  forse si è convinto … Mi stringe forte la mano, mi chiede il mio nome nonostante … l’abbia scritto sul petto. Gli chiedo il suo … risponde: ”Nessuno”. Quando il novello Ulisse esce prendiamo respiro. L’adrenalina è salita. Adesso dobbiamo calmarci… arriva il ragazzo delle pizze. E’ l’onomastico di Egidio. Un pezzo di pizza semifreddo e un pezzo di babà rischiarano la notte … i ragazzi vanno a cambiare il “vecchio” demente. Sono preoccupati … non è tanto reattivo. Lo siedono sulla sedia, lo lavano, lo rimettono a letto cambiato e pulito come un bambino… mi avvio nella mia stanza… non sono tranquillo. Dopo un po’ mi rialzo. Prendo il martelletto dalla borsa, il martelletto da riflessi che era di Bruno Callieri, la pila tascabile, rientro in reparto»
Chi ha detto che lo psichiatra debba ignorare la neurologia?
«Voglio rivedere il “vecchio” (ha solo dieci anni più di me). Egidio gli scopre i piedi… Con le chiavi gli disegno un semicerchio sotto le piante dei piedi. Gli alluci e le dita flettono, e gli arti accennano subito a ritirarsi. I ragazzi sospirano di sollievo … gli arti superiori si muovono autonomamente, in difesa. Gli guardo le pupille. Il vecchio emette delle grida soffocate. Daniela dice che ha dolore dovunque … La notte demenziale lo sta ingoiando… il sonno è passato».
Ci fu un tempo giacobino anche in Italia, che al medico di guardia fu proibito il sonno. Era il 1968 dell’assalto ai baroni universitari della medicina. Alcuni si difesero benissimo, Mario Gozzano (1898-1986) tra questi. Celebre la risposta del chirurgo Paride Stefanini (1904-1981) ai contestatori nell’aula di patologia chirurgica «Io non sono un barone ma un principe della medicina!». Io ero assistente da Gozzano e, per quanto mi riguarda, al medico di guardia della “Neuro” venne contestata la stanza e il letto. Basta la poltrona dell‘accettazione! La Rivoluzione culturale cinese andava di moda.
«Alle 3 del mattino il cicalino mi sveglia… La collega del PS è netta : un uomo ha tentato il suicidio in mare. Devi venire… Mi riprendo e mi avvio… La collega mi mostra gli esami di sangue. Ha fatto anche la TAC. Tutto negativo. Tracce di alcol. Mi dice che c’è anche la moglie. .. il paziente è stato trovato dal figlio … in uno stato di trance, con le gambe semisommerse dall’acqua. La moglie … preoccupatissima … chiede il ricovero. Mi riguardo gli esami, la gamma GT non c’è … non la fanno di routine … leggo il referto della TAC … sembra tutto a posto. Mi avvio in corridoio. Un uomo giace in fondo, adagiato su una sedia a rotelle, solo. Con il capo reclinato sul petto. Vado diretto … lo chiamo per nome. Alza la testa. Ci guardiamo. Mi presento, gli tendo la mano … gli chiedo di seguirmi. Cerco una stanza … L’unico posto è la stanza dell’isolamento. In fondo al corridoio del PS .. accendo le luci, lo invito ad entrare … C’è solo un lettino da visita e una sedia. Pablo si stende sul lettino … lo sguardo fisso al soffitto … prendo posto accanto a lui. Sembra quasi un setting analitico … si lascia andare supino … Aspetto che le parole fluiscano da sole. Siamo in una zona del PS fasciata dal silenzio. Quello che io ho chiaro … è che non voglio ricoverarlo. Ho solo un letto libero tra il ghanese psicotico e il vecchio demente … Pablo fa il segretario nella sezione cittadina di un ex partito politico di maggioranza. Ha conosciuto … il giovane giornalista con la Mehari trucidato dalla camorra anni fa … accenno… alla guerra tra i Gionta e i Nuvoletta»
Bravo Gilberto! la presa c’è, l’hai acchiappato. Ora non ti sfugge più!
« … da alcuni anni l’alcol e la depressione lo tengono in ostaggio … non vede via d’uscita. Come si convince un uomo a non morire? Non lo so. Lo ascolto. Le sue parole sono un profluvio. Non parlava neppure con se stesso … La sua malinconia, come scrive Kierkgaard nel suo diario, non gli consentiva più di dare del “tu” a se stesso. Gli dico che abbiamo una unità di alcologia, e che sono proprio io lo psichiatra che si occupa di dipendenze».
Noi colleghi amici e lettori della rivista Psychiatry on line Italia, lo sappiamo. È stato il suo battesimo del fuoco. Il suo progetto impossibile, la sua impresa titanica. E Gilberto vi torna. Come una taratura del suo pristino entusiasmo, della sua tenacia, della sua capacità di confrontarsi sempre con la disperazione degli ultimi. Gilberto li ha visti quei luoghi, quei mondi, vi è stato, vi ha lavorato, immerso, quasi travolto. È riuscito, però, a vincere, volgendo in positivo il popolo dei “Sert del metadone”. Luoghi sporchi, brutti e cattivi da cui tutti giravano lo sguardo, passandovi accanto al mattino presto. Capivi immediatamente ed era un tremendo colpo allo stomaco. Absit iniuria verbis, ma quando leggo o ascolto Gilberto parlare di quei posti, socchiudo gli occhi e vedo il grande cinema di denuncia e d’impegno sociale di Ettore Scola (1931-2016). Vedo una splendida performance di Nino Manfredi (1921-2004) nei panni di “Giacinto” in Brutti sporchi e cattivi. Un grande attore che ha saputo rendere rappresentabile una realtà indicibile, interpretando questo personaggio "con straordinaria misura e sottigliezza"; il giudizio è consegnato a una recensione per la quale si è scomodato nientemeno che Alberto Moravia (1907-1990). [09]
«“E' la depressione?” Mi chiede. Questa domanda mi sorprende. Mi incoraggio. Un filo di speranza. Gli dico che la cura per la depressione la cominciamo subito. A volte mi sorprendo di quanto siano potenti le parole ed i silenzi. Di quanto la medicina delle magnifiche sorti e progressive abbia lasciato indietro le parole, i gesti, i silenzi. Cosa ho fatto, stanotte, se non dare un pezzetto della mia notte ad un uomo per il quale questa avrebbe dovuto essere l’ultima. Stringergli la mano, guardarlo con fiducia, condividere con lui la crisi di senso del mondo … Lo aspetterò mercoledì mattina al Ser.D» [011].
 
 
7. 4. ■. Come in Svizzera. Guardie psichiatriche in una Villa molto esclusiva.
 
Quasi per contrasto mi vengono in mente le mie guardie nelle case di cura private per malattie nervose, negli ultimi anni Cinquanta. Ero perfezionando alla “Neuro” di Gozzano, da poco giunto a Roma a sostituire Cerletti. Ero nubile e avevo bisogno di pagarmi la specializzazione. Per un giovane medico in formazione che non volesse fare il “medico della mutua” alla Sordi, le opportunità erano molte. Di case di cura psichiatre private, a Roma ce n’erano sempre state in abbondanza, di tutte le tipologie e con sistemi di cura all’avanguardia, direttamente dalla Germania e dalla Svizzera. Da “Villa Giuseppina” delle “Ancelle della Carità”, in Via Nomentana, dove conobbi il primario Prof. Papetti, nota per aver ospitato Maria Antonietta Portulano (1871-1959), moglie di Luigi Pirandello (1867-1936), al “Castello della Quiete” diretto dal prof. Ferdinando Accornero (1910-1985) Aiuto di Cerletti, alla Clinica Mendicini in Via degli Olmi, allestita dal Prof. Antonio Mendicini, Aiuto di Sante De Sanctis (1862-1935), per citarne alcune.
Ripenso alle mie guardie a Villa Elisabetta la clinica privata di Mario Gozzano che stava molto a cuore alla moglie Walburga Bollendorf. Della vicenda se n’era gentilmente occupato lo zio del dott. Leppo, un manager indiscusso in queste imprese. Il Dott. Luciano Leppo in persona s’era prestato a fare le prime guardie. Il personale non poteva fare a meno di commentare la sua gentilezza, la sua eleganza (le vestaglie di seta, quando veniva chiamato di notte, erano favolose) e il sua poliglottismo.
Codesta sorta di “Conte zio”, per la bisogna, aveva scelto una villa a due piani su palafitte circondata da un ampio giardino. Le palafitte in cemento armato, a quanto ne so, erano un artifizio scenografico per poter accedere all’entrata principale della villa, con l’automobile, tramite una rampa a semicerchio in pendenza. L’indirizzo era Via Carlo Spinola, una zona elegante e molto esclusiva di Roma. Al tutto esaurito non poteva ospitare più di otto pazienti: 5 al piano nobile, 3 al rez-de-chaussée, dove c’era una elegante reception con un bancone, dove l’infermiere Icaro sfidava a scacchi chiunque volesse misurarsi con lui. A sinistra l’office “della signorina Donnini” e la cucina con la signora Fernanda che riceveva le ordinazioni del menu fin dal mattino, per andare a fare la spesa.
Seguiva il vasto salone da pranzo, che iniziava con una parte esterna terrazzata, per le chaise longue e il ping pong, con tornei accaniti in cui prevaleva il dott. Carlo De Minicis, psicoanalista. Alla parte interna del salone si accedeva superando un’ampia vetrata scorrevole. Il tutto dava sul retro del giardino, dunque prevaleva il verde fiorito. Non si può chiudere la citazione del salone della villa senza parlare degli epici tornei di tressette introdotti e “insegnati” dal Prof. Pasquale Silipo (neuroradiologo che mi ha spiegato il codice di Chitarrella). Il tressette sui tavoli vicini la cucina, era per la buffetteria.
Infine, si arrivava allo studio del prof Gozzano, da noi usato per i colloqui e le visite mediche. La stanza del medico di guardia, era al seminterrato con accanto quella per le terapie biologiche. Il resto degli ambienti da basso era adibito al guardaroba del personale infermieristico e alle attività di lavanderia. L’ambiente, disposto ed arredato nella intenzioni come una casa-famiglia svizzera, risultava una cosa molto calda, italiana, terapeutica, dove si viveva tutti insieme per ventiquattrore e au dernier cri.
Tra i servizi extra, rammento di essere stato “comandato” di accompagnare a Dartford, nel Kent (UK), in un ospedale psichiatrico, Moyra la giovane figlia di un uomo d’affari maltese che s’era stancato di pagare la retta. Poteva essere il 1959. Dovevo consegnarla personalmente al direttore del nosocomio, il Prof. Braun, uno psichiatra di origini polacche che aveva studiato anche in Italia. La paziente, che parlava benissimo inglese, naturalmente si vendicava, interagendo in modo a me negativo con l’ambiente circostante: bastava guardare le facce.
Invece tra le “terapie extra” aggiungo anche la mia bizzarra idea di portare i pazienti maschi a giocare a pallone su un prato incolto in fondo a Via Spinola.
Per ultimo, mentirei se omettessi di dire che ho fatto le “combinate” ordinate dal Prof. Gozzano (coma insulinico con ESK finale). Allora erano in auge come “terapie biologhe”. Aggiungo che in codeste pratiche aggressive ero assistito da Luigi Mosca, un abile infermiere eugubino, che era determinante, poiché la mia riluttanza, poteva risultare pericolosa. Il tutto si svolgeva dalle 5 alle 7 del mattino, nei giorni e coi pazienti stabiliti dal Prof. Gozzano.
Anni dopo, Luigi Mosca, era divenuto comproprietario di una casa di cura psichiatrica romana. Io, invece, ho trascorso buona parte della vita accademica a dimostrare l’assoluta inutilità delle cosiddette terapie biologiche [010]. Non riuscì mai a giustificare, e lo dissi pubblicamente, il grande favore ricevuto negli USA dai libri su I trattamenti somatici in psichiatria del neuropsichiatra berlinese di origine polacca Lothar Kalinowsky (1899-1992). Egli, nel 1938 aveva assistito ai primi tentativi di Cerletti e Bini imparando la tecnica ECT. Poco prima che scattassero le proscrizioni “razziali”, fece in tempo a scappare in America con la valigetta dell’ESK. La preziosa testimonianza mi è stata resa da Spartaco Mazzanti. Il più autorevole nella particolare gerarchia degl’infermieri storici della “Neuro” per aver partecipato al primo elettroshock con l’incarico di tenere il tubo (la mordacchia) tra i denti del paziente. Era bravissimo a “boccette” e tutti i dettagli storici della vita accademica di Viale dell’Università 30 li ho appresi giocandoci.
Torniamo all’oggi e lasciamo queste ricordanze di un vecchio psichiatra del secolo scorso, nel suo dreamy state.
 
 
8. 4. ■. La psichiatria attuale tripartimentata. Uno squarcio di ministero.
 
Chiedo scusa a Gilberto Di Petta, ché sono ancora costretto a saccheggiare (Viaggio al termine della psichiatria) la sua prosa fluente, la sua critica profonda e ironica, e anche ai lettori chiedo perdono per questo interminabile time out, ma non posso fare altrimenti per quanto mi sento in consonanza con la sua idea di psichiatria terminale.
«La psichiatria, che, per certi versi, data la sua mancanza di indagini di laboratorio e strumentali dirimenti, sarebbe dovuta essere la branca più clinica della medicina, sta invece perdendo drammaticamente proprio la sua dimensione clinica. La clinica richiede tempo e riflessione, observatio et ratio. Un tempo che lo psichiatra contemporaneo sembra non avere più. La mia paura è che, con la scomparsa della dimensione clinica, scompaia anche il pensiero critico che fonda e che consegue alla clinica. E’ in questo modo che in due secoli e mezzo si è lumeggiata una ratio nell’ambito di quei disturbi psichici e comportamentali genericamente ascritti alla follia, e sottratti al linciaggio dell’orda. Mi pare che nel cuore della psichiatria si siano aperte delle falle che tendono a lacerarla, e nessuna delle placche che si stacca è versata alla clinica. E che fine fa, allora, questa nostra clinica? La ritroviamo, assai fulgida, nei romanzi e nelle pellicole cinematografiche. Forse la clinica non interessa più agli psichiatri contemporanei, ma, evidentemente, interessa ancora ad un pubblico di lettori colti, i quali sentono che la clinica degli stati psicopatologici è una via regia alla conoscenza dell’uomo».
 
Parafrasando Freud che scandagliava i sogni per giungere al magmatico inconscio, Gilberto ci propone l’uso della clinica per tornare all’essere umano. Il linguaggio della psicopatologia fenomenologica ne è il tramite più diretto. Sopravvissuto, nella bolgia dei PS ospedalieri è ancora apprezzato nella festinazione dei DEA e nella concitazione dei codici al triage. Questo lento abbandono della pratica clinica – secondo Gilberto Di Petta – ha fratturato la psichiatria. Ne condivido pienamente il giudizio e la diagnostica. Molti anni fa mi arrabbiavo moltissimo quando sulle cartelle cliniche leggevo i videat neuropsichiatrici, evasi con un insultante «Non psicopatologia in atto». Pigro? No! Miserevole, pezzente, incolto! Che significa, mugugnavo urlando a me stesso, psicopatologia in atto? Quali atti, dove, come, quando, con chi? Erano le prime avvisaglie dell’estinzione della clinica. Eccole qui, tutte le scricchiolanti incongruenze, dopo quarant’anni d’ignavia, sotto forma di patologia fratturativa della psichiatria in tre compartimenti stagni che non comunicano fra loro, come fossero le direzioni generali di un ministero a tre piani.
«Una frattura scomposta si è aperta lentamente nel corpo della psichiatria stessa» – scrive inesorabilmente Gilberto – «Fino a squarciarla, e a farne un organismo disfunzionale. Fino al punto da far apparire, nello stato dei fatti, tre psichiatrie totalmente differenti, come se esse non avessero più nulla in comune. Tre entità psichiatriche che strutturano tre mondi e tre modi di incarnarle, assolutamente diverse. Essi sono così configurabili: 1) il mondo della psichiatria molecolare; 2) il mondo della psichiatria manageriale; 3) il mondo della psichiatria quotidiana».
 
 
9. 4. ■. Il mondo accademico di prima era solo baronale o trasmetteva anche “formazione”?
 
Ho lasciato la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali, dunque la “carriera universitaria”, nel 1968 per salire al Santa Maria della Pietà, il manicomio di Roma. facevo l’Assistente e una convinta opposizione rivoluzionaria. Non ho comunque mai trascurato proposte accademiche concernenti, più che la psichiatria in senso stretto, la psicopatologia clinica e la salute mentale.
In anni trascorsi sono stato alla Facoltà di Storia Contemporanea, della Statale di Milano, al Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, sempre come “professore a contratto”.
Alla “Sapienza” di Roma, ho effettuato periodiche incursioni, sempre su invito, alla Facoltà di Sociologia in Via Salaria e a Neuropsichiatria Infantile in Via dei Sabelli. Ciononostante, ignoro completamente il mondo della «psichiatria molecolare» – come lo ha battezzato Gilberto Di Petta – «… costituito e trasmesso essenzialmente dalle Cliniche universitarie … oggi, la ragion d’essere della psichiatria medica».
Da dove possa prendere le mosse, un tal mondo, lo posso immaginare, pensando alla “mitologia del cervello” di Wilhelm Griesinger (1848), ma come poi si sia sgretolata, frammentata, insipidizzata, banalizzata, con l’andar del tempo, con l’abbandono progressivo dei cosiddetti “strutturati”, i vecchi “professori a contratto” gli “Aiuti anziani”, gli “Assistenti anziani”, è difficile dire. Siamo sicuri che la colpa, se così si può dire, sia soltanto dovuta all’assedio asfissiante della catena dei “DSM”? (Dio salvi la medicina, diceva un mio giovane paziente specializzando in psichiatria). Personalmente, ho vissuto un’età dell’oro, alla corte di Mario Gozzano, dove ho molto imparato dalla fioritura di straordinari “maestri senza cattedra”, come Bruno Callieri, Vittorio Challiol, Lucio Bini, Giorgio Spaccarelli, Luigi Frighi, Sebastiano Fiume, Tullio Bazzi, Giovanni Alemà, Lamberto Longhi, Aldo Laterza, Isidoro Tolentino, Gianfranco Tedeschi, Mario Moreno, Marcello Millefiorini, per citare quelli dei tempi miei. Degli attuali, ho conosciuto Gabriele Valente, da Cristoforo Morocutti (1927-2015), e mi ha fatto un’ottima impressione parlandomi di un progetto ONG di coltivazione intensiva di artemisia, pianta dotata di proprietà antimalariche, cui aveva partecipato, non ricordo bene se in Sudan o in Burundi. Non credo sia l’unico, nell’attuale panorama universitario romano.
Invece, tornando ai “molecolari”, ne ho ascoltato uno di recente, citare una sfilza di statistiche incomprensibili, grafici indecrittabili e noiosi, atti forse a giustificare quello che Gilberto definisce, un «sistema accademico-convegnistico-societario» assolutamente ingiustificato, autoreferenziale e fuori contesto. Rammento per inciso, che era stato chiamato a commemorare la figura di Bruno Callieri.
 
 
10. 4. ■. Il mondo attuale della “psichiatria molecolare”.
 
«Questa psichiatria – rimarca Di Petta – confonde brutalmente la psicopatologia e la clinica con la nosografia. Le diagnosi vengono date per scontate, e considerate entità naturali in maniera rozzamente ed ingenuamente fantascientifica».
Come parte della categoria dei “paria”, l’ultima dei “manageriali”, ovvero quelli della psichiatria “alla giornata”, Gilberto non li sopporta proprio questi “molecolari”. Specialmente quando fanno la loro “comparsata”, pavoneggiandosi, ai congressi nazionali e internazionali: «Una noia abissale, profonda. Un senso di estraneità. Quasi … [dicessero] … cose che non hanno a che fare con il [loro] lavoro quotidiano». Ufficialmente, dicono di professare, seguire e interpretare una corrente psichiatrica mainstream [012]. Oltre che perniciosi ti lascian di stucco. «… la ricaduta della psichiatria molecolare – continua Gilberto – è quella di una psichiatria suggestiva, ovvero una psichiatria di suggestione … [attualmente] questa è la psichiatria mainstream». Non solo è una tendenza pigramente maggioritaria e ignorante, mi permetto di aggiungere, ma anche annientatrice di quelle minoritarie. Di Petta rincara la dose: «Personalmente ho sentito dire che la schizofrenia sarebbe come la Sclerosi Multipla o amenità del genere. Dunque con meccanismo flogistico autoimmune.
Altre volte, più spesso, che la schizofrenia è un processo neurodegenerativo. Peccato che non si sappia di quali neuroni, cosa che invece è nota in tutte le vere patologie neurodegenerative». Non è però che tutti siano conniventi, ci conforta Gilberto: «Ho incontrato psichiatri … molto esperti che mi hanno confessato, a cena, che in trent’anni di … lavoro sul campo non hanno mai letto uno, un solo articolo delle migliaia pubblicati in … psichiatria molecolare. Cionondimeno … hanno fatto egregiamente il loro lavoro. Non credo che un cardiologo potrebbe dire lo stesso».
Gilberto, sa però, anch’essere apocalittico: «Se, per ipotesi, improvvisamente sparissero tutte le Cliniche universitarie, l’operatività dello psichiatra di trincea, impegnato nei Servizi, non ne risentirebbe effetto alcuno. Dunque, allo stato, questa psichiatria rappresenta una gloriosa inutilità ed un immenso spreco di risorse, a parte il rilascio della patente psichiatrica agli specializzandi (che poi dovranno re-imparare da soli il mestiere)».
 
 
10. 4. ■. La psichiatria manageriale.
 
Fuori dal mondo accademico regna quello piramidale dei manager della sanità pubblica. In primo luogo bisogna subito familiarizzare con gli acronimi della governance della salute, una vera e propria industria. Qui bisogna prestare attenzione perché ogni Regione ha il suo cifrario.
Il governo di queste minirepubbliche sta nelle vigorose mani della Direzione Aziendale. Il Direttore Generale dell’azienda (DG ASL) è il capo assoluto. Ad esso s’inchinano una specie di capi divisione ministeriale come i  Direttori dei DSM. Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) è la macrostruttura aziendale preposta alla organizzazione, gestione e produzione delle prestazioni finalizzate alla promozione e alla tutela della salute mentale, alla prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione del disturbo mentale e del disagio psicosociale. Ai DSM afferiscono le Unità Operative di Salute Mentale (UOSM), articolate in Centri di Salute Mentale, Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura, Residenze e Semiresidenze. Per un cittadino mediamente istruito è già difficile raccapezzarcisi in un guazzabuglio di sigle, figuriamoci per un sofferente psichiatrico che cerchi aiuto. Gilberto la definisce «… una psichiatria delle organizzazioni e di comunità. Anche a questo livello la clinica … scompare.  Il paziente non conta più come caso clinico singolo. Scompaiono la clinica, l’urgenza, la cura … E’ una psichiatria di riunioni, di dati, di box virtuali, di processi, di procedure, di protocolli, di budget».
E i pazienti (gli “ammalati” per dirla brutalmente) come si collegano a questi vertici perfetti come i cruciverba della settimana enigmistica?
«… i pazienti sfumano in utenti o clienti indistinti, massa critica, tutti uguali – scrive spietatamente Di Petta – … una psichiatria di collocamento, più che di collegamento, che distribuisce prebende, emolumenti, convenzioni, accreditamenti, che costruisce carrozzoni, residenze, che mercanteggia con il privato convenzionato».
Questi vertici psichiatrici di seconda fila, non sono insensibili all’autorità di chi li sovrasta «… occhieggia alle direzioni generali delle ASL – sottolinea Gilberto, che spiega meglio la funzione di codesti “sacerdoti” imperanti sui DSM – … La loro mission è aziendalizzata, debbono far quadrare i conti a seconda delle politiche e degli orientamenti vigenti … burocrati. Condividono poco la giornata dell’operatore. Dànno molte cose per scontate. Quando si parla con loro si sente che, pur col sorriso sulle labbra, pur considerandosi territoriali e democratici … fanno parte integralmente dell’establishment … sono il volto pulito dell’istituzione. Quello peggiore». Attenzione perché il peggio non è morto mai! SALUTE S.P.A. la sanità svenduta alle assicurazioni, è sempre in agguato.
Non posso proprio togliere la parola a Gilberto perché più analizza e più apre orizzonti: «Con la fusione delle ASL in macroaree i Direttori dei DSM si sentono dei piccoli imperatori. Il dominio del loro regno copre mari, monti e città» [013].  
 
 
11. 4. ■. Dopo quarant’anni gli assilli della psichiatria giornaliera non sono mutati.
 
Il raffronto con il punto di partenza della Centottanta, giunge spontaneo. Il compito di coloro che faticano nel gruppo di quella che Di Petta definisce psichiatria quotidiana non è cambiato granché, mentre sui grandi numeri e i grandi poteri le cose stanno diversamente.
«Il Direttore del manicomio aveva una sfera di influenza su circa 5-10-15000 persone, tra ricoverati e operatori … dentro la cinta muraria» – ci ricorda Gilberto ma ciò che io ignoravo e ora so, è che «Alcuni direttori di DSM hanno una sfera di influenza potenziale su 1 o 2 o 3 milioni di persone. Essi hanno un ottimo alibi da contrapporre alla critica sulle disfunzioni del sistema, che è l’estensione del campo territoriale e l’impossibilità del suo governo. Del quale governo, anzi, governance, tuttavia, essi vanno fieri … Si lamentano in molti … nessuno di loro si dimette mai … nei convegni, dicono cose abbastanza irrilevanti. Sono abbastanza odiati dagli operatori … Di questo odio … si nutrono, come saprofiti, o lo ignorano».
Ma è potere questo? Se si, di che tipo? Può essere una “vocazione”, come scrive Gilberto? «Le cose che – codesti direttori di DSM – in maniera fintamente democratica fanno passare al vaglio delle riunioni con gli operatori sono già state decise in riunioni al vertice, nelle quali sono andati in genere a prendere ordini».
Questi piccoli “imperatori”, codesti pseudo-imprenditori della governance, risultano assolutamente insignificanti, se paragonati ai “tagliatori di teste” del management americano raccontato da John Wells, che non riesco a togliermi dalla mente [014].
 
«Il verbo di questa psichiatria è gestire … [quella] che, storicamente, è succeduta alla psichiatria custodialistica. Questi 40 anni potremmo intitolarli: dalla reclusione manicomiale alla gestione territoriale. L’imbuto in cui è finita la rivoluzione psichiatrica è la gestione».  
Una volta c’erano i “baroni” e le “baronie”, anche se non sembra che oggi si siano estinti, né abbiano cessato di dimorare stabilmente nelle varie accademie universitarie. Quelle caste, scopriamo, essersi rigenerate altrove. «su imitazione dei cattedratici – codesti capi di DSM scrive Gilberto – tengono in piedi il sistema dei valvassini e valvassori che è caratterizzato dai vari posizionati, dai vari strutturati semplici, dipartimentali o complessi. Tutto un cerchio magico di galoppini, di bravi … di leccaglutei … [di] vessati … hanno il compito di dire ai Direttori che va tutto bene … si stanno tutti adoperando per realizzare … la vision del lider maximo». L’adulazione non rientra fra i peccati capitali, ma era già condannata da Aristotele e relegata fra gli "abiti del male".
Gilberto non solo visita e fa le guardie, oltre che vivere di vita propria, scrivere e leggere, ma va anche in giro guarda e annota. «Sulla porta di uno di questi … ho trovato la seguente scritta: “Se mi stai portando un problema vuol dire che tu ne sei parte. Dunque, insieme al problema portami anche la soluzione. Altrimenti vuol dire che il problema sei solo tu”». Come meccanismi di proiezione vanno fortissimo, e questa oltretutto è una battuta stantia. Ma quelli della psichiatria quotidiana non sono mica paria! Una categoria inferiore! Lo sanno tutti che codesti capetti DSM «… Generalmente sono inspirati politicamente … fa parte del gioco. Nessuno si scandalizza». E allora? Sono liberi di vessare i sottoposti? D’ignorare il lavoro dei Colleghi? Disprezzarlo? [015]
Conclusioni amare ma difficilmente confutabili. Si possono però cambiare, ribaltare «… il passaggio dalla figura del Direttore del manicomio alla figura del Direttore del terricomio è compiuta. Con la differenza che quelli o, meglio, alcuni di quelli, hanno fatto la rivoluzione, questi sono, chi più, chi meno tutti, l’emblema della restaurazione». Ma si può invertire la rotta.. I giovani colleghi che ci leggono possono farlo. Yes we came. Non è completamente scomparsa l’eco dell’incitazione lanciata da Michelle e Barack Obama nella storica visita a l’Avana del 2016.
Voglio chiudere questo capitolo con qualcosa di leggero. Gilberto ha mille risorse e da pensatore napoletano autentico, sa giocare agilmente l’humour finissimo dei due volti della “sceneggiata”. «Absit injuria verbis. La faccia mia, come si dice a Napoli, sotto i piedi di quei tanti o di quei pochi Direttori che non sono così. Come il mio e quelli senza i quali il concetto di Salute mentale non esisterebbe più».
 
 
12. 4. ■. Fine del time out. Ritorno a Torre Spaccata e conclusione di una storia.  
 
Dopo aver ampiamente sviscerato e scrupolosamente commentato, durante il time out, tutti i problemi che avevo accantonato, mi sono accorto che gl’interrogativi permango e sono aumentati. Non che io abbia dato delle risposte, semmai ho complicato e rilanciato i problemi ancora da chiarire. Ciò significa che non sempre l’esperienza e l’età sono una risorsa. Nondimeno, chi ha avuto la pazienza di leggere le tre puntate precedenti del racconto sulla mia esperienza di passaggio dal manicomio al territorio, può capire perché abbia compilato tre lunghe premesse, ed ora una quarta, per ciascuna puntata. Forse può anche comprendere tutte le fisime di burocratizzarmi e, alfine, perdere il senso di ciò che sarei andato a fare e dunque divenuto. Il fatto che siano passati 40 anni, non poi è tanto grave, se penso che oggi a continuare la pugna ad informare correttamente e a coniugare il verbo del cambiamento in psichiatria, con chiarezza, tenacia e sacrificio, ci siano la Rivista Psychiatry on line Italia, Francesco Bollorino che la dirige, la redazione tutta e Gilberto di Petta.
Una cosa cui non avevo mai pensato è che, per scoprire come avrebbe dovuto essere un giusto SDSM per il suo giusto territorio, avrei dovuto mettermi nei panni di Charles Marlow, salire sulla Nellie ancorata in un’ansa del Tamigi, salpare per l’Africa, navigare fino all’imboccatura del Congo e, da li, risalire questo grande fiume africano «somigliante a un immenso serpente srotolato, con la testa nel mare …
la coda perduta nelle profondità del territorio» [016]. Me lo ha fatto balzare in tutta evidenza il raccontare di Gilberto. Anzi mi ha fatto uscire dalle mie lunghe incertezze e, visto che si parla di rettili, ho immaginato di provare a sgusciare. Nessuno dei miei tragitti nel territorio di Torrespaccata è mai stato meno che sinuoso. Provate per un attimo a pensare ai grandi spazi. che contengono codesto Collegio ex Enaoli, abbandonato: chiesa, teatro, campo di calcio, palestre, dormitori, stanze per “sorveglianti”, direzioni, sale scolastiche, aule per studenti e professori, officine di esercitazione, sale per conferenze, garages, casa dei guardiani e altri posti che non ho mai visitato.
Non che tra le “zone d’oscurità” del cuore di Londra e quelle del centro dell’Africa vi fosse meno differenza che tra quelle del Santa Maria della Pietà e quelle della Palestra vetrata dell’ex-Enaoli, cuore del territorio dell’ex Ottavo, adesso Sesto Municipio delle Torri. Ora che ci rifletto, dopo tanti anni, io, la mia risalita l’ho tentata e qualche cosa ne ho ricavato. Intanto al posto di una psichiatria arcigna e muscolare si può fare una psichiatria gentile che conviene a tutti ed è a costo zero. Dal punto di vista aziendal-manageriale, invece, si possono fare poche ma fondamentali osservazioni.
L’area clinica ospedaliera/comunitaria (assistenza h24) e quella ambulatoriale (h12), sono incompatibili dunque in-cogestibili. Tra l’area clinica e quella amministrativa ci sono diversità come il giorno e la notte. Dunque, anch’esse non possono essere governate dalla medesima persona. Il livello dispensariale del XIII Arrondissement di Parigi e quello di lotta alla TBC, per la psichiatria senza manicomio, resta un’utopia. Questo lo capimmo per tempo e non cademmo nel tranello di tentare la via dell’impero, come ironizza Gilberto Di Petta.
Dunque, non potendo fare tutto, decidemmo che conveniva fare il fattibile. Così progettammo un corso di sensibilizzazione sulle nuove necessità del territorio. Si poteva fare, in aggiunta al nostro specifico, e lo abbiamo fatto, con gran piacere e con arricchimento professionale. Una sorta di ECM ante litteram.
 
 
13. 4. ■. Una Fatica di Sisifo.
 
Quelli che quarant’anni fa svuotarono i manicomi per allestire, in buona fede, una nuova psichiatria riformata, in una sorta d’impresa socio sanitaria, devono prendere atto di aver compiuto una fatica di Sisifo. Un piccolo (o grande) ministero denominato Servizio Dipartimentale di Salute mentale, formato da ambulatori, centri diurni, SPDC, comunità terapeutiche, pronto soccorso psichiatrico (118 Psichiatrico), prevenzione scolastica, strutture riabilitative per lungoassistiti, era condannato all’implosione ope legis. Oppure ad essere affidato a qualcosa di estraneo: un direttore generale o un piccolo assessore riciclabile nel tragitto territorio-Regione (andata/ritorno) per governare debiti e conflitti [017].
Era evidente, non tanto quando venne varata con urgenza la “Basaglia” sotto la spinta dei “radicali”, ma quando venne attuata la LEGGE N. 833, 23 DICEMBRE 1978 (Gazzetta Ufficiale n. 360 del 28.12.78, Suppl. Ordinario). ISTITUZIONE DEL  SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, che non si potevano confondere servizi ospedalieri SPDC (col cambio a vista) o paraospedalieri come la CT (col paziente in affidamento di cui sei penalmente responsabile), con strutture ambulatoriali o semialberghiere. Era palese che h. 24 e h. 12 erano e restano servizi incompatibili. Il cader della notte è fatale e scioglie ipso facto un matrimonio in-consumabile.
Sempre di psichiatria si tratta, ma diverse sono le patologie, differenti le acuzie, svariate le necessità, le fasi, gi ascolti. L’unico atteggiamento che non andrebbe mai dimenticato, quello che torna utile, sempre, in ogni circostanza ce lo dice la psichiatria gentile di Borgna (si vedano le interviste al maestro di Borgomanero di Francesco  Bollorino sul Canale Tematico Youtube della Rivista Pol.it psychiatry on line).
Che la mia narrazione raccontasse fatti realmente avvenuti e ricordati con straordinaria verosimiglianza mnemonica, è stata confermata da una recente telefonata del Dott. Gianni Paciucci, che segue la rivista Psychiatry on line Italia. Ora è pensionato, ma è stato uno degli psicologi che ha lavorato con me, fianco a fianco, quando cercavamo di applicare a Torre Spaccata, almeno “l’équipe dei francesi del XIII Arrondissement” (1 medico 1 psicologo 1 infermiere 1 assistente sociale). Mi ha ricordato il Prof. Loreti  e mi ha chiesto se ne avevo parlato perché, pur con tutte le sue stranezze, aveva lasciato un’impronta originale e positiva nel suo stile di lavoro con tutti noi. [018].
Mi ha anche ricordato le non poche imprese realizzate per la salute mentale nel territorio del Municipio delle Torri: 1 Comunità terapeutica, 2 centri diurni a Via delle Canapiglie e Via delle Giunchiglie, diversi servizi ambulatoriali, le visite domiciliari (particolari quelle a Tor Bella Monaca), il 118 psichiatrico e la promozione del servizio nelle scuole dell’obbligo. Ma poiché come attività ospedaliera SPDC non eravamo riusciti a cavare un ragno dal buco, abbiamo deciso di insegnare e svolgere il corso inter-USL, finanziato e autorizzato dalla Regione Lazio, intitolato “Capire il disturbo della persona immigrata”. Gianni Paciucci, infine, mi ha suggerito di pubblicare almeno il Calendario del Corso coi titoli [019].
 
Sede. Teatro ex Collegio ENAOLI Via Di Torrespaccata 157 Roma 00169.
12.12.1994 PRESENTAZIONE ED INAUGURAZIONE DEL CORSO
Sergio Mellina traccia gli scopi del Corso biennale inter-Usl (1995-1996) e introduce, per la prolusione: Luigi Di Liegro (Direttore Caritas diocesana Roma), Luigi Flavio Frighi (Ordinario Igiene Mentale Roma “La Sapienza”), Gilberto Mazzoleni (Ordinario Storia delle Religioni "La Sapienza" Roma) che hanno prontamente aderito all’iniziativa con grande entusiasmo.
 
I ANNUALITÀ – 1° Semestre
♦ Prima lezione 10.01.1995 “L’importanza del fattore religioso nei recenti flussi migratori Italia
Nicola Gasbarro (Docente Storia delle religioni Università Roma), Giorgio Villa (Psichiatra transculturale SSN Roma), Mahamoud Mansoubi (Docente sociologia Università Roma)
♦ Seconda lezione 24.01.1995 “Dalla critica antietnocentrica alla rivalutazione delle terapie tradizionali presso gruppi immigrati
Vittorio Lanternari (Ordinario di Etnologia Università La Sapienza” Roma)
♦ Terza lezione 14.02.1995 “Problemi di coabitazione in una società multiculturale. Esempi clinici”
Maria Immacolata Macioti (ordinaria di Sociologia Roma La Sapienza), Nicoletta Salvi (psichiatra SSN), Chiara Mellina (Demo-etno-antropologa scuola romana storico-religiosa), Alfredo Ancora (psichiatra transculturale SSN)
♦ Quarta lezione 28.02.1995 “Minori immigrati: aspetti psicopatologici, legislativi, assistenziali”
Gianfranco Ausili (Giudice Tribunale Minori), Mauro Ferrara (Assistente Neuropsichiatria infantile Università Sapienza Roma), Ugo Sabatello (Assistente Neuropsichiatria infantile Università Sapienza Roma), Albertina Dellungo (Psicologa Università "La Sapienza" Roma)
♦ Quinta lezione 14.03.1995 “Aspetti clinici della Psichiatria Transculturale
Sergio Mellina (Primario psichiatra SSN, docente Università La Sapienza Roma).
♦ Sesta lezione 31.03.1995 “La dimensione culturale della Psichiatria
Luigi Flavio Frighi (Ordinario Igiene Mentale Roma “La Sapienza”).
♦ Settima 04.04.1995 “Perché si emigra oggi, Le ragioni dell’economia, quelle della miseria, quelle della libertà. Riflessioni sulla salute mentale
Pompeo Martelli (Psicologo SSN), Khosrovi Ramat (politologo), Marzuk Waib (diplomatico).
♦ Ottava lezione 20.04.1995 “L’impatto migratorio: conflitto, diversità, identità. La situazione vista in accettazione psichiatrica”.
Giuseppe Cardamone (Etnopsichiatra SSN Prato), Alessandro Fischetti (psichiatra transculturale SSN)
♦ Nona lezione 02.05.1995 “Salute ed etiologia delle malattie presso culture tradizionali, occidentali e non occidentali
Piero Coppo (Etnopsichiatra), Giuseppe Domenico Schirripa (Dip. Storia, Culture, Religioni Uni-Roma La Sapienza)
♦ Decima lezione 16.05.1995 “Antropologia della salute
Gilberto Mazzoleni (Ordinario Storia delle Religioni "La Sapienza" Roma).
♦ Undicesima lezione 26.05.1995 “Immigrati in Italia: dall’accoglienza all’integrazione” “L’accoglienza che non c’è. Accesso e fruibilità dei Servizi Sanitari” “ Quali politiche sanitarie
Luigi Di Liegro (Direttore Caritas diocesana Roma), Salvatore Geraci (medico Caritas Roma), Tommaso Esposito (medico Caritas Napoli)
♦ Dodicesima lezione 02.06.1995 “Il senso del pudore e dell’osceno nelle varie culture. Consonanze e dissonanze storico-antropologiche nel contesto immigratorio dell’oggi
Alfonso Maria Di Nola (Storico delle religioni, antropologo religioso Università di Siena, di Roma Istituto Universitario Orientale di Napoli.)
♦ Tredicesima lezione 20.06.1995 “La migrazione come esperienza sociale a rischio e come cambio di campo antropico
Sergio Piro (Psichiatra antropologo trasformazionale), Antonio Scala (Psichiatria dell’abitare, SSN Napoli), Salvatore Francesco Inglese (Etnopsichiatra SSN Catanzaro), Giuseppe Cardamone (Etnopsichiatra SSN Prato).
 
I ANNUALITÀ – 2° Semestre
♦ Quattordicesima lezione 29.09.1995 “Quanti sono gli immigrati, da dove vengono, chi li chiama, chi li sfrutta, chi li cura”
Enrico Pugliese (Ordinario Sociologia del Lavoro Facoltà Sociologia Università Roma “La Sapienza”), Domenica Albanese (Psichiatra SSN).
♦ Quindicesima lezione del 06.10.1995 “Ascoltare, capire, comunicare con l’immigrato in ambito sanitario
Giorgio Villa (Psichiatra transculturale SSN Roma), Luigi De Franco (Antropologo Roma).
♦ Sedicesima lezione del 20.10.1995 “Il percorso del soggetto migrante nel mondo Occidentale. Tra adattamento e rifiuto tra contenimento ed esplosione del sintomo
Chiara Mellina (Demo-etno-antropologa, scuola romana storico-religiosa), Giuseppe Domenico Schirripa (Dip. Storia, Culture, Religioni Uni-Roma “Sapienza”).
♦ Diciassettesima lezione del 07.11.1995 “Stereotipi etnici nella cultura popolare e di massa
Clara Gallini (Ordinaria Antropologia Culturale Università di Roma “La Sapienza”)
♦ Diciottesima lezione del 24.11.1995 “Analisi transculturale, uso e conoscenza dei Servizi con particolare riguardo alle donne”
Rosalba Terranova-Cecchini (Psichiatra Transculturale), Mara Tognetti-Bordogna (Sociologia della salute e della malattia) Chiara Mellina (Demo-etno-antropologa scuola romana storico-religiosa).
♦ Diciannovesima lezione del 14.12.1995 “Contesto e discussione etnopsicoterapeutica nell’approccio al paziente immigrato
Roberto Beneduce (Etnopsichiatra centro “Frantz Fanon” Torino)
♦ Ventesima lezione del 15.12.1995 “Etnopsichiatria e creolizzazione delle culture tra globalizzazione e resistenze
Piero Coppo (Etnopsichiatra), Giuseppe Cardamone (Etnopsichiatra SSN Prato), Giuseppe Domenico Schirripa (Dip. Storia, Culture, Religioni Uni-Roma La Sapienza), Salvatore Francesco Inglese (Etnopsichiatra SSN Catanzaro)
 
II ANNUALITÀ – 1° Semestre
♦Ventunesima lezione del 13.02.1996 “Approccio al paziente immigrato in ambulatorio medico. Chi ascolta chi?”
Salvatore Geraci (medico Area Sanitaria Caritas), Chiara Mellina (Demo-etno-antropologa scuola romana storico-religiosa).
♦ Ventiduesima lezione del 01.03.1996 “Un viaggio al contrario. Dall’Europa all’Africa inseguendo la speranza
Giancarlo Santone (Assistenza rifugiati SSN), Alfredo Ancora (psichiatra transculturale SSN), Giuseppe Domenico Schirripa (Dip. Storia, Culture, Religioni Uni-Roma La Sapienza)
♦ Ventitreesima lezione del 22.03.1996 “I Guaritori popolari in Italia
Tullio Seppilli (Ordinario Antropologia Medica Università Perugia)
♦ Ventiquattresima lezione del 19.04.1996 “Crisi psichiatrica e perdita degli appoggi culturali. Due casi brasiliani.
Gilberto Mazzoleni (Ordinario Storia delle Religioni "La Sapienza" Roma), Nicoletta Salvi (Psichiatra SSN)
♦ Venticinquesima lezione del 30.04.1996 “Concezione del male e della malattia in Calabria.”
Giuseppe Domenico Schirripa (Dip. Storia, Culture, Religioni Uni-Roma La Sapienza), Vincenzo Padiglione (antropologo Università di Roma La Sapienza)
♦ Ventiseiesima lezione del 14.05.1996 “Psicopatologia dell’adolescente immigrata. Presentazione di due casi
Mauro Ferrara (Assistente Neuropsichiatria infantile Università Sapienza Roma), Ugo Sabatello (Assistente Neuropsichiatria infantile Università Sapienza Roma), Dario Bosi (Psicologo neuropsichiatria infantile Roma)
♦ Ventisettesima lezione 29.05.1996 “Una strana malattia della Nigeria: l’Hypertityse
Alfonso Maria di Nola (Antropologo e Storico delle religioni), Patrizia Fiorellino Vaccaro (Psichiatra SSN)
♦ Ventottesima lezione 21.06.1996 “Con-fusione di identità un caso clinico disperato”
Giorgio Villa (Psichiatra transculturale SSN Roma), Vittorio Lanternari ()
 
II ANNUALITÀ – 2° Semestre
♦ Ventinovesima lezione del 20.09.1996 “Senza fissa dimora. Ma i Nomadi non sono immigrati
Salvatore Geraci (medico Area Sanitaria Caritas), Chiara Mellina (Demo-etno-antropologa scuola romana storico-religiosa)
♦ Trentesima lezione 08.10.1996 “Gli immigrati tra lavoro e devianza
Enrico Pugliese (Ordinario Sociologia del Lavoro Facoltà Sociologia Università Roma “La Sapienza”), Francesco Carchedi (sociologo)
♦ Trentunesima lezione 22.10.1996 “Immigrati, Operatori, Servizi. L’intersoggettività in ambiente istituzionale. Torino e Caserta: due realtà emblematiche
Delia Frigessi Castelnuovo (Socio-antropologa, scrittrice), Virginia De Micco (Etnopsichiatra, psicopatologa delle migrazioni SSN Caserta)
♦ Trentaduesima lezione 13.11.1996 “Gli Sciamani e la costruzione della realtà” (proiezione di un documentario e dibattito)
Alfredo Ancora (psichiatra transculturale SSN), Vincenzo Padiglione (antropologo Università di Roma La Sapienza)
♦ Trentatreesima lezione 10.12.1996 “La realtà di Prato: interazione culturale con l’immigrazione cinese
Giuseppe Cardamone (Etnopsichiatra SSN Prato),  Giuseppe Domenico Schirripa (Dip. Storia, Culture, Religioni Uni-Roma La Sapienza)
Fine del corso.
 
Note al testo
[01]. Può essere utile rammentare che l'ettaro (ha), unità di misura delle aree, è pari a 10.000 m², cioè all'area di un quadrato con lato lungo 100 metri. Esso viene ufficialmente utilizzato dall'Agenzia del territorio italiana per misurare la superficie dei terreni a fini catastali o fiscali.
[02] Mi viene in mente un oscuro funzionario dell’Ufficio Amministrativo di Via Bruno Pellizzi, a Cinecittà, prima che tutti gli uffici si trasferissero a Via Filippo Meda, una specie di Ministero della Sanità dell’attuale Municipio VI, ex-VIII. Codesto “dott. NN” – che diceva di possedere due lauree e di invidiare il fratello che ne aveva una sola ma guadagnava tre volte il suo stipendio – aveva ricevuto l’ordine dal Consiglio d’Amministrazione della VIII ASL di bandire un concorso per tre medici psichiatri. Servivano a rimpolpare l’organico del DSM, sempre penosamente carente. Il “dott. NN” si era dato da fare per approntare l’atto amministrativo, come un sacerdote che registri un battesimo, e poi, trionfante, mi aveva recato la deliberazione stampata sulla G.U. La tenevo nel cassetto come una reliquia in trepidante attesa, finché un giorno venne un Collega ad aprirmi gli occhi. «Guarda che questa delibera non conta nulla! Manca dei fondamentali: indicazione del periodo in cui dovrà essere convocata la commissione e composizione della medesima». Allora, c’era Claudio Loreti, a presiedere il Comitato di Gestione. Un omone sanguigno, brusco ma diretto, autentico. Era professore incaricato di statistica sanitaria alla Facoltà di Medicina della Sapienza. Molto vivace e noto al Consiglio Docenti per prendere spesso la parola su ogni cosa non gli risultasse chiara. Il “dott. NN” gabellò anche Loreti, rischiando grosso, però.
[03]. Con l’acronimo TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) s’intendono una serie d’interventi sanitari che possono essere applicati, per motivata necessità ed urgenza e qualora sussista il rifiuto al trattamento da parte del soggetto che deve ricevere assistenza. Erroneamente si associano spesso i TSO soltanto ai disturbi psichiatrici; in realtà i TSO possono essere disposti per qualsiasi causa sanitaria, come ad esempio per le malattie infettive, dove il rifiuto di trattamento potrebbe rappresentare minaccia per la salute pubblica. Il TSO è disposto su proposta del medico con provvedimento del Sindaco, come massima autorità sanitaria del Comune di residenza o dove la persona si trova. 
[04]. Francesco Carraro e Massimo Quezel. SALUTE S.P.A. la sanità svenduta alle assicurazioni. Chiarelettere Editore, 2018.
[05]. Gilberto Di Petta. Cuore di tenebra. Viaggio al termine della psichiatria. Mentre la psichiatria si estingue la clinica rivive nel raccontoPsychiatry on line Italia 14 agosto, 2018
[06]. In Inghilterra, nella regione del North Yorkshire, a York, William Tuke, uomo d’affari inglese, un filantropo quacchero, nel 1796 fece costruire una residenza per la presa in carico di persone con bisogni di salute mentale. La cura si basava essenzialmente sul “trattamento morale” e sul “sistema no restreint”.
[07]. Si legga. Lorenzo Burti In memoriam. Loren Mosher, 1933-2004. Verona, ottobre 2004 Epidemiologia e Psichiatria Sociale, 13, 4, 2004.
[08] Sergio Mellina. Un altro volto? Sull’oscurità confusiva della “doppia diagnosi”. Psychiatry on line Italia. 12 settembre, 2018.
[09] Brutti, sporchi e cattivi Italia, 1976. Regia Ettore Scola, con Nino Manfredi. Il film descrive crudamente il mondo della periferia romana primi anni settanta, le baraccopoli, e i protagonisti di questa miseria, morale e materiale. Vincitore del premio per la miglior regia al 29º Festival di Cannes. Il giudizio critico è unanime sulla grande interpretazione di Nino Manfredi, lodata anche da Alberto Moravia "con straordinaria misura e sottigliezza".
[010]. Mellina Sergio. L’elettroshock-terapia: limiti, tematiche. Relazione alla II Riunione monotematica (3/5/1972) “Temi di terapia, prevenzione e riabilitazione in psichiatria” presso l’O.P.P. di Roma. In: “Problemi e Prospettive di Assistenza Psichiatrica” (pp. 16-41 della rubrica in fascicolo a parte). Il Lav. Neuropsichiat., 50/1, pp. 188-213, 1972.  Id. L’elettroshock come taglio epistemologico nell’ambito dei trattamenti somatici. In: Del Pistoia Luciano, Bellato Francesco (curatori) “Curare e ideologia del curare in psichiatria”, pp. 145-162. Atti del Convegno italo-francese organizzato in Lucca i giorni 10-11 Ottobre 1980 dall’Amministrazione Provinciale di Lucca. Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1981. Mellina Sergio L’elettroshock una terapia empirica antipatica. L’Indipendente, quotidiano nazionale, Milano, 1998, “Gli Otto della Storia”, rubrica di Alceo Riosa, storico.
[011]. Non c’è errore, si tratta proprio del Ser.D, un tempo SERT di Giugliano. Nella Carta dei Servizi c’è scritto che si pone come strumento per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento di situazioni di abuso o dipendenza di sostanze stupefacenti, alcool, o tabacco, attraverso interventi personalizzati, integrati sia all’interno della struttura (il trattamento è coordinato tra le diverse figure professionali: medici, infermieri, psicologi, eccetera) sia con altri Servizi e altre strutture: comunità terapeutiche, psichiatria, medicina interna, gastroenterologia, inserimento lavorativo, ecc.
[012]. Mainstream è un termine inglese e statunitense usato per indicare una corrente tradizionale, convenzionale, comune e dominante, generalmente seguita dal grande pubblico. Anche una tendenza di massa, opposta a quelle minoritarie.
[013]. Bisogna andare molto indietro nel tempo per adocchiare una grottesca parodia di codesti capetti/imperatori DSM. Si consiglia la visione di Little Cesar, USA, 1930, drammatico, 79’, B/N, Regia Mervyn LeRoy, con Edward G. Robinson, Douglas Fairbanks Jr., Glenda Farrell.
[014]. Tutti ricordano la crisi mondiale economica americana del 15 settembre 2008 innescata dal fallimento dei derivati o subprime, senza copertura. Tutti videro le scene penose degli impiegati di Lehman Brothers buttati per strada senza complimenti. Gli obiettivi TV puntavano impietosamente sull’uscita dei bancari dalle loro sedi di lavoro stringendosi gli effetti personali. Alcuni anche con la carta igienica. Chi ha visto la filmografia hollowoodiana sui “tagliatori di teste”, partita dal 2008 in poi, non può ignorare The Company Men il film di John Wells, affermato autore e produttore soprattutto televisivo. Esordiente, però, come regista cinematografico, autore anche della sceneggiatura e curatore della produzione del film. Il cast è di grande livello: Ben Affleck, Kevin Costner, Chris Cooper, Maria Bello e Tommy Lee Jones.
[015]. Gilberto scrive esasperato, dell’ultima ruota del carro della psichiatria del quotidiano. « E’ oppresso, oltre che da tutto il gravame che gli cade addosso, dai manager che pretendono che il suo lavoro quotidiano si ricalchi nelle cornici che essi hanno disegnato [il paziente non dev’essere primario-resistente, ndr]. E’ il milite ignoto, questo fante, rimasto in trincea con il cerino in mano, colui che non farà mai carriera, che deve inventarsi le soluzioni, fare il saltimbanco, fare le capriole, cercare di portare la pelle a casa. Vessato, in un mondo che celebra le magnifiche sorti e progressive, egli è rimasto a fronteggiare tossici, dementi, homeless, ragazzini dirompenti, criminali antisociali e psicopatici con la patente di pazzi».
[016]. Cuore di tenebra (Heart of Darkness) è un racconto dello scrittore polacco-britannico Joseph Conrad sulla storia del viaggio per risalire il fiume Congo nel Libero Stato del Congo, al centro dell'Africa. Il narratore “Charles Marlow”, racconta agli amici la sua avventura, a bordo della “Nellie” la sua imbarcazione, ancorata in un'ansa del Tamigi, scendendo da Londra. Quest’ambientazione è la cornice narrativa della sua ossessione di andare a scovare Kurtz, un bieco commerciante d’avorio. La traccia, il file rouge che giustifica, nel racconto affascinante, un parallelismo tra Londra e l'Africa come territori tenebrosi, luoghi oscuri.
[017]. Di Petta non vede prospettiva con questi fantaccini eroici ma ignorati. «Tutte le riforme che si succedono imprimono un marchio indelebile sulla sua pelle. Egli è il terminale di tutto. Sindaci, carabinieri, vigili, 118, Pronto soccorso, cittadini qualunque: tutti hanno lui sulla bocca. Per questo lo sfigato teme ogni riforma, perché pensa … » gli si possa ritorcere contro. Non resta che scappare «Un giorno, forse, egli ha avuto anche una vocazione. Oggi non sa più per chi combatte. La sua principale aspirazione è andare in pensione prima possibile. Se ha possibilità va via dal pubblico. Con gli anestesisti e i chirurghi, gli psichiatri quotidiani rappresentano il numero critico dei medici che lasciano il pubblico per il privato».
[018]. In effetti ho imparato molto da questi Claudio Loreti, scomparso giovane per infarto. Mi voleva sempre con sé quando andava in Regione, forse perché nella ASL RM8 di allora, ero l’unico dirigente medico con funzioni apicali vincitore di pubblico concorso. Ciò, a suo dire, mi dava l’autorità di un pubblico ufficiale col grado di generale. Come che fosse, facemmo subito amicizia da quando gli spiegai che io non ero il “grande capo degli scemologi”, perché i pazzi non erano scemi e lui mi disse che se volevo veramente comandare nel mio DSM, la mattina dovevo arrivare 5 minuti prima di tutti. Le corse che mi sono fatto al mattino con la macchina su quei 15 chilometri, da casa a Torrespaccata, ai tempi di Loreti! Naturalmente, le autorità regionali, quando andavamo in missione, non c’erano. Allora Loreti operava la grande magia. Con voce importante, esclamava. Prof. Mellina, mettiamo tutto per atti formali, scriva: alle ore… ci siamo presentati in Regione Lazio, piano terzo, stanza dell’assessore… per rappresentargli… poi girava i tacchi e io dietro, con l’autista Ciarpaglini. Effettivamente, la minaccia incuteva una certa soggezione e soprattutto, non dava l’impressione di tornarcene a mani vuote.
[019]. Delle 33 lezioni esiste una registrazione su una quarantina di cassettine da registrazione telefonica. Di alcune è stata effettuata una sbobinatura.
 

 
 
 
 

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