Devo una risposta a Gilberto Di Petta, a proposito del saggio di Danilo Cargnello “L’orientamento fenomenologico esistenziale” tratto dalla Rivista I PROBLEMI DI ULISSE – Essere nervosi da me dissepolto per POL.IT Psychiatry on line Italia. Gliela debbo per aver tratto tutti gli insegnamenti che almeno quattro/cinque generazioni di Colleghi si attendevano. Una via “non analiticamente orientata” come già diceva Aldo Giannini nel 1968. Una strada fenomenologicamente corretta per giungere ad una psicoterapia che non fosse “in opposizione a” o “contro” le altre più comunemente praticate e scientificamente riconosciute, segnatamente la psicoanalisi. Poiché parlavo di dissepoltura, presentando il vecchio saggio di Cargnello, Gilberto, raffinatamente scrive di «disoccultamento». Il più importante, «quello della psicoterapia fenomenologica dal ventre della psicopatologia fenomenologica». Una vera e propria traversata del deserto. Oppure, se si preferisce, i segnali giusti captati dal rabdomante, per scendere a scoprire le sorgenti d'acqua, i giacimenti di minerali preziosi per dissetare la mente e arricchire il pensiero.
Confesso di avere una passione quasi feticista per i libri, specie antichi. Sprigionano un fascino particolare per il sapere che racchiudono e custodiscono. Capisco come possa aver avuto molto successo Il nome della rosa di Umberto Eco. Sia il vecchio film del 1986 con Sean Connery nei panni di Guglielmo da Baskerville, che la recente seria televisiva del 2019 con John Turturro nella parte del frate francescano Guglielmo.
Molti anni fa ho avuto a che fare col MIBAC e conobbi una Signora che lavorava al BUN di Napoli. Alla "Casa del Salvatore", se non ricordo male, l’ex collegio Massimo dei Gesuiti in Via Giovanni Paladino, al Palazzo Carafa. Io dovevo soltanto correggere le bozze (e restituirgliele) di una ricerca sulla migrazione italiana commissionatami dal Ministero, esitata poi in un convegno alla Biblioteca centrale di Roma. Lei, invece, nell’occasione, mi spiegò che cos’erano le cinquecentine e anche gl’incunaboli per averli visti e toccati!
Sono molto contento che Gilberto Di Petta abbia apprezzato il vecchio testo di Danilo Cargnello che ho ritrovato dopo tanti anni e vi abbia colto in embrione le tracce delle dimensioni terapeutiche della Scuola di “Figline Valdarno”. Naturalmente i libri servono ma i “Maestri” sono fondamentali per accendere la scintilla della conoscenza e trasmettere il sapere.
Molto s’impara dai maestri. Lo stile si trasmette per mestiere, che si ruba con gli occhi, stando a bottega, come il giovane novizio Adso da Melk (Christian Slater nel film, Damian Hardung nella miniserie TV) de Il nome della rosa, assistente di frate Guglielmo, per continuare la metafora de Il nome della rosa. Un fare che è anche uno stare-con, un guardare-insieme come si muovono i personaggi nell’ambiente, fotografarlo, ascoltare ciò che dicono come lo dicono, se se lo dicono o tacciono e altri dettagli ancora. Io che ho conosciuto Bruno Callieri e Gilberto Di Petta conosco le generazioni intermedie, il loro trait d’union. Quando racconta le sue guardie in SPDC, che leggo attentamente, tutto mi è chiaro man mano che si svolge l’azione. Le sue narrazioni dei “turni lunghi”, le vedo. Ascolto le parole dei suoi personaggi. La sua psicopatologia fenomenologica salta fuori dalla lettura, come un romanzo di vita dove, alla fine, giunge anche un orientamento diagnostico, simile allo svelamento del colpevole in un giallo di Georges Simenon. Credo di sapere anche chi siano gli antenati di Gilberto, che come lui scrive «alcuni di noi allievi degli allievi di Cargnello» hanno molto imparato da lui. Peraltro Di Petta lo sa benissimo per averlo pubblicato tempo fa su “Comprendre” (che dirige) dove, in occasione dell’80° di Arnaldo Ballerini, Eugenio Borgna scriveva «il cammino conoscitivo della psichiatria fenomenologica indicato… fra gli altri da Ferdinando Barison, da Ludwig Binswanger, da Bruno Callieri, da Danilo Cargnello, da Eugène Minkowski, da G.E. Morselli, da Kurt Schneider e da Erwin Straus, abbia sconvolto gli scenari della psichiatria: cambiandone non solo le premesse teoriche e dottrinali ma anche i modi concreti di incontrare e di curare ogni paziente: come poi Franco Basaglia ha dimostrato nelle trincee aperte di una rivoluzionaria psichiatria sociale»
A ben vedere e capire, nelle corrispondenze dalla “Guardia psichiatrica” di Gilberto Di Petta, ci trovi tutto (soggetto, sceneggiatura, dialoghi, anche le musiche, volendo), per girare una pellicola di cinéma vérité. Ecco la paziente sempre ambigua del “disturbo fittizio”, sempre insensibile agli assalti di Giove seduttore, che ai tempi della psicopatologia descrittiva girovagava (sempre fittiziamente) tra la sindrome di Ganser, quella di Münchhausen, la pseudologia fantastica senza delirio e una parafrenia senza confabulazione. (Leda senza il cigno, vero Gilberto?). Ecco “La signora bassina, tra i 60 e i 70, con occhiali grossi, capelli in disordine come di chi si alzato come stava, nel cuore della notte”. accompagna Antinoo il paziente “spaventato e muto proveniente dalle strutture” col TSO e il triage, quella maschera indimenticabile “afasica, con lo sguardo fisso, attonito. Uno strano “catatonico” che esegue gli ordini, comprende la gentilezza e “la paura mentre lo tocco si scioglie un poco”, quasi che la visita neurologica fosse l’imposizione delle mani. Qell’Antinoo che ti “tiene per gli occhi” ricordandoti Bruno Callieri, il maestro, vero Gilberto? (Lentamente muore la psichiatria italiana). Ecco Pablo, 57 anni, l’ultimo di una “lunga” molto trafficata, anche con spruzzi di adrenalina. Poco sonno, poca tranquillità… Dopo un po’ mi rialzo. Prendo il martelletto dalla borsa, il martelletto da riflessi che era di Bruno Callieri, la pila tascabile, rientro in reparto». Pablo arriva alle 3 ma si era allontanato di casa più o meno al cambio della guardia. Tempo cattivo uno scongiuro «… quando gli elementi infuriano, l’emergenza psichiatrica tace». Pablo, aveva già preso la sua decisione «…Scivola via silenzioso, per andare a comprare le sigarette. Lascia moglie e figlio, semiaddormentati davanti al televisore». Era finito su una panchina davanti alla battigia con due bottiglie di birra in una busta. «… il cicalino mi sveglia… La collega del PS è netta : un uomo ha tentato il suicidio in mare. Devi venire. Riesco a dirle di fare l’esame tossicologico sulle urine prima che riattacchi». Lo ha trovato il figlio e “c’è la moglie preoccupatissima che chiede il ricovero”. Pablo «fa il segretario nella sezione cittadina di un ex partito politico di maggioranza…guerra tra i Gionta e i Nuvoletta… da alcuni anni l’alcol e la depressione lo tengono in ostaggio… non vede via d’uscita. Come si convince un uomo a non morire? Non lo so. Lo ascolto. Le sue parole sono un profluvio. Non parlava neppure con se stesso, da anni. La sua malinconia, come scrive Kierkgaard… non gli consentiva più di dare del “tu” a se stesso… abbiamo una unità di alcologia… sono proprio io lo psichiatra che si occupa di dipendenze. “E la depressione?” Mi chiede. Questa domanda mi sorprende. Mi incoraggio. Un filo di speranza. Gli dico che la cura per la depressione la cominciamo subito. A volte mi sorprendo di quanto siano potenti le parole ed i silenzi. Di quanto la medicina delle magnifiche sorti e progressive abbia lasciato indietro le parole, i gesti, i silenzi». (Tenera è la notte). Ecco una corrispondenza di guerra dove impari che il paziente psichiatrico che durante il manicomio perdeva i diritti civili ora può essere privato anche dell’habeas corpus del 1679, addirittura del corpo, del soma. Il paziente era D. 38 anni. «giunto in stato catalettico, non si lavava né veniva lavato da tempo. Non parlava. Aveva un’espressione allarmata e stupita. E’ stato sottoposto, in tre giorni, a due TAC, una al cranio in PS, ed una al torace, in reparto; ad una rx toracica, a vari ECG, a vari esami ematici, ossigeno terapia. E l’abbiamo perduto. Senza “caricarlo” di farmaci. Perché questo ci viene imputato, sempre. E’ spirato pulito». Guardia lunga «tre giorni scanditi da un andirivieni di consulenti. Internisti, chirurghi, anestesisti. Per nessuno, tranne che per noi, il paziente era meritevole di trasferimento in reparti per pazienti “organici”. Tutti ritenevano che le sue condizioni non fossero così preoccupanti. Sottovalutazione del pericolo? O presenza di un pregiudizio inabbattibile. Se si, quale pregiudizio? Che i pazienti psichiatrici, proprio perché sono psichiatrici, non hanno corpo. Questo è parte dello stigma». (Tregua di Natale). A questo punto capisci i maestri, le letture, la formazione, lo stile, i gusti di Gilberto. Ecco la nuova psicopatologia fenomenologica raccontata sapientemente, vivacemente, magistralmente. La raccolgo in un file a parte, di letteratura, accanto a Dostoewskij, Checov, Gogol, Pascoli, Caproni…
Ora tocca a te, Gilberto!
Grazie.
Molti anni fa ho avuto a che fare col MIBAC e conobbi una Signora che lavorava al BUN di Napoli. Alla "Casa del Salvatore", se non ricordo male, l’ex collegio Massimo dei Gesuiti in Via Giovanni Paladino, al Palazzo Carafa. Io dovevo soltanto correggere le bozze (e restituirgliele) di una ricerca sulla migrazione italiana commissionatami dal Ministero, esitata poi in un convegno alla Biblioteca centrale di Roma. Lei, invece, nell’occasione, mi spiegò che cos’erano le cinquecentine e anche gl’incunaboli per averli visti e toccati!
Sono molto contento che Gilberto Di Petta abbia apprezzato il vecchio testo di Danilo Cargnello che ho ritrovato dopo tanti anni e vi abbia colto in embrione le tracce delle dimensioni terapeutiche della Scuola di “Figline Valdarno”. Naturalmente i libri servono ma i “Maestri” sono fondamentali per accendere la scintilla della conoscenza e trasmettere il sapere.
Molto s’impara dai maestri. Lo stile si trasmette per mestiere, che si ruba con gli occhi, stando a bottega, come il giovane novizio Adso da Melk (Christian Slater nel film, Damian Hardung nella miniserie TV) de Il nome della rosa, assistente di frate Guglielmo, per continuare la metafora de Il nome della rosa. Un fare che è anche uno stare-con, un guardare-insieme come si muovono i personaggi nell’ambiente, fotografarlo, ascoltare ciò che dicono come lo dicono, se se lo dicono o tacciono e altri dettagli ancora. Io che ho conosciuto Bruno Callieri e Gilberto Di Petta conosco le generazioni intermedie, il loro trait d’union. Quando racconta le sue guardie in SPDC, che leggo attentamente, tutto mi è chiaro man mano che si svolge l’azione. Le sue narrazioni dei “turni lunghi”, le vedo. Ascolto le parole dei suoi personaggi. La sua psicopatologia fenomenologica salta fuori dalla lettura, come un romanzo di vita dove, alla fine, giunge anche un orientamento diagnostico, simile allo svelamento del colpevole in un giallo di Georges Simenon. Credo di sapere anche chi siano gli antenati di Gilberto, che come lui scrive «alcuni di noi allievi degli allievi di Cargnello» hanno molto imparato da lui. Peraltro Di Petta lo sa benissimo per averlo pubblicato tempo fa su “Comprendre” (che dirige) dove, in occasione dell’80° di Arnaldo Ballerini, Eugenio Borgna scriveva «il cammino conoscitivo della psichiatria fenomenologica indicato… fra gli altri da Ferdinando Barison, da Ludwig Binswanger, da Bruno Callieri, da Danilo Cargnello, da Eugène Minkowski, da G.E. Morselli, da Kurt Schneider e da Erwin Straus, abbia sconvolto gli scenari della psichiatria: cambiandone non solo le premesse teoriche e dottrinali ma anche i modi concreti di incontrare e di curare ogni paziente: come poi Franco Basaglia ha dimostrato nelle trincee aperte di una rivoluzionaria psichiatria sociale»
A ben vedere e capire, nelle corrispondenze dalla “Guardia psichiatrica” di Gilberto Di Petta, ci trovi tutto (soggetto, sceneggiatura, dialoghi, anche le musiche, volendo), per girare una pellicola di cinéma vérité. Ecco la paziente sempre ambigua del “disturbo fittizio”, sempre insensibile agli assalti di Giove seduttore, che ai tempi della psicopatologia descrittiva girovagava (sempre fittiziamente) tra la sindrome di Ganser, quella di Münchhausen, la pseudologia fantastica senza delirio e una parafrenia senza confabulazione. (Leda senza il cigno, vero Gilberto?). Ecco “La signora bassina, tra i 60 e i 70, con occhiali grossi, capelli in disordine come di chi si alzato come stava, nel cuore della notte”. accompagna Antinoo il paziente “spaventato e muto proveniente dalle strutture” col TSO e il triage, quella maschera indimenticabile “afasica, con lo sguardo fisso, attonito. Uno strano “catatonico” che esegue gli ordini, comprende la gentilezza e “la paura mentre lo tocco si scioglie un poco”, quasi che la visita neurologica fosse l’imposizione delle mani. Qell’Antinoo che ti “tiene per gli occhi” ricordandoti Bruno Callieri, il maestro, vero Gilberto? (Lentamente muore la psichiatria italiana). Ecco Pablo, 57 anni, l’ultimo di una “lunga” molto trafficata, anche con spruzzi di adrenalina. Poco sonno, poca tranquillità… Dopo un po’ mi rialzo. Prendo il martelletto dalla borsa, il martelletto da riflessi che era di Bruno Callieri, la pila tascabile, rientro in reparto». Pablo arriva alle 3 ma si era allontanato di casa più o meno al cambio della guardia. Tempo cattivo uno scongiuro «… quando gli elementi infuriano, l’emergenza psichiatrica tace». Pablo, aveva già preso la sua decisione «…Scivola via silenzioso, per andare a comprare le sigarette. Lascia moglie e figlio, semiaddormentati davanti al televisore». Era finito su una panchina davanti alla battigia con due bottiglie di birra in una busta. «… il cicalino mi sveglia… La collega del PS è netta : un uomo ha tentato il suicidio in mare. Devi venire. Riesco a dirle di fare l’esame tossicologico sulle urine prima che riattacchi». Lo ha trovato il figlio e “c’è la moglie preoccupatissima che chiede il ricovero”. Pablo «fa il segretario nella sezione cittadina di un ex partito politico di maggioranza…guerra tra i Gionta e i Nuvoletta… da alcuni anni l’alcol e la depressione lo tengono in ostaggio… non vede via d’uscita. Come si convince un uomo a non morire? Non lo so. Lo ascolto. Le sue parole sono un profluvio. Non parlava neppure con se stesso, da anni. La sua malinconia, come scrive Kierkgaard… non gli consentiva più di dare del “tu” a se stesso… abbiamo una unità di alcologia… sono proprio io lo psichiatra che si occupa di dipendenze. “E la depressione?” Mi chiede. Questa domanda mi sorprende. Mi incoraggio. Un filo di speranza. Gli dico che la cura per la depressione la cominciamo subito. A volte mi sorprendo di quanto siano potenti le parole ed i silenzi. Di quanto la medicina delle magnifiche sorti e progressive abbia lasciato indietro le parole, i gesti, i silenzi». (Tenera è la notte). Ecco una corrispondenza di guerra dove impari che il paziente psichiatrico che durante il manicomio perdeva i diritti civili ora può essere privato anche dell’habeas corpus del 1679, addirittura del corpo, del soma. Il paziente era D. 38 anni. «giunto in stato catalettico, non si lavava né veniva lavato da tempo. Non parlava. Aveva un’espressione allarmata e stupita. E’ stato sottoposto, in tre giorni, a due TAC, una al cranio in PS, ed una al torace, in reparto; ad una rx toracica, a vari ECG, a vari esami ematici, ossigeno terapia. E l’abbiamo perduto. Senza “caricarlo” di farmaci. Perché questo ci viene imputato, sempre. E’ spirato pulito». Guardia lunga «tre giorni scanditi da un andirivieni di consulenti. Internisti, chirurghi, anestesisti. Per nessuno, tranne che per noi, il paziente era meritevole di trasferimento in reparti per pazienti “organici”. Tutti ritenevano che le sue condizioni non fossero così preoccupanti. Sottovalutazione del pericolo? O presenza di un pregiudizio inabbattibile. Se si, quale pregiudizio? Che i pazienti psichiatrici, proprio perché sono psichiatrici, non hanno corpo. Questo è parte dello stigma». (Tregua di Natale). A questo punto capisci i maestri, le letture, la formazione, lo stile, i gusti di Gilberto. Ecco la nuova psicopatologia fenomenologica raccontata sapientemente, vivacemente, magistralmente. La raccolgo in un file a parte, di letteratura, accanto a Dostoewskij, Checov, Gogol, Pascoli, Caproni…
Ora tocca a te, Gilberto!
Grazie.
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